Novembre 24th, 2014 Riccardo Fucile
PREVALE L’IDEA CHE FAVORISCA LE IMPRESE E NON AIUTI LA RIPRESA DELL’OCCUPAZIONE
A pochi giorni dal voto finale sul Jobs act meno di un italiano su due dichiara di conoscere i contenuti della
riforma del lavoro, in particolare il 9% la conosce in dettaglio e 36% nei suoi aspetti principali.
L’attenzione è stata in larga misura monopolizzata dalle modifiche all’articolo 18 e le opinioni sulla riforma sembrano influenzate dal clima surriscaldato che ha accompagnato il dibattito e dalla forte contrapposizione tra il presidente del Consiglio Renzi e i sindacati, gli avversari politici e la minoranza del suo partito.
Un intervistato su due non crede che il Jobs act favorirà l’aumento dell’occupazione e la ripresa economica, mentre il 18% si dichiara fiducioso.
Il pessimismo prevale tra gli elettori di tutti i partiti e soprattutto tra i laureati e i ceti dirigenti che più di altri sono consapevoli del fatto che in assenza di crescita economica la riforma del lavoro rappresenti una condizione necessaria ma non sufficiente a migliorare significativamente la situazione occupazionale.
I pareri sui possibili effetti della riforma del lavoro sono abbastanza variegati.
Spicca l’idea che saranno avvantaggiate le imprese ma non i lavoratori: è di questo avviso il 28% degli italiani, con punte decisamente più elevate tra i lavoratori (impiegati, insegnanti, operai e lavoratori esecutivi), in particolare quelli del settore privato, e tra i disoccupati; il 20% è fortemente critico e ritiene che saranno svantaggiati tutti, imprese e lavoratori.
A costoro si contrappone il 16% di ottimisti (prevalentemente anziani e pensionati) che prefigurano vantaggi sia per le imprese sia per i lavoratori.
Infine, solo il 3% prevede vantaggi per i lavoratori ma non per le imprese.
La bilancia sembra quindi pendere più a favore degli imprenditori che dei loro dipendenti.
Non stupisce dunque che prevalgano gli atteggiamenti difensivi, anche nel caso di licenziamento per motivi disciplinari: il 63 per cento si dichiara favorevole al mantenimento dell’obbligo di reintegro in assenza di giusta causa (in particolare gli operai, i dipendenti del settore pubblico, gli elettori del Movimento 5 Stelle e del Partito democratico) mentre il 26% concorda con l’indennizzo economico.
In definitiva, sebbene prevalga il pessimismo sui suoi effetti, il 57% degli italiani prevede che la riforma del lavoro andrà in porto nei prossimi giorni, mentre il 27% pensa che si arenerà .
Le reazioni dell’opinione pubblica al Jobs act suggeriscono alcune considerazioni.
La prima riguarda la comunicazione, che risulta cruciale soprattutto in presenza di un modesto livello di informazione dei cittadini.
Nonostante le sue indiscusse capacità comunicative, Renzi con il Jobs act non sembra aver centrato l’obiettivo: infatti, il messaggio prevalente percepito dai cittadini nell’acceso dibattito di queste settimane è quello della perdita della sicurezza del posto di lavoro, complice un contesto economico estremamente critico.
Inoltre non si è colto il nesso tra la riduzione delle tutele, che pure riguardano una parte limitata dei lavoratori interessati dall’articolo 18, e la maggiore facilità di ingresso nel mondo del lavoro. Infine è mancata la rassicurazione di una rete di protezione compensativa, in termini di sussidi e di possibilità di un rapido reinserimento, nel caso di perdita del posto di lavoro.
Insomma, l’incertezza e la paura sembrano prevalere sulla fiducia che le opportunità occupazionali aumentino e il mercato del lavoro possa diventare più dinamico.
La seconda riguarda il calo di consenso nei confronti del governo e del premier registrato nelle ultime settimane, probabilmente da attribuire anche ai giudizi critici sulla riforma del lavoro.
Oggi assistiamo a una minore popolarità del governo che si aggiunge alla crescente perdita di fiducia nei sindacati, screditati sia dal basso (per la crisi di rappresentanza) che dall’alto (per il conflitto con Renzi).
La svalutazione dei corpi intermedi pone un problema di mediazione sociale perchè si stanno riducendo le possibilità di rappresentare il dissenso e di negoziare soluzioni e si apre la strada a forme di protesta «fai da te».
Da ultimo il rapporto tra i cittadini e le riforme del lavoro.
Quelle adottate negli ultimi anni (legge Biagi, riforma Fornero) sono risultate molto impopolari, peraltro non diversamente dalla maggior parte delle riforme attuate nel nostro Paese.
È noto che la stragrande maggioranza degli italiani rivendica riforme, ma si tratta sempre delle riforme che non li riguardano in prima persona, sono quelle degli altri.
Non a caso anche il Jobs act viene maggiormente apprezzato da anziani e pensionati, cioè dai cittadini che non sono toccati direttamente dalla questione occupazionale.
Nando Pagnoncelli
(da “il Corriere della Sera“)
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Novembre 24th, 2014 Riccardo Fucile
FATTO SPARIRE DI NASCOSTO L’ARTICOLO CHE GARANTIVA UNA FORNITURA MINIMA A CHI NON RIESCE A PAGARE LE BOLLETTE
L’acqua, finora, è stata almeno una specie di tabù.
La giurisprudenza, d’altronde, l’aveva sempre considerata un bene primario, un servizio connesso anche all’articolo 32 della Costituzione, quello che “tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività ”.
Eppure qualcuno osava staccarla comunque: qualche inquilino che non aveva pagato le bollette e qualche occupante s’erano svegliati la mattina e dal rubinetto non usciva più niente
Per evitare equivoci, quindi, il governo Letta aveva inserito norme apposite nel cosiddetto “collegato ambientale”, un testo che è da un annetto in Parlamento e scade il prossimo 31 dicembre: l’Autorità per l’energia e i ministeri interessati dovevano individuare il modo di ridurre la morosità , anche attraverso un fondo di garanzia statale che ripagasse i gestori del servizio, e garantire comunque “il quantitativo di acqua necessario al soddisfacimento dei bisogni fondamentali di fornitura di acqua per gli utenti morosi”.
L’allora ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, lo aveva spiegato così: “Non si può lasciare all’azienda la facoltà di decidere del distacco dell’acqua. Bisogna garantire procedure adeguate, vista la specificità del bene acqua, che è un bene fondamentale per la vita umana”.
Tutto giusto, poi il governo è cambiato e all’Ambiente è arrivato Gian Luca Galletti e alle Infrastrutture Maurizio Lupi, ministro che ha profondamente in spregio occupanti e morosi: come che sia, il 13 novembre la Camera ha finalmente approvato il “collegato ambiente”, solo che l’articolo sui distacchi dell’acqua, il numero 26, è misteriosamente sparito.
Dello strano caso – che getta una luce non proprio benevola sul meccanismo con cui si fanno le leggi nel nostro Parlamento – s’è accorta Federica Daga, deputata del Movimento 5 Stelle espertissima del tema acqua.
A quanto sembra dai resoconti è andata così.
Il 4 settembre la commissione Ambiente approva finalmente il ddl presentato da Orlando (compreso l’articolo 26) e lo invia alle altre commissioni perchè esprimano un parere sulle parti che le riguardano.
Passa un mese e tutti rispondono: il 9 ottobre il relatore Alessandro Bratti (Pd) presenta alcuni nuovi emendamenti in cui recepisce “i rilievi recati nei pareri di talune commissioni” e fa “interventi di coordinamento sostanzialedel testo”.
È in questo pacchetto che compare l’emendamento 26.100 che sopprime l’articolo interessato, quello che impedisce di staccare l’acqua ai morosi, approvato in blocco con tutto il resto e in tutta fretta (la Ambiente in queste settimane s’è occupata pure del decreto Sblocca-Italia e ora dovrà esaminare la manovra).
C’è un problema: nessuna commissione aveva chiesto di sopprimere l’articolo 26 e difficilmente la cancellazione di una norma di questo genere può essere qualificata come “coordinamento del testo”.
In Aula, purtroppo, nessuno ha pensato di sottolineare la cosa e sopprimere la soppressione.
Ora il “collegato ambiente” è in Senato e va approvato entro la fine dell’anno, pena la decadenza: sarà difficile, insomma, correggerlo e farlo tornare alla Camera in tempo.
Si conferma, in definitiva, il vecchio adagio di Otto von Bismark: “Meno le persone sanno di come vengono fatte le salsicce e le leggi e meglio dormono la notte”.
Ma. Pa.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 24th, 2014 Riccardo Fucile
I DEMOCRATICI TRADITI DAGLI ELETTORI NELLA ROCCAFORTE ROSSA…IL PESO DELL’ASSENZA DI MOBILITAZIONE DEI SINDACATI
«Mamma, ho perso la base…». Benedetto il senso dell’humour in questa notte di streghe. 
Il funzionario di fede Pd scivola come un’ombra lungo gli interminabili corridoi delle Torri di Tange, sede dell’Emilia-Romagna e cuore pulsante del Partitone che fu. Quando manca poco alle 2 di notte, Stefano Bonaccini, 47 anni, modenese, renziano della seconda ora, non si è ancora fatto vedere, non è ancora ufficialmente il successore di Vasco Errani (anche se il suo vantaggio sul leghista Alan Fabbri è netto), ma un posto nella piccola grande storia della Regione ex rossa, suo malgrado, l’ha già conquistato: nemmeno nei peggiori incubi, il partito prendi-tutto che qui governa dal Dopoguerra avrebbe mai immaginato un simile tracollo di votanti.
Addio zoccolo duro, addio mobilitazione di coscienze.
Nella terra delle Feste dell’Unità , dell’associazionismo spinto, della passione con venature ancora dogmatiche, il militante si è fatto nebbia.
«Vittoria mutilata» era il fantasma che aleggiava da giorni nei pensieri dei vertici pd. E così è stato.
«Dove sono finiti gli Stakanov del voto?». Perfino Romano Prodi, che ne ha viste di ogni colore e che in mattinata aveva lanciato un appello alla partecipazione, a sera era basito: «È un dato preoccupante».
Era nell’aria la diserzione dalle urne. Ma non con queste proporzioni.
Predestinato al successo, Bonaccini si è trovato a combattere contro un avversario subdolo e invisibile: la stanchezza-disgusto della gente per la politica.
Altro che Alan Fabbri, il candidato leghista messo sotto tutela per tutta la campagna elettorale dal suo segretario Matteo Salvini.
O i 5 Stelle, abilissimi nel fare harakiri a colpi di espulsioni e lotte intestine. Il nemico si nascondeva nelle viscere dello stesso Pd.
E se è vero che hanno contribuito anche fattori come la mancanza di un traino nazionale, l’inchiesta sulle spese «allegre» con i 41 consiglieri regionali indagati e la generale consapevolezza che il Pd avrebbe vinto, è altrettanto vero che tutto ciò non basta a spiegare una simile Waterloo di partecipazione.
Nel Pd già qualcuno si domanda quanto abbiano influito sul non voto la violenta polemica tra Renzi e Camusso sul versante lavoro.
«La sofferenza è a sinistra» punta il dito il cuperliano Andrea De Maria.
Bonaccini, fiutando l’aria, aveva provato a mettere un argine: «Ricordo a chi ha mal di pancia verso il governo – aveva detto – che stiamo votando per l’Emilia-Romagna, non per l’esecutivo nazionale».
Arrivando poi ad azzardare un non facile equilibrismo in quel triangolo rovente composto da Landini, Camusso e Renzi: «Qui con i sindacati c’è una tradizione che ha dato buoni risultati, continueremo a cercare la concertazione».
Per tutta risposta il leader della Fiom emiliana, Bruno Papignani, ha ordinato ai suoi il boicottaggio del candidato pd.
E pure nella Cgil, qui una potenza con 800 mila iscritti, c’è stata una mezza sollevazione. «Chiunque vince non sarà totalmente legittimato» infierisce la candidata 5 Stelle Giulia Gibertoni.
Il dopo Errani è iniziato e ha il sapore dell’anno zero.
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 24th, 2014 Riccardo Fucile
CON IL FUTURO PREMIO DI MAGGIORANZA SARA’ SUFFICIENTE CHE VADANO A VOTARE SOLO GLI IMPRENDITORI CHE PAGANO 1000 EURO PER CENARE CON RENZI
In Emilia ha votato per Bonaccini (dunque per il pd renziano) poco più di 1 emiliano su 3.
Gli altri non hanno scelto nè la Lega (versione LegaPound, al 19,4%) nè Forza Italia (con l’8,4% mercoledì la cercheremo a Chi l’ha visto?).
L’Altra Emilia si è fermata al 4%, il M5S al 13%.
Gli emiliani non sono andati a votare perchè l’offerta politica non era ritenuta credibile, come se non le ritenessero vere elezioni.
Se questo è solo l’inizio di un futuro (renziano), del grande partito unico che mette assieme centro, transfughi dalla sinistra (in cerca del posto al sole) e destra berlusconiana, possiamo anche abolirle ‘ste elezioni.
L’Emilia rimane rossa, ma il nuovo governo regionale ha dietro solo un terzo degli emiliani, non è legittimato.
Non so nemmeno se si può dare la colpa solo al vecchio, visto che Bonaccini e Richetti proprio da lì arrivano.
La realtà è che con la nuova legge elettorale che il governo ha in mente, ci sono premi elettorali così alti per cui è sufficiente che a votare vadano pochi elettori.
Magari gli imprenditori che vanno alle cene da mille euro con Renzi.
Anche la politica (come la sanità , come la scuola, ..) sarà qualcosa per ricchi.
(da “unoenessuno.blogspot”)
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Novembre 24th, 2014 Riccardo Fucile
LA CADUTA DAL 1970 AD OGGI
Non basterebbe un viaggio interstellare per colmare la distanza tra l’Emilia-Romagna di oggi e quella di 34
anni fa.
Certo, nel 1970 le elezioni Regionali erano una novità , un po’ come lo scioglimento dei Beatles.
Ma di fronte alla voragine aperta da un’astensione che tocca il 62,3%, il 96,6% di votanti alle prime Regionali nella storia dell’Emilia-Romagna sembra un risultato colossale.
Al di là della comprensione del moderno homo votantis.
DAL 1975 AL 1990
Un caso eccezionale, isolato nel tempo e nello spazio? Mica tanto.
Visto che la passione politica che allora animava amanti della falce&martello e difensori dello scudo crociato, cinque anni dopo, portò alle urne praticamente gli stessi elettori: 96,6%.
L’Emilia-Romagna di Peppone e Don Camillo, quella delle federazione comunista più grande fuori dall’Urss, andrà avanti così senza troppi scossoni per altri 15 anni. L’equilibrio nella forza elettorale del più grande granaio di voti del Pci si mantiene: nel 1980 vota il 94,5% degli elettori, nel 1985 il 94,6%.
Anche la svolta della Bolognina, annunciata da Achille Occhetto venticinque anni fa, non miete troppe vittime.
Nel 1990 in Emilia-Romagna vota il 92,9% degli aventi diritto: percentuali da Bulgaria, anche se il Pci stava già cambiando.
DAL 1995 A OGGI
Ci vuole Mani pulite perchè il rigurgito antipolitico inizi a fare breccia nel cuore degli elettori emiliano-romagnoli.
È il 1995 quando, per la prima volta nella storia della regione rossa, la partecipazione scende sotto la soglia del 90% fermandosi all’88,3%.
Percentuali che oggi farebbero comunque sognare.
Da lì in poi il crollo dei votanti è inevitabile e costante, fino a diventare spietato: 79,7% nel 2000, 76,8% nel 2005, 68,1% nel 2010, quando Vasco Errani (oggi condannato in Appello e dimissionario) venne eletto per un discusso terzo mandato. Domenica sulle urne dell’Emilia-Romagna è caduta un’accetta, che ha quasi dimezzato i votanti di quella che per decenni è stata una regione modello.
E che ora, con il suo 37,7% di votanti, costringerà politologi e sociologi a ripensare un bel po’ di analisi.
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 24th, 2014 Riccardo Fucile
PER IL PD VITTORIA MUTILATA… CON UN 30% DI SCHEDE SCRUTINATE, IN EMILIA BONACCINI (48%), BATTE FABBRI (31%): CINQUE ANNI FA FINI’ 52% A 37%… CINQUESTELLE AL 13%… ALL’INTERNO DEL CENTRODESTRA CRESCE LA LEGA (20%) A SCAPITO DI FORZA ITALIA (8,5%%), FDI AL 2%
Dati shock in Emilia-Romagna.
Nel giorno in cui lungo la via Emilia si sceglie il nuovo governatore, l’affluenza si attesta sotto il 40%, fermandosi al 37%.
Un tracollo clamoroso rispetto al dato delle Europee del 2014, quando aveva votato il 70% degli aventi diritto.
Un calo anche rispetto alle Regionali del 2010, quando il pallottoliere si fermò a 68.8%.
Con circa il 30% delle schede scrutinate il candidato del centrosinistra Bonaccini ha il 48% contro il 31% di Fabbri candidato del centrodestra. Segue Giulia Gibertoni del M5S con il 13%.
Nelle precedenti regionali Errani raccolse il 52% contro il 38″ della Bernini.
Tra i partiti il Pd è al 43% (aveva il 40,64% alle regionali e il 52% alle Europee).
Il centrodestra perde consensi ma si ridistribuiscono le forze: la Lega passa dal 13,6% al 20%, Forza Italia dal 24,5% delle regionali 2009 e dall’11,8% delle Europee cala all’8,5%, Fdi vaga sul 2%.
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