Gennaio 20th, 2015 Riccardo Fucile
“OK ALL’ITALICUM, VOTIAMO L’EMENDAMENTO ESPOSITO, SI’ AL PREMIO DI LISTA E ALLA SOGLIA AL 3%”
Silvio Berlusconi salva Matteo Renzi sulla riforma della legge elettorale, rendendo di fatto ininfluenti i voti contrari della minoranza Pd.
Manteniamo fede al patto del Nazareno per cui vi chiedo di votare sì all’emendamento Esposito sull’Italicum. È quanto avrebbe detto il Cavaliere ai suoi fedelissimi a Palazzo Grazioli, prima della riunione dei senatori azzurri.
La proposta vede però contraria la fronda azzurra.
L’ex primo ministro ha chiesto dunque di sostenere compatti il contenuto della legge in esame, compreso il premio di maggioranza da attribuire alla lista e non alla coalizione e l’abbassamento della soglia si sbarramento al 3%.
Berlusconi, viene riferito, ha esortato i suoi a tenere fede al patto del Nazareno, non solo per senso di responsabilità – è stato il ragionamento del Cavaliere – ma anche perchè dalla tenuta del patto deriva anche la partita sul prossimo inquilino del Quirinale.
Un ragionamento, tuttavia, che non convince tutti i senatori azzurri.
Resta, infatti, la netta contrarietà dei senatori vicini a Raffaele Fitto, che non vogliono il premio di maggioranza alla lista, ma nemmeno un numero così alto di capilista bloccati.
L’ex premier avrebbe parlato della possibilità di incontrare nuovamente Matteo Renzi per discutere del successore a Giorgio Napolitano per la presidenza della Repubblica.
Al termine della riunione dei senatori di Forza Italia, assente Berlusconi, il gruppo si è espresso con un voto sulla linea indicata dal Cavaliere.
In 20, tuttavia, hanno votato contro. In realtà , 13 sono i frondisti azzurri, mentre 7 quelli del gruppo di Gal.
Al termine della riunione, i frondisti confermano: “In aula al Senato voteremo contro” l’emendamento Esposito e quindi contro il testo dell’Italicum così come è adesso.
“Sulla legge elettorale Berlusconi fa un errore madornale. Noi non siamo il soccorso azzurro di Renzi e del suo governo. In questo modo si suicida Forza Italia. È inaccettabile”.
È quanto ha detto Fitto al termine dell’incontro con Berlusconi sulla legge elettorale. “Ora spero in un sussulto – ha aggiunto -, in tanti la pensano in questo modo ma non hanno il coraggio di dirlo. Come si può votare una legge elettorale che non c’entra nulla con quanto scritto nel patto del Nazareno?”.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 20th, 2015 Riccardo Fucile
BERLUSCONI NON SI PRESENTA ALLA RIUNIONE E SCOPPIA IL CAOS
A un certo punto i senatori fittiani si alzano in piedi e si mettono urlare, scandendo “li-be-
ra-te-lo, li-be-ra-te-lo, liberatelo”.
Palazzo Grazioli. Pomeriggio da tregenda. Silvio Berlusconi è asserragliato nel suo studio.
Sotto, al parlamentino di Forza Italia al piano terra, le urla.
Rivolte in alto verso un leader che una parte dei suoi considera un “prigioniero politico”.
Prigioniero di Renzi, di Verdini, del cerchio
magico di quelli che lo hanno costretto a cedere “a un accordo al ribasso con Renzi”. Per la prima volta in tutta la storia di Forza Italia Silvio Berlusconi evita di partecipare a una riunione decisiva: “Non lo hanno fatto scendere — dice uno dei ribelli – perchè sapevano che avrebbe cambiato idea su questo accordo con Renzi”.
Paolo Romani in fretta e furia pone ai voti la nuova, ennesima giravolta di Forza Italia sulla legge elettorale: venti contrari, più di un terzo del gruppo.
Poi, riprende le carte e corre al primo piano con passo da centometrista. Perchè è arrivato Fitto.
E Berlusconi non si può lasciare solo altrimenti possono vacillare le granitiche certezze.
Il governatore pugliese gli sta dicendo in faccia ciò che poi dirà in pubblico: “Questo è un errore madornale, in questo modo diventa il soccorso azzurro di Renzi e del suo governo. Votare la legge elettorale così come la vuole Renzi non è un graduale arretramento dal patto del Nazareno iniziale ma è una totale resa a Renzi. Il gruppo dirigente di FI ha deciso di suicidarsi”.
Per tutto il pomeriggio nel Parlamentino i ribelli spiegano che questa versione dell’Italicum equivale a mettere per iscritto la sconfitta elettorale perchè “senza coalizione Forza Italia non va nemmeno al ballottaggio” e che “Berlusconi sta svendendo Forza Italia sull’altare del Nazareno” sperando in chissà quali garanzie sull’agibilità politica.
Parlano Bonfrisco, Minzolini, Tarquinio, Bruni Lettieri per i ribelli.
Denis Verdini, il nume tutelare del Nazareno interviene due volte. Spiega il senso dello scambio: il sacrificio sulla legge elettorale in cambio di un patto su un nome di garanzia al Colle.
Il che significa agibilità politica a Berlusconi. Non è un caso che la “salva-Silvio” è congelata.
Per tutta la riunione i pasdaran del Nazareno invocano il sacrificio in nome dei supremi interessi di Berlusconi. Il “suicidio” in cambio dell’agibilità non convince Fitto.
Quando l’ex governatore della Puglia si trova davanti all’ex premier quasi urla: una volta che Renzi ha tutto, legge elettorale, capo dello Stato, riforme, ti scarica. Ripete: “Io voto contro e lo faccio per te”
“Voto contro per te” dice Fitto. “Votiamo a favore per Berlusconi” dice Verdini. Quando Paolo Romani mette ai voti la linea, lo presenta come un voto di fiducia su Berlusconi. Il Cavaliere è assente.
Nel Parlamentino il suo conflitto di interessi diventa tregenda politica.
Per Verdini funzionerà lo scambio tra consenso elettorale e salva-Silvio. Per Fitto il consenso serve a negoziare e, prima del Colle, si dovrebbe chiedere a Renzi un cdm che approva la salva-Silvio.
Raccontano che Berlusconi è stato dubbioso fino alla fine. Scosso, tormentato, non è più neanche l’ombra del leader di una volta.
Finora, ripete i suoi, “Renzi ha dato garanzie”.
E, con la giornata di oggi, è chiaro che parlare di Nazareno al Colle non è più un tabù: “Il patto tra Forza Italia e Renzi – dice Romani – si rafforza. Ora coinvolga anche l’elezione del capo dello Stato”.
Martedì nuovo appuntamento con Renzi. Domani nuovo appuntamento con Alfano per iniziare a sfogliare i petali della rosa per il Colle.
In Transatlantico Fitto è circondato dai suoi 24 parlamentari. Da loro partono una raffica di dichiarazioni sul “suicidio”, sulla “morte” per legge di Forza Italia.
Per ora la parola “scissione” è bandita. Ma sul capo dello Stato l’ex governatore Pugliese, di fatto, annuncia che si terrà le mani libere sul capo dello Stato del Nazareno.
Berlusconi, su 130 grandi elettori, di sicuri ne ha tra i 70 e gli 80.
Questa è la dote per eleggere il primo capo dello Stato dell’era del Nazareno e avere un provvedimento ad personam sull’agibilità politica.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 20th, 2015 Riccardo Fucile
IMPORTANTI APPARATI DELLO STATO HANNO GIà€ SCELTO IL LORO FAVORITO… L’EX POLIZIOTTO E IL CARABINIERE DIVENTEREBBERO COLLABORATORI DEL PRESIDENTE
Il “carabiniere” dovrebbe diventare consigliere della sicurezza mentre il “poliziotto” dovrebbe essere il suo segretario generale.
È questo lo scenario delineato, secondo fonti vicine al generale Leonardo Gallitelli e al presidente di Finmeccanica Gianni De Gennaro, se Giuliano Amato riuscisse a diventare presidente.
Dietro i due probabili futuri collaboratori ci sono pezzi importanti degli apparati e delle forze di sicurezza più vicine alle alleanze atlantiche, nel segno della continuità .
Poteri che resistono ai ribaltoni e per questo preziosi per chi vuole avere un referente costante nell’instabile Stato italiano.
Entrambi sono nati nel sud, entrambi nel 1948.
Entrambi hanno segnato la storia del loro rispettivo corpo di appartenenza.
Per anni Gianni De Gennaro è stato chiamato “il capo” dagli alti gradi della polizia anche dopo i fatti del G8 e anche dopo il suo passaggio al Dipartimento di Informazione e Sicurezza, l’organismo di vertice dei servizi segreti.
Mentre il “Gallo”, come è soprannominato l’ex comandante che per quasi un decennio è stato l’uomo forte dei carabinieri, prima dal 2006 come capo di Stato Maggiore e poi dal 2009 da comandante generale.
Fonti vicine ai due sostengono che entrambi avrebbero una sorta di patto tacito con Giuliano Amato.
Gallitelli aveva cercato di ottenere la proroga per arrivare a questo passaggio con i galloni di comandante ma ha dovuto lasciare il posto al generale prescelto dal ministro Pinotti: Tullio Del Sette.
L’incarico di consigliere è oggi ricoperto dall’ex comandante della guardia di ginanza Rolando Mosca Moschin, 76 anni a marzo.
Gallitelli nella sua nuova posizione dovrà gestire la razionalizzazione dell’elefantiaco apparato che si occupa della sicurezza del capo di Stato: 250 corrazzieri per la sicurezza interna più 240 poliziotti e altrettanti carabinieri per la sicurezza esterna del Quirinale, di Castelporziano e di Villa Rosebery, oltre a tutti gli spostamenti del presidente.
C’è un apposito ufficio presidenziale della polizia e un apposito reparto dei carabinieri. Con la follia ulteriore di affidare il coordinamento della scorta mista un giorno all’Arma e un giorno alla polizia.
Gallitelli avrà il compito di dare un senso, anche economico, a questo apparato.
De Gennaro punta invece alla poltrona di segretario generale.
Una carica ben retribuita (circa mezzo milione di euro all’anno) che potrebbe assumere anche un’inedita valenza internazionale grazie ai suoi rapporti internazionali.
Entrambi porterebbero al Colle il vantaggio di un filo continuo con magistratura, carabinieri, polizia e servizi segreti, non solo italiani.
Gallitelli in più vanta un feeling ottimo con Berlusconi che non lo vedrebbe male addirittura come candidato di riserva al posto di presidente della repubblica.
Anche se l’uomo di punta del Cavaliere è l’ex braccio destro di Bettino Craxi. L’intesa tra De Gennaro e Amato è cementata dall’asse atlantico.
L’ex presidente del Consiglio è stato a lungo il presidente del Centro studi americani (sempre finanziato generosamente dalla Finmeccanica di Guarguaglini) poltrona che ha lasciato, quando è stato nominato giudice costituzionale, proprio a De Gennaro.
L’ex capo della Dia e della polizia, dai tempi delle storiche operazioni antimafia Pizza Connection e Iron Tower è considerato una sorta di agente in più degli americani. Rapporti celebrati nel 2006 con la medaglia al merito consegnata alla presenza dei capi dell’Fbi Louis Freeh (dal 1993 al 2001) Robert Mueller (2001-2013) e James Comey, in carica dal 2013.
Sottosegretario con delega ai servizi segreti nel governo di Mario Monti, De Gennaro nel luglio del 2013, non a caso, è planato sulla poltrona di presidente di Finmeccanica, società strategica per l’Italia ma anche per gli Usa soprattutto dal 2008 quando ha comprato per 5,2 miliardi di dollari la Drs, un’azienda i cui segreti possono essere portati a conoscenza solo di cittadini americani.
Nel curriculum firmato di suo pugno nel luglio 2013 per Finmeccanica, De Gennaro cita solo un politico: Amato, il ministro dell’interno che lo ha scelto nel 2007 come capo di gabinetto del ministero e prima ancora, da premier, come capo della polizia.
Ora è giunto il tempo che le strade di Gianni e Giuliano si incrocino ancora. Sul Colle. Lo scenario accreditato dalle fonti vicine ai due uomini dell’ordine pubblico italiano però prevede anche un “piano B”.
Se Amato fallisse c’è già pronto un altro candidato che ha un profilo simile. È Piero Grasso. Anche lui amico di De Gennaro (ha un figlio in polizia dai tempi d’oro del “Capo”) e di Gallitelli ma anche delle forze di sicurezza e della magistratura.
E anche lui è ben visto da Silvio Berlusconi, come Amato.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 20th, 2015 Riccardo Fucile
“I SOLDI ALLA NUOVA ITALIA DI ALEMANNO? GLI IMPRENDITORI LI DANNO IN CAMBIO DI UNA RETE DI RELAZIONI”
«Forse sarà un malcostume, però è così». 
Franco Panzironi, l’ex amministratore delegato di Ama, la municipalizzata che si occupa di rifiuti a Roma, sta spiegando ai magistrati romani che lo hanno arrestato per associazione a delinquere di stampo mafioso il funzionamento delle fondazioni in Italia. Il verbale del suo interrogatorio tira in ballo l’ex sindaco di Roma e svela come attraverso la Fondazione Nuova Italia (di cui Panzironi era segretario, il presidente era l’ex sindaco Gianni Alemanno), l’organizzazione di Carminati sia riuscita a muovere tutto il sistema politico, perchè da lì passavano i soldi delle tangenti.
Funzionava così: la Fni, così come, a suo dire, tutte le fondazioni fungevano da salvadanaio.
Un imprenditore versava soldi per finanziarla e in cambio otteneva «tutta una rete di relazioni».
«È un modo di fare che si esercita già da anni», dice Panzironi e quanto ai pagamenti – nello specifico bonifici da 15.000 euro a volta – che faceva Salvatore Buzzi alla Fondazione Nuova Italia dice: «Beh, veramente lo ha sempre fatto (di pagare dopo le assegnazioni dei lavori, ndr ), pure prima e lo ha fatto anche dopo, ma non lo ha fatto tramite me».
Ma se Buzzi rappresentava il cuore delle cooperative rosse, perchè pagare la Fondazione di Alemanno?
«Perchè (faceva) come tutti gli imprenditori romani. Pagano sia destra che sinistra. È una questione di relazioni… ma sicuramente relazioni non riconducibili a me».
Fu infatti l’ex inquilino del Campidoglio a presentargli Buzzi e non viceversa, sostiene Panzironi. «Ho conosciuto Buzzi nel periodo fine 2009 inizi 2010, non ricordo di preciso la data, ma non in un contesto Ama. L’ho conosciuto praticamente nella segreteria del sindaco Alemanno. Io ero andato lì per altre cose e Alemanno me lo presentò come presidente delle cooperative rosse».
Poi iniziò un rapporto. Dice Panzironi: «Buzzi alcune volte mi chiedeva, siccome ero presidente della Multiservizi (un’altra controllata del Campidoglio e partecipata Ama, ndr ) se era possibile partecipare a delle gare ma non verso Ama, verso il verde pubblico e quant’altro, che poi nel tempo non sono mai avvenuti (i pm hanno contato cinque gare vinte dal 2011 al 2013 dalla cooperativa di Buzzi, ndr).
Qualche volta mi ha chiesto di sollecitare dei pagamenti al Comune, cosa che io non ho fatto, ma riferivo alla segreteria del sindaco che c’era Buzzi che aveva esigenze di essere pagato».
Sul perchè si spendesse così per Buzzi ribadisce solo di «non aver mai preso contanti da lui».
Non nega il suo rapporto, stretto, con Alemanno. Al quale spesso dava consigli. «Alemanno (sulla nomina del suo successore, deciso secondo l’accusa gestita dal clan di Carminati grazie all’intervento di Panzironi, ndr) mi chiese consiglio sull’Anelli e io gli dissi: “Guardate è meglio che cercate un manager, diciamo, vero, che sappia fare quel mestiere”. E mi chiese pure qualche consiglio… Ma di tipo professionale, anche nella gestione della famosa ristrutturazione del debito con le banche gli diedi una mano, ma non certo in gare d’appalto perchè non me ne sono proprio occupato».
Fatto sta che le carte dell’inchiesta dimostrano come il suo successore, Fiscon, anche lui indagato, fosse persona gradita a Panzironi.
Federica Angeli
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 20th, 2015 Riccardo Fucile
DIVENTERANNO ISTITUTI NORMALI: SI VOTA IN BASE AL CAPITALE, NON ALLE TESTE
Piazza Affari abbocca all’amo lanciato dal premier Matteo Renzi sulla riforma delle banche Popolari.
Dopo l’annuncio di un generico “provvedimento sul credito” fatto lo scorso 16 gennaio durante la direzione del Pd, ieri Renzi ha specificato nel corso dell’assemblea dei senatori del partito che il governo discuterà le nuove misure già nel Consiglio dei ministri fissato per oggi.
In sostanza, si tratterà di abrogare tout court l’articolo 30 del Testo unico bancario che disciplina il governo societario delle banche popolari cancellando così il voto capitario (una testa, un voto) qualunque sia il numero delle azioni possedute e trasformando di fatto questi istituti in società per azioni.
In Borsa sono subito scattati gli acquisti sui titoli Bpm, Bper, Banco Popolare e Ubi che hanno tirato la volata con rialzi tra l’8 e il 14 per cento.
Gli ordini in acquisto sono comunque piovuti anche sugli altri titoli bancari che potrebbero essere coinvolti in un processo di consolidamento del settore
La rivoluzione annunciata da Renzi — voluta dalla Banca centrale europea per favorire un consolidamento del sistema bancario che oggi conta in Italia 70 istituti popolari — si trova nella bozza disegno di legge Concorrenza alla voce “Servizi bancari”.
Fra i vari articoli se ne trova infatti anche quello relativo alle “norme in materia di banche popolari”, il cui testo è stringatissimo: “L’articolo 30 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993 n. 385 è abrogato. All’articolo 137 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al dl 24 febbraio 1998 n. 58 il comma 4 è abrogato”.
La rivoluzione sta tutta qui, in queste poche righe.
Se questa riforma verrà approvata sarà abrogato l’articolo 30 del Testo unico bancario che nei primi due commi prevede che ogni socio abbia un voto, qualunque sia il numero delle azioni possedute; inoltre nessuno, direttamente o indirettamente, può detenere azioni in misura eccedente l’1 per cento del capitale sociale, salva la facoltà statutaria di prevedere limiti più contenuti, comunque non inferiori allo 0,5 per cento.
Il presidente del Consiglio promette il miracolo, presentato come l’ennesima rottamazione dei poteri forti in banca quando in realtà l’input arriva dall’alto del sistema, e incassa il plauso del mercato ma si deve già scontrare con la levata di scudi dei sindacati che temono nuovi tagli ai dipendenti e anche con le barricate alzate dalla politica.
Daniele Capezzone, deputato di Forza Italia e presidente della commissione Finanze della Camera, si chiede quali siano i requisiti di necessità , straordinarietà e urgenza per intervenire con un decreto legge, peraltro in una situazione in cui le funzioni di capo dello Stato sono svolte dal presidente del Senato.
Dall’altra parte Stefano Fassina, ex responsabile economico del Pd, vede nella riforma “un danno gravissimo all’economia nazionale” e non solo per le banche interessate perchè le piccole e medie imprese e le famiglie italiane hanno trovato, negli ultimi anni di crisi, proprio nella banche popolari e nelle banche di credito cooperativo l’unico canale di approvvigionamento di credito ancora attivo”.
Anche per Fassina, sarebbe surreale se una simile riforma venisse proposta per decreto, senza alcuna ragione di urgenza, e in una fase di una supplenza al Quirinale. È dunque probabile che la riforma incontri una forte opposizione in un momento complicato per Renzi che non può forzare la mano in Parlamento nel bel mezzo della
partita sul Quirinale.
Gli anaisti mostrano intanto un certo scetticismo preventivo sul successo dell’iniziativa, anche perchè — scrivono i broker di Equita sim — “negli ultimi quindici anni qualsiasi progetto di modifica della governance delle Popolari, anche non riguardante l’abolizione del voto per testa, è fallito. La conseguenza immediata è tuttavia l’aumento dell’incentivo per le Popolari ad aggregarsi, visto che minacce di modifiche dello status quo potrebbe arrivare anche dalla Bce”.
Marco Franchi
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Gennaio 20th, 2015 Riccardo Fucile
DA VENDOLA A CIVATI, DA FERRERO A FASSINA: TUTTI IN GITA POLITICA IN GRECIA PER STUDIARE IL SUCCESSO DI SYRIZA
L’allegra brigata ha deciso di chiamarsi Kalimera. In greco significa “buongiorno” e il 25
gennaio, data delle elezioni che, secondo tutti i pronostici, vedranno Alexis Tsipras e la sua sinistra radicale al governo della Grecia, dovrebbe essere un buongiorno per tutti, in Grecia e in Europa.
E così, i partiti della sinistra italiana, le associazioni, i singoli che si sono riconosciuti, alle scorse europee, nella “lista Tsipras”, hanno deciso di intraprendere un viaggio organizzato.
Come spiega Raffaella Bolini, dell’Arci, tra le promotrici dell’iniziativa, alla conferenza stampa di presentazione, “pensavamo di essere una trentina e invece abbiamo già superato i 200”.
L’allegra brigata è pronta a partire, quindi.
Non siamo al racconto di Nanni Moretti nel film Bianca: “A un certo punto decidemmo di andare tutti in Portogallo — racconta il professore Michele Apicella — non ricordo perchè, ah sì, per andare a vedere un colonnello. Si chiamava Otelo de Carvalho”.
Era il 1974 e la rivoluzione era quella dei Garofani.
Frotte di giovani italiani si recarono a Lisbona per sentirla da vicino. Lo faranno ancora con la Cina, affascinati da Mao e dal suo “sparate sul quartiere generale” tornando in Italia muniti del libretto rosso.
Oggi, più sobriamente e con meno tumulti, si va ad Atene perchè, come dice Luciana Castellina, “madre nobile” del viaggio, “si va a vedere una sinistra che vince”.
Tsipras, dunque, è il nuovo faro che illumina la via.
“Faremo come in Russia”, si diceva a inizio del ‘900 sull’onda della rivoluzione d’Ottobre. Ora si punta a fare come in Grecia.
L’allegra brigata è in effetti una coalizione multiforme, quasi poco assortita.
Nella presentazione che si è svolta alla Camera dei deputati, con la ritualità degli interventi uno dopo l’altro, si sono alternati Nichi Vendola e Paolo Ferrero, Pippo Civati e Antonio Ingroia, l’eurodeputata del Prc, eletta con la lista Tsipras, Eleonora Forenza ma anche il dissidente Pd Stefano Fassina.
A tenerli insieme, per ora, c’è solo un viaggio e un’attrazione convinta per l’esperimento di Syriza in Grecia, “l’alternativa di governo” secondo Vendola o “la sinistra di governo” per Civati. La sua vittoria “rafforzerà i lavoratori” spiega Ferrero mentre Fassina vede nel 25 gennaio una “prova di democrazia contro le ingerenze europee”.
Fin qui tutti d’accordo.
Ma la domanda che corre nella sala, e nelle attese di molte persone è sempre la stessa: riusciranno tutte queste componenti, personalità , rivoli di sinistra sparsa qua e là a dare corpo a una proposta politica in grado di stare nella battaglia italiana? ”.
Di questo si discuterà a Bologna dove la lista Tsipras si è data appuntamento per decidere cosa fare in futuro.
Aprire a un processo costituente di una sinistra democratica oppure divenire un altro partitino della sinistra?
Il dibattito proseguirà la prossima settimana, a Milano, dove Sel organizza la sua Human Factor, un dibattito a più voci che si pone il problema di un’altra sinistra. Fin qui le intenzioni. Poi, però, ci sono i problemi.
Cosa farà la sinistra Pd insofferente a Renzi dipende, dicono in molti, da come si svolgerà la battaglia del Quirinale.
Più a sinistra si scontano i rapporti mai appianati tra Sel e Rifondazione, figli della stessa storia politica eppure cugini arrabbiati gli uni con gli altri.
Meno esplicitato ma visibile, c’è un problema generazione, “una seconda fila di trenta-quarantenni che vorrebbe prendere in mano le sorti della sinistra” come dice uno dei partecipanti”.
I partecipanti arriveranno in Grecia il 22 gennaio e poi, il 25 attenderanno i risultati. Quando torneranno dovranno dimostrare di essere davvero in grado di “fare come in Grecia”.
Salvatore Cannavò
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 20th, 2015 Riccardo Fucile
LO RIVELA IL SETTIMANALE OGGI
L’appartamento di Montecarlo al centro dello scandalo che nel 2010 colpì Gianfranco Fini è in
vendita per 1,6 milioni di euro.
Lo rivela il settimanale Oggi in edicola, che pubblica le foto degli interni della casa affidata all’agenzia immobiliare Mirage.
Sarebbe proprio il “cognato” di Fini Giancarlo Tulliani (fratello di Elisabetta, compagna dell’ex presidente della Camera), secondo fonti del settimanale, a darsi da fare affinchè la vendita dell’appartamento vada a buon fine: sarebbe infatti stato immortalato dai fotografi mentre incontra di persona probabili acquirenti al tavolo di un bar monegasco.
La casa, proveniente dal lascito di una ricca simpatizzante del Msi-An, era stata venduta per 300 mila euro nel 2008 a una società anonima dell’isola caraibica St. Lucia, dietro la quale si sospetta si celi Tulliani.
Sulla differenza fra il prezzo allora pagato e il valore reale dell’appartamento è in corso una causa civile.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 20th, 2015 Riccardo Fucile
LA VIGILESSA BOSCHI: “STRAPPO PESANTE, IN AULA SI ADEGUINO”
Clima infuocato all’assemblea dei senatori del Pd a cui ha partecipato Matteo Renzi per la resa dei conti finale sull’Italicum.
Il sì alla riforma della legge elettorale come richiesto dal premier è passato con 71 voti e un astenuto. I 29 senatori dissidenti hanno scelto di non partecipare al voto. “Penso che sia legittimo dare battaglia in base alle proprie convinzioni, anche io l’ho fatto quando ero in minoranza – ha commentato il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi -. Ma ora l’assemblea del gruppo a maggioranza si è espressa a favore dell’Italicum e io spero che in aula la minoranza si adegui”.
Tra minoranza Pd e premier sull’Italicum la tensione è palpabile.
La minoranza infatti ‘contesta’ la norma sui capolista bloccati con un documento – firmato da 29 senatori – e presentato da Paolo Corsini.
“Le leggi elettorali sono leggi ordinarie, ma poichè attengono al valore della democrazia evocano principi costituzionali”, ha sottolineato Corsini per indicare la prevalenza di libertà di coscienza nella scelte.
“Se ci fosse stata questa legge elettorale Bersani sarebbe andato al ballottaggio e sarebbe diventato presidente del consiglio”.
È l’esempio che il premier ha rivolto alla minoranza dem per dimostrare la validità dell’Italicum.
“Se mancano voti Pd all’Italicum sarebbe molto grave”.
“In un partito democratico – ha detto il primo ministro – non si caccia la minoranza ma dopo il confronto si decide per fare insieme le cose”. Il segretario del Pd ha continuato: “Se il Pd facesse mancare i suoi voti alla legge elettorale sarebbe un passaggio di grande delicatezza. Sarebbe molto grave”. Renzi ha poi affermato che non si tratta di un voto di coscienza.
Il presidente del Consiglio ha poi spiegato la ratio dell’Italicum: “Voglio fare la legge elettorale con Berlusconi perchè non voglio più governarci insieme”. Il premier ha assicurato: “Questa non è la ‘notte dei lunghi coltelli’ e l’elezione del Presidente della Repubblica non c’entra nulla” con il voto sulle riforme.
Renzi: “Boccia mi ha detto che faccio come l’Isis”.
“Mi ha detto Francesco Boccia che faccio come l’Isis”. È una frase pronunciata da Renzi in assemblea al Senato, secondo quanto riferisce su twitter Corradino Mineo. La frase sarebbe stata pronunciata dal deputato del Pd in un’intervista. “Renzi citando Boccia fa la vittima per strappare un applauso ai senatori Tutto pur di vincere!”, commenta Mineo.
Il documento integrale dei 29 senatori dissidenti:
La legge elettorale costituisce indubbiamente un fondamentale strumento per la vita democratica e non solo in quanto svolge un’indispensabile funzione regolatrice, ma pure perchè rimanda a diritti e garanzie costituzionalmente definiti e sanciti. Proprio a partire da questo dato essa impegna coscienza e responsabilità di ciascuno.
Per quanto riguarda la nuova legge elettorale, dopo la sentenza della Corte Costituzionale che costituisce ineludibile riferimento, non si possono che valutare positivamente le novità intervenute rispetto al testo approvato in prima battuta alla Camera. Si è alzata la soglia che evita il ricorso al ballottaggio; sono state uniformate e abbassate al 3% le soglie di ingresso, garantendo, dunque, quote di rappresentanza alle diverse forze politiche; si è inserita infine l’indicazione della preferenza al fine di restituire agli elettori la possibilità di scegliere i propri rappresentanti.
Di contro non è condivisa da altre forze politiche la prospettiva di collegi uninominali. Questo comunque il punto fondamentale cui la nuova normativa deve attenersi: restituire compiutamente lo scettro al principe-cittadino-elettore.
Sotto questo profilo riteniamo non sia condivisibile la nomina di capilista bloccati. Essa configura, infatti, un Parlamento nel quale i nominati rappresenteranno la maggioranza dei Deputati e in cui la possibilità di eleggere con preferenza i propri rappresentanti verrà lasciata di fatto esclusivamente al partito vincitore del premio di maggioranza.
In secondo luogo, la previsione di capilista pluricandidati istituzionalizza una pratica che espropria l’elettore del controllo effettivo del proprio voto con possibili rischi di incostituzionalità .
Si deve, infatti, tanto più considerare che siamo impegnati in un percorso di riforme costituzionali che prevede una sola Camera politica con un unico rapporto fiduciario col Governo. Infine, quanto alla clausola di salvaguardia essa deve necessariamente rapportarsi alla conclusione definitiva del processo di riforma costituzionale.
Paolo Corsini
Miguel Gotor
Vannino Chiti
Maurizio Migliavacca
Donatella Albano
Claudio Broglia
Rosaria Capacchione
Felice Casson
Giuseppe Luigi Salvatore Cucc
Erica D’Adda
Nerina Dirindin
Marco Filippi
Federico Fornaro
Maria Grazia Gatti
Maria Cecilia Guerra
Paolo Guerrieri Paleotti
Josefa Idem
Silvio Lai
Sergio Lo Giudice
Doris Lo Moro
Patrizia Manassero
Luigi Manconi
Corradino Mineo
Massimo Mucchetti
Carlo Pegorer
Laura Puppato
Lucrezia Ricchiuti
Lodovico Sonego
Walter Tocci
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 20th, 2015 Riccardo Fucile
I COMITATI: “QUESTO PENSA CHE SIAMO SCEMI”
Lancio di uova e fuochi di artificio per protestare contro il movimento «Noi con Salvini» che si
è riunito in un hotel del centro.
Le uova sono state lanciate contro le forze dell’ordine in tenuta antisommossa.
I manifestanti hanno bloccato via Galileo Ferraris e intonato cori contro il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini.
Dopo i fuochi d’artificio, i manifestanti si sono allontanati e non ci sono stati incidenti.
Il leader Matteo Salvini non c’è – la scorsa volta a piazza Carlo III era stato accolto piuttosto male con tanto di lancio di pomodori -, stavolta ha preferito mandare in avanscoperta il senatore Raffaele Volpi, coordinatore per il Sud.
Raffaele Volpi, vicepresidente di Noi con Salvini, nel capoluogo campano per la presentazione del progetto, fa sapere che si sta «stabilendo un calendario per fare un tour in tutte le regioni».
Ma, viene chiesto, provate imbarazzo a fare campagna elettorale in Campania e al Sud? «Abbiamo chiesto anche scusa per quello che è stato detto», ha risposto. e, «in ogni caso, ora la Lega Nord ha un nuovo corso.”
Il sindaco de Magistris in giornata aveva sottolineato che Napoli è «una città inclusiva e che accoglie tutti», affermando che «ci può stare che arrivi qui il suo movimento, ma noi non abbiamo nulla a che vedere con Salvini».
Dentro, nella piccola sala, volti poco noti, fatta eccezione per Gianluca Cantalamessa, del Pdl, trombato alle ultime comunali, il padre Antonio, vecchio notabile della destra napoletana e Pippo Capaccioli, l’ex sindaco di Caivano, detto Bin Laden per via della barba lunga e grigia.
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