“DA MESSINA DENARO IL TRITOLO PER L’ATTENTATO AL MAGISTRATO DI MATTEO”
LO RIVELA IL COLLABORATORE DI GIUSTIZIA GALATOLO: “MA L’ORDINE E’ ARRIVATO DA UN MANDANTE ESTERNO”
Da qualche tempo — non è ancora chiaro perchè — ha messo da parte i suoi affari e ha deciso di tornare ad essere l’uomo delle stragi.
Così racconta l’ultimo pentito di mafia, Vito Galatolo, di Matteo Messina Denaro, il padrino di Cosa nostra che da vent’anni lo Stato non riesce ad arrestare.
«È lui che progetta l’attentato nei confronti del magistrato Nino Di Matteo, per conto di entità esterne. È lui che ha procurato l’esplosivo».
Parola di mafioso, figlio di mafioso di rango, che fino alla settimana scorsa era uno dei capi delle famiglie palermitane.
Stanco del 41 bis, Galatolo junior ha deciso di cambiare vita.
E ha subito avvertito i magistrati di Palermo e Caltanissetta delle intenzioni di Messina Denaro, già condannato all’ergastolo per le stragi del 1993.
Le parole del neo collaboratore sono finite in una nota riservata trasmessa dal procuratore Sergio Lari al Viminale. Ecco perchè martedì, in gran fretta, il ministro Angelino Alfano ha convocato un comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza, a cui è stato invitato anche Di Matteo.
Ora, l’allerta è al massimo livello, la latitanza della primula rossa di Cosa nostra è diventata una priorità per il governo.
Per prevenire quella nuova strategia del terrore annunciata da Galatolo.
Nei mesi scorsi, confidenti piccoli e grandi hanno parlato pure loro di qualche passaggio di esplosivo.
A marzo, una fonte ritenuta attendibile ha fatto sapere alla Guardia di finanza che Messina Denaro cerca l’esplosivo anche per Teresa Principato, il procuratore aggiunto di Palermo che coordina le indagini per l’arresto del capomafia, con i sostituti Guido, Agnello, Marzella e Grassi
L’ultimo blitz, condotto dai carabinieri del Ros e del Reparto Operativo di Trapani, è scattato la notte scorsa, attorno a un altro fedele ambasciatore del padrino, è il marito di sua nipote, Luca Bellomo, imprenditore rampante sempre in viaggio fra la Sicilia, la Colombia, la Francia e l’Albania.
Non è chiaro per fare cosa: forse un traffico di droga, forse la primula rossa è all’estero, come dice Totò Riina nelle intercettazioni in carcere.
Adesso, la domanda che da giorni rimbalza fra Palermo e Roma è una sola: chi sono le entità esterne che guidano, come dice Galatolo, e proteggono, non ci sono più dubbi, Matteo Messina Denaro?
Uno dei suoi fedelissimi, l’imprenditore Michele Cimarosa, che da qualche mese ha deciso di parlare con i pm, ha spiegato che era il nipote prediletto della primula rossa, Francesco Guttadauro, a tenere i contatti con qualcuno ben informato.
«Di tanto in tanto andava a Palermo e tornava con delle notizie sulle indagini».
L’ultima soffiata, Guttadauro l’avrebbe avuta sul suo arresto e su quello di Cimarosa, avvenuti nel dicembre scorso: «Eravamo stati avvertiti del blitz».
Ed ebbero il tempo di fare scomparire pizzini e altre prove compromettenti.
Ma questa non è più solo una spy-story alla siciliana.
Galatolo dice di aver saputo che la ragione del piano di morte varato da Messina Denaro sarebbe da ricondurre all’indagine sulla trattativa Stato-mafia. Di più non sa.
Ha parlato anche di un bidone di metallo in cui sarebbe stato conservato il tritolo fatto arrivare da Trapani, ma non ha saputo dire con precisione dove sia nascosto.
Le ricerche effettuate in questi ultimi giorni dalla Dia, anche con l’ausilio di geo-radar, non hanno portato ad alcun risultato.
Intanto, Matteo Messina Denaro resta un fantasma, nelle intercettazioni continuano a chiamarlo la «testa dell’acqua».
È anche indagato per la strage in cui fu ucciso il giudice Falcone. Per quella bomba è davvero uno degli ultimi misteri da svelare, dopo tanti enigmi chiariti dalla procura di Caltanissetta diretta da Sergio Lari. Ieri, il gup David Salvucci ha condannato all’ergastolo col rito abbreviato altri due esecutori materiali della strage del 23 maggio 1992, Giuseppe Barranca e Cristoforo Cannella.
A chiamarli in causa, nel 2008, era stato il pentito Gaspare Spatuzza, pure lui nel commando operativo dei boss Graviano: è stato condannato a 12 anni, gli è stata riconosciuta l’attenuante speciale per i collaboratori di giustizia.
A trent’anni è stato invece condannato Cosimo D’Amato, il pescatore che recuperò il tritolo da alcune bombe ripescate in mare.
Salvo Palazzolo
(da “La Repubblica”)
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