Novembre 26th, 2014 Riccardo Fucile
RENZI DICE NO, MA NON INTENDE ROMPERE
Quanto vale il Colle? Per Berlusconi tanto, tantissimo. 
Vale per esempio il voto favorevole all’Italicum, con il premio alla lista e tutto il vagone di modifiche – comprese le soglie di sbarramento al 3% salva cespugli – che nel tempo Renzi gli ha attaccato in coda.
È il Grande Scambio che in queste ore il leader di Forza Italia ha recapitato a palazzo Chigi.
Un accordo politico per abbracciare le due scadenze più importanti della legislatura: la scelta del successore di Napolitano e l’approvazione della nuova legge elettorale.
In questo ordine. «Prima concordiamo insieme un nome per il Quirinale – è l’offerta dell’ex Cavaliere – e poi daremo il via libera alla legge elettorale. Anche con il premio alla lista più forte e non alla coalizione ».
E chi sia secondo lui il nome più adatto per il Colle Berlusconi lo va dicendo da tempo nei colloqui riservati: l’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato.
Questo è il “deal” sul tavolo. Ma la risposta che arriva da Matteo Renzi è secca e senza alternative. «No grazie». Lo scambio è inaccettabile.
I tempi della riforma elettorale restano quelli fissati durante l’ultimo incontro a palazzo Chigi. Nessuna deroga, nessun rinvio.
«Berlusconi – ha spiegato il premier ai suoi – ha firmato quel comunicato che prevede il voto finale al Senato entro dicembre. Se ci ha ripensato possiamo approvarlo tranquillamente da soli, di certo non possiamo aspettare l’elezione del presidente della Repubblica, che peraltro non so nemmeno quando avverrà ». Insomma, se l’offerta di Berlusconi nasconde un tentativo di melina per tenere ancora in commissione la legge elettorale, Renzi minaccia di fare saltare il Nazareno.
E con esso anche il gentlemen’s agreement che finora ha governato i rapporti con Arcore.
«Berlusconi – insiste il capo del governo – può scegliere se stare dentro i patti e fare il padre costituente. Ed essere coinvolto nelle scelte future. Oppure può restarsene fuori».
Il premier non esclude quindi di «coinvolgere» Forza Italia nella scelta del prossimo capo dello Stato. Ma non accetta ricatti impliciti sulla legge elettorale, nè scambi al ribasso.
Le due cose – Quirinale e Italicum – devono viaggiare su binari separati.
Nessuna «contestualità ». È chiaro che la fretta di Renzi di approvare prima di Natale l’Italicum rafforza l’idea che il segretario del Pd abbia sempre in testa le elezioni anticipate.
Un sospetto che coltivano in molti, anche se il capogruppo Pd Luigi Zanda smentisce che sia questa la prima opzione. «So per certo – confida – che vuole andare avanti. Abbiamo messo in cantiere talmente tanta roba…Finchè il parlamento tiene il passo perchè dovrebbe far saltare la legislatura? Certo, se tutto si ferma… ».
A quel punto, anche con una legge che vale solo per Montecitorio, il premier romperebbe gli indugi e punterebbe alle elezioni con due sistemi differenti: Italicum alla Camera e Consultellum al Senato.
Gli esperti elettorali gli hanno infatti spiegato che la legge rimasta in vigore dopo i tagli al Porcellum imposti dalla Consulta è sì proporzionale, ma con una soglia di sbarramento dell’otto per cento.
E l’effetto concreto di una tagliola così alta sarebbe quello di far crescere i seggi per i partiti più grandi.
«La soglia alta imprime una torsione maggioritaria al Consultellum — fa notare una fonte vicina a palazzo Chigi — e lo rende di fatto un quasi-maggioritario».
Con un Pd intorno al 40 per cento di voti reali non sarebbe impossibile immaginare di raggiungere il 45-47 per cento.
«Salvini vuole andare a votare? Una parte di Forza Italia vuole andare a votare? L’unico che non ci vuole andare e proseguire con le riforme sono io — nicchia Renzi però…».
E tuttavia per correre alle elezioni anticipate, Consultellum o meno, serve anzitutto un capo dello Stato disponibile a mandare a casa il parlamento.
Una disponibilità che Napolitano ha sempre rifiutato. Posto che il capo dello Stato lascerebbe al suo successore una scelta del genere, anche i tempi remano contro un ritorno alle urne a giugno.
Chi, come Pier Ferdinando Casini, frequenta sia palazzo Chigi che il Quirinale spiega infatti, calendario alla mano, quanto possa essere complicato far saltare il banco.
«Se Napolitano restasse, poniamo, fino a metà febbraio dovremmo calcolare un periodo di “reggenza” di Grasso di un paio di settimane per convocare il parlamento in seduta comune con i delegati regionali. Le votazioni inizierebbero il primo marzo. Poi tra elezione effettiva, giuramento e insediamento, arriviamo a fine marzo. E a quel punto il nuovo capo dello Stato che fa? Per portarci a votare a giugno dovrebbe, come primo atto, sciogliere il parlamento che lo ha appena eletto. Improbabile».
Il calendario Casini è realistico. Ma si scontra con la possibilità che la situazione sfugga comunque di mano.
Insomma, lo spettro delle elezioni anticipate a giugno è tutt’altro che scomparso.
Per questo Forza Italia, come subordinata allo scambio Quirinale- Italicum, sta chiedendo che almeno venga inserita nella riforma elettorale una «norma transitoria » che vincoli l’entrata in vigore della legge all’approvazione della riforma costituzionale del Senato.
«La norma transitoria sarebbe la garanzia della buona fede di Renzi – spiega il capogruppo forzista Paolo Romani – . Del resto nel comunicato Renzi-Berlusconi c’è anche scritto che legislatura “dovrà proseguire fino alla scadenza naturale del 2018”. Il patto del Nazareno per noi resta validissimo e in piedi, ma tutto si tiene».
Intanto oggi in commissione affari costituzionali comincia la discussione generale sull’Italicum. Con il Jobs Act in arrivo dalla Camera e le vacanze di Natale ci vorrebbe un miracolo per approvarlo rispettando la tabella di marcia di palazzo Chigi.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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Novembre 26th, 2014 Riccardo Fucile
L’ISPETTORATO DEL LAVORO DOPO DIECI MESI DI ACCERTAMENTI DA’ RAGIONE ALL’EX MILITANTE CINQUESTELLE CHE ORA CHIEDE LE LORO DIMISSIONI
Carlo Baratta ha lavorato per le senatrici del Movimento 5 stelle Laura Bottici e Sara Paglini. In arrivo multe salate alle due parlamentari che hanno sempre dichiarato di non averlo mai assunto come assistente.
Dopo un’indagine durata dieci mesi, il ministero del Lavoro non solo ha definitvamente accertato che l’ex militante grillino abbia lavorato per le due senatrici, ma ha provveduto anche a «regolarizzare le sue prestazioni lavorative» che prima non lo erano.
L’ispettorato provinciale ha riconosciuto a Baratta due separate collaborazioni — una con Bottici e l’altra con Paglini — da 200 euro l’una come «mini co.co.co» per un totale di 20 ore menisili dal primo al 30 giugno del 2013.
Ora nei confronti delle due senatrici il ministero fa già sapere di aver adottato «i provvedimenti amministrativi previsti dalla legge», mentre i vari istituti di previdenza stanno provvedendo alla quantificazione dei contributi che spettano a quello che sarebbe dovuto essere uno dei loro più stretti collaboratori
Ex assicuratore disoccupato da 4 anni, Carlo Baratta (che nel frattempo si è laureato in agraria) è stato per anni uno dei più attivi militanti del Movimento 5 stelle cittadino, tanto da essere candidato per un seggio in consiglio comunale prima e in parlamento poi.
La sua rottura e successivo allontanamento dal Movimento si sono consumati subito dopo le scorse elezioni politiche, quando le due neoelette senatrici hanno scelto di affidarsi ad altri collaboratori.
Da quel momento Baratta ha subito iniziato a denunciare di «essere stato trattato in maniera scorretta, tanto da Bottici, quanto da Paglini».
Entrambe gli avrebbero fatto sottoscrivere un contratto di lavoro, senza poi rispettarlo. A queste accuse tanto le due parlamentari, quanto buona parte degli altri militanti si sono sempre opposti con forza.
«Carlo Baratta ha dichiarato di aver lavorato per me ‘da giugno a luglio 2013’, niente di più falso» diceva al nostro giornale Sara Paglini lo scorso 3 aprile, mentre la sua collega Laura Bottici aggiungeva: «Tra Carlo Baratta e la sottoscritta non c’è mai stato un rapporto di lavoro».
Ora l’ispettorato del lavoro ha stabilito l’esatto contrario.
«Il ministero — spiega Baratta — ha potuto accertare solo un mese di contratto, ora andrò in tribunale, assistito dagli avvocati Marta Marchetti e Alessandro Rocchi, perchè mi vengano riconosciuti anche gli altri cinque per cui avevo firmato. Adesso, comunque, è stato dimostrato che è stata violata la legge e credo che chi ha sbagliato all’interno del Movimento si debba assumere le proprie responsabilità . Mi riferisco a chi, come il consigliere comunale Matteo Martinelli, nei mesi scorsi ha definito tutta la questione ‘una montatura’, o chi, come lo stesso Beppe Grillo, i consiglieri comunali, tutti i senatori e buona parte dei deputati, tra cui il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio e il deputato toscano Alfonso Bonafede, con i quali ho avuto un contatto diretto, abbia preferito tacere sperando che passasse la bufera. Ora — prosegue —, oltre alle scuse dovute per come sono stato trattato, sia a Roma che in città , chiedo alle due senatrici di fare un passo indietro e di dimettersi perchè chi ha commesso un illecito per di più nell’esercizio delle proprie funzioni, non ha più la statura etica e morale per rappresentare i cittadini. Per questo chiedo ai senatori di ogni schieramento politico di adoperarsi per riportare onestà e giustizia nelle aule del Senato, proponendo almeno una mozione di sfiducia nei confronti di Laura Bottici come questore del senato, essendo essa inadempiente nei confronti del suo stesso ufficio».
Claudio Laudanna
(da “La Nazione“)
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Novembre 26th, 2014 Riccardo Fucile
38 DEPUTATI DEL PD FUORI DALL’AULA… RENZI ADESSO È IN GRANDE DIFFICOLTà€ ANCHE ALLA CAMERA… TRA I SUOI CRESCE LA VOGLIA DI URNE CON CONSULTELLUM
Lorenzo Guerini, vice segretario del Pd, tessitore di natura, e di indole solitamente calmissima, quando il
tabellone di Montecitorio fotografa il voto sulla riforma del lavoro, è palesemente nervoso e irritato.
La maggioranza al jobs act è di 316 voti. Solo uno sopra la soglia della sfiducia. Nonostante il tentativo portato avanti per tutto il giorno dai vertici dem per arrivare a una mediazione, in 38 del Pd non hanno partecipato al voto.
Con loro anche Forza Italia, l’altra gamba non formale, ma sostanziale che sta tenendo in piedi la legislatura.
I renziani parlano di “scorrettezza” e di “mancanza di coraggio”: se fanno così, dovrebbero andarsene, il ragionamento di molti. “Ma non sono capaci”.
“Si meriterebbero che si votasse domani con il Consultellum, con loro fuori dalle liste”, il commento che gira.
Una tentazione che — almeno tra gli uomini del premier — è in ascesa: tant’è vero che si fanno continui sondaggi e simulazioni.
Renzi per natura sarebbe tentato di andare all’affondo ma la linea, decisa in mattinata, è “calma e gesso”.
Non cambia però la valutazione sui circa 30 che si sono sfilati: irresponsabili che, per calcoli politici, “per frenarmi” hanno ignorato la mediazione fatta nel Pd, una mediazione che “ha convinto anche ex sindacalisti come Damiano, Bellanova, Epifani”.
Il quadro è fosco, tra il prossimo passaggio della riforma del lavoro in aula al Senato, dove i numeri sono molto più ristretti, la legge di stabilità , e l’Italicum e le riforme costituzionali al palo, con il disfacimento di Forza Italia.
Anche perchè su queste la fiducia non si può mettere.
Alle cinque del pomeriggio nell’aula di Montecitorio si vedono arrivare ministri e sottosegretari. Di corsa. Per votare. Una scena che alla Camera, nell’era del governo Renzi, non s’era ancora mai vista.
“Nella Camera dove la maggioranza è più forte abbiamo creato una faglia”, commenta Giorgio Airaudo di Sel.
La faglia è grossa, ed è stata fondamentale la posizione della minoranza Pd, seppur divisa e litigiosa al suo interno.
L’opposizione si allarga. “Sono sette con otto posizioni diverse”, ironizza la giovane turca, Giuditta Pini. E in effetti, ogni riunione sottolinea differenze e liti.
Ma nonostante questo alla fine 38 dem (su un gruppo di 307 componenti) non dice sì al Jobs act. Due dicono no, altri due si astengono: sono quattro civatiani, quelli da tempo ad un passo dall’uscita dal partito.
I no sono di Giuseppe Civati e Luca Pastorino, gli astenuti Paolo Gandolfi e Giuseppe Guerini.
In aula c’è pure il ministro del Lavoro Padoan, che quando si avvicina a Civati gli dice: “Ti ringrazio per aver espresso la tua contrarietà ostinatamente. Gli altri l’hanno fatto più disordinatamente”.
Gli altri, infatti, non partecipano al voto. Tra questi in 29 mettono la firma in calce ad un documento in cui spiegano le ragioni del loro non voto.
Tra loro ci sono Gianni Cuperlo, Rosi Bindi, Francesco Boccia, Davide Zoggia, Alfredo D’Attorre e un altro drappello di bersaniani.
La cui corrente, invece, che ha cercato l’accordo con il governo, Cesare Damiano in testa, ma anche Guglielmo Epifani, bacchetta con durezza l’iniziativa.
Lo stesso Bersani la mette così: “Voterò le parti che mi convincono con piacere e convinzione e le parti su cui non sono d’accordo per disciplina”.
Le minoranze non votanti fanno un documento unitario, e adesso provano ad andare avanti sull’opposizione dall’interno. Una grana per il governo. Che in Senato metterà la fiducia. Una scelta inevitabile, che, ammettono molti dei ribelli, salverà anche loro da scelte troppo difficili: la fiducia si deve votare.
Almeno sembra, perchè l’impressione è che il quadro politico sia del tutto fuori controllo. Saranno presi provvedimenti nei confronti delle minoranze? Matteo Orfini, presidente del partito, assicura di no.
Poi, prova a minimizzare: “Il 9% del gruppo ha votato no. Non mi pare una tragedia”.
In realtà , l’impressione che non si tenga più quasi niente è collettiva.
Ma il punto è che arrivare alle elezioni è complicato: Napolitano non scioglie le Camere e con le sue dimissioni, si chiude la finestra elettorale di primavera.
Ma così è la palude continua. Il premier a mediazioni (e a espulsioni) non ci pensa proprio: “Non do pretesti, ognuno scelga in che partito vuole stare, io vado avanti in ogni caso”.
I numeri dicono che non è così facile.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 26th, 2014 Riccardo Fucile
LA SOVRAESPOSIZIONE TV DI MATTEO SALVINI: GLI MANCANO SOLO LE PREVISIONI METEO… FINITE LE AMPOLLE, ARCHIVIATA LA SECESSIONE, ORA FILO DIRETTO CON MOSCA: FINCHE’ DURA LA MODA
Prossima tappa il Sud. Sì, proprio quello brutto, sporco e cattivo di una volta.
È qui, oltre il Garigliano, che Matteo Salvini vuole piantare le prossime bandiere della vittoria. Iniziando da Napoli e Bari, i Borboni e Murat assieme ad Alberto da Giussano per conquistare voti.
Quelli delle prossime elezioni regionali di primavera in Campania e Puglia.
La strategia è già pronta, una Lega che non sarà più Nord, nazionalizzata, e una sola certezza: nel simbolo deve esserci il nome “Salvini”.
Il team di sondaggisti ingaggiati dal Capo ha già pronti diagrammi, slide e percentuali, lo rivela il sito di analisi politica affariitaliani.it  : il brand di Matteo sulla scheda elettorale al Sud vale intorno al 4-5%, che proiettato su scala nazionale fa il 2-3.
E allora basta con le canzoncine sguaiate sui napoletani (“senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani… oh colerosi, terremotati, voi col sapone non vi siete mai lavati”), intonate nelle notti di Pontida innaffiate da troppa birra e poco senso politico.
Le parole devono unire, gli slogan devono essere semplici e sfondare da Brescia a Trapani.
“Prima gli italiani”, è la parola d’ordine che Salvini ripete ossessivamente a talk unificati, preferibilmente con una t-shirt o una felpa con la scritta ben visibile “Stop invasione”.
Già i talk e la televisiun, un Matteo davanti alla telecamera vale 2-3 punti di share, lui lo ha capito e non rifiuta una ospitata che sia una.
Finora ha evitato solo le previsioni meteorologiche e i programmi di cucina (anche se da giovane aveva partecipato al Pranzo è servito), ma tempo al tempo, quando per la causa si tratterà di preparare in diretta una cassoeula, si farà .
La parola d’ordine “prima gli italiani” fa il giro delle banlieue di casa nostra, è rivolta a chi è in attesa di una casa popolare, a chi se la vede occupata da abusivi, a chi è da anni in graduatoria, diventando “il verbo” del disagio sociale diffuso giorno dopo giorno da militanti leghisti.
Si amplifica fino a diventare “virale”, quando Salvini porta la questione delle periferie in televisione.
Allora i talk si fiondano nei grandi quartieri popolari di Roma e di Milano. Finalmente la gente che lì vive (malissimo) ha a disposizione un microfono quasi h24.
Le immagini di pensionate costrette a barricarsi in casa perchè “ci sono troppi neri in giro”, o perchè a ridosso del quartiere la giunta comunale (preferibilmente di sinistra e perciò buonista) ha piazzato un campo rom, girano e creano uno strano fenomeno di emulazione.
Ognuno fa la sua barricata e pretende un microfono.
Animale politico ibrido e opportunista, che nella sua carriera si è finanche definito “comunista padano”, Matteo Salvini sa quali carte giocare per diventare il Le Pen italiano e prendersi un centrodestra in coma.
Sovranità monetaria, no euro, tutela della famiglia tradizionale e aliquota unica per le tasse al 15-20% (“funziona in molti Paesi, così si combatte l’evasione, le imprese investono e assumono”): questi i punti cardine della strategia.
L’elettore medio della nuova Lega, ha spiegato Nando Pagnoncelli , è concentrato soprattutto al Nord, ha tra i 45 e i 64 anni, è un cattolico praticante (verrebbe da ridere…n.d.r.), e appartiene a quei settori particolarmente colpiti e spaventati dalla crisi.
Operai delle fabbriche chiuse, piccoli commercianti, pensionati, esodati e vittime della legge Fornero. Insomma , tutti quei settori della società senza più punti di riferimento politici, “rifiutati” dal Pd, dimenticati dalla sinistra, non “compresi” nelle confuse strategie grilline.
Con chi parla il pensionato che abita in una casa popolare di una mega periferia metropolitana, chi incontra, quali parole ascolta?
Una prateria sconfinata per il nuovo soggetto fascio-leghista che Salvini sta costruendo. Le prime prove a ottobre con la manifestazione di Milano contro l’immigrazione insieme a Casa Pound.
Ha voglia il vecchio Umberto Bossi a dire che “la Lega nasce antifascista”, Salvini vuole fare come a Parigi.
“Perchè in Europa un solo modello è vincente, quello che abbraccia Front National in Francia, Ukip in Gran Bretagna, Lega, Fratelli d’Italia-An in Italia”.
Parola di Lorenzo Fontana, europarlamentare leghista e consigliere più ascoltato dal leader. “L’equivalente di quello che fu il professor Miglio per il Bossi della prima ora”, dicono negli ambienti della Lega.
Fontana, salde radici veronesi e una laurea in Scienze politiche, per il sito Dagospia è il Kissinger di Salvini.
È lui ad aver avvicinato Matteo a Putin, per il leader della Lega lepenista “vera diga contro il terrorismo islamico”.
Il presidente russo è alla ricerca di collegamenti con la destra europea e in queste ore tiene banco la vicenda dei 9 miliardi versati al movimento di Marine Le Pen.
L’oro di Mosca arriverà anche alla Lega? “Soldi non ne abbiamo visti e non ci interessa chiederli. Il nostro appoggio alla Russia è totalmente disinteressato”, è la replica di Salvini.
Il viale che porta alla conquista del centrodestra non è lastricato di rubli.
Per il momento.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 26th, 2014 Riccardo Fucile
L’ITALIANO MEDIO CHE LE HA PROVATE (QUASI) TUTTE
Salve, sono l’Italiano Medio. 
Non mi sento particolarmente nè di destra nè di sinistra: le ho viste all’opera tutt’e due e non mi sono parse un granchè. Il centro, poi, non ho mai capito che roba sia, sebbene abbia letto per anni il Corriere della Sera, o forse proprio per questo.
Non ho mai chiesto la luna, anzi sono uno che si accontenta di poco: vorrei essere governato da gente normale più o meno come me, mediamente perbene e abbastanza competente, che parla solo quando ha qualcosa da dire, e per il resto lavora.
Siccome poi pago le tasse (anzi, me le trattengono: sono un lavoratore dipendente in attesa della pensione, se mai la vedrò), gradirei saperle utilizzate per servizi pubblici decenti e non sperperate in sprechi o rubate in furti vari. Tutto qui.
Nella Prima Repubblica votavo i partiti di governo per paura dei comunisti, anche se non riuscivo a scrollarmi di dosso la fastidiosa impressione che Berlinguer fosse meglio di Andreotti e di Craxi (a volte quel pensiero molesto si estendeva perfino ad Almirante, almeno quando appariva in tv, ma riuscivo a scacciarlo subito).
Poi è arrivata Tangentopoli e istintivamente ho simpatizzato per i magistrati di Mani Pulite, che trattavano i ladri di Stato esattamente come i ladri di polli.
Mi pareva di aver letto da qualche parte, credo nella Costituzione, che è giusto così. Ma da un certo momento in poi sentii dire in tv e lessi sul Corriere che a furia di ripetere “non rubare” rischiavo di ammalarmi di giustizialismo, così smisi.
Quel Berlusconi che si affacciava sulla scena, tutto denti e miliardi, non è che mi convincesse molto, ma tutti dicevano che era un grande imprenditore che si era fatto tutto da sè e vai a sapere che si era fatto dare una mano da gente poco raccomandabile: la prima volta lo votai, vedi mai che di quel successo nella vita privata ne portasse un po’ anche in quella pubblica.
Me ne pentii subito, anche perchè durò meno di un anno e badò solo agli affari suoi: a me però bastarono due facce, quelle di Previti e Dell’Utri, furono più utili di mille politologi.
Nel ’96 votai Ulivo: mi stava simpatico Prodi perchè non è un comunista, ma un tipo normale, che non le spara grosse e parla, anzi borbotta poco, un po’ come me.
Ci portò in Europa con l’aiuto di Ciampi, e mi parve una cosa buona: il biglietto d’ingresso, l’Eurotassa, fu la prima imposta che pagai volentieri, anche perchè ce ne restituirono un pezzo.
Ma durò poco anche lui: D’Alema diceva che un Paese normale non può essere governato da un professore che non ha dietro un grande partito tutto suo e non dialoga con Berlusconi per rifare la Costituzione. Sarà .
A me la Costituzione, per quel poco che ne so, non pare malaccio, però tutti dicevano che andava rifatta e intanto Prodi cadde.
Dei governi “normali” al posto del suo, D’Alema e Amato, non ricordo granchè.
Se non che fecero tornare Berlusconi, stavolta per cinque anni: un disastro epocale, solo affaracci suoi (s’arrabbiò perfino la mafia, sentendosi trascurata). Quando il Cavaliere cancellò il falso in bilancio e cacciò pure Enzo Biagi dalla tv, trattandolo come Renato Curcio, partecipai anche a un paio di girotondi.
Poi però il Corriere disse che eravamo dei pericolosi manettari nemici del dialogo, e allora smisi.
Nel 2008 volevo astenermi, ma poi mi trascinai a rivotare Prodi, che restava il meno peggio. Lo rifecero fuori un paio d’anni dopo: il tempo di mandar fuori di galera 30 mila delinquenti (non ho mai capito perchè, quando le carceri scoppiano, non ne apriamo di nuove, ma spalanchiamo le porte di quelle vecchie).
Quattro anni di film horror: “Il ritorno del morto vivente”. Poi arrivò Monti con i suoi tecnici e respirai: vabbè, almeno hanno studiato e sanno far di conto.
Anch’io facevo i conti: mi mancava qualche mese alla pensione. Ma subito una ministra che piangeva con la faccia cattiva mi spiegò che ero un nababbo parassita come tutti i pensionati, insomma dovevo lavorare altri 7-8 anni.
E mio figlio, che aveva appena trovato lavoro, era un privilegiato e doveva vergognarsi per via dell’articolo 18, che infatti fu dimezzato. Boh.
Mi vennero dei cattivi pensieri anche sui tecnici e mi buttai sui 5Stelle.
Mica per Grillo: per quei ragazzi puliti che entravano in Parlamento senza un euro di soldi pubblici. Grande vittoria.
Speravo che cambiassero un po’ le cose, ma furono subito messi ai margini. Per farmi capire che il mio voto contava zero, tornarono le larghe intese e, per maggior chiarezza, fu pure rieletto Napolitano.
Letta durò nove mesi, poi arrivò Renzi: diceva cose giuste, più o meno le stesse di Grillo. Intanto i 5Stelle litigavano e si espellevano: sospetto che qualcosa di buono stiano facendo, in Parlamento, ma è solo un’impressione. In tv non li vedo mai e il computer non fa per me.
Così, alle Europee, ho votato Renzi. Grande vittoria. Ma me ne son subito pentito: il giovanotto ha cominciato a fare il contrario di quel che diceva.
Ha riesumato il morto vivente, ha ricominciato a menarla con la Costituzione da cambiare e con i parlamentari da nominare. Ha perfino ripetuto che mio figlio è un privilegiato, sempre per l’articolo 18.
Domenica mi sono astenuto, come i due terzi dei miei corregionali: stavolta capiranno il messaggio forte e chiaro.
Macchè: il tipetto dice che siamo secondari. Ma che devo fare per farmi ascoltare? Se voto, non conto niente. Se non voto, idem.
Dovrò mica mettermi a menare, alla mia età ?
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 26th, 2014 Riccardo Fucile
NON SERVE ABOLIRE DAI LIBRI DELLE ELEMENTARI LE IMMAGINI DI BAMBIME CHE CUCINANO E CULLANO BAMBOLE, OCCORRE RISCOPRIRE CHE AMORE NON E’ POSSESSO
Il Pd ha presentato un disegno di legge per abolire dai libri delle elementari le immagini di bambine che cucinano e cullano bambole, nella beata convinzione che siano quegli stereotipi ad alimentare il maschilismo della società e le violenze contro le donne.
A me sembra che ancora una volta si giri cerebralmente intorno al punto.
E il punto non riguarda la scarsa consapevolezza del ruolo della donna, ma la totale ignoranza del significato dell’amore.
La mancanza, cioè, di un’educazione sentimentale. I sentimenti sono stati espulsi dal discorso pubblico.
L’orrore può essere raccontato in ogni sua forma, così come la retorica melensa. Ma il sentimento no. Il sentimento viene confinato alla sfera privata per false ragioni di pudore.
Solo che, a furia di confinarlo, nessuno sa più cos’è.
Il maschio che picchia una donna è anzitutto un maleducato sentimentale. Uno per cui l’amore si esprime attraverso il possesso di un’altra persona.
Mentre l’amore, come ci ha invano ricordato Platone due millenni e mezzo fa, consiste nel desiderare il bene della persona amata anche quando non coincide con il nostro.
Consiste nel dare, non nel ricevere.
Perciò l’amore è più forte del senso di sconfitta che ti infligge un rifiuto o un abbandono.
Perchè ti permette di accettare la perdita senza sentirti ferito nell’orgoglio nè menomato nella tua personalità .
Amare significa sapere accogliere e lasciare andare. E’ l’esatto opposto del possesso. E’ la forma più alta di libertà .
Spieghiamo questo ai bimbi delle elementari, e lasciamo in pace le bambole.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Novembre 26th, 2014 Riccardo Fucile
“IL GOVERNO, INVECE CHE RECUPERARE L’EVASIONE FISCALE, TAGLIA I FONDI AGLI ENTI LOCALI CHE COSI’ AUMENTANO LE TASSE”… “RENZI HA DELUSO, HA CREATO SOLO CONFLITTI SOCIALI”…”DIETRO L’ASTENSIONISMO UN FRAGOROSO SILENZIO CHE POTREBBE ESPLODERE IN NUOVE FORME DI AGGREGAZIONE POLITICA”
Presidente, sappiamo che lei ha operato professionalmente a Genova per diversi anni: che pensieri le sono
venuti alla mente quando ha saputo dell’ennesima tragedia che ha colpito la città ? La politica sembra interessarsi del dissesto ambientale solo a tragedie avvenute, gli enti locali non hanno soldi per gli interventi, il governo taglia. E’ possibile invertire la marcia?
Ho lavorato a Genova per 5 anni e una tragedia del genere non mi era toccato di vederla. Rammento che in una sua precedente intervista parlammo di questo, della totale assenza di intervento da parte delle istituzioni per prevenire il disssesto idrogeologico e dei mancati finanziamenti a opere prioritarie. Tagliare è facile, sono anni che i fondi diminuiscono e quando arrivano tragedie annunciate tutti fanno finta di cascare dal pero. Occorrono dei sindaci che battano i pugni sul tavolo a tempo debito, disposti a dimettersi piuttosto che accettare i ricatti romani. Abbiamo amministratori troppo accomodanti e poi le conseguenze le pagano i cittadini, in termini economici e purtroppo anche di vite umane.
La sua candidatura a titolo gratuito alla Presidenza dell’Inps non è stata neppure presa in considerazione: non ritiene anomalo che un semplice cittadino con un curriculum adeguato che si candida a un ruolo pubblico non venga neanche convocato per ascoltare il suo programma? Che impressione ha ricavato da questa esperienza?
Sapevo che era una “mission” difficile, ma occorre provarci per capire cosa significa per i Palazzi del potere l’abusato concetto di meritocrazia di cui si riempiono la bocca. Il cittadino comune si illude che le nomine negli Enti di Stato si facciano sulla base di criteri di professionalità , ma non è così. A detta di molti avevo le carte in regola per concorrere, non dico per essere il prescelto: non sono mai stato nemmeno convocato per valutare il mio progetto di risanamento dell’Inps. Per non parlare dei media: ignorato anche da stampa e Tv perchè non avevo sponsor adeguati. Ora stiamo preparando un ricorso/denuncia contro il premier e il ministro competente. Nel frattempo hanno nominato come commissario un 75enne ex ministro del Lavoro, titolare della legge che ha favorito le pensioni dei sindacalisti.
La Legge di Stabilità , presentata dal governo, è basata sul deficit per circa 11 miliardi (portando il rapporto debito-Pil dal 2,2% al 2,9%) e per tagli teorici di 15 miliardi agli enti locali. Non c’è il rischio di indebitare le generazioni future e di soffocare i servizi sociali, quindi i ceti più bisognosi di aiuto?
Occorre intervenire sul recupero dell’evasione fiscale, non ci sono alternative. Ridicolo fare ancora tagli agli enti locali che a loro volta saranno costretti ad aumentare i tributi ai cittadini: è un circolo vizioso da cui non si esce. Penalizzando alla fine i servizi sociali e le categorie disagiate: se ci vogliono portare alla situazione della Grecia, almeno lo dicano…
Renzi ha ridotto le tasse solo alle grandi imprese con le misure sull’Irap per la parte componente lavoro e ha promesso tre anni di esenzione dei contributi per chi assume a tempo indeterminato. Molti economisti temono che senza una ripresa del mercato nessun imprenditore procederà ad assunzioni di quel tipo.
In Italia ormai non assume più nessuno, altro che contratti a tutele crescenti, il problema è il rilancio dell’economia, tutto il resto è solo fumo per ingannare i giovani in cerca di occupazione. Le tasse poi le hanno ridotte alle grandi imprese non certo ai piccoli imprenditori che continuano a chiudere per disperazione
Come giudica l’aumento della tassazione sulla previdenza integrativa?
La giudico un furto per battere cassa, come per il Tfr sulla busta paga: questo accantonamento è sempre servito come un risparmio futuro da conservare per la vecchiaia, un salvagente in caso di malattie, un gruzzolo per integrare la pensione. Ma ormai neanche più in pensione si riuscirà ad andare e queste saranno sempre più misere.
Mgo sta promuovendo numerosi incontri tematici sul territorio su temi “reali” come quelli della disabilità e della invalidità civile, delle adozioni e dei diritti civili. Che posizione avete al riguardo?
Mgo è nato con questo spirito di servizio, ovvero lavorare sul territorio per dare voce agli “invisibili”, per comprendere il disagio che stanno vivendo queste categorie di cittadini. Stiamo girando l’Italia per raccogliere denunce e testimonianze da tradurre in proposte di legge. Per quanto riguarda le adozioni occorre una semplificazione burocratica che elimini tante pastoie. Sui diritti civili siamo in prima linea: il nostro slogan è “senza diritti siamo solo schiavi” e su questa base il nostro programma sta ottenendo importanti riscontri e adesioni, anche dall’estero
E’ in rete anche “Pensiero Libero Mgo”, il nuovo magazine del suo Movimento, come aveva promesso: quale impostazione e finalità lo caratterizzano?
“Pensiero libero Mgo” potremmo dire che nasce a causa dei silenzi dei media nazionali sulla nostra attività . In Italia, a parte poche eccezioni, e voi tra queste, non esiste la libera informazione. Sono per la maggior parte asserviti al potere politico e un movimento spontaneo di gente comune è visto con sospetto. Allora abbiamo deciso di far uscire un magazine che veicolasse le nostre idee e le nostre proposte. E’ interamente autofinanziato dai nostri iscritti e non cerca finanziamenti dalla legge per l’editoria, a differenza di tante testate vicine al Palazzo. Regaliamo addirittura pubblicità gratuita alle piccole imprese: è un segnale di diversità reale.
La “luna di miele” di Renzi con gli italiani sembra volgere al termine, i consensi per il premier calano: si aprono nuovi scenari?
Renzi è un prodotto costruito a tavolino, doveva essere giovane e rottamatore apparente, ma il risultato quale è, quali interessi operano dietro di lui? Il disegno lo aveva intuito Grillo, ma poi si è perso anche lui tra i palazzi del potere, vanificando il progetto iniziale. Quando il fallimento di Renzi sarà evidente a tutti gli italiani, recupereranno le vecchie glorie di sinistra e di destra e nulla cambierà . Renzi poi ci ha messo del suo, manifestando un delirio di onnipotenza che era già stato fatale a Berlusconi.
Lei appartiene a quella scuola di pensiero che vede elezioni anticipate a breve?
Dope le elezioni amministrative in Emilia Romagna e in Calabria, con una affluenza alle urne così bassa tale da farle apparire quasi le primarie del PD, penso sia cambiato lo scenario. Avevano già il progetto per ritornare al voto, con un Renzi vincente e con l’appoggio di Berlusconi. Abolendo il Senato e lasciando una sola Camera per essere sicuri di governare per 5 interi anni grazie a una Forza Italia rinvigorita dal ritorno di Alfano e della Meloni. Ora le larghe intese potrebbero incontrare ostacoli. L’Italicum rimarrà ancora in vita? Dipende anche da cosa accadrà nel Pd. L’astensionismo va inteso non solo come sfiducia nel voto, ma come un silenzio indice di grosse trasformazioni in divenire, di nuovi conflitti sociali e di riaggregazioni. Ci sono tanti movimenti, come il nostro, pronti a dire la loro.
La politica “fuori dal Palazzo” permette di sentire il polso dei cittadini comuni: c’è tanta disperazione e preoccupazione in giro… Come si può risalire la china?
In un solo modo: riunendo la parte sana del Paese, quella che crede veramente nell’onestà , che vuole trasparenza e una poltica che non sia intesa come il centro del potere, delle lobby e degli affaristi, ma ritorni a porsi al servizio del cittadino. Con un Parlamento composto da persone oneste e competenti, pur nella diversità delle idee, aperto al confronto e non alla perenne rissa. Il tempo ci dirà se è solo una utopia.
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Novembre 26th, 2014 Riccardo Fucile
IL JOBS ACT PASSA, MA META’ DEPUTATI LASCIANO L’AULA IN SEGNO DI INSUBORDINAZIONE: E I RENZIANI ORA SONO PREOCCUPATI
Uno, due, tre: ciak si gira.
Sul Jobs Act alla Camera va in scena la prova generale di insubordinazione a Matteo Renzi.
C’è un nutrito numero della minoranza Dem — più di trenta — che decide di non partecipare al voto, uscendo dall’aula alla spicciolata.
E c’è anche Forza Italia che abbandona l’assemblea per protesta al momento del voto. Due sgambetti di provenienza diversa se non opposta ma entrambi diretti verso lo stesso bersaglio: Matteo Renzi.
E’ un incidente che non blocca il cammino della riforma del lavoro, approvata comunque a Montecitorio e in viaggio verso il Senato dove potrebbe essere approvata già la prossima settimana molto probabilmente con voto di fiducia per arginare eventuali smottamenti.
Ma quello che è successo oggi alla Camera è il segnale di uno sfilacciamento del mondo politico intorno al presidente del Consiglio, un segnale destinato a restare acceso anche oltre il Jobs Act, pronto ad illuminare di allarme rosso anche la prossima elezione del presidente della Repubblica, per non parlare delle riforme costituzionali a cominciare dalla legge elettorale in discussione a Palazzo Madama.
Nella minoranza dei dissidenti Pd non si fa mistero del fatto che la protesta di oggi guarda anche oltre il Jobs Act.
Per ora, si limitano a chiedere a Renzi di discutere anche nel partito della scelta del prossimo inquilino del Colle.
Della serie: “Non può imporci un nome frutto dell’accordo con Berlusconi”, ti dicono a taccuini chiusi.
Oggi questi dissidenti si sono un po’ contati. E potrebbero farsi sentire sull’elezione del successore di Napolitano, che dovrebbe terminare il suo mandato con tempi e modi che deciderà da solo ma non oltre i primi mesi dell’anno prossimo.
Dall’altro lato, c’è Forza Italia che pure oggi ha scelto una modalità di opposizione plateale sul Jobs Act. Anche loro sono usciti dall’aula. E, soprattutto, anche loro sono sfilacciati al loro interno, nonostante che Berlusconi continui a rassicurare Renzi sulla tenuta del patto del Nazareno.
Il tutto è una sfida al premier.
E l’unico tavolo di discussione parlamentare in cui può essere messa in atto senza rischiare di perdere il seggio in Parlamento con il voto anticipato è, appunto, l’elezione del presidente della Repubblica.
Ecco perchè, a denti stretti, renziani di rango ammettono: “Sull’elezione quirinalizia i dissidenti possono farci molto male, soprattutto se ‘giocano’ insieme con il M5s e Sel contro il Patto del Nazareno”.
Perchè in questo caso “avrebbero pure il candidato: Prodi”, nome di certo non gradito a Berlusconi. Tutta teoria, ma l’allarme è già scattato in casa Renzi.
Tanto da scatenare la contromossa.
“Se quelli della minoranza rifanno la stessa cosa sulle riforme costituzionali o sulla legge elettorale, si va al voto anche con il Consultellum…”, dice un deputato renziano.
Perchè l’indicazione che arriva dal premier è che, se al Senato l’Italicum dovesse finire nella palude dei veti incrociati, a quel punto non resterebbe altro che la strada per le urne in primavera.
Anche con la legge attuale, il Consultellum tracciato dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato il Porcellum.
Da qualche tempo nella cerchia del premier si fanno calcoli e proiezioni per capire quanto convenga presentarsi agli elettori con questo sistema di voto.
E per ora l’esito di questi calcoli non è negativo: il Pd di Renzi conquisterebbe agevolmente la maggioranza al Senato, mentre tutti gli altri partiti dovrebbero combattere con la soglia di sbarramento dell’8 per cento prevista a livello regionale. Anche la Lega, fresca del successo del nuovo corso di Salvini alle regionali in Emilia Romagna, avrebbe problemi al sud.
Forza Italia magari li avrebbe ovunque, idem il M5s, almeno stando ai sondaggi e ai risultati della tornata di domenica scorsa.
Il segretario Dem potrebbe avere qualche problema nella formazione della maggioranza alla Camera, dove è previsto uno sbarramento nazionale del 4 per cento. Ma la somma di pro e contro non dà segno meno, nei calcoli renziani: volendo, come estrema ratio, si può sfruttare il Consultellum per tornare al voto.
Il problema è che prima di arrivare al voto bisognerebbe eleggere un nuovo presidente della Repubblica, visto che Napolitano ha lasciato più volte intendere la sua intenzione di non sciogliere le Camere come ultimo atto del suo mandato.
Ed è su questo che si inceppa anche la minaccia renziana di portare tutti alle urne in caso di insubordinazioni sulle riforme.
Certo, se dovessero mancare i numeri al governo, anche Napolitano sarà costretto a fare altre valutazioni: il presidente infatti ha ribadito più volte anche il concetto secondo cui i governi nascono e muoiono sulla base dei numeri in Parlamento.
Ma alla luce di come è andata sul Jobs Act alla Camera, a Renzi e i suoi è chiaro lo schema di gioco della minoranza: guerriglia parlamentare, azioni di disturbo che non puntano a far cadere il governo ma a condizionarlo.
“Li ho visti in aula: stavano lì come gufi a controllare che ci fosse il numero legale e poi hanno deciso di lasciare l’assemblea — racconta un deputato renziano — Altrimenti non l’avrebbero fatto. A questo punto, Civati è più coerente: almeno ha sempre detto come avrebbe votato…”.
Il clima è rovente.
A sera al Senato si riunisce la maggioranza renziana del gruppo Pd. Oggetto della discussione: i prossimi provvedimenti in arrivo in aula, Jobs Act e legge elettorale.
Il primo verrà risolto con la questione di fiducia. L’Italicum invece non può essere votato con la fiducia. Si cerca una via d’uscita.
E la rabbia contro i dissidenti Dem esplode tra i renziani.
A taccuini chiusi si sfogano: “Se non avessimo il problema interno al Pd, non dipenderemmo da Berlusconi sulle riforme. Sono loro che ci hanno costretto al Patto del Nazareno…”.
Ora che Renzi non può più contare nemmeno sulla compattezza di Forza Italia, il caos regna sovrano.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 26th, 2014 Riccardo Fucile
RASSICURA SUL NAZARENO MA TIRA DUE ZAMPATE A RENZI… POI LA GAFFE SU UNA FUTURA GRAZIA CHE GLI SAREBBE STATA GARANTITA
L’obiettivo è il Quirinale: “Il patto del Nazareno — scandisce Silvio Berlusconi – deve andare avanti perchè
ci dà una serie di garanzie, tra cui quella di partecipare alla scelta di un capo dello Stato a noi non ostile”.
È nel corso dell’ufficio di presidenza di Forza Italia che l’ex premier, tra le garanzie, inserisce la parola magica: “agibilità ” politica.
Tanto che viene gelato con uno sguardo da tutto il “cerchio attorno al Magico” (copyright Maria Rosaria Rossi), perchè, si sa, certe cose si pensano ma non si dicono di fronte a chi poi spiffera informazioni ai giornalisti.
Per questo, nel corso della presentazione del libro di Bruno Vespa qualche ora dopo, si limiterà solo a dire che è “naturale” eleggere assieme il successore di Napolitano dopo che si sono fatte le riforme assieme, senza minimamente accennare a quei provvedimenti di clemenza che vorrebbe dal nuovo inquilino del Colle, per ottenere l’agibilità .
Per questo obiettivo a cui l’ex premier non ha mai rinunciato — obiettivo che è al tempo stesso politico ma anche sinonimo di riscatto e di risarcimento dell’onore perduto nelle condanne – che il Nazareno resta il campo del gioco.
Anzi del Gioco con G maiuscola. Del Great game del Quirinale.
Anzi, l’ex premier usa la sua prima uscita pubblica per dichiarare l’obiettivo e rassicurare Renzi che il patto non è in discussione.
Nè è in discussione, pensando al Colle più alto, una legge elettorale che le truppe azzurre considerano praticamente un suicidio.
Per la prima volta, a microfoni aperti e non nelle stanze di palazzo Chigi, l’ex premier accetta che “il premio” venga dato alla “lista e non alla coalizione”, definendo il sì un sacrificio di “chi a cuore il bene del paese e delle istituzioni”.
Ma all’interno del campo di gioco del Nazareno, il vecchio leone inizia a scalciare un po’. Non per rompere, ma tenere viva la trattativa, dopo che Renzi, pure lui, un po’ di calci li ha tirati cambiando idea rispetto ai patti iniziali.
Lo sgarro si materializza alla fine dell’ufficio di presidenza, quando Berlusconi dà il via libera all’uscita dall’Aula dei parlamentari al momento del voto sul jobs act. Mossa per appagare il bisogno di opposizione delle sue truppe inquiete, ma anche per “pesarsi” nel rapporto con Renzi.
La seconda zampata si chiama Salvini: “A me — dice Berlusconi – andrebbe bene fare il regista dietro Salvini, che è un goleador. Un attaccante, un marcatore che fa i gol, ma ha bisogna di una squadra dietro”.
Usa una metafora calcistica il leader di Forza Italia per invitare il Matteo leghista a stare nella stessa squadra, ovvero — fuor di metafora — nella stessa lista unica, resa indispensabile dalla nuova legge elettorale, alternativa alla sinistra.
Incalzato da Vespa si spinge a dire che, insomma, il brillante Matteo potrebbe anche diventare “il leader del centrodestra”.
Nel favoloso mondo berlusconiano le parole sono sempre funzionali a un gioco di specchi, di simulazioni e dissimulazioni.
Per cui talvolta ciò che conta è la suggestione. Berlusconi, da situazionista quale è, ha lanciato un amo al vincente al momento, in modo da sondare le reazioni nei prossimi giorni e valutare.
Ma il progetto di un partito unico ancora non c’è.
Anche perchè se ci fosse arriverebbero Confalonieri e Doris a ricordare che fare un partito lepenista equivarrebbe a chiudere le aziende.
Quel che conta del segnale è che non solo la fase di innamoramento con l’altro Matteo (il premier) è finita, ma nel nuovo quadro post voto il Cavaliere vede aumentare la debolezza di Renzi (“È lui — spiega ai suoi — che è stato maggiormente colpito dall’astensionismo”) e i propri margini di manovra.
Insomma, ora Renzi rischia di impaludarsi, perchè, spiega Berlusconi col sorriso di chi la sa lunga: “Io credo gli convenga aspettare, diversamente si andrebbe ad elezioni con il sistema proporzionale e sarebbe costretto alle larghe intese con noi”.
Ecco, la nuova palude consente a un partito come Forza Italia, più forte nel Parlamento che nel paese, di stare nel Great Game in posizione se non di forza, quantomeno negoziale.
A patto s’intende che non scatti il liberi tutti tra i parlamentari. Già , il liberi tutti.
Le parole del Cavaliere sul Nazareno — e pure quelle su Salvini – hanno avuto l’effetto della benzina sul fuoco della rivolta interna dei cosiddetti ribelli di Fitto.
La sensazione è che non sia bastato il gesto di concedere un secondo round dell’ufficio di presidenza mercoledì, in modo da consentire all’europarlamentare di esserci, a rasserenare il clima.
(da “Huffingtonpost”)
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