Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile
RENZI TEME CHE I SUOI AVVERSARI INTERNI AL PD CERCHINO LA RIVINCITA E CHE BERLUSCONI E ALFANO FACCIANO SALTARE IL BANCO
Paura , molta paura. Poche ore che non passano mai. Ancora una notte che può portare nei sonni di mille persone qualsiasi sogno, o di incubo.
Se si tratta di eleggere il presidente della Repubblica possono logorare il più degno dei nomi, il più nitido dei disegni.
Matteo Renzi avrebbe voluto la quarta votazione stasera, dalle sette a mezzanotte. Subito, si chiuda subito. Gli addetti alla buvette di Montecitorio erano già allertati: turno extra di piadine e supplì, straordinario garantito.
Invece no, le sabbie mobili delle procedure che tutto ingoiano e rallentano hanno inflitto all’Uomo dell’Attimo — così lo chiamano, Renzi, in tanti anche fra gli amici: il mago della gestione dell’attimo — la consueta tortura. Bisogna aspettare domani.
Sperare che nella notte nessuna idea brillante visiti le menti degli sconfitti, dei forzati, dei presidenti mancati e dei loro sostenitori, dei king maker di sempre al momento rigidi nei sorrisi di circostanza.
Bisogna sperare che nessuno “faccia politica” come si faceva una volta, sorride Cirino Pomicino, che non ci siano riunioni notturne di congiurati, che la sinistra Pd non trovi la via della rivincita, che Alfano e gli Ndc si arrendano alla convenienza di restare al governo, che Berlusconi veda infine il tornaconto possibile, magari sul piano del decreto fiscale ancora in ballo e di quel 3 per cento di franchigia per gli evasori che lo metterebbe in salvo.
Bisogna che non ci siano franchi tiratori, insomma, capaci da destra, da sinistra o dal centro di far perdere a Sergio Mattarella quel che ieri sera aveva in tasca. Il Quirinale. I Cinque stelle ci hanno messo del loro, hanno aiutato. Una possibilità avevano: quella di buttare fra i piedi di Renzi le candidature di Prodi o di Bersani. L’hanno mancata, come di consueto.
Imposimato, che richiesto di ritirarsi ha detto no, esclude di nuovo i grillini dalla capacità strategica di scelta politica.
Il rischio ora è tutto interno al vecchio/ nuovo sistema dei partiti. I democristiani, i comunisti. I cattocomunisti.
Bisogna rispolverare il lessico novecentesco per un candidato che Giorgia Meloni chiama “giurassico” e che ad un altro esponente del secolo scorso oggi in visita al Palazzo, Paolo Pillitteri ex sindaco socialista di Milano e cognato di Bettino Craxi, strappa un sorriso estatico: «È stupendo vedere come la Terza Repubblica per realizzarsi abbia bisogno della Prima».
Battute a josa, nell’acquario dei milleenove grandi elettori vestiti a festa. Al Bano e Romina a Sanremo, Raffaella Carrà in prima serata, Sergio Mattarella al Quirinale e trent’anni in meno, per decreto, per tutti.
Sorride Anna Finocchiaro, in smagliante procinto di farne sessanta.
«Magari… Ma va bene così. Mattarella è un gran bel nome, tiene insieme il Pd tutto intero. È difficile non votarlo, anche nel centro destra è una sfida per tanti».
Per tanti, non per tutti. Pierferdinando Casini, un altro dei presidenti del giorno prima, alla domanda “è una buona idea?” risponde: «È un’idea».
Poi aggiunge sornione: «Se capisco qualcosa di politica Mattarella avrà almeno settanta voti in più del necessario. La partita è chiusa».
Quindi si volta verso Franco Giordano, parlamentare di Sel: «Cosa ridi tu? Guarda che comunque dovrai votare un democristiano… ».
Un democristiano, sì. Un cattolico di sinistra di quelli che fecero e fanno impazzire l’area più conservatrice della destra cattolica: gli eredi di Buttiglione, oggi al governo. Comunione e Liberazione soffre come sotto tortura.
Maurizio Lupi, ministro di Renzi, scivola via dai capannelli e lascia che dicano di lui che non si occupa troppo di Quirinale, ha in vista la campagna elettorale per sindaco di Milano.
Esultano i siciliani, tutti, con alleanze ed entusiasmi imprevisti.
Crocetta fa campagna a destra, Bobo Craxi — a suo tempo eletto a Trapani — ricorda quando il centrosinistra mandò Mattarella a farsi eleggere a Bolzano, lo definisce «il più cattivo tra gli uomini miti», «un non professionista dell’antimafia», «un capolavoro di Renzi».
Denis Verdini sfila via scurissimo in volto, il patto del Nazareno osserva un turno di riposo, anche l’ex tesoriere Ds Sposetti oggi è meno intervistato del solito.
Gli uomini del momento sono altri, la geografia è all’improvviso cambiata: Alfano torna a consigliarsi con Berlusconi, Vendola torna a scambiare fitte opinioni con Renzi.
Il presidente del Consiglio, incassata a metà la legge elettorale, promette a Sel che si sta per aprire la “stagione dei diritti”.
Volete o non volete stare con noi? Maggioranze variabili, rimpasti di governo possibili.
Agli uomini di Sel Renzi ha chiesto di leggere con attenzione le 127 pagine di riforma sulla scuola. «Non abbiate pregiudizi », ha detto.
«Noi non abbiamo pre-giudizi, tu non darci un pre-testo », ha risposto Vendola.
Che rivendica, comunque, la fine di una fase: «Il Nazareno è finito. Si apre, si può aprire una stagione nuova».
La magia di Renzi sarebbe avere una maggioranza per il governo, con Alfano.
Una per il presidente della Repubblica, una terza per le prossime riforme — “la stagione dei diritti” — con Sel.
Pippo Civati profetizza che alla fine, pur di non rimanere fuori dai giochi, anche Berlusconi voterà Mattarella. Magari senza votarlo, lasciandolo passare come accadde a Napolitano la prima volta.
Angelo Sanza, vecchio democristiano, è più prudente e meno ottimista. «Ha fra 560 e 580 voti. Pochi per stare tranquillo»
Molto dipenderà da altri tavoli.
Si tratta per il segretario generale, per esempio: Frattini, forse?
Nessuno starà tranquillo, stanotte.
Girano fotocopie degli articoli dell’intervento di Mattarella contro un concerto di Madonna, anno 1990, con commenti che lo paragonano allo schiaffo (presunto) di Oscar Luigi Scalfaro alla signora scollata.
Mattarella come Scalfaro. Per Berlusconi c’è materia per restare insonne.
Per un certo Pd pure. Non si sa mai come va a finire, coi miti.
Entrano grigi, escono a colori.
Una notte ancora. State sereni.
Concita De Gregorio
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile
BOSSI: “QUELLO A BERLUSCONI LO FREGA SICURO”… CHIAMPARINO CAMMINA TRISTE A ZIG ZAG: FINITI I SOGNI DI GLORIA… LA GELMINI: “MANCA SOLO IL TWEET #SILVIOSTAISERENO”
L’andatura fa l’umore. Umberto Bossi procede a zig zag, visibilmente scosso e intorpidito. “Quello lo
frega sicuramente”. Quello è Mattarella, il fregato è Berlusconi.
Sergio Chiamparino anche è un po’ fregato. Quirinabile sconfitto. Zig zag e testa china. Ritorno in Piemonte previsto per domani sera e addio sogni di gloria.
Rosy Bindi, invece, a testa alta e a passo lento perchè tutti notino la novità .
Nichi Vendola, festoso, ha appena detto che Mattarella è la versione uomo della Bindi. Lei: “Molto meglio di me”. Lui: “Renzi ha messo due dita nell’occhio di Berlusconi. Sono contentissimo”.
C’è un cumulo di forzisti in disarmo, corpi adagiati sul divano di destra dell’aula. Ex valchirie berlusconiane segnano la disfatta con movimenti asimmetrici.
Laura Ravetto, ipercinetica: “So tante di quelle cose ma non le dico”.
Mara Carfagna è sul grigio esistenziale, lenta a cogliere l’atto doloroso.
Annagrazia Calabria piuttosto intontita: “Che?”. Michaela Biancofiore stravolta. Mariastella Gelmini ficcante: “Mancava solo che Renzi facesse un tweet con l’hashtag silviostaisereno”.
A un passo Paolo Romani, mani in tasca e sguardo vuoto. Cosa ne sarà di lui senza il Nazareno?
I siciliani, oggi molto ispirati, invece si mostrano in gruppo.
Rosario Crocetta, in qualità di presidente della Regione, il vincitore territoriale, si dilunga sul bacio come espressione sentimentale della politica in Trinacria .
Il suo predecessore, Totò Cuffaro (ora in carcere) era giustamente soprannominato “Vasa vasa”. Lui, noto omosessuale, annuncia che ha cambiato verso rispetto alle tecniche di approccio elettorale: “Non bacio più nessuno. Forse altri colleghi del Palazzo lo fanno e magari di notte e con travestiti”.
Arriva Giorgio Napolitano scortato da un commesso. Applauso reverenziale.
Ecco i colleghi senatori a vita Carlo Rubbia e Renzo Piano, senza commessi e senza applausi, spaesati.
La presidente Laura Boldrini, con quattro commessi: “Andrà bene”. Anche Domenico Scilipoti , ve lo ricordate?, c’è: “Mattarella, perchè no?”.
Inizia la chiama. Prima i senatori a vita (secondo applauso a Napolitano), poi il resto.
Lettera G. Galan? L’onorevole Giancarlo Galan è agli arresti domiciliari. Pure l’onorevole Francantonio Genovese (siciliano di Messina) poteva essere qui ma purtroppo è tenuto al domicilio coatto.
Giancarlo Magalli seppure lo volesse, non potrebbe entrare. Non è grande elettore. Berlusconi purtroppo anche. Fa strano ma è così.
Emanuele Fiano, renziano saltellante: “Chapeau a Matteo. Anche voi del Fatto dovreste dirlo che è un grande”.
Laura Venittelli, pidina molisana: “Non ero molto convinta, poi però…”.
Il Transatlantico è zeppo come il corso cittadino al sabato sera. Strusci e ristrusci, ombrelli, telecamere, soliti conciliaboli.
I calabresi, molto uniti, si stringono davanti ai tramezzini. Paolo Bonaiuti, ex portavoce berlusconiano, tiene il conto delle noccioline. Va bene uno spritz? Domani tutto passa. Hanno vinto quelli che stanno al lato sinistro del Transatlantico, hanno perso quelli di destra.
Così sembra, e tutto appare chiaro. “Mi appare chiarissimo”, dice Cesare Damiano.
Ignazio La Russa fa il presagio intuendo un varco dei possibili voltagabbana: “B. cambia idea spesso. Sabato farà il dietrofront”.
Roberto Calderoli: “Il no di Alfano a Mattarella dura tre minuti, massimo cinque. Poi si accoda”. Bruno Vespa sintetizza: “So per certo che Berlusconi aveva detto sì a Renzi su Mattarella. Poi qualcosa è successo”.
Forse che Marina, la figliola, gli ha telefonato? “Papà , mai. Lui è il nostro nemico storico!”.
È un giorno importante e anche alcuni reduci si uniscono al branco.
Toh, c’è Alfonso Pecoraro Scanio. Era verde una volta.
Anche Carlo Vizzini, un mito socialdemocratico, roba del secolo scorso. Siciliano come lui: “Io e Mattarella, quante battaglie”.
I risultati del primo giorno sono per certi versi clamorosi. Magalli, molto gettonato dal web, non figura nemmeno tra gli ultimi posti dei perdenti. Ottimo piazzamento della Prima Repubblica con Arnaldo Forlani, appaiato a Vittorio Feltri.
Exploit di un tale che di cognome fa Morelli, poi un filotto di schede bianche.
Quindi la gioia di chi sente la vittoria in tasca e le lacrime di chi, come Augusto Minzolini, avverte aria di pietanze lasciate in cucina: “Renzi ci ha fatto sedere a tavola ma poi non ci ha fatto mangiare”.
Antonello Caporale
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile
BIANCONI ANNUNCIA CHE I DISSIDENTI SI SGANCIANO DALLE DECISIONI DEL PARTITO
Il nome di Sergio Mattarella proposto dai dem di Matteo Renzi compatta il partito (e Sel) ma spacca Forza Italia.
L’ala fittiana si sgancia dalle decisioni del partito centrale e, come riferito dal dissidente Maurizio Bianconi, decide di votare autonomamente alla terza votazione.
E lo fa mentre è in corso la riunione dello stato maggiore azzurro.
La scissione si consuma con una nota di Raffaele Fitto che definisce la “fantomatica riunione dei cosiddetti ‘uffici di presidenza’” una “ottima iniziativa solo se è un preannuncio di dimissioni e azzeramento. In caso contrario — conclude -, è una ennesima riunione autoreferenziale e priva di legittimazione”.
Dichiarazioni rilasciate al termine della seconda votazione della mattinata, andata a vuoto come la prima del 29 gennaio e conclusa con 531 schede bianche e 143 nulle.
Il Parlamento sarà di nuovo chiamato a votare alle 15.30 per eleggere il capo dello Stato.
L’ex premier, intanto, si trova tra due fuochi: la proposta di Renzi è vista come un tradimento dell’accordo dallo stesso ex premier, che ieri si era detto “deluso”.
Ma nei suoi ragionamenti c’è la possibilità di ricucire il rapporto con il Pd e non mollare il patto del Nazareno, senza però piegarsi totalmente al segretario dem.
In più, il pressing interno è forte: l’ala più democristiana (35-40 parlamentari) vorrebbe votare Mattarella, quella più oltranzista vorrebbe far saltare definitivamente il banco.
Per arginare chi vorrebbe votare a favore del candidato dem, ai parlamentari Fi sarebbe stata data indicazione di non partecipare al quarto scrutinio quando servirà la maggioranza.
L’ipotesi della scheda bianca, avanzata ieri da Berlusconi, alimenta infatti i sospetti che poi, nel segreto dell’urna, l’ordine di scuderia non venga rispettato.
Ma i giochi sulla quarta votazione sono ancora aperti.
Alle 12 a Montecitorio la riunione dello stato maggiore degli azzurri per valutare, fra l’altro, la possibilità di presentare un candidato alternativo a Mattarella. Successivamente potrebbe esserci anche una riunione con i vertici del Nuovo Centrodestra, dove le frizioni sarebbero notevoli, soprattutto di chi giudica negativo non votare Mattarella e rompere il patto con Renzi.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile
UFFICIALMENTE SONO TUTTI PER LA SCHEDA BIANCA, MA BERNINI E GIOVANARDI TRA COLORO CHE VOTEREBBERO IL CANDIDATO DI RENZI
Ci saranno degli sviluppi, anzi ci potrebbero essere. 
La grande rabbia contro Matteo Renzi dopo la designazione in proprio di Sergio Mattarella come prossimo presidente della Repubblica, “tradendo tutte le promesse fatte con il Patto del Nazareno”, comincia a svaporare.
A sentire Silvio Berlusconi e i vari Paolo Romani e Renato Brunetta, capigruppo di Forza Italia al Senato e alla Camera, Mattarella non dovrebbe prendere un voto dei Grandi Elettori azzurri.
Stessa posizione nel Nuovo centro destra di Angelino Alfano: no a Mattarella. Almeno loro dicono.
Ma la grande muraglia contro il premier e il suo candidato invece sta cedendo.
E non sono i peones ad avere i primi dubbi, ma esponenti di primo piano dei due partiti.
“Ho provato a dirglielo ai miei, non ha senso rifiutare i nostri voti”, dice per esempio ai parlamentari azzurri a lei più vicini la vicecapogruppo al Senato Anna Maria Bernini: “visto che non abbiamo preclusioni sulla persona di Mattarella, votiamolo”.
Suona uno spartito identico un altro senatore di primo piano di Ncd, Carlo Giovanardi: anche per lui “Mattarella è da votare”.
Con una aggiunta: “Si sta aprendo una riflessione nelle nostre file, così non possiamo continuare”.
Primo Di Nicola
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile
TRA RENZI E BERLUSCONI CONTRASTO O BLUFF ?
Siccome è una partita tra furbi che si credono l’uno più furbo dell’altro, nessuno può dire se la carta Mattarella sia un atto di guerra di Renzi contro B. per rompere il Nazareno, o una manfrina per consolidare il Patto ma con il coltello dalla parte del manico.
Stando a quel che è accaduto ieri, si sa solo che Renzi ha detto: il Nazareno è vivo, ma comando io, quindi votiamo Mattarella al primo scrutinio.
E B. ha risposto: no, comando anch’io, dunque al primo scrutinio Mattarella non lo voto, si va a sabato, e intanto vediamo cosa mi offri in cambio.
I due compari erano d’accordo per un nome condiviso (da loro, s’intende) che non si chiamasse Prodi.
A dicembre era Casini, a gennaio Amato.
Poi, anche grazie a un giornale con un pizzico di memoria storica e alle reazioni dell’opinione pubblica, Renzi ha capito quanto sia impopolare Amato, e ha virato su Mattarella.
Che, sì, lasciò il governo Andreotti contro la legge Mammì con gli altri ministri della sinistra Dc. Ma questa è preistoria.
Da anni il buon Sergio s’è inabissato in un mutismo impenetrabile, ai confini dell’invisibilità , che non autorizza nessuno a considerarlo nè amico nè nemico del Nazareno.
Quel che si sa è che, pur essendo un ex Dc, non appartiene al giglio magico renziano, ma è molto ben visto dall’ex re Giorgio e dalla sottostante lobby di Sabino Cassese, di cui fanno parte i rispettivi rampolli Giulio Napolitano e Bernardo Mattarella (capufficio legislativo della ministra Madia, ex fidanzata di Giulio).
La solita parrocchietta di establishment romano.
Altro che rottamazione. Altro che il “nuovo Pertini” di “statura internazionale” promesso da Renzi.
Brava persona, per carità , ma non proprio “simbolo della legalità ” per comportamenti, frequentazioni e parentele.
È l’ennesimo “coniglio bianco in campo bianco” (com’era chiamato anche Napolitano, prima che smentisse tutti sul Colle).
Una figura talmente sbiadita che il premier sperava mettesse d’accordo tutti: renziani e antirenziani del Pd, ma anche B. che comunque allontana definitivamente lo spettro di Prodi.
Diciamola tutta: se Renzi avesse voluto rompere il Patto del Nazareno, avrebbe candidato l’unico vero ammazza-Silvio del Pd, e cioè il Professore.
Perciò sarebbe il caso che Imposimato — anche alla luce di quel che abbiamo scritto ieri e aggiungiamo oggi sulla sua carriera tutt’altro che lineare — venisse pregato dai 5Stelle di ritirarsi a vantaggio del secondo classificato alle Quirinarie.
E che votassero Prodi anche Sel e la minoranza Pd, che ieri hanno incredibilmente abboccato all’amo di Renzi nella pia illusione che Mattarella segni la fine del Nazareno.
A meno che B. non scelga spontaneamente il suicidio votandogli contro al quarto scrutinio di sabato, Mattarella non è affatto un candidato anti-B..
Non a caso Renzi, quando ha visto l’amico Silvio vacillare, ha consultato Confalonieri, che è subito sceso a Roma per convincere B. a restare in partita.
Se alla fine, come in tutti questi anni, fra gli umori del partito e gli interessi dell’azienda, B. sceglierà i secondi e voterà Mattarella, potrà metterci il cappello e continuare a spadroneggiare e a fare affari.
Anche perchè, senza i suoi voti, Renzi può (forse) eleggere il capo dello Stato grazie all’apporto straordinario dei delegati regionali (quasi tutti pd).
Ma poi non può governare nè far passare le sue controriforme.
Salvo follie autolesionistiche di un Caimano bollito, è probabile che i tamburi di guerra forzisti di ieri siano solo l’ultimo ricatto per alzare la posta, e siano destinati a trasformarsi nel breve volgere di 24 ore in viole del pensiero.
Magari in cambio del salvacondotto fiscale del 3%, dato troppo frettolosamente per morto; o addirittura di qualche ministero tra qualche mese.
Domani, comunque, tutte le carte saranno scoperte.
Compresi i bluff.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile
AL CONFRONTO MONTI ERA IL CARNEVALE DI RIO
Al confronto Monti era il carnevale di Rio. 
Ho guardato e riguardato l’unica intervista a Sergio Mattarella disponibile su YouTube, ambientata su un divano a fiori non vivacissimi.
In quattro anni ha ricevuto zero commenti.
Questo è il primo.
Argomento della conversazione, il ruolo della cultura.
Il Presidente designato della Repubblica parla per sei minuti senza mai variare il tono della voce nè muovere un muscolo del volto.
A metà , per alleggerire, racconta una storiella del quarto secolo avanti Cristo.
La sua dialettica è un riuscito mix tra la verve di Forlani e l’immediatezza di De Mita. «Credo che il bombardamento commercializzato di modelli di vita cui oggi siamo sottoposti abbia agevolato e accresciuto, se non la tendenza, il pericolo di un abbassamento dei valori di riferimento».
Intendeva dire, con qualche ragione, che le tv di Berlusconi ci hanno lietamente rimbecillito. Però, vuoi mettere.
Oltre a Epitteto e Aristippo, che non sono due nazionali brasiliani, cita l’amato san Francesco.
Non è difficile immaginare che le sue prime mosse sul Colle sarebbero il distacco delle prese dei televisori e l’abbassamento della statura dei corazzieri per risparmiare sulla stoffa delle divise.
Dimezzerebbe i costi, gli sprechi e gli aggettivi, imponendo la dieta Bergoglio a tutto il Quirinale.
Da cittadino un Presidente così mi entusiasma.
Da giornalista mi getta nella disperazione più cupa.
Per dirla alla Mourinho, Mattarella ci darà «zero tituli».
Confido nell’effetto inebriante della carica, ma nel dubbio comincio a ripassare Aristippo.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile
ANTONINO MATTARELLA, AVVOCATO RADIATO DALL’ALBO, E IL CASSIERE… RISULTA LEGATO A UN GIRO DI FONDI COLLEGATI A NICOLINI, IL TESORIERE DELL’ORGANIZZAZIONE CRIMINALE
Un fratello che chiedeva prestiti a Enrico Nicoletti: non è certo un punto a favore della candidatura di Sergio Mattarella la presenza in famiglia di un tipo come l’avvocato Antonino Mattarella, o forse sarebbe meglio dire ex avvocato perchè, stando ad alcune pubblicaizoni di una decina di ani fa, sarebbe stato cancellato dall’ordine professionale per i suoi traffici.
Le colpe dei fratelli non ricadono sui presidenti in pectore però è giusto conoscere a fondo la storia delle famiglie di provenienza quando si parla di capi di Stato.
Sia nella luce, come nel caso del fratello Piersanti, nato nel 1935 e ucciso nel 1980 dalla mafia, sia nell’ombra, come nel caso di Antonino, nato nel 1937, terzo dopo Caterina (del 1934) e prima del piccolo Sergio, classe 1941.
Antonino Mattarella ha fatto affari con quello che è da molti chiamato “Il cassiere della Banda della Magliana” anche se in realtà quella definizione è imprecisa e sta stretta a don Enrico Nicoletti, una realtà criminale, come dimostra la sua condanna definitiva per associazione a delinquere a 3 anni e quella per usura a sei anni, autonoma e soprattutto di livello più alto.
Enrico Nicoletti era in grado di parlare con Giulio Andreotti, faceva affari enormi come la costruzione dell’università di Tor Vergata, si vantava di conoscere Aldo Moro, ha pagato parte del riscatto del sequestro dell’assessore campano dc Ciro Cirillo.
Ora si scopre che ha prestato, 23 anni fa, 750 milioni di vecchie lire al fratello di un possibile presidente della Repubblica.
Il Tribunale di Roma nel provvedimento con il quale applica la misura di prevenzione del sequestro del patrimonio di Nicoletti nel 1995 si occupa dei rapporti tra l’avvocato Antonino Mattarella e Nicoletti.
Nell’ordinanza scritta dal giudice estensore Guglielmo Muntoni, presidente Franco Testa, si descrive la storia di un palazzo in zona Prenestina comprato da Nicoletti, tramite una società nella quale non figurava, grazie anche alla transazione firmata con il curatore di un fallimento di un costruttore, Antonio Stirpe.
L’affare puzza, secondo i giudici, perchè il curatore, Antonino Mattarella era indebitato con lo stesso Nicoletti.
Il palazzo si trova in via Argentina Altobelli in zona Prenestina e ora è stato confiscato definitivamente dallo Stato.
“Davvero allarmanti sono le vicende attraverso le quali il Nicoletti ha acquistato l’immobile in questione — scrivono i giudici — Nicoletti infatti ha rilevato l’immobile dalla società in pre-fallimento (fallimento dichiarato il 20 luglio 1984) dello Stirpe con atto 9 gennaio 1984; è riuscito ad evitare una azione revocatoria versando una cifra modestissima, lire 150 milioni, rispetto al valore del bene, al fallimento. La transazione risulta essere stata effettuata tramite il curatore del fallimento Mattarella Antonino, legato al Nicoletti per gli enormi debiti contratti col proposto (dalla documentazione rinvenuta dalla Guardia di finanza di Velletri emerge che il Nicoletti disponeva di titoli emessi dal Mattarella, spesso per centinaia di milioni ciascuno)”. La legge fallimentare cerca di evitare che i creditori di un imprenditore restino a bocca asciutta. Il curatore dovrebbe evitare che, prima della dichiarazione di fallimento, i beni prendano il volo a prezzo basso.
Per questo esistono contro i furbi le cosiddette azioni revocatorie che riportano i beni portati via con questo trucco nel patrimonio del fallimento.
Il curatore dovrebbe vigilare e invece, secondo i giudici, l’avvocato Antonino Mattarella aveva fatto un accordo con Nicoletti e il palazzo era finito nella società di don Enrico.
Per questo le carte erano state spedite in Procura ma, prosegue l’ordinanza del sequestro, “una volta che gli atti furono trasmessi dal Tribunale Civile alla Procura della Repubblica per il delitto di bancarotta si rileva che le indagini vennero affidate al Maresciallo P. che risulta tra i soggetti ai quali Nicoletti inviava generosi pacchi natalizi”.
Non era l’unica operazione realizzata dalla società riferibile a Nicoletti e poi sequestrata, la Cofim, con Antonino Mattarella.
“In data 23 aprile 1992 risulta il cambio a pronta cassa dell’assegno bancario di lire 200 milioni non trasferibile, tratto sulla Banca del Fucino all’ordine di Mario Chiappni”, che è l’uomo di fiducia di Nicoletti per l’attività di usura.
“In data 28 aprile viene versato sul predetto c/c altro assegno di lire 200 milioni sulla Banca del Fucino, tratto questa volta all’odine della Cofim dallo stesso correntista del primo assegno: questo viene richiamato dalla società , a firma dell’Amministratore sig. Enrico Nico-letti. In data 30 aprile 1992 la Banca del Fucino comunica l’avvio al protesto del secondo assegno).”
L’assegno citato— concludono i giudici di Roma — risulta essere stato emesso dal Prof. Antonino Mattarella”.
I giudici riportano le conclusioni del rapporto degli ispettori della Cassa di Risparmio di Rieti, Cariri.
“A tal proposito — scrive il Tribunale — viene esemplificativamente indicato il richiamo di un assegno di 550 milioni emesso sempre dal Prof. Mattarella.
Si riporta qui di seguito per estratto quanto esposto dall’ispettorato Cariri: ‘In data 15 maggio 1992 (mentre era in corso la presente ispezione), è stato effettuato dalla Succursale il richiamo di un assegno di Lire 550 milioni, tratto sulla Banca del Fucino da Mattarella Antonio, versato in data 4 maggio sul c/c 12554 della Cofim (società riferibile a Nicoletti e poi sequestrata, ndr). Il richiamo è avvenuto previo versamento sul c/c della Cofim di altro assegno di pari importo tratto dallo stesso Mattarella, essendo il primo insoluto’. La Banca del Fucino ha regolarmente informato la nostra Succursale (il giorno 21 o 22) che anche il secondo assegno, regolato nella stanza di compensazione del 18 maggio, era stato avviato al protesto. (…). L’assegno di 550.000.000 lire è tornato protestato il 4 giugno e, al termine dell’ispezione, è ancora sospeso in cassa per mancanza della necessaria disponibilità per il riaddebito sul conto della Cofim”.
I rapporti tra Nicoletti e Antonino Mattarella risalivano ad almeno 3 anni prima.
I giudici riportano un episodio: il 17 luglio del 1989 Nicoletti telefona al suo uomo di fiducia Mario Chiappini mentre sta nell’ufficio di un tal Di Pietro della Cariri. Chiappini prende il telefono e dice al suo boss “che aveva prelevato e fatto il versamento e che era tutto a posto. Doveva sentire solo Mattarella con il quale aveva un appuntamento”.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile
E IL 72% VUOLE L’ELEZIONE DIRETTA DEL CAPO DELLO STATO
Un italiano su due non vuole Sergio Mattarella presidente della Repubblica. 
E’ questo il risultato di un sondaggio dell’Istituto Ixè per Agorà .
Solo il 20 per cento del campione è a favore di Mattarella, il 29% non sa.
Non solo: Il 72 per cento del campione intervistato da un sondaggio dell’Istituto Ixè, per la trasmissione di Rai Tre, è a favore dell’elezione diretta del Capo dello Stato.
Il 22 per cento è contrario e il 6 per cento non sa.
Si tratta del primo sondaggio sulla candidatura di Mattarella alla presidenza ed emergono chiaramente due elementi: in primis il rifiuto di un politico scelto dai partiti con un percentuale schiacciante che vorrebbe poterlo scegliere direttamente senza mediazione del Parlamento.
In secondo luogo il personaggio Mattarella non viene visto positivamente da oltre metà degli italiani e solo un italiano su cinque si schiera per la sua nomina.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile
POCO PERSONALE, NESSUN REGISTRO, ABBANDONO E CONFUSIONE… VIAGGIO NELLO SFASCIO DELL’AGENZIA CALABRESE CHE DOVREBBE GESTIRLI
Ci si potrebbe fermare qui, un passo oltre la porta della Agenzia nazionale per i beni confiscati alle mafie.
Al cospetto delle parole del direttore amministrativo Massimo Nicolò (165 mila euro di compenso annuo, di cui 14 mila di premio di risultato).
«Siamo in pochi», dice. «Vede dottore, tutti sparano a zero contro di noi. E ci sono problemi quotidiani, non si può negarlo. Ma in quanti siamo oggi al lavoro?».
Sono in 37, a fronte di 55 mila beni confiscati in Italia.
«Non ce la facciamo – dice – non possiamo farcela. Siamo dentro un gigantesco imbuto burocratico. In teoria, la legge ci darebbe la possibilità di assumere 100 persone, ma sono costi a carico delle amministrazioni di provenienza. Si rifiutano di darci il personale. Oppure lo richiamano indietro, quando lo abbiamo appena formato. Non siamo neppure riusciti a chiedere il bilancio consuntivo del 2013. Siamo pochi e tutti ci additano. Ma non ci danno i mezzi per lottare. Una scatola vuota? Diciamo che siamo una scatola da riempire»
Le sorprese
Ci si potrebbe fermare qui. Dentro questa palazzina gialla sgraziata, con le bandiere arrotolate, i corridoi vuoti, un silenzio spettrale. Ma sarebbe un errore.
Ci perderemmo diverse sorprese. Quelle che un sostituto procuratore di Catanzaro, Vincenzo Luberto, definisce provvedimenti manifesto.
«Sono leggi inventate con l’unico scopo di mettere in scena delle belle intenzioni, mentre nel concreto si fa esattamente l’opposto».
Luberto sostiene che le cose in Calabria, tutte quelle che riguardano la lotta alla ‘ndrangheta, si ispirino a questa principio: «Fare finta di…».
«Voi giornalisti – dice Luberto – guardate sempre il dito e vi perdete la luna».
E quale sarebbe, la luna? «Prendiamo il caso del processo al clan Muto di Cetraro, il re del pesce: 22 condanne definitive. Grandi titoli sulla costituzione di parte civile della presidenza del Consiglio. Era la prima volta che succedeva in Italia. Un segnale forte. Era il 2006».
E poi? «Sono passati otto anni. Nessuno è andato davanti al giudice civile a chiedere l’effettiva quantificazione del risarcimento. Lo Stato italiano poteva recuperare soldi dalla famiglia in questione, ma non lo ha fatto».
La Calabria è un pozzo di notizie.
Ed è vero quello che ha dichiarato il procuratore generale di Torino Marcello Maddalena, durante l’apertura dell’anno giudiziario: «L’impressione è quella di un sistema allo sbando. Riuscire a ripristinare la legalità nei confronti delle grosse organizzazioni mafiose è impresa quasi impossibile».
Su 59 beni sequestrati a Torino, 58 sono ancora nelle mani degli illegittimi proprietari. Beni che l’Agenzia con sede a Reggio Calabria nemmeno conosce.
Mancano i collegamenti. Il sito Internet non è aggiornato.
Spesso il telefono squilla a vuoto. Il direttore amministrativo Nicolò è l’unico ad aver accettato di rispondere alle nostre domande: «Al telefono, almeno nella sede principale di Reggio, io rispondo sempre e fino a tarda sera. Lavoro dodici ore al giorno. Ma è più che probabile che nelle succursali, i pochissimi impiegati lascino alcuni orari scoperti. Quanto a sapere, effettivamente, quali siano i beni confiscati, allora… Noi ci rifacciamo ad una vecchia banca dati del demanio che, senza voler parlare male di nessuno, beh…».
Nessuno sa. Nessuno ha la mappa.
I tempi burocratici italiani applicati alla materia dei beni sequestrati giocano a grande vantaggio dei mafiosi
Piccole storie calabresi significative.
Dopo anni di battaglie giudiziarie, il Comune di Lamezia Terme era riuscito a farsi assegnare un alloggio sequestrato alla famiglia Benincasa, nel quartiere ad alta densità ‘ndranghetista di Capizzaglie.
Lo ha ristrutturato e dato in gestione alla cooperativa Progetto Sud per ospitare dei rifugiati politici. Ma la corte d’Appello ha restituito il bene alla famiglia, che ora ci abita con impianti nuovi e infissi ammodernati con soldi pubblici
Gli investimenti
A due passi dal Castello Aragonese di Reggio Calabria, quasi di fronte al Tribunale, c’è un palazzone lasciato a metà .
È lì da cinque anni, come una specie di monumento. Era stato sequestrato a Gioacchino Campolo, detto il re dei video-poker.
Mezzo centro storico era suo. Il villino che ospitava in affitto la sede di Forza Italia. Il palazzo prestigioso in via Malacrinò, dove c’era la sede del Tribunale di Sorveglianza. Così come il «Super Cinema» sul lungomare, ormai chiuso da più di dieci anni e mai riconvertito.
Non è facile trovare imprenditori che vogliano investire soldi su beni dal futuro tanto incerto
Anche il procuratore capo di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, usa parole definitive: «La gestione non funziona. Manca la cognizione di quali siano i beni sequestrati, dove si trovino e la destinazione. È una ricchezza che lo Stato lascia nelle mani dei mafiosi».
Ci sono tre proposte di legge per modificare l’Agenzia. Si discute se portare la sede a Roma o lasciarla a Reggio Calabria. «Il problema è politico» dice un impiegato a fine turno, con aria abbacchiata.
Ecco, ancora la luna. La politica.
Niccolò Zancan
(da “La Stampa”)
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