Novembre 10th, 2014 Riccardo Fucile
“IL PROBLEMA NON SI RISOLVE COI BLITZ, MA ATTINGENDO AI PROGRAMMI E AI FINANZIAMENTI UE COME FANNO I PAESI CIVILI, MA L’ITALIA NON LI HA MAI CHIESTI”
Matteo Salvini ha scritto al Tempo che, se fosse premier, i campi rom non esisterebbero. Davvero una svolta in casa Lega.
Al segretario del Carroccio forse sfugge che il sistema dei campi tipicamente italiano è stato rafforzato e legittimato per effetto del decreto con cui nel 2008 il ministro leghista Maroni dichiarò «l’emergenza nomadi», poi bocciato dal Consiglio di Stato.
Nel 2010 Maroni dava per risolta l’emergenza.
Quel decreto non solo non ha risolto nulla ma ha permesso di creare un clima di allarme sociale assai fertile per chi come la Lega, oggi come ieri, brandisce il tema della sicurezza come arma elettorale.
La verità è che la chiusura dei campi rom non è un punto programmatico della Lega, ma un obiettivo fissato dalla Commissione europea e recepito nel 2012 dal Governo con la Strategia nazionale di inclusione delle comunità Rom, Sinti e Caminanti.
La questione, dunque, non è se, bensì come.
Per superare la politica dei campi basta confrontarsi con altre città europee, dove modelli alternativi sono stati realizzati con successo anche grazie a quei fondi strutturali di cui il nostro Paese non fa nemmeno richiesta.
È una questione di diritti umani violati e anche di sperpero delle risorse pubbliche.
A Roma solo nel 2013 sono stati spesi ben 25 milioni di euro per mantenere nei campi poco più di 5 mila persone, con nessun beneficio per i cittadini rom, con grande disagio per chi vive nelle vicinanze, ma con un grande indotto per cooperative e associazioni coinvolte nella gestione dei campi.
Per questo abbiamo proposto al sindaco Marino un piano di conversione delle risorse pubbliche attualmente impiegate per i campi, in percorsi concreti di carattere abitativo e lavorativo, sul modello indicato dalle linee di finanziamento europeo.
Solo così sarà possibile invertire davvero rotta rispetto a un sistema fallimentare su cui grava il rischio imminente di una pesante condanna da parte della Ue.
Condanna che, ancora una volta, ricadrebbe sulle tasche dei cittadini.
Se Salvini, oltre a visitare i campi rom della Capitale, vorrà anche confrontarsi su queste proposte sarà il benvenuto.
Agli antagonisti di tutte le tendenze chiediamo di essere antagonisti prima di tutto dei campi etnici, luoghi di segregazione e prima causa di discriminazione.
Riccardo Magi
presidente dei Radicali italiani
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Novembre 10th, 2014 Riccardo Fucile
I DIPENDENTI ACCUSANO: “SI SONO MANGIATI TUTTO”… E IL “SINDACALISTA” SALVINI METTE 71 DIPENDENTI IN CASSA INTEGRAZIONE
L’ironia, stavolta, è beffarda; la Lega, oggi, è il partito verde che più verde non si può. Le battute, in realtà ,
lasciano il tempo che trovano quando ci sono di mezzo dei posti di lavoro e un segretario, Matteo Salvini, impegnato a parole a difendere chi perde il posto tra le piccole e medie imprese della Padania e non solo.
Ora però, lo stesso Salvini si trova a dover fare il commissario liquidatore dentro casa sua.
Fino a sedersi — qui la beffa sfiora quasi il contrappasso — come parte datoriale al tavolo di crisi aperto al ministero dello Sviluppo Economico sulla chiusura degli uffici della sua Lega.
Settantuno dipendenti sono a un passo dalla cassa integrazione.
Sessantanove impiegati, alcuni alle dipendenze del partito da vent’anni.
Tra loro sette autisti (di cui sei dedicati a Umberto Bossi, che turnano tra Roma e Milano, e che a questo punto dovranno essere stipendiati direttamente dal fondatore della Lega, che non potrà accedere al contributo di partito concordato con la precedente amministrazione leghista), tre portieri, quattro contabili, e poi tutti gli altri dipendenti da Varese a Sondrio, da Torino a Vicenza, da Pordenone a Roma.
Così l’intera impalcatura organizzativa del partito crolla. Perchè le casse sono vuote.
Che fine abbiano fatto i 120 milioni di euro di finanziamenti ricevuti nell’immediata era del dopo Bossi è mistero su cui i dipendenti il cui posto di lavoro è in bilico vogliono vedere chiaro.
Con l’ultima debacle elettorale, i rimborsi sono scesi da 8,8 a 6,5 milioni.
Le quote associative sono a meno 30%. Tre milioni se ne sono andati per le cause legali del dopo-Belsito, malgrado siano già stati spesati 881mila euro di perdite per «assegni emessi a favore di persone sconosciute» e 417mila euro «per prelievi non giustificati»; ricordi dei tempi gloriosi in cui i quattrini del Carroccio finanziavano le lauree del Trota, la bambinaia di Calderoli, le hit come “Kooly Noody” o la scuola Bosina dei “liberi popoli padani” dove insegnava Manuela Marrone, moglie di Bossi, e oggi chiusa sempre per mancanza di denaro.
Dopo quell’era di fasti e di diamanti, il contraccolpo ha mietuto vittime nell’organico del partito con una prima falcidia di dipendenti, ridotti allora da 80 a 73 dipendenti. Poi è arrivato il 2013, chiuso in rosso per 14,4 milioni e il patrimonio crollato a 16 milioni. Ed è stata la fine.
«Abbiamo due anni di vita» aveva vaticinato, un po’ funereo, Stefano Stefani, segretario amministrativo del movimento.
Poi, nel drammatico congresso del luglio scorso, anche lui ha gettato la spugna: “Non c’è più un soldo, inutile restare”.
“Si sono mangiati tutto, fregati i soldi e arricchiti sulla nostra pelle”, masticavano amaro i dipendenti di Bellerio.
Infatti, ora per loro c’è il baratro. «Considerato la complessiva situazione economico-finanziaria e patrimoniale — si legge nella raccomandata inviata dall’amministrazione di via Bellerio al ministero -, la Lega Nord è disponibile a valutare l’applicazione di eventuali misure di sostegno al reddito ed all’occupazione per i dipendenti interessati che possano attenuare le conseguenze sul piano sociale dell’attuazione del programma di riduzioni e messa in mobilità ».
A questo si aggiunge anche un altro strappo.
Oltre ai 71 esuberi, ci sono anche i dipendenti dell’Editoriale Nord, la società della Lega che edita il giornale La Padania, con un’altra ventina di dipendenti tra giornalisti e tipografi.
E’ notizia fresca che La Padania chiuderà l’edizione cartacea e resterà solo on line, colpa — ha attaccato Salvini — del dimezzamento dei fondi all’editoria (compresa quella di partito), da 100 a 50 milioni di euro, ma le coperture erogate dal governo finora riguardano solo 27 milioni, dunque un quarto rispetto all’ammontare degli scorsi anni.
Per La Padania, insomma, la prospettiva era di dover affrontare un intero anno senza contributi pubblici. Impossibile.
“Siamo poveri di soldi, ma ricchi di idee”, ha cercato di rinfrancare le truppe il segretario Salvini, ma l’orizzonte è nero per quello che è stato il vero cuore pulsante della Lega, la “macchina elettorale” di via Bellerio. “Non avevamo altra scelta — chiude ancora Salvini — ma d’ora in poi faremo conto solo sul nostro gettonatissimo volontariato”.
La zavorra dei conti della Lega, tuttavia, può rivelarsi fatale per Salvini. Al pari della sua doppia veste di “ufficiale liquidatore” del vecchio Carroccio e sindacalista Cche approfitta di ogni trasmissione televisiva per dire che segue personalmente vertenze e trattative.
Peccato che una delle “fabbriche” che chiude in Padania sia proprio la sua. E senza grande speranza per il futuro.
Anche l’alienazione della sede di via Bellerio, per dirne una, non si presenta facile, in quanto anni fa il Comune di Milano (probabilmente per venire incontro a qualche difficoltà economica del Carroccio) modificò la destinazione d’uso dell’immobile (un tempo sede di un’azienda inquinante) in sede di partito politico.
Il che rende obbligata l’individuazione di un possibile compratore: o via Bellerio passa a un’altra forza politica o, oggi come oggi, la sua cessione appare impraticabile. E visto come stanno un po’ tutte le casse dei partiti, diventa complicato trovare qualcuno con i soldi giusti per comprare quell’edificio di sapore un po’ sovietico e dalla storia un po’ pesante da gestire.
Forse troppo pesante anche per il rinnovatore Salvini.
Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 10th, 2014 Riccardo Fucile
SUL CASO SALVINI EMERGE LA VERITA’: CERCAVA L’INCIDENTE… ECCO COM’E’ ANDATA
Esisteva un dispositivo di sicurezza per proteggere Matteo Salvini, ma il segretario della Lega avrebbe preferito evitarlo.
Sabato mattina non avrebbe avvisato la questura di Milano della partenza e quella di Bologna del suo arrivo, come invece si era impegnato a fare.
E questo nonostante le norme prevedano che la «personalità » sotto tutela sia sempre obbligata a comunicare costantemente i propri spostamenti, i mezzi utilizzati e soprattutto i luoghi di sosta e di soggiorno.
Il giorno dopo l’aggressione avvenuta a oltre un chilometrodal campo rom del capoluogo emiliano, gli ordini di servizio della polizia ricostruiscono quanto accaduto e smentiscono la versione del leader del Carroccio quando ha dichiarato che gli era stato «impedito di entrare».
Dimostrano infatti come l’attacco violento degli appartenenti ai centri sociali poteva essere evitato se Salvini avesse rispettato il programma messo a punto dal questore Vincenzo Stingone proprio per evitare qualsiasi tipo di contatto con gli estremisti.
E oggi si rischia la replica visto che ci sarà una nuova visita.
La tutela a Milano
Si torna dunque al 6 novembre, quando i funzionari dell’ufficio scorte di Milano confermano ai colleghi di Bologna la scelta di Salvini di visitare il campo nomadi la mattina dell’8 novembre.
La Digos prende accordi con la consigliera leghista Lucia Bergonzoni – incaricata di organizzare la trasferta – per avere comunicazione di tutti gli spostamenti. In particolare si stabilisce che prima di arrivare al casello autostradale avviseranno il capo della polizia di prevenzione per attivare la «staffetta» di auto, in modo che la vettura del segretario abbia la scorta fino a destinazione.
Si decide anche di predisporre un presidio fisso in servizio di ordine pubblico in via Erbosa, di fronte all’ingresso dell’accampamento rom.
Vengono impiegati 80 uomini, la maggior parte a protezionedell’entrata secondaria che, questo aveva detto Bergonzoni, sarebbe stata utilizzata per l’accesso.
Nelle prime ore di sabato la questura di Bologna contatta la «tutela» di Salvini e apprende che lui ha rifiutato di essere accompagnato nel viaggio.
Si decide così di contattare Bergonzoni per avere aggiornamenti. Sono le 11 quando la consigliera viene chiamata e conferma di essere in autostrada con il segretario, ma in ritardo a causa del traffico.
Ribadisce che chiamerà una volta arrivata nei pressi di Bologna.
L’arrivo all’Hippobingo
Alle 11,50, non ricevendo alcuna notizia, il capo della Digos di Bologna invia un sms a Bergonzoni per sapere a che punto del viaggio siano.
Scopre così che non solo non c’è stato alcun avviso al momento di entrare in città , ma che Salvini è già nel piazzale dell’Hippobingo, dunque a poco più di un chilometro dall’ingresso del campo.
Lo dice lei stessa al telefono al capo della Digos e spiega che il segretario del Carroccio sta parlando con i giornalisti.
È un inaspettato cambio di programma anche perchè la stampa era stata inizialmente convocata di fronte al campo rom e invece a cronisti e telecamere è stato chiesto di spostarsi.
Una modifica che evidentemente viene appresa anche dagli estremisti che aspettavano il leader leghista all’ingresso.
Il funzionario comunica a Bergonzoni di attendere perchè invierà immediatamente la «staffetta» sul piazzale e le raccomanda di non far muovere la vettura di Salvini. Neanche due minuti dopo è lei a richiamare per chiedere aiuto «perchè siamo stati aggrediti».
L’accusa dei sindacati
Sono sei le persone già identificate e denunciate. E a difesa dei colleghi della questura di Bologna si schierano numerosi sindacati.
«Prendersela con i poliziotti è inaccettabile- dichiara Daniele Tissone della Silp – Non si comprende perchè si sia voluto creare a tutti i costi un caso da scaricare poi su funzionari e agenti».
In linea Lorena La Spina dell’Associazione Funzionari e Felice Romano del Siulp: «Il servizio di ordine pubblico c’era ma se lo staff del leader della Lega non comunica che ha organizzato la conferenza stampa in un posto diverso da quello previsto, non si può pensare che i poliziotti abbiano la sfera di cristallo.
Per questo chiediamo a Salvini di accertare perchè il suo staff è stato disattento esponendolo a quel rischio, oppure c’è dell’altro».
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 10th, 2014 Riccardo Fucile
SU 15 MILIONI DI ITALIANI CHE SI DEFINISCONO DI CENTRODESTRA SOLO 8 MILIONI VOTEREBBERO OGGI PER FORZA ITALIA, LEGA E FDI….E BEN 18 MILIONI SI DEFINISCONO NON COLLOCATI
Mentre i vertici degli attuali partiti di centrodestra corrono dietro nella migliore delle ipotesi all’Italicum e
all’abolizione dell’art 18, nella peggiore a zingari e immigrati come 40 anni fa, agli osservatori attenti non sarà sfuggita una interessante ricerca dell’istituto Demopolis che qua riassumiamo come base del nostro ragionamento.
Dall’ indagine emerge che un’ ampia parte dell’elettorato di centrodestra è disorientato: se ci si recasse oggi alle urne per le politiche, Forza Italia otterrebbe circa il 14%, la Lega Nord l’8,5%%, Fratelli d’Italia il 3,5%.
Il che porta a un totale del 26%
Demopolis va però oltre e fotografa una profonda crisi di rappresentanza per un’area storicamente fortissima negli ultimi 20 anni e nella quale tuttora 15 milioni di italiani si definiscono politicamente di Destra o Centro Destra e 18 milioni si dichiarano non collocati.
Ebbene solo poco più di 8 milioni voterebbero oggi per Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, i tre partiti di Centro Destra all’opposizione del Governo.
Ben 7 milioni di elettori di destra, pari a un ipotetico partito del 24%, non votano questi tre partiti di riferimento.
I flussi rilevati da Demopolis negli ultimi 6 anni forniscono la misura del progressivo ridimensionamento del peso elettorale del partito di Berlusconi.
Dei quasi 14 milioni di elettori che scelsero il Pdl nel 2008, oggi solo 4 milioni e 200 mila voterebbero Forza Italia. Un quinto si asterrebbe, il 16% opterebbe per il Movimento 5 Stelle, il 13% per altre liste.
Ma a colpire sono soprattutto quei 21 elettori su 100 del Pdl che voterebbero oggi per il Pd: 3 milioni di voti sottratti da Renzi al partito storicamente più forte del Centro Destra.
E ancora: il 45% degli elettori di Centro Destra, intervistati dall’Istituto Demopolis, non vede un leader politico in grado di rappresentarli e di impensierire Matteo Renzi in un’eventuale competizione elettorale, altro che discorsi inutili su chi ha più carisma tra le mezze tacche attuali.
Se ne conclude, in sintesi, che oggi esiste un elettorato potenziale del 24% che, pur ritenendosi di destra e di centrodestra, non ha un riferimento politico.
Che questo potenziale partito potrebbe far presa anche su una parte dei 18 milioni di elettori non collocati e persino recuperare consensi a sinistra.
E che quasi la metà degli elettori di area vorrebbe un leader diverso rispetto a quelli che attualmente si alternano tra servizi sociali, campi rom, affogamenti profughi, inciuci e photoshop.
E’ la dimostrazione della validità della tesi che andiamo sostenendo da tempo immemorabile: che occorra una svolta radicale che vada ben oltre la “becerodestra” attuale, ridefinendo i contenuti di una destra moderna, sociale, legalitaria, liberale, laica ed europea.
In attesa di un leader che la sappia rappresentare.
Rottamando non solo tanti inutili idioti, ma anche troppe impostazioni da “pesca delle occasioni” che, senza un disegno organico, portano solo a raccogliere scarponi bucati sotto costa.
Ma per tornare a navigare in mare aperto è l’ora di cambiare scafo e costruirne uno nuovo.
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Novembre 10th, 2014 Riccardo Fucile
DIMINUITI GLI STANDARD DI QUALITA’ NEI CENTRI DI ASSISTENZA E LO STATO NON PAGA LE COMUNITA’ CHE LI SEGUONO
Oltre 3mila tra bambini e ragazzi “irreperibili”.
Mentre l’Italia archivia la missione umanitaria Mare Nostrum in favore del progetto europeo per il controllo delle frontiere Triton, i dati del ministero del Lavoro e delle politiche sociali danno le dimensioni di un’emergenza che resta sottotraccia: quella dei minori stranieri non accompagnati in arrivo dal Nord Africa.
Dalle tabelle aggiornate a fine settembre emerge che dall’inizio dell’anno ne sono stati registrati più di 12mila (contro gli 8.400 del 2013 e i 7.500 del 2012).
Ma 3.163 di questi ragazzi, un quarto del totale, sono spariti.
Quasi 1.800 in Sicilia, la regione che per evidenti ragioni geografiche registra il maggior numero di sbarchi, 348 in Puglia, 309 nel Lazio, 148 in Emilia Romagna e 123 in Lombardia.
Le associazioni che si occupano di disagio sociale e accoglienza ai minori avvertono che la situazione, finita anche al centro di un’interrogazione parlamentare della senatrice Silvana Amati, è “drammatica e di difficile gestione”: le comunità sono sature e insufficienti rispetto al numero di arrivi e di conseguenza molti bambini e ragazzi rimangono senza collocazione.
Vale a dire che nel migliore dei casi vengono inseriti in strutture per adulti, nel peggiore finiscono per strada.
Un quadro aggravato dal fatto che da tempo, a causa di un pasticcio burocratico, molte comunità per minori stranieri non accompagnati di Campania, Puglia e Sicilia non ricevono dallo Stato i pagamenti dovuti.
E ora sono pronte a scendere in piazza e perfino a dimettere i ragazzi ospitati per rivendicare i propri crediti e denunciare che il governo, per ridurre i costi, intende rivedere al ribasso gli standard di qualità dell’accoglienza.
A fronte di questo, sostengono, vale poco il fatto che con la legge di Stabilità l’esecutivo abbia incrementato di 12,5 milioni gli stanziamenti per il fondo destinato a questa emergenza, portandolo a 120 milioni di euro.
Chiara Brusini
argomento: Diritti civili | Commenta »