Destra di Popolo.net

A MEDIASET SALVINI NON SI VEDE PIÙ: DOPO AVERLO POMPATO A DISMISURA, ORA RETROMARCIA IN VISTA DELLE ELEZIONI IN EMILIA

Novembre 20th, 2014 Riccardo Fucile

L’ONNIPRESENTE PER QUALCHE GIORNO “INVESTIRA” ALTROVE… I RAZZISTI NOSTRANI DOVRANNO RIPIEGARE SULLA STORIA DEL KU LUX KLAN SU RAI STORIA

Giuseppe Cruciani l’aveva rivelato alla Zanzara.
“Berlusconi ha paura di essere sorpassato dalla Lega in Emilia Romagna. Così ha vietato ai canali Mediaset di invitare Matteo Salvini negli ultimi giorni di campagna elettorale”.
E, per ora, così è. Il segretario della Lega questa settimana non ha ricevuto inviti dalle reti del Biscione.
Dove di solito è molto presente. “Berlusconi è un uomo che sa fare i conti e dunque non credo ai bavagli”, è il commento di Salvini.
Sta di fatto che inviti da Mediaset non ne sono più arrivati.
L’ultimo risale a giovedì scorso, a Matrix, dove il leader della Lega — che ha polemizzato con un ragazzo dei centri sociali — ha fatto registrare il 13,9 per cento di share.
Appena sopra la media del programma di Telese, che di solito viaggia sul 10,6. Poi più nulla.
Il giorno dopo Salvini è stato ospite a L’aria che tira di Mirta Merlino, su La7 (modesto 4,5 per cento).
Mentre domenica era a La Gabbia di Gianluigi Paragone (3,5%, segno che neanche Salvini ha la bacchetta magica).
Ma eccoci alla settimana incriminata.
Lunedì il leader leghista è stato ospite a Unomattina, Raiuno, facendo registrare il 19,7.
Martedì sera, invece, era a Ballarò (dove ha litigato con lo scrittore Antonio Pennacchi) che ha scampato il temuto sorpasso da parte di Giovanni Floris: la settimana precedente erano quasi appaiati.
Ieri sera, infine, era da Vespa a Porta a Porta in collegamento da Salerno, fresco fresco di contestazione.
Da Mediaset, naturalmente, nessuno conferma.
“Per quanto ci riguarda non c’è stato alcun diktat. Questa settimana non lo abbiamo invitato perchè lo abbiamo avuto solo pochi giorni fa”, osserva il conduttore di Matrix, Luca Telese.
“Salvini buca il video e fa guadagnare sempre 2 o 3 punti a ogni programma in cui appare”, raccontano dalla Lega.
E chissà  se l’essere così sciolto in tv gli deriva dalla partecipazione, da ragazzino, al quiz Doppio Slalom (e qui sono fioccati i paragoni con l’altro Matteo, che invece partecipò alla Ruota della Fortuna).
“Finora non abbiamo ricevuto inviti da Mediaset per questa settimana”, confermano dall’entourage del segretario.
Insomma, gatta ci cova, visto che Salvini è sempre stato molto presente in casa del Biscione, a partire da Quinta colonna.
Ma in Emilia Romagna il rischio sorpasso è fondato.
Forza Italia e Lega, insieme a Fratelli d’Italia, appoggiano il candidato del Carroccio Alan Fabbri, sindaco di Bondeno (Ferrara).
Ma gli ultimi sondaggi, con una Lega sopra il 10 per cento, hanno fatto scattare l’allarme rosso in quel di Arcore.
“I numeri che abbiano noi sono anche più alti. Talloniamo Grillo e puntiamo a essere il terzo partito della regione”, aggiungono dalla Lega.
E proprio eri sera da Vespa Salvini ha fatto l’annuncio: “Alle prossime Regionali saremo presenti in tutto il Sud. Ma con un nome diverso: Lista Salvini o Lega dei popoli”, ha detto, confermando le indiscrezioni degli ultimi giorni.
Perchè il nome “Lega Nord”, nonostante tutto, al Sud non funziona.

Gianluca Roselli

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“DA MESSINA DENARO IL TRITOLO PER L’ATTENTATO AL MAGISTRATO DI MATTEO”

Novembre 20th, 2014 Riccardo Fucile

LO RIVELA IL COLLABORATORE DI GIUSTIZIA GALATOLO: “MA L’ORDINE E’ ARRIVATO DA UN MANDANTE ESTERNO”

Da qualche tempo — non è ancora chiaro perchè — ha messo da parte i suoi affari e ha deciso di tornare ad essere l’uomo delle stragi.
Così racconta l’ultimo pentito di mafia, Vito Galatolo, di Matteo Messina Denaro, il padrino di Cosa nostra che da vent’anni lo Stato non riesce ad arrestare.
«È lui che progetta l’attentato nei confronti del magistrato Nino Di Matteo, per conto di entità  esterne. È lui che ha procurato l’esplosivo».
Parola di mafioso, figlio di mafioso di rango, che fino alla settimana scorsa era uno dei capi delle famiglie palermitane.
Stanco del 41 bis, Galatolo junior ha deciso di cambiare vita.
E ha subito avvertito i magistrati di Palermo e Caltanissetta delle intenzioni di Messina Denaro, già  condannato all’ergastolo per le stragi del 1993.
Le parole del neo collaboratore sono finite in una nota riservata trasmessa dal procuratore Sergio Lari al Viminale. Ecco perchè martedì, in gran fretta, il ministro Angelino Alfano ha convocato un comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza, a cui è stato invitato anche Di Matteo.
Ora, l’allerta è al massimo livello, la latitanza della primula rossa di Cosa nostra è diventata una priorità  per il governo.
Per prevenire quella nuova strategia del terrore annunciata da Galatolo.
Nei mesi scorsi, confidenti piccoli e grandi hanno parlato pure loro di qualche passaggio di esplosivo.
A marzo, una fonte ritenuta attendibile ha fatto sapere alla Guardia di finanza che Messina Denaro cerca l’esplosivo anche per Teresa Principato, il procuratore aggiunto di Palermo che coordina le indagini per l’arresto del capomafia, con i sostituti Guido, Agnello, Marzella e Grassi
L’ultimo blitz, condotto dai carabinieri del Ros e del Reparto Operativo di Trapani, è scattato la notte scorsa, attorno a un altro fedele ambasciatore del padrino, è il marito di sua nipote, Luca Bellomo, imprenditore rampante sempre in viaggio fra la Sicilia, la Colombia, la Francia e l’Albania.
Non è chiaro per fare cosa: forse un traffico di droga, forse la primula rossa è all’estero, come dice Totò Riina nelle intercettazioni in carcere.
Adesso, la domanda che da giorni rimbalza fra Palermo e Roma è una sola: chi sono le entità  esterne che guidano, come dice Galatolo, e proteggono, non ci sono più dubbi, Matteo Messina Denaro?
Uno dei suoi fedelissimi, l’imprenditore Michele Cimarosa, che da qualche mese ha deciso di parlare con i pm, ha spiegato che era il nipote prediletto della primula rossa, Francesco Guttadauro, a tenere i contatti con qualcuno ben informato.
«Di tanto in tanto andava a Palermo e tornava con delle notizie sulle indagini».
L’ultima soffiata, Guttadauro l’avrebbe avuta sul suo arresto e su quello di Cimarosa, avvenuti nel dicembre scorso: «Eravamo stati avvertiti del blitz».
Ed ebbero il tempo di fare scomparire pizzini e altre prove compromettenti.
Ma questa non è più solo una spy-story alla siciliana.
Galatolo dice di aver saputo che la ragione del piano di morte varato da Messina Denaro sarebbe da ricondurre all’indagine sulla trattativa Stato-mafia. Di più non sa.
Ha parlato anche di un bidone di metallo in cui sarebbe stato conservato il tritolo fatto arrivare da Trapani, ma non ha saputo dire con precisione dove sia nascosto.
Le ricerche effettuate in questi ultimi giorni dalla Dia, anche con l’ausilio di geo-radar, non hanno portato ad alcun risultato.
Intanto, Matteo Messina Denaro resta un fantasma, nelle intercettazioni continuano a chiamarlo la «testa dell’acqua».
È anche indagato per la strage in cui fu ucciso il giudice Falcone. Per quella bomba è davvero uno degli ultimi misteri da svelare, dopo tanti enigmi chiariti dalla procura di Caltanissetta diretta da Sergio Lari. Ieri, il gup David Salvucci ha condannato all’ergastolo col rito abbreviato altri due esecutori materiali della strage del 23 maggio 1992, Giuseppe Barranca e Cristoforo Cannella.
A chiamarli in causa, nel 2008, era stato il pentito Gaspare Spatuzza, pure lui nel commando operativo dei boss Graviano: è stato condannato a 12 anni, gli è stata riconosciuta l’attenuante speciale per i collaboratori di giustizia.
A trent’anni è stato invece condannato Cosimo D’Amato, il pescatore che recuperò il tritolo da alcune bombe ripescate in mare.

Salvo Palazzolo
(da “La Repubblica”)

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FIANDACA MAXIMA

Novembre 20th, 2014 Riccardo Fucile

IL DOCENTE PALERMITANO SECONDO CUI LA MAFIA NON HA VINTO: POICHE’ NON HA NEANCHE PERSO, SE NE DEDUCE CHE FORSE HA PAREGGIATO

Il professor Giovanni Fiandaca, docente palermitano di Diritto penale, autore di un pregevole manuale scritto a quattro mani con il collega Enzo Musco, già  leader del “movimento dei professori” (la risposta in salsa siciliana ai girotondi nei primi anni 2000), già  aspirante eurodeputato del Pd appena trombato alle elezioni europee, già  candidato al Csm e alla Consulta con il medesimo esito, è molto agitato contro i magistrati di Palermo che sostengono l’accusa nei due processi che hanno come imputato, fra gli altri, il generale Mario Mori, difeso dal suo coautore Enzo Musco: quello sulla trattativa Stato-mafia (primo grado) e quello sulla mancata cattura di Provenzano nel ’95 (appello).
Due anni fa, l’agitato Fiandaca scrisse un ponderoso saggio ripreso dal Foglio di Berlusconi & Ferrara con il titolo “La trattativa è una boiata pazzesca”.
L’anno scorso pubblicò per Laterza, con lo storico Salvatore Lupo, un libro dal titolo “La mafia non ha vinto” che, siccome la mafia non ha neppure perso, faceva pensare che avesse pareggiato.
Poi si è prodigato, purtroppo invano, per far trasferire il processo Trattativa da Palermo a Roma, dove tradizionalmente i casi eccellenti riposano in pace in saecula saeculorum.
Ultimamente s’è dato molto da fare, con risultati miserrimi, per scongiurare il supremo affronto della testimonianza di Napolitano dinanzi alla Corte d’Assise di Palermo col decisivo argomento che era “inutile”: sventuratamente Napolitano, con le sue tre ore di deposizione piena di fatti nuovi, s’incaricò di dimostrare che era utilissima.
Ora, indomito, si sta molto accaldando per far punire dal Csm il Pg Roberto Scarpinato, reo di avere scritto un saggio su Micromega, a suo dire pericolosamente infestato da “residui vetero-marxisti misti ed empiti egualitario-punitivi nei confronti dei colletti bianchi”, insomma da un vero e proprio “progetto simil-rivoluzionario”. Roba da chiamare l’antiterrorismo, i caschi blu e le teste di cuoio, o almeno da sanzionare con pene esemplari, anche corporali, perchè “in un Paese diverso dal nostro il fenomeno di un Pg che sollecita a rinverdire ideologie radicali con ogni probabilità  risulterebbe, oltre che strano, oltremodo preoccupante”.
Ora, a parte il fatto che i magistrati sono cittadini tutelati dall’articolo 21 della Costituzione che garantisce piena libertà  di pensiero ed espressione, chiunque leggerà  il saggio di Scarpinato su Micromega (esercizio, oltre che utile, oltremodo opportuno anche per il professor Fiandaca, che all’evidenza non l’ha letto o non l’ha capito) scoprirà  che di progetti vetero-marxisti e simil-rivoluzionari non c’è traccia alcuna. Scarpinato, in un’ampia e argomentata digressione storica sulle deviazioni delle classi dirigenti e sui loro “sistemi criminali” integrati, difende i principi della Costituzione tuttora vigente (con buona pace dei fiandachi) e dello “Stato liberaldemocratico di diritto” (roba non proprio da bombaroli terzinternazionalisti) contro i cosiddetti “realisti” della “Costituzione materiale”, che in nome di interessi criminali nazionali e internazionali fanno pagare la crisi ai cittadini onesti per mantenere i ladri, i corrotti, gli evasori fiscali e i mafiosi e, non contenti dell’impunità  garantita ai colletti bianchi con l’“inefficienza programmata” della Giustizia, tentano l’ultimo tradimento della Carta costituzionale mettendo progressivamente e surrettiziamente sotto controllo l’unica variabile ancora indipendente del sistema: la magistratura, o almeno quella parte di essa che ancora si ostina a obbedire alla Costituzione del 1948 in nome del “ripristino della legalità ” e del “principio di responsabilità ”.
Tutti valori squisitamente liberali, non certo marxisti, nè vetero nè neo.
Ma di questi dettagli il Fiandaca non si occupa: nel solco del più vieto (e, questo sì, vetero) maccartismo fuori tempo massimo, l’insigne cattedratico s’improvvisa prefetto di disciplina e lacrima perchè “la magistratura odierna è attraversata da un pluralismo e una frammentazione di orientamenti” (il pluralismo delle idee: orrore, roba da gulag).
Poi manipola a suo uso e consumo, senza uno straccio di argomentazione, il pensiero di Scarpinato, accusandolo di far parte di un’imprecisata “frangia magistratuale politicamente antagonista” (al confronto Berlusconi, con le sue toghe rosse, era un dilettante) che vuole esercitare un fantomatico “controllo di virtù dei ceti dirigenti (politici, imprenditori, professionisti ecc.)”.
E, per rendere più credibile la sua critica, la fa dalle colonne del Mattino (gruppo Caltagirone, ci siamo capiti).
Che aspetta dunque il Csm a istruire un Tribunale Speciale delle Idee, un Sant’Uffizio Togato, una bella Inquisizione con tanto di Indice dei libri e delle riviste proibiti prima che le idee di Scarpinato inquinino le menti deboli dei “giudici più giovani”, già  affetti da “un moralismo giuridico al quanto ingenuo”, e alimentino vieppiù “la grande ignoranza del cittadino medio in materia di giustizia”?
Si dia dunque fuoco alle pire, come sembra chiedere il caporale di giornata.
Se invece il problema è soltanto che alcuni magistrati stanno processando alcuni clienti illustri del suo coautore, lo dica (si potrebbe sempre abolire quei processi per decreto).
E possibilmente eviti di coprirsi di ridicolo agitando il drappo rosso, ormai deposto perfino da B.
L’unico rosso appropriato a questa storia tragicomica è quello di cui dovrebbero avvampare il professor Fiandaca e tutti gli “intellettuali” come lui.
Per la vergogna.

Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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DOVE OSANO LE DENTIERE

Novembre 20th, 2014 Riccardo Fucile

BERLUSCONI HA LA FACCIA COME IL MARKETING

Quell’uomo. La mia opinione sul lato oscuro di Berlusconi non è cambiata (ieri il sodale Verdini ha collezionato il quarto rinvio a giudizio in quattro mesi), però bisogna riconoscere che ha proprio la faccia come il marketing.
Preso atto che è impossibile essere più berlusconiani di Renzi (sapevate che la nuova mail di Palazzo Chigi è matteo@governo.it?), l’Originale ha sterzato sull’unico mercato di voti che l’avatar toscano non potrà  contendergli, almeno per i prossimi quarant’anni. Gli anziani.
Proprio lui che ha cercato di prolungare il confine della giovinezza oltre i limiti della natura e del ridicolo intende trasformarsi nel simbolo dei pensionati, la categoria di elettori più numerosa nonchè quella esposta da più tempo alle radiazioni cerebro-astringenti delle sue balle.
La nuova lista delle promesse a vuoto, contenuta in una lettera ai club di Forza Italia è uno spettacolo d’arte varia: dentiera, operazione alla cataratta, veterinario e treno gratis.
E poi bonus taxi, cinema pomeridiano gratuito e naturalmente i vecchi classici: l’aumento delle pensioni minime, compresa la tredicesima, e l’abolizione delle tasse su casa e risparmi.
Chiedergli con quali soldi intende finanziare queste meraviglie sarebbe di cattivo gusto, ma soprattutto inutile.
Parafrasando Shakespeare, le sue panzane elettorali sono fatte della stessa sostanza dei sogni, anche se al contrario dei sogni non si realizzano mai.
Parafrasando Dudù, ha detto che il 36% degli italiani dorme con il cane o il gatto sul letto e il 16% li accoglie addirittura sotto le coperte.
Sarà  una statistica, una balla o il solito gustoso mix di entrambe?

Massimo Gramellini
(da “La Stampa“)

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“DENTIERE, CATARATTE E VETERINARI GRATIS AI PENSIONATI”: BERLUSCONI SCRIVE AI DIRIGENTI DI FORZA ITALIA

Novembre 20th, 2014 Riccardo Fucile

PER FARLI TORNARE A VOTARE, SILVIO LE PROVA TUTTE: “PENSIONI MINIME A 1000 EURO, NIENTE TASSE SULLA CASA E SULLA SUCCESSIONE”

“Avrete assistenza medica gratuita: odontoiatria sociale (impianti dentali gratis) e oftalmologia sociale (operazione della cataratta gratis); e infine convenienze varie: cinema al pomeriggio e treno durante la settimana gratuiti, bonus taxi e bonus acquisti, veterinario gratuito una volta al mese per i vostri amici a quattro zampe”. Firmato Silvio Berlusconi.
Che aggiunge: “Dovete andare a votare. Ve lo manda a dire un vostro coetaneo che vi vuole bene, proprio lui”. Lui.
Questo è solo il quarto dei punti d’onore che l’ex premier si impegna a rispettare se dovesse tornare a governare l’Italia.
L’uomo, si sa, tende a diventare immaginifico quando sente odore di elezioni, ma in questo caso va oltre.
Si chiama profilazione del cliente: siamo in pieno marketing mirato e Berlusconi si rivolge al target di elettori a lui più affezionato.
In italiano significa promettere agli anziani quello di cui sentono il bisogno.
E quindi via con “pensioni minime a mille euro per 13 mensilità “: punto 1.
“No tasse sulla casa di vostra proprietà “: punto 2.
“No tasse su quello che volete lasciare ai vostri figli, non dobbiamo permettere allo Stato di allungare le mani sul frutto di una vita di lavoro”: punto 3.
E poi il già  citato punto 4.
Questo è ciò che ci impegniamo a fare per voi quando saremo di nuovo, e presto, al governo”. Scritto, visto e firmato da Berlusconi in una lettera inviata ai dirigenti di Forza Italia in preparazione del “no tax day” di fine novembre.
Una manifestazione che si terrà  il 29 e 30 del mese “per riportare Forza Italia protagonista sul territorio” ma che serve a guardare avanti.
Alle elezioni che verranno, prima o poi.
E dove gli “amici pensionati” non devono commettere “l’errore fatto alle ultime elezioni europee di rassegnarvi e di non andare a votare perchè l’Europa non vi è simpatica e perchè non c’era Berlusconi candidato: dovete andare a votare”. Lui.

(da “Huffingtonpost“)

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LA MAGGIORANZA SI ASSOTTIGLIA: TRE SENATORI “AVVERTONO” IL GOVERNO

Novembre 20th, 2014 Riccardo Fucile

RENZIANI PREOCCUPATI, L’EX MINISTRO MAURO E UN PAIO DI COLLEGHI DEL GAL ALZANO IL PREZZO

Difficile spiegare a un qualunque osservatore europeo cosa sia il Gal, il gruppo Grandi autonomie e libertà  del Senato italiano dove oggi sono affluiti tre senatori guidati da Mario Mauro col marchio Popolari per l’Italia (con lui il sottosegretario Angela D’Onghia e Tito di Maggio).
Il Gal è una costola del centrodestra, dove siedono eletti con il Pdl e con la Lega, un ex sottosegretario del governo Prodi 2, Paolo Naccarato, e anche Giulio Tremonti. Dove alcuni senatori, come lo stesso Naccarato, Michelino Davico (ex leghista che lasciò il Carroccio folgorato da Enrico Letta) e Pietro Langella (già  Udc, poi Pdl e Fi) votano più o meno stabilmente con il governo mentre i vertici del gruppo, da Mario Ferrara a Antonio Scavone ne sono più o meno fieri oppositori.
“Ci siamo andati perchè è una sorta di gruppo misto del centrodestra”, spiega ad Huffpost Mario Mauro, già  ministro della Difesa del governo Letta e orfano di quell’esecutivo.
“Da qui vogliamo lavorare per ricostruire un centrodestra popolare alternativo al Pd, a tutti gli amici ricordo che in Europa i popolari sono alternativi ai socialisti”.
Mauro annuncia che la fiducia al governo Renzi sarà  tutt’altro che scontata: “Non certo a scatola chiusa, decideremo caso per caso, il governo dovrà  convincerci, mi pare difficile poterla dare a questa legge di Stabilità  che scassa i conti dello Stato…”.
Parole inusuali per un alleato, ancorchè part time.
Ma Mauro è convinto che la Grande coalizione nata dopo le elezioni del 2013 sia archiviata, “questo è un monocolore renziano, e un nuovo centrodestra non si costruisce facendo i cespugli del Pd”.
L’operazione guarda indubbiamente a destra, magari a un ritorno da Berlusconi, dove Mauro viene guardato ancora con sospetto, dopo il tradimento del 2012, quandò mollò il Cavaliere per seguire Monti.
E tuttavia quello che conta sono i numeri di palazzo Madama, dove Renzi vede ballare altre tre pedine, che fino ad oggi venivano considerate sicure, visto che il gruppo Per l’Italia (scisso dai montiani di Scelta civica un anno fa e composto da 10 senatori) fa parte organicamente della maggioranza.
Ora sono rimasti in sette, sommati a Pd e Ncd in totale fanno 153 voti sicuri per il governo.
Cui si sommano una dozzina di senatori del Gruppo per le autonomie, un altro contenitore variegato composto da minoranze linguistiche, i socialisti di Nencini, l’ex grillino Battista e i due senatori a vita Rubbia e Cattaneo.
A questi numeri si aggiungono alcuni ex grillini come Orellana e Campanella che ogni tanto votano con la maggioranza (sul bilancio Orellana è stato decisivo).
Non proprio quella maggioranza chiara che Renzi aspira a realizzare con l’Italicum, anche se fino ad oggi nei voti di fiducia il governo non è mai sceso sotto quota 155 (a rischio visto che la metà  più uno dell’assemblea è 161), raggiungendo nel febbraio scorso il tetto di 169
Nel Pd c’è chi derubrica la mossa di Mauro e soci ai “soliti balletti dei centristi”, ma Giorgio Tonini, membro della segreteria Pd e segretario d’Aula vede le insidie di una “maggioranza che si assottiglia”, e che sopravvive più che per una compattezza interna grazie alle “maggioranze variabili” che si vanno componendo.
“La differenza rispetto all’ultima legislatura di Prodi”, spiega Tonini, “è che l’opposizione non è un moloch conpatto, ma sono tante: da Sel alla Lega, da Fi al M5s. E raramente votano compatte. In queste ore, ad esempio, sulla giustizia Forza Italia è contro di noi e il M5s vota con noi”, ragiona Tonini.
“Nell’aula del Senato c’è uno sfrangiamento che finora ci consente di andare avanti non dico con tranquillità , ma con un margine di sicurezza”.
Del resto anche oggi con svariati voti segreti sulla responsabilità  delle toghe, il governo ha tenuto botta.
Mario Mauro in queste ore è stato contattato riservatamente da Luigi Zanda, capo dei senatori del Pd. E con Zanda l’ex ministro avrebbe usato parole assai meno dure sull’atteggiamento futuro della sua truppa, almeno nei voti di fiducia.
Si vedrà  nei prossimi giorni, con le fiducie assai probabili su Jobs Act e legge di Stabilità .
Di certo c’è che il capogruppo di Forza Italia Paolo Romani ha speso parole di elogio per l’operazione: “E’ maturo il tempo perchè riparta una riflessione sul futuro dell’intero centrodestra. Si aprono nuove prospettive per quello che Forza Italia ha sempre indicato come percorso obbligatorio per rivolgersi, e tornare a rappresentare, l’elettorato moderato. Lavoreremo ad una piattaforma programmatica comune”.
Già  nella scorsa estate Mauro era stato uno dei più duri oppositori della riforma costituzionale, in un insolito asse con Sel, M5s e i dissidenti Pd di Chiti e Mineo.
“Si rischia una forma di autoritarismo alla Putin”. Oggi i toni sono un po’ meno duri: “Non vogliamo essere succubi o cespugli di Renzi”.
A ritirare i due sottosegretari dall’esecutivo, però, nessuno ci ha pensato.
Uno è Angela D’Onghia (Istruzione), l’altro è Domenico Rossi, alla Difesa.
“Sono scelte che spettano al governo, non a noi”, taglia corto Mauro.
Tonini non la pensa così: “E’ evidente che se dovesse mancare la fiducia al governo i due sottosegretari non potrebbero restare al loro posto, per una banale ragione di coerenza…”.
L’operazione di Mauro e soci, che hanno rotto con il gruppo dove siedono Casini e i suoi, prefigura una svolta a destra.
E anche una sfida a chi, tra i centristi, “sembra folgorato sulla via del rottamatore…”, per dirla con Mauro.
Tito di Maggio, in conferenza stampa, manda un altro segnale poco rassicurante per il governo: “Sono sicuro che nei prossimi giorni altri si uniranno a noi nel Gal”.
Il riferimento è a Ncd, dove ci sarebbero “malumori per la deriva del partito verso il Pd”.
Nomi non ne vengono fatti, ma l’obiettivo di Mauro e dei suoi è costruire un contenitore aperto agli alfaniani delusi, una sorta di stanza di compensazione prima del ritorno ad Arcore.
Per Renzi è una piccola opa ostile, che potrebbe anche risolversi nell’ennesimo bluff. Nell’ennesimo spasmo della palude centrista.
Ma Di Maggio insiste: “Il governo in Senato è già  sul filo di lana, non ci vuole molto per farlo ballare…”.

(da “Huffingtonpost“)

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ETERNIT: DIRITTO SENZA GIUSTIZIA

Novembre 20th, 2014 Riccardo Fucile

PER I FAMILIARI DELLE VITTIME LA BEFFA FINALE

Una sentenza di condanna non avrebbe restituito le migliaia di morti d’amianto ai loro familiari e non avrebbe fatto nemmeno giustizia, perchè uno degli imputati è ormai scomparso prima del giudizio d’appello e quello rimasto in vita se ne sta, da tempo, al sicuro in Svizzera; non avrebbe fatto giustizia neppure dal punto di vista economico, perchè per una serie di arzigogoli burocratico-giuridici sarebbe stato quasi impossibile far arrivare i risarcimenti dall’estero.
Ma un annullamento delle condanne per avvenuta prescrizione è forse la cosa peggiore che ci si potesse aspettare.
Per i familiari delle vittime — ma non solo per loro — ha il sapore della beffa.
Del colpo di spugna, dell’avevamo scherzato.
Probabilmente, anzi quasi sicuramente, da un punto di vista tecnico l’annullamento delle condanne di primo e secondo grado è ineccepibile.
Il procuratore generale, che pur rappresentando la pubblica accusa aveva chiesto esattamente questo epilogo, dice che l’accusa di disastro ambientale non è sostenuta dal diritto e che un giudice, «tra diritto e giustizia, deve scegliere il diritto».
Sarà  senz’altro così. C’è però, oltre alla tecnica del diritto, la storia.
Ed è quella di una fabbrica che nasce, a Casale Monferrato, nel 1907, in piena sbornia positivista: la scienza che libererà  l’uomo da tutte le sue angosce.
L’Eternit fa parte di quel mito di progresso, il suo nome stesso è già  un surrogato della religione, Eternit come eterno perchè questo nuovo mirabolante materiale sfiderà  il vento e la grandine, l’usura e il tempo che passa.
Ma la storia prosegue in un grande, tombale — è il caso ahimè di dire così — silenzio: quello che copre le prime inquietudini.
Già  alla fine dell’Ottocento c’era chi avvertiva che l’asbesto (l’amianto) era pericoloso per la salute. Se non si sapeva, insomma, quanto meno si dubitava.
Ma perchè fermare il progresso?
Quei tetti ondulati che costano poco e durano per sempre?
Nessuna precauzione viene presa: nell’archivio dell’Istituto Luce sono conservati i cinegiornali trasmessi prima dei film dei telefoni bianchi, si vedono donne che nella fabbrica di Casale raccolgono senza alcuna protezione bracciate di scarti d’amianto, la parte più micidiale.
A metà  del Novecento l’allarme si fa più dettagliato e i medici dicono che l’amianto provoca due malattie: l’asbetosi, che ti fa vivere male perchè ti toglie il respiro; e il mesotelioma pleurico, un cancro che ti ammazza in pochi mesi.
E però l’Eternit di Casale Monferrato è l’assicurazione sulla vita per tutto il territorio. Un posto sicuro. Un buon stipendio. Serve anche per il dopolavoro: il sabato si può andare in fabbrica e con cento lire ti porti via una carriolata di polvere bianca, ti servirà  per fare un vialetto nel tuo giardino, o un campo da bocce, o un campetto di calcio per i bambini, o per coibentare il tetto di casa. Casale e dintorni si riempiono di amianto.
La sera gli operai tornano a casa con le loro tute imbiancate, lemogli le prendono e le mettono in lavatrice.
Quante persone respirano la polvere maledetta?
È il 1973 quando un operaio, Nicola Pondrano, pone la questione. È stato assunto da poco e ha l’impudenza di chiedere come mai ogni settimana ci sia, all’ingresso della fabbrica, un annuncio funebre. Operai di 45, 50 anni.
Che cosa vuoi che sia, gli dicono: è normale che gli operai muoiano giovani. Anche il sindacato gli consiglia di star buono: in quei tempi, il bene più importante è l’occupazione, non la salute.
Gli dicono sei matto, vuoi far chiudere la Eternit? Ma lui insiste, coinvolge i medici, poi il sindaco: l’inchiesta finita ieri in Corte d’assise, in fondo, comincia in quei giorni.
Questa è la storia. Migliaia di morti. Non solo fra chi lavorava in fabbrica ma anche tra i familiari: fra coloro che — bambini — furono abbracciati da un papà  tornato a casa con la tuta imbiancata, o semplicemente fra coloro che respirarono la polvere trascinata dal vento.
Non ci sono dubbi sul fatto che, almeno a partire da una certa data, la pericolosità  dell’amianto fosse conosciuta.
La giustizia umana è imperfetta, e già  era ingiusto che fossero finiti sotto processo solo gli ultimi due proprietari. Adesso arriva pure la prescrizione per l’unico che era rimasto a rispondere di quei morti.
C’è il dovere di rispettare le sentenze. Però c’è anche la libertà  di criticarle. O almeno di pensare che ci sia qualcosa che non torna in uno Stato che concede il titolo di commendatore a Romana Blasotti Pavesi — presidente dell’associazione vittime dell’amianto che ha perso marito, sorella, figlia e due nipoti — e poi dice che il diritto è più importante della giustizia.

Michele Brambilla
(da “La Stampa”)

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SENTENZA ETERNIT: LA GIUSTIZIA IN POLVERE

Novembre 20th, 2014 Riccardo Fucile

I CALCOLI DELL’AZIENZA SULLA MALA-GIUSTIZIA IN ITALIA ERANO BEN RIPOSTI

La malapolvere che lacera i polmoni ieri, nel palazzo della Cassazione, ha inferto una ferita sanguinante all’intera giustizia italiana.
Mi sento stupido a scrivere di amianto, adesso. Perchè tre anni fa c’ero anch’io, monferrino d’adozione, a confidare nel diritto e quindi a implorare l’allora sindaco di Casale Monferrato affinchè rifiutasse i 18,3 milioni di euro che l’imputato miliardario Stephan Schmidheiny gli offriva come transazione purchè rinunciasse a costituirsi parte civile nel processo Eternit, al fianco di tremila famiglie.
Ci sembrava una mancia offensiva, quella somma, meno della liquidazione di un manager, quota infinitesimale dei profitti miliardari accumulati quando già  si sapeva che lo stabilimento intorno a sè spargeva una malapolvere mortale.
Avremmo fatto meglio a incassarli – sporchi, maledetti e subito – quei soldi, da un signore svizzero resosi irraggiungibile, dotato di ottimi avvocati e potere extraterritoriale abbastanza per rendersi indisponibile anche solo a un interrogatorio? Davvero tocca rassegnarsi alla giustizia del più forte?
Il fatto è che a Casale e nelle verdi colline del Monferrato ne abbiamo visti morire troppi di mesotelioma pleurico, rapiti da una malattia che sopraggiunge improvvisamente colpendo a casaccio fra coloro che anni prima avevano respirato quelle fibre cancerogene, sparse dovunque, a riempire i sottotetti o a imbiancare l’aia della cascina.
La strage è fatta di nomi e di volti familiari, non c’è abitante di Casale Monferrato che non ne custodisca almeno uno cui rispondere.
Bisognava incassare la mancia e rassegnarsi?
Cosa avrebbero detto del “patto col diavolo”, della transazione Schmidheiny, il mio collega Marco, direttore del giornale locale; o il mio formidabile amico Renzo, vignaiolo, alpino e maestro nella caccia al cinghiale?
Come avremmo potuto guardare ancora in faccia Romana Blasotti Pavesi che ha perso un marito, una sorella, una figlia e due nipoti?
Potrei continuare con migliaia di nomi…
La dignità  esemplare con cui i familiari delle vittime hanno costruito un’associazione rispettosa del diritto, fiduciosa nella giustizia, capace di assumere il ruolo di capofila internazionale nella campagna per la messa fuorilegge dell’amianto, ieri ha subito un’offesa che ci fa sentire, come minimo, ingenui. Umiliati.
Possibile che si sia svegliato all’ultimo minuto prima della sentenza decisiva il procuratore generale della Cassazione, Francesco Iacoviello, nel sostenere in punta di diritto che un disastro ambientale non si consumerebbe a lungo nel tempo?
Davvero può fermarsi al 1986 la colpa dell’imprenditore beneficiato di ignominiosa prescrizione, quando la scia di morte ha trascinato via con sè migliaia di vittime nei ventotto anni successivi, e ancora non si arresta?
Non suona forse macabro addebitare alle pubbliche istituzioni la responsabilità  successiva, riguardante il divieto all’uso dei materiali velenosi e la mancata bonifica, scagionando chi per convenienza economica, pur sapendo, non fermò subito la produzione?
Schmidheiny ha assoldato società  di pubbliche relazioni per presentarsi come ambientalista coscienzioso, vittima di una giustizia italiana prevenuta.
Intanto sfuggiva a ogni confronto con il territorio violentato dalla sua azienda. Sarebbe stato lecito aspettarsi come minimo da parte sua un cospicuo finanziamento alla ricerca medico-scientifica che tuttora annaspa, povera di fondi, nel tentativo di trovare una cura per il mesotelioma.
Invece ha tentato solo il trucco meschino, lo scambio utilitaristico giocato a ridosso della prima sentenza di Torino, quando ha intuito la mala parata: una manciata di soldi in cambio dell’immunità .
Cavarsela a buon mercato, di fronte a magistrati che i suoi depistaggi non erano riusciti a fermare. Ci ha pensato la Cassazione, infine.
I calcoli di Schmidheiny sulla malagiustizia italiana erano ben riposti, purtroppo. La legge del più forte ha prevalso sulla sofferenza di una comunità  civile che per anni ha continuato a inalare le fibre cancerogene della sua Eternit.
Nelle alte sfere multinazionali, quelle particelle affilate che lacerano i polmoni non arrivano mai. Il disastro per lui si è fermato al 1986, prescritto.
Quel che è successo dopo sono affari del Monferrato.
Fesso chi ha creduto, in Italia e nel mondo, che il Codice penale non potesse ignorare gli effetti ritardati dell’amianto.

Gad Lerner

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RENZI DA SINDACO? BOCCIATO, SPENDEVA TROPPI SOLDI: LO DICE LA BANCA DATI VOLUTA DA RENZI PREMIER

Novembre 20th, 2014 Riccardo Fucile

SI E’ FREGATO DA SOLO: SECONDO LA BANCA DATI DI OPENCIVITAS HA SPESO 40 MILIONI DI EURO DI TROPPO… DATI CHE FANNO RIVALUTARE AL CONFRONTO PERSINO ALEMANNO

Della “sua” Firenze ha sempre fatto vanto, ma i numeri ora gli danno torto.
Ventisei milioni più del dovuto per vigili e rifiuti, 6 per la viabilità , 2 per i trasporti.
E alla fine dei conti, con 40 milioni di euro, la Firenze di Renzi batte Milano e Roma nella classifica nazionale dei Comuni spendaccioni.
Tra i capoluoghi, soltanto Potenza riesce a far peggio.
E’ quanto emerge dalla banca dati OpenCivitas messa a disposizione dal ministero dell’Economia a tutti i cittadini e a tutti gli amministratori locali sui costi di gestione dei servizi pubblici essenziali degli enti locali.
Nero su bianco, il sistema di calcolo certifica il rapporto tra le spese effettivamente sostenute e il fabbisogno standard, cioè la spesa considerata necessaria sulla base di indicatori che tengono conto non solo della popolazione ma anche dei servizi offerti, delle caratteristiche territoriali e degli aspetti sociali, economici e demografici. Ebbene i dati hanno subito fatto emergere scarti importanti tra regioni del Sud, poco attente al sociale, ma anche una sorta di classifica delle città  più e meno virtuose nel gestire servizi pubblici essenziali come l’anagrafe, gli asili nido, l’istruzione, la polizia locale, i rifiuti, trasporti e così via.
Perugia è al fondo e Lamezia e Campobasso — a sorpresa — risultano tra le meglio gestite.
Ma la vera sorpresa è un’altra: interrogando la banca dati emerge che Firenze, la città  amministrata da Renzi tra il 2009 e il 2014, è tra le peggio messe.
Peggio di Milano, Torino e Roma appunto.
Alla base di tutto c’è un indice numerico calcolato confrontando tra spesa storica e fabbisogno “corretto”.
Senza entrare nei tecnicismi, si può dire che se il valore è positivo (verde) se la spesa storica è inferiore al fabbisogno standard, è negativo (rosso) se è superiore e significa che l’ente spende più del necessario.
Il bello è che tutti i cittadini possono tuffarsi nel sistema, trovare il proprio Comune e fargli la radiografia, confrontando i risultati con quello a fianco o dall’altra parte dello Stivale.
Le note metodologiche avvertono che i risultati in devono essere utilizzati come parametro di giudizio sull’operato di un’amministrazione, ma quando quasi tutti gli indicatori virano al rosso qualche dolore in casa propria è giustificato.
La curiosità  spinge allora ad andare a farsi gli affari in casa di Renzi che, da premier, ha dato l’impulso finale a questa politica di revisione dei fabbisogni standard che servirà  poi per ripartire i trasferimenti statali non più secondo spesa storica ma attraverso indici calcolati di merito.
Ebbene, com’è messa la Firenze amministrata da Renzi?
cominciano le sorprese: il posizionamento della spesa per quasi tutti i servizi gestiti da Palazzo Vecchio in rosso.
La spesa storica del 2010 è stata di 390 milioni, lo standard individuato ora come parametro corretto è di 351 milioni.
Quindi Firenze ha speso qualcosa come 39 milioni di euro più rispetto al necessario, il 10,6%.
Il dettaglio delle funzioni di spesa è questo.
Per la polizia locale si sono spesi 50 milioni anzichè 36, cioè il 27% in più.
La spesa per la gestione del territorio ha assorbito 19,6 milioni contro i 15,2 calcolati come spesa corretta (+22%).
Quella per lo smaltimento dei rifiuti è stata di quasi 80 milioni rispetto a 65, cioè il 16% più di quella standardizzata.
Anche la spesa per gli asili nido è fuori dal benchmark per 5,2 milioni di euro.
Va bene, ma così fan tutti?
E sono tanti o pochi quei 40 milioni in eccesso rispetto alla spesa corretta?
Per capirlo si può fare un confronto con l’andamento della spesa di altre amministrazioni che diventa equiparabile proprio perchè i parametri sono riportati a indici numerici assoluti, corretti rispetto alle differenze che possono derivare dal numero di residenti e dal contesto socio-economico.
Si scoprirà  allora che la Milano di Letizia Moratti era amministrata con più oculatezza della Firenze renziana.
Il sindaco manager nel 2010 aveva speso 1,5 miliardi per gestire i servizi essenziali della metropoli, non solo meno dell’indice standardizzato di “buon governo” ma addirittura a credito: la differenza tra spesa storica e fabbisogno calcolato è positiva per lo 0,07%. Che in soldoni vuol dire 1.125 milioni di euro.
E Roma? Quasi tocca rivalutare l’amministrazione Alemanno e la “Roma Capitale” che lo Stato ha dovuto soccorrere con finanziamenti straordinari (il “salva Roma”).
Il Campidoglio risulta in negativo per 252 milioni di euro, ma è meno lontano di Firenze   dallo standard corretto: il suo differenziale tra spesa sostenuta e corretta è in rosso del 7,68%, 3 punti sotto Firenze.
Perfino Torino, altra città  dai conti tanto sballati da rischiare il tracollo, ha gestito i suoi servizi con più oculatezza registrando un saldo positivo di 67 milioni (7,6%) rispetto al parametro ideale di spesa.
Il paradosso che emerge dalla banca dati è che la trasparenza, a volte, finisce per punisce chi la fa.
La scelta di giudicare, premiare o penalizzare le amministrazioni sulla base di parametri quantitativi — senza valutare la qualità  delle spese — può riservare sorprese ed effetti collaterali per chi la persegue.
Renzi ormai è premier e ha poco da temere per quei 40 milioni spesi in eccesso.
Il problema ricadrà  tutto sui residenti e sul braccio destro che lo ha sostituito.
E’ il sindaco Dario Nardella che subirà  le decurtazioni dei trasferimenti statali che si annunciano all’orizzonte.
“Se la legge di Stabilità  resta così — ha detto Nardella — a Firenze mancano 50 milioni”.
E stavolta, forse, non dirà  grazie all’amico di sempre.

Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)

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