Novembre 25th, 2014 Riccardo Fucile
NO DI CUPERLO E CIVATI… BERSANI: “VOTO SI’ PER DISCIPLINA”
L’Aula della Camera riprende l’esame del Jobs act, con i 109 ordini del giorno. 
Il via libera dell’Assemblea di Montecitorio dovrebbe giungere oggi, con un giorno di anticipo rispetto alla tabella di marcia a suo tempo stabilita dalla conferenza dei capigruppo.
Il provvedimento per avere l’ok definitivo, deve tornare in Senato, poichè il testo è stato modificato dalla commissione Lavoro dove sono stati approvati gli emendamenti frutto dell’accordo tra il governo e la minoranza Pd che puntava a ridimensionare la possibilità di modificare lo Statuto dei lavoratori.
Le novità .
Tra le novità più significative introdotte durante l’esame in Commissione c’è la norma che da una parte esclude per le nuove assunzioni la possibilità di reintegro per i licenziamenti economici (prevedendo solo un indennizzo “certo e crescente con l’anzianità di servizio”) e dall’altra parte conserva il diritto al reintegro nel posto di lavoro solo per i licenziamenti “nulli e discriminatori” e per “specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato” che poi verranno definite nei decreti delegati dall’esecutivo.
L’appello all’unità di Orfini.
All’interno del Pd non si placano i malumori della minoranza. Ma il presidente del partito, Matteo Orfini, fa un appello in extremis ai dissidenti: “Abbiamo raggiunto una larghissima unità sul testo, spero che per rispetto della discussione fatta, dei cambiamenti apportati, del lavoro di ascolto reciproco e della nostra comunità , si voglia fare tutti un ultimo sforzo in Aula”, aggiunge.
Cuperlo: “Non ci sono condizioni per il sì”.
Diversamente per Gianni Cuperlo non ci sono le condizioni per il sì: “Noi non ci sentiamo di esprimere un voto favorevole su Jobs act”, annuncia il deputato dem, che caldeggia l’ipotesi di non esprimere il voto sul testo.
“Il punto a cui si è arrivati – sottolinea – non è soddisfacente. Il problema non è come licenziare, ma come assumere”.
Il ‘no’ di Civati.
Per Pippo Civati, invece, bisogna dire no alla riforma. La maggior parte dei deputati della componente di minoranza Area riformista, invece, dovrebbe votare sì.
Non teme i numeri troppo bassi Stefano Fassina: “Per noi – afferma – è uno strappo rilevante, perchè noi siamo parte della maggioranza, ma non voteremo per questa delega. Non saremo un gruppo sparuto, ma un numero politicamente impegnativo. E non temiamo conseguenze disciplinari”.
A quanto pare sono circa 30 i deputati del Pd pronti a non votare a favore.
Il nodo sul comportamento da assumere sarà sciolto nel corso di una riunione che si terrà all’ora di pranzo. Le ipotesi, dunque, sono il voto contrario in Aula o l’uscita dall’emiciclo di Montecitorio.
Bersani: “Nessuna fronda”
Sul rischio di una fronda nel Pd, l’ex segretario Pier Luigi Bersani, invece non ha grandi timori e invita a non drammatizzare il dissenso: voterà il jobs act “per disciplina” anche se non condivide alcune norme.
“Non è giusto parlare di fronde e la connessione con i risultati di ieri non c’entra niente”, ha detto. “Siamo davanti a dei miglioramenti indiscutibili, di cui bisogna ringraziare i membri della commissione. C’è però un imprinting iniziale di queste norme – ha spiegato – che non convince. Il mio caso è il caso di uno che per la parte che condivide, voterà con convinzione. Per quella che non condivide, e continua a non condividere, voterà per disciplina, come si conviene a uno che ha fatto il segretario per quattro anni e che vuole ribadire che i legni storti si raddrizzeranno solo nel Pd, da nessuna altra parte”.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 25th, 2014 Riccardo Fucile
DOVE NASCE LA SOPRAFFAZIONE MASCHILE
La conta degli stupri, dei maltrattamenti, degli omicidi di cui sono vittime le donne lascia sempre sgomenti.
Tutta questa violenza brutale ha una chiara matrice razzista. Soprattutto se interpretiamo il razzismo, come ci invitava a fare Lacan, come odio irriducibile nei confronti della libertà dell’Altro.
La donna, infatti, è una delle incarnazioni più forti, anarchiche, erratiche, impossibile da misurare e da governare, di questa libertà .
Il suo stesso sesso non è visibile, sfugge alla rappresentazione, è nascosto, si sottrae alla presa dell’evidenza.
La loro identità , difficile da decifrare, non risponde mai a quella della divisa fallica degli uomini. Proprio per questo le donne possono essere l’oggetto di una violenza inaudita.
Possono essere aggredite, offese, maltrattate, uccise proprio perchè sfuggono ad ogni tentativo di possesso, perchè coincidono con la libertà .
L’uomo può rispondere a questa coincidenza con l’arroganza razzista e insopportabile della sopraffazione provando in tutti i modi a cancellarla.
È un disegno fallimentare che costringe ad una iterazione disperata.
Invece di scegliere la via dell’amore per la differenza prende quella dell’odio rabbioso e sterilmente rivendicativo (“sei mia!”).
L’esercizio della violenza è sempre una alternativa secca a quella della parola. Mentre la legge della parola prova sempre a rendere giustizia della libertà dell’altro, la violenza la vorrebbe sopprimere, calpestarla, ridurla al silenzio.
È innanzitutto una battaglia culturale che dovremmo cominciare magari ripensando seriamente a quello che usiamo chiamare “educazione sessuale”.
Questa educazione non è forse innanzitutto – essenzialmente – una educazione alla legge della parola?
Non dovremmo imparare dai poeti più che dalle slide che classificano scientificamente i sessi mostrando il funzionamento oggettivo dei loro organi?
È davvero tutta lì quella che chiamiamo differenza sessuale?
È davvero quello il mistero dell’amore?
La battaglia culturale contro la violenza di genere non può non passare da un ripensamento dell’educazione sessuale come educazione della sessualità al mistero dell’amore.
Non dovremmo inseguire l’ideale di una sessualità normale – che la psicoanalisi ha dichiarato non esistere – ma valorizzare l’incontro tra i sessi – a prescindere dalla loro anatomia – come un incontro tra differenze.
Dovremmo pensare che l’educazione alla sessualità implichi sempre una educazione al rispetto dell’alterità .
Dovremmo pensare che essa sia una educazione al discorso amoroso.
La domanda d’amore che muove l’uno verso l’altro, non deve mai essere scambiata con il sopruso che annienta la libertà , ma come un dono di libertà .
Non è questa la forma più alta e intensa dell’amore, quando c’è?
Amare la libertà dell’altro, amare la sua differenza inassimilabile di cui la donna è il simbolo.
Per questo Lacan affermava che si ama, quando si ama, sempre e solo una donna.
Per questa ragione amare – dovremmo sempre aggiungere – contempla il rischio della caduta e dell’abbandono.
È sempre una esposizione rischiosa all’altro che ci rende tutti più indifesi e più femminili. Ci esponiamo senza riserve alla libertà dell’altro che ha sempre, in ogni momento, il diritto di scegliere se rinnovare o interrompere il patto che ci unisce.
Ed è, come sappiamo, di fronte a questo diritto del discorso amoroso che la violenza dei maschi può scagliarsi come una freccia avvelenata contro il corpo delle donne.
Colpire, sfregiare, mutilare, straziare per ribadire una proprietà che non esiste.
Per coloro che vivono senza educazione alla legge della parola la libertà della donna non è sopportabile se non è imprigionata.
Nemmeno per le donne è facile abitare quella alterità che esse portano con sè.
Per questa ragione Freud sosteneva che il “rifiuto della femminilità ” non riguardasse solo gli uomini, ma attraversasse anche le donne.
Non è proprio questa difficoltà che talvolta può consegnare una donna nelle braccia di chi la umilia, la offende, la violenta, la uccide?
La donna che rifiuta inconsciamente la propria femminilità può credere che si possa essere una donna solo consegnandosi passivamente ad un uomo, magari seguendo l’esempio sacrificale delle proprie madri.
È però del tutto evidente che si tratta di una atroce illusione. Nessun uomo sa cosa sia una donna.
Ecco allora consumarsi il terribile equivoco: lei si consegna nelle mani dell’uomo per essere una donna, ma si ritrova ad essere ridotta a corpo-cosa, corpo-strumento, a “roba”, come direbbe il Mastro Don Gesualdo di Verga.
È una lezione disturbante che l’esperienza clinica può confermare.
La violenza porta con sè una seduzione silente che in alcune donne può nutrire l’illusione fatale che avere un padrone possa sollevarle dal difficile compito di abitare la libertà radicale della femminilità .
Ma tutto questo non deve scaricare in nessun modo sulle donne la responsabilità che grava solo su coloro che scelgono la via della violenza al posto di quella della parola. Questa scelta è sempre colpevole.
Preferisce il dominio cieco al rischio dell’esposizione, l’affermazione autarchica del proprio Io al suo decentramento, la potenza narcisistica del fallo (sempre un po’ idiota, secondo Lacan) all’incontro con l’alterità di un corpo, come quello femminile, fatto di segreti.
Se l’amore è sempre un salto nel vuoto è perchè esso implica la rinuncia a rendere l’altro una nostra proprietà , la rinuncia alla violenza come soluzione (impossibile) del problema della libertà .
Massimo Recalcati
(da “La Repubblica”)
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Novembre 25th, 2014 Riccardo Fucile
“HA BISOGNO DELLA CORAZZA DEL POTERE, CONSEGUENZA DEL NARCISISMO PRIMARIO DI CHI HA UN’IDEA GRANDIOSA DI SE'”
Prima del voto Renzi è atterrato a Parma ancora impastata dall’alluvione. 
Il popolo del fango sperava di mostrargli quali dolori provocano disattenzione e abbandono del territorio. Cementificazione, torrenti ridotti a discariche.
Ma gli è mancato il tempo dei quattro passi fra le case disastrate impegnato com’era tra un imprenditore all’altro e poi il discorso in diretta RaiNews ai sindaci della provincia col ritaglio veloce del botta e risposta a un ragazzo dei quartieri sott’acqua. E di corsa a Bologna per chiudere la campagna elettorale.
Se in Emilia ha votato il 37 per cento, Parma resta maglia nera col 34.
Per fortuna Genova non è andata alle urne: il capo del governo deve ancora fare un salto e chissà quanti arrabbiati non sarebbero usciti di casa.
Ma quel che conta sono i risultati e il Pd sfiora in Emilia Romagna il 50 per cento, record delle europee polverizzato, insomma felicità del Renzi che lontano dalla gente disegna il nuovo partito dopo aver rottamato il vecchio.
Mescolarsi lo imbarazza.
Osserva cortei, sindacati, catastrofi dalle finestre illuminate della Tv.
“Una fuga continua dal rischio di stabilire relazioni equilibrate che lo obbligherebbero a svestirsi degli abiti che predilige. Non sopporta di mettersi alla pari rinunciando alla capacità manipolatoria”.
Angelo Righetti, psichiatra e neurologo, cresciuto alla scuola di Franco Basaglia tra Gorizia e Trieste, responsabile di salute mentale della Conferenza Permanente Euromediterranea , esperto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità fa parte del comitato scientifico della Kip International School titolare del padiglione Expo che propone soluzioni ai problemi sociali; Righetti, analizza l’agitarsi del capo del governo con lo sguardo di un medico curioso.
“Ha bisogno della corazza del potere conseguenza del narcisismo primario di chi ha un’idea grandiosa di se stesso. E nel momento in cui deve esercitare l’empatia viene assalito dalla fobia dell’altro al quale dovrebbe solidarietà in situazioni di disgrazia. Ma gli viene naturale discorrere solo con chi lo riconosce referente del potere nutrendone l’immensa autostima: leader solitario che pretende conforto al proprio narcisismo. Produce un racconto e lo abita dentro una scatola di vetro, papamobile in fuga dal rischio di intrecciare relazioni equilibrate”.
A volte provoca risposte aggressive alle quali ribatte con la ruvidezza che entusiasma i fedeli del gruppo…
“Il leader assorbe questi fedeli quasi fossero parte del suo corpo. E i fedeli si caricano delle sue fantasie grandiose ripetendo le parole di chi li ha scelti e li guida. Bonaccini, nuovo presidente dell’Emilia Romagna, annunciava in campagna elettorale: qualsiasi cosa mi chieda il partito, io la farò”. Partito vuol dire il Renzi.
C’è chi lo immagina erede di Berlusconi… Nessuna somiglianza.
Renzi non si nasconde fra le bugie, ma nei fumi delle promesse, una dopo l’altra distribuite con l’ansia del programmare il tempo”.
Previsione dello psichiatra: quanto può durare la frenesia del correre dall’uno all’altro e quell’accavallare progetti?
“Punto interrogativo: non è facile capire dove lo porterà il narcisismo primario. La misura è sempre l’incontro con la realtà e i risultati faranno capire se si tratta di narcisismo benigno non chiuso in un cerchio magico rozzo e tribale: abbatte le barriere, produce investimenti concreti e aperture sociali che consolano l’umanità . Oppure se il narcisismo è maligno, èlite al potere che gonfia la stupidità di massa, annienta ogni sistema estraneo al gruppo e si avvolge su se stessa. Troppo presto per giudicare a quale narcisismo Renzi appartiene. Lo misureremo nella concretezza delle realizzazioni”.
Maurzio Chierici
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Novembre 25th, 2014 Riccardo Fucile
LA CAUSA DELL’ASTENSIONE? I PARTITI HANNO RINUNCIATO A SVOLGERE IL LORO MESTIERE DI ASSISTENZA DEI CITTADINI
Ogni cosa in natura esiste finchè ha un senso e soddisfa un bisogno.
In caso contrario scompare.
Che senso hanno oggi i partiti? Che bisogno soddisfano?
Ho letto dotte analisi dell’astensionismo alle elezioni regionali nella rossa Emilia. Alcune faziose, come quella che attribuisce all’ultimo arrivato Renzi la responsabilità di un fenomeno in corso da decenni, ma altre ineccepibili: la crisi economica, gli scandali, il disprezzo per la classe politica e l’istituzione regionale, l’assenza di un avversario in grado di mobilitare gli elettori sotto la spinta della paura.
Però mi sembrano tutte cause di secondo livello.
La ragione primaria, e più prosaica, della decadenza dei partiti (e dei sindacati) è che hanno rinunciato a svolgere il loro mestiere di assistenza dei cittadini.
Nel quartiere di Torino dove sono cresciuto abitavano due vecchiette.
Una votava Pci e l’altra Dc.
Se aveste chiesto loro perchè, non credo che avrebbero saputo darvi una risposta «politica».
La prima bazzicava la sezione del Pci per farsi compilare gratuitamente la dichiarazione dei redditi e ricevere utili dritte su medici curanti e impiegati comunali a cui rivolgersi per dilazionare il pagamento di una bolletta.
La seconda frequentava gli oratori e cuciva berrette di lana per i poveri che venivano vendute nelle sagre paesane della Dc.
Quei partiti di massa, di cui ignoravano le basi ideologiche, facevano parte della loro vita. Podemos, il movimento che promette o minaccia di vincere le prossime elezioni spagnole, è ripartito da lì: dalle berrette e dalle bollette.
Che non bastano a fare un partito.
Ma senza le quali qualsiasi partito cessa di esistere.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Novembre 25th, 2014 Riccardo Fucile
UFFICIALMENTE SERVIRANNO ANCHE A FINANZIARE 4,5 MILIARDI DI INVESTIMENTI PER ACQUEDOTTI E FOGNATURE: MA NEGLI ANNI PASSATI COME SONO STATI IMPIEGATI ALLORA?
Non saranno favorevoli i comitati che nel 2011 hanno promosso il referendum che ha bocciato il progetto
dell’allora governo Berlusconi di privatizzare i servizi che dell’acqua potabile e la depurazione.
Non tanto perchè i consumatori si troveranno in bolletta un aumento medio che si aggira sul 4 per cento, ma perchè hanno sempre sostenuto che i costi per la manutenzione degli impianti venisse computata nella fiscalità generale.
Polemiche a parte, non c’è dubbio che il provvedimento presentato ieri dall’Autorità per l’Energia e il gas (cui due anni fa è stata aggiunta anche la competenza del sistema idrico) per il nostro paese sia una piccola grande rivoluzione.
Perchè per la prima volta. le società che distribuiscono acqua potabile possono calcolare la tariffa da far pagare ai cittadini secondo parametri che sono uguali in tutta le penisola.
L’Authority ha approvato le nuove tariffe 2014-2015 per circa 40 milioni di italiani.
L’aumento medio sarà del 3,9% nel 2014 e del 4,8% nel 2015 e coivolgerà circa 34 milioni di cittadini, mentre 6 milioni di consumatori beneficeranno di una riduzione del 10% della bolletta. Al calcolo si è arrivati dopo un certosino lavoro in cui i tecnici dell’Autorità hanno raccolto dati in tutte le regioni e da tutte le società che gestiscono in servizio. perchè il panorama italiano è quanto mai frammentato, sia sulle tariffe fatte pagare fino a oggi, sia per la qualità del servizio. Giusto per citare un dato: nel Meridione, le strutture sono degradate al punto che in alcune province l’indice di dispersione negli acquedotti è superiore al 65 per cento: su cento litri d’acqua, un terzo si perde nel terreno.
Ecco perchè, il presidente dell’Autorità , Guido Bortoni ha ricordato che grazie agli aumenti si potranno attivare 4,5 miliardi di euro di investimenti nei prossimi quattro anni per nuove infrastrutture, tutela ambientale e miglioramento dei servizi.
“In questa prima fase dell’attività dell’Autorità – ha detto Bortoni in un convegno a Milano – ci siamo focalizzati nel realizzare e applicare un metodo tariffario unico per tutto il Paese. La prossima fase sarà indirizzata al completamento della regolazione, per consolidare ancor più le condizioni di realizzazione degli investimenti e individuare standard per i servizi capaci di incrementarne la qualità “.
Gli interventi sono quanto mai urgenti, perchè sul nostro paese incombe una multa salatissima da parte dell’Unione Europea, perchè non siamo in regola sulla direttaiva per la depurazione delle acque.
Multe che scatteranno a partire dal 2016. Da una “una tantum” da pagare immediatamente, calcolata sulla base del Pil nazionale che dovrebbe aggirarsi sui 10 milioni euro, a una ammenda giornaliera, calcolata sulla mora tra la messa in regola rispetto alla data di esecutività della sentenza, che potrebbe andare da 11mila a 700mila euro al giorno.
Nella Legge di Stabilità sono previsti incentivi per i Comune che cederanno quote delle società che gestiscono servizi pubblici, in modo da favorire le aggregazioni in realtà più grandi, che possano ricavare economie di scala e maggiore efficenza.
Perchè gli aumenti previsti fino al 2015 non basteranno a colmare i ritardi infrastrutturali che ci trasciniamo da almeno 30 anni.
Secondo il “Blue Book”, il più aggiornato quadro del settore pubblicato da Federutility, l’associazione che raccoglie le aziende di pubblici servizi, per allinearci alle medie europee dovremmo investire circa 80 euro per abitante e raggiungere così la quota di 4,8 miliardi all’anno complessivi.
Invece, al momento siamo soltanto a 30 euro per abitante (per complessivi 1,6 miliardi), mentre il fabbisogno minimo secondo i piani finanziari redatti dalle società di settore parlano di almeno 51 euro per abitante e un totale di 3 miliardi di investimenti all’anno.
Luca Pagni
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Novembre 25th, 2014 Riccardo Fucile
PER IL PATTO DEL NAZARENO SARA’ IL MESE DELLA PASSIONE, PIU’ CHE DELL’AVVENTO…E FORZA ITALIA DIRA’ NO AL VOTO FINALE DELLA LEGGE ELETTORALE
Più che il periodo dell’avvento, si prepara il mese della passione per il patto del Nazareno, che proprio alla vigilia di Natale non festeggerà la sua epifania nell’Aula del Senato, ma sarà accompagnato da un «de profundis» con il voto contrario di Forza Italia alla legge elettorale.
Fino ad allora Berlusconi continuerà a ripetere con una certa dose di ambiguità che l’accordo con Renzi resta, perchè una separazione lenta tatticamente gli serve. Tuttavia la decisione è presa, e non da ieri: non è stato infatti il crac di Forza Italia alle Regionali a determinare la sua decisione, semmai il voto ha evidenziato l’ineluttabilità della futura mossa.
Una scelta è sempre suffragata da dati di fatto, che un giorno la controparte potrà anche additare come pretesti: è il gioco della politica.
E il gioco di Renzi non piace più al Cavaliere, che si lamenta per il modo in cui il premier avrebbe – a suo dire – «disatteso i patti», dalle modifiche «non concordate» sull’Italicum, fino allo sfregio praticato da Palazzo Chigi con la sua costituzione di parte civile al processo di Bari sulle escort.
La celerità è parsa sospetta a Berlusconi: in effetti il governo avrebbe potuto attendere l’inizio della fase dibattimentale prima di muoversi, perciò le motivazioni giunte all’orecchio del leader forzista da parte dell’esecutivo hanno solo acuito la sua furia: «Non mi vengano a dire che ha fatto tutto Del Rio. Lì non si muove foglia che Renzi non voglia».
Perciò quel tweet con cui l’altra notte il capo del Pd ha spiegato come «la Lega ha asfaltato Forza Italia» alle Regionali, è parso l’anticamera della rottura ufficiale.
Renzi si sceglie Salvini come avversario, con Berlusconi ci sarà tempo per la restituzione degli anelli.
In fondo non è nemmeno detto che si arrivi all’ufficializzazione del divorzio, piuttosto dietro l’ambiguità dei due Nazareni si approssima una sfida ad alto tasso di rischio, anche per il premier.
Perchè il punto non è se il segretario democrat al Senato – senza il sostegno azzurro – avrà i voti per far approvare l’Italicum: si è già premunito con una pattuglia di ex grillini all’occorrenza.
Il vero test-match si giocherà sul Quirinale.
Sia chiaro, Berlusconi farà di tutto per essere della partita, «come ai tempi di Ciampi – racconta chi c’era – quando fece finta gli piacesse quella scelta, che invece era stata frutto dell’accordo tra Veltroni Fini e Casini».
È assai probabile che Renzi inizialmente starà al gioco, sebbene si sia ormai convinto del fatto che il Cavaliere non controlla più i suoi gruppi parlamentari, che Fitto per esempio – come gli disse lo stesso Berlusconi – «si muove d’intesa con D’Alema». E a voto segreto ognuno cercherà la propria intesa.
Così la battaglia sulla legge elettorale si trascinerà ai supplementari con la corsa al Colle.
E siccome (quasi) tutti in Parlamento sono tifosi del Consultellum che non piace a Renzi, (quasi) tutti punteranno su un capo dello Stato che non piaccia a Renzi.
Ecco l’ultima vera partita che può giocare Berlusconi, ormai politicamente debole nel Paese ma non del tutto nel Palazzo.
Si vedrà quale sarà il destino di Forza Italia, che ne sarà dell’intesa con Alfano che il Cavaliere si dice pronto ad incontrare.
Il Mundial ora si disputa nel cortile del Quirinale, e nell’ambigua e lenta dissolvenza del Patto del Nazareno l’ex premier cercherà tempo e modi per dare quella che lui spera sia la sua penultima zampata, per evitare insomma i titoli di coda.
D’altronde, sulla presidenza della Repubblica – come ha spiegato ieri sera Bersani ai suoi – «bisognerà prepararsi a una lunga serie di votazioni».
Con il Pd in fibrillazione, con la Lega che vorrà segnalarsi, con i Cinquestelle che cercheranno la rivincita, Renzi non potrà stare tanto sereno.
Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera“)
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Novembre 25th, 2014 Riccardo Fucile
QUANDO NON ERA SEGRETARIO ATTTACCAVA I VERTICI DEL PD… ORA CHE IL PARTITO E’ “COSA SUA” BASTA UN SOLO ELETTORE: LUI
“L’astensione è la vera vincitrice delle elezioni. Il partito di maggioranza relativa in questo Paese è il partito
di chi si astiene o vota scheda bianca o nulla. Su questo tutti dobbiamo riflettere”.
No, non è questo il commento di Matteo Renzi alle elezioni in Emilia Romagna e in Calabria, disertate rispettivamente dal 62,3 e dal 56,2% degli elettori (cioè, se valesse la regola referendaria del quorum, nulle). Quello era il commento alle regionali del marzo 2010, quando le vinse il Pd di Bersani.
E non è nemmeno questo:
“Chi gridasse al trionfo e stappasse champagne farebbe un errore: abbiamo vinto, però c’è stata un’astensione strabiliante che supera la maggioranza assoluta. E il Pd quasi dimezza i suoi voti sulle ultime regionali”
Qui Renzi parlava del voto in Sicilia dell’ottobre 2012.”
E non è neppure quest’altro
“Il Pd ha eletto tanti sindaci, ma un sacco di gente non è andata a votare e l’astensionismo fa paura: dobbiamo recuperarlo. Abbiamo fatto il sorpasso in retromarcia. C’è stata una altissima astensione; abbiamo perso meno degli altri, ma decine di migliaia voti sono andati via. Non è importante che poltrona occupi, ma avere idee. Mi piace la politica come passione e coinvolgimento, è il modo per dire alle persone che sono state a casa ‘venite a darci una mano’”.
Qui Renzi si riferiva alle comunali del maggio 2013, vinte dal Pd di Epifani.
No, il commento alla fuga dalle urne calabro-emiliano-romagnole è questo:
“2-0 netto. La non grande affluenza è un elemento che deve preoccupare, ma è secondario. Checchè se ne dica, oggi non tutti hanno perso: chi ha contestato le riforme può valutare il suo risultato. Negli ultimi 8 mesi ci sono state 5 elezioni regionali, che il mio partito ha vinto 5 a 0. Oggi una qualsiasi persona normale dovrebbe essere felice per questo”.
Proprio quando l’astensionismo diventa il primo partito e prende la maggioranza assoluta, cambia nome: si chiama “non grande affluenza”.
E cessa di essere un problema primario: diventa secondario.
Cos’è cambiato da prima a dopo la cura? Che prima il Pd era in mano ad altri, ora è in mano a Renzi.
Infatti non si chiama più Pd, ma “il mio partito”.
Ed, essendo suo, non può sbagliare. Altrimenti sbaglierebbe Renzi, che invece — com’è noto — ha sempre ragione. Dunque, se gli elettori non votano, è colpa loro, non sua.
La svolta anche semantica della Democrazia Renziana era già stata anticipata alle Europee di fine maggio, quando il Pd raccolse il 40,8% dei votanti, che però erano appena il 57,2% degli aventi diritto: ergo fu scelto da poco più del 25% degli elettori, con meno voti di quelli presi da Veltroni nel 2008 quando fu sconfitto da B.
Pur chiamandola ancora astensione, Renzi si consolò col fatto che altrove s’era astenuta ancora più gente: “Abbiamo il primato come paese del numero di chi ha votato”.
Ora che ha preso il 50-60% del 40%, gli manca anche la consolazione dei dannati e allora fa come i bambini: rimuove l’elemento negativo come “secondario”.
E pazienza se il Pd, fra Emilia e Calabria, ha perso 769.336 voti da maggio e 322.504 dal 2009.
Un bel paradosso, per un leader che ha sempre puntato tutto sul consenso popolare, dalle primarie al mitico Quarantunpercento.
Ma c’è del metodo in questa follia.
Mentre desertifica gli iscritti al Pd (il “mio partito” ne fa a meno) e diserta le piazze (ne fugge di continuo e sputtana chiunque — dai sindacati ai 5Stelle alla Lega — osi metterci piede), Renzi non fa altro che tentar di convincere gli elettori della loro inutilità : è andato al governo senza passare per le urne e vuole far nominare i deputati dai segretari di partito e i senatori dai consigli regionali.
Gli elettori servivano alla retorica del sindaco d’Italia e delle primarie (solo le sue, però: quelle “aperte”, drogate dai votanti berlusconiani).
Ora meno sono e meglio è: vedi mai che, una volta votato, pretendano di controllare che chi hanno eletto non faccia il contrario di quanto aveva promesso.
Pussa via, rompicoglioni. Sempre in vista del traguardo finale: un solo elettore, Lui. Che si vota da solo e prende il 100 per cento.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 25th, 2014 Riccardo Fucile
PER IL TG DI MIMUN FORZA ITALIA “SI ATTESTA”
Come molti italiani, ieri sera ero curioso di vedere come il Tg5 delle 20 avrebbe raccontato il tonfo berlusconiano in Emilia Romagna.
Ebbene, l’eroico Mimun è riuscito a seppellire la notizia.
Nei servizi non c’era traccia del «forte calo del centrodestra» accennato nei titoli di testa, nè tantomeno del sorpasso di Salvini, che ha preso due volte e mezza i voti di Berlusconi.
Tutti parlavano d’altro, e persino Toti — il Consigliere — è stato interpellato sulle domande che dovrebbe farsi non il suo partito ma quello di Renzi.
Ma il vero capolavoro è stata la formula scelta per riferire la percentuale del disastro: «Forza Italia si attesta all’8,7 per cento».
Si attesta.
Come quei generali che si attestano su un’altura in attesa di un attacco.
O quei telespettatori che si attestano sul divano in attesa che il Tg5 dia una notizia sgradita al suo proprietario.
Sebastiano Messina
(da “La Repubblica”)
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Novembre 25th, 2014 Riccardo Fucile
SCOPPIA IL CASO E IL PRESIDENTE BLOCCA TUTTO: “IO NON C’ERO”
In Abruzzo, il regalo di Natale, i consiglieri regionali se lo sono già fatto. 
Pochi giorni fa hanno approvato la modifica alla legge che permette loro di percepire in anticipo l’indennità di fine mandato (Tfr), direttamente in busta paga.
Più di 60 mila euro a testa che da oggi possono intascare senza alcuna giustificazione e in ogni momento.
O meglio, per citare esattamente il testo ritoccato, “in qualsiasi tempo”.
Sono bastate un paio di righe aggiunte all’articolo 2 della norma in questione (la 40 del 2010), per dare il via libera a un provvedimento per lo meno fuori luogo, visti i tempi e la difficile situazione economica che si trovano ad affrontare gli abruzzesi.
Un privilegio che i politici si sono concessi nel più totale riserbo, proprio mentre la Regione ha problemi finanziari così seri da rischiare di non poter pagare neppure gli stipendi ai lavoratori. Una mossa, quella per ottenere il Tfr anticipato, che è stata inserita addirittura “fuori sacco”, cosa che avviene quando l’argomento ha un’urgenza tale da essere discusso anche se non è all’ordine del giorno.
Ma il regalo di Natale che si sono fatti i consiglieri regionali abruzzesi, non è piaciuto alla gente. La notizia pubblicata sull’ultimo numero de L’Espresso ha fatto velocemente il giro della rete sollevando clamore e indignazione, e a fare marcia indietro è stato lo stesso presidente della Regione, Luciano D’Alfonso (Pd). “Non promulgherò questa legge fino a revoca”, afferma, “io non c’ero il giorno in cui l’hanno approvata”.
E D’Alfonso, che in campagna elettorale tuonava contro i provvedimenti “fuori sacco”, oggi si ritrova una patata bollente tra le mani. “Si tratta di una norma intrusa”, dichiara, “che non era nel programma e che non ha ragione di esistere”.
Qualche problema allora potrebbe sorgere con la maggioranza di governo, che lo stesso D’Alfonso non sa come giustificare se non con un senso di tardivo pentimento: “E’ stata fatta un’operazione di valutazione leggera, penso se ne siano pentiti”.
Ora, il governatore si trova a dover affrontare una situazione di conflitto con l’assemblea.
In effetti, stando allo Statuto della Regione Abruzzo, la legge va promulgata entro venti giorni dal presidente della Regione e non è prevista la “non promulgazione”.
Ma lui assicura, “non andrò avanti, io questa legge non la promulgo”.
Intanto, fa discutere anche l’atteggiamento della minoranza che ha votato compatta a favore.
Ad astenersi sono stati solo i 5Stelle.
Un atteggiamento condiviso che, grazie al metodo del fuori sacco, ha permesso ad una modifica del genere di rientrare a margine di provvedimenti seri, come i contributi destinati al credito agrario e quelli alla provvidenza in favore delle famiglie abruzzesi.
In questo calderone è stato inserito l’emendamento-privilegio, presentato dal vice presidente del Consiglio regionale, Lucrezio Paolini (Idv), e accolto con sorniona benevolenza dall’assise.
Melissa Di Sano
(da “il Fatto Quotidiano“)
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