BANCHE POPOLARI ADDIO, IL SOLITO FAVORE DI RENZI AI POTERI FORTI
DIVENTERANNO ISTITUTI NORMALI: SI VOTA IN BASE AL CAPITALE, NON ALLE TESTE
Piazza Affari abbocca all’amo lanciato dal premier Matteo Renzi sulla riforma delle banche Popolari.
Dopo l’annuncio di un generico “provvedimento sul credito” fatto lo scorso 16 gennaio durante la direzione del Pd, ieri Renzi ha specificato nel corso dell’assemblea dei senatori del partito che il governo discuterà le nuove misure già nel Consiglio dei ministri fissato per oggi.
In sostanza, si tratterà di abrogare tout court l’articolo 30 del Testo unico bancario che disciplina il governo societario delle banche popolari cancellando così il voto capitario (una testa, un voto) qualunque sia il numero delle azioni possedute e trasformando di fatto questi istituti in società per azioni.
In Borsa sono subito scattati gli acquisti sui titoli Bpm, Bper, Banco Popolare e Ubi che hanno tirato la volata con rialzi tra l’8 e il 14 per cento.
Gli ordini in acquisto sono comunque piovuti anche sugli altri titoli bancari che potrebbero essere coinvolti in un processo di consolidamento del settore
La rivoluzione annunciata da Renzi — voluta dalla Banca centrale europea per favorire un consolidamento del sistema bancario che oggi conta in Italia 70 istituti popolari — si trova nella bozza disegno di legge Concorrenza alla voce “Servizi bancari”.
Fra i vari articoli se ne trova infatti anche quello relativo alle “norme in materia di banche popolari”, il cui testo è stringatissimo: “L’articolo 30 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993 n. 385 è abrogato. All’articolo 137 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al dl 24 febbraio 1998 n. 58 il comma 4 è abrogato”.
La rivoluzione sta tutta qui, in queste poche righe.
Se questa riforma verrà approvata sarà abrogato l’articolo 30 del Testo unico bancario che nei primi due commi prevede che ogni socio abbia un voto, qualunque sia il numero delle azioni possedute; inoltre nessuno, direttamente o indirettamente, può detenere azioni in misura eccedente l’1 per cento del capitale sociale, salva la facoltà statutaria di prevedere limiti più contenuti, comunque non inferiori allo 0,5 per cento.
Il presidente del Consiglio promette il miracolo, presentato come l’ennesima rottamazione dei poteri forti in banca quando in realtà l’input arriva dall’alto del sistema, e incassa il plauso del mercato ma si deve già scontrare con la levata di scudi dei sindacati che temono nuovi tagli ai dipendenti e anche con le barricate alzate dalla politica.
Daniele Capezzone, deputato di Forza Italia e presidente della commissione Finanze della Camera, si chiede quali siano i requisiti di necessità , straordinarietà e urgenza per intervenire con un decreto legge, peraltro in una situazione in cui le funzioni di capo dello Stato sono svolte dal presidente del Senato.
Dall’altra parte Stefano Fassina, ex responsabile economico del Pd, vede nella riforma “un danno gravissimo all’economia nazionale” e non solo per le banche interessate perchè le piccole e medie imprese e le famiglie italiane hanno trovato, negli ultimi anni di crisi, proprio nella banche popolari e nelle banche di credito cooperativo l’unico canale di approvvigionamento di credito ancora attivo”.
Anche per Fassina, sarebbe surreale se una simile riforma venisse proposta per decreto, senza alcuna ragione di urgenza, e in una fase di una supplenza al Quirinale. È dunque probabile che la riforma incontri una forte opposizione in un momento complicato per Renzi che non può forzare la mano in Parlamento nel bel mezzo della
partita sul Quirinale.
Gli anaisti mostrano intanto un certo scetticismo preventivo sul successo dell’iniziativa, anche perchè — scrivono i broker di Equita sim — “negli ultimi quindici anni qualsiasi progetto di modifica della governance delle Popolari, anche non riguardante l’abolizione del voto per testa, è fallito. La conseguenza immediata è tuttavia l’aumento dell’incentivo per le Popolari ad aggregarsi, visto che minacce di modifiche dello status quo potrebbe arrivare anche dalla Bce”.
Marco Franchi
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