ALLA CAMERA VOTO SUL JOBS ACT, TRENTA DISSIDENTI PD: “NON LO VOTIAMO”
NO DI CUPERLO E CIVATI… BERSANI: “VOTO SI’ PER DISCIPLINA”
L’Aula della Camera riprende l’esame del Jobs act, con i 109 ordini del giorno.
Il via libera dell’Assemblea di Montecitorio dovrebbe giungere oggi, con un giorno di anticipo rispetto alla tabella di marcia a suo tempo stabilita dalla conferenza dei capigruppo.
Il provvedimento per avere l’ok definitivo, deve tornare in Senato, poichè il testo è stato modificato dalla commissione Lavoro dove sono stati approvati gli emendamenti frutto dell’accordo tra il governo e la minoranza Pd che puntava a ridimensionare la possibilità di modificare lo Statuto dei lavoratori.
Le novità .
Tra le novità più significative introdotte durante l’esame in Commissione c’è la norma che da una parte esclude per le nuove assunzioni la possibilità di reintegro per i licenziamenti economici (prevedendo solo un indennizzo “certo e crescente con l’anzianità di servizio”) e dall’altra parte conserva il diritto al reintegro nel posto di lavoro solo per i licenziamenti “nulli e discriminatori” e per “specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato” che poi verranno definite nei decreti delegati dall’esecutivo.
L’appello all’unità di Orfini.
All’interno del Pd non si placano i malumori della minoranza. Ma il presidente del partito, Matteo Orfini, fa un appello in extremis ai dissidenti: “Abbiamo raggiunto una larghissima unità sul testo, spero che per rispetto della discussione fatta, dei cambiamenti apportati, del lavoro di ascolto reciproco e della nostra comunità , si voglia fare tutti un ultimo sforzo in Aula”, aggiunge.
Cuperlo: “Non ci sono condizioni per il sì”.
Diversamente per Gianni Cuperlo non ci sono le condizioni per il sì: “Noi non ci sentiamo di esprimere un voto favorevole su Jobs act”, annuncia il deputato dem, che caldeggia l’ipotesi di non esprimere il voto sul testo.
“Il punto a cui si è arrivati – sottolinea – non è soddisfacente. Il problema non è come licenziare, ma come assumere”.
Il ‘no’ di Civati.
Per Pippo Civati, invece, bisogna dire no alla riforma. La maggior parte dei deputati della componente di minoranza Area riformista, invece, dovrebbe votare sì.
Non teme i numeri troppo bassi Stefano Fassina: “Per noi – afferma – è uno strappo rilevante, perchè noi siamo parte della maggioranza, ma non voteremo per questa delega. Non saremo un gruppo sparuto, ma un numero politicamente impegnativo. E non temiamo conseguenze disciplinari”.
A quanto pare sono circa 30 i deputati del Pd pronti a non votare a favore.
Il nodo sul comportamento da assumere sarà sciolto nel corso di una riunione che si terrà all’ora di pranzo. Le ipotesi, dunque, sono il voto contrario in Aula o l’uscita dall’emiciclo di Montecitorio.
Bersani: “Nessuna fronda”
Sul rischio di una fronda nel Pd, l’ex segretario Pier Luigi Bersani, invece non ha grandi timori e invita a non drammatizzare il dissenso: voterà il jobs act “per disciplina” anche se non condivide alcune norme.
“Non è giusto parlare di fronde e la connessione con i risultati di ieri non c’entra niente”, ha detto. “Siamo davanti a dei miglioramenti indiscutibili, di cui bisogna ringraziare i membri della commissione. C’è però un imprinting iniziale di queste norme – ha spiegato – che non convince. Il mio caso è il caso di uno che per la parte che condivide, voterà con convinzione. Per quella che non condivide, e continua a non condividere, voterà per disciplina, come si conviene a uno che ha fatto il segretario per quattro anni e che vuole ribadire che i legni storti si raddrizzeranno solo nel Pd, da nessuna altra parte”.
(da “La Repubblica”)
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