CONGIURE, BUGIE E FRANCHI TIRATORI: TUTTI GLI INCUBI DELL’ULTIMA NOTTE
RENZI TEME CHE I SUOI AVVERSARI INTERNI AL PD CERCHINO LA RIVINCITA E CHE BERLUSCONI E ALFANO FACCIANO SALTARE IL BANCO
Paura , molta paura. Poche ore che non passano mai. Ancora una notte che può portare nei sonni di mille persone qualsiasi sogno, o di incubo.
Se si tratta di eleggere il presidente della Repubblica possono logorare il più degno dei nomi, il più nitido dei disegni.
Matteo Renzi avrebbe voluto la quarta votazione stasera, dalle sette a mezzanotte. Subito, si chiuda subito. Gli addetti alla buvette di Montecitorio erano già allertati: turno extra di piadine e supplì, straordinario garantito.
Invece no, le sabbie mobili delle procedure che tutto ingoiano e rallentano hanno inflitto all’Uomo dell’Attimo — così lo chiamano, Renzi, in tanti anche fra gli amici: il mago della gestione dell’attimo — la consueta tortura. Bisogna aspettare domani.
Sperare che nella notte nessuna idea brillante visiti le menti degli sconfitti, dei forzati, dei presidenti mancati e dei loro sostenitori, dei king maker di sempre al momento rigidi nei sorrisi di circostanza.
Bisogna sperare che nessuno “faccia politica” come si faceva una volta, sorride Cirino Pomicino, che non ci siano riunioni notturne di congiurati, che la sinistra Pd non trovi la via della rivincita, che Alfano e gli Ndc si arrendano alla convenienza di restare al governo, che Berlusconi veda infine il tornaconto possibile, magari sul piano del decreto fiscale ancora in ballo e di quel 3 per cento di franchigia per gli evasori che lo metterebbe in salvo.
Bisogna che non ci siano franchi tiratori, insomma, capaci da destra, da sinistra o dal centro di far perdere a Sergio Mattarella quel che ieri sera aveva in tasca. Il Quirinale. I Cinque stelle ci hanno messo del loro, hanno aiutato. Una possibilità avevano: quella di buttare fra i piedi di Renzi le candidature di Prodi o di Bersani. L’hanno mancata, come di consueto.
Imposimato, che richiesto di ritirarsi ha detto no, esclude di nuovo i grillini dalla capacità strategica di scelta politica.
Il rischio ora è tutto interno al vecchio/ nuovo sistema dei partiti. I democristiani, i comunisti. I cattocomunisti.
Bisogna rispolverare il lessico novecentesco per un candidato che Giorgia Meloni chiama “giurassico” e che ad un altro esponente del secolo scorso oggi in visita al Palazzo, Paolo Pillitteri ex sindaco socialista di Milano e cognato di Bettino Craxi, strappa un sorriso estatico: «È stupendo vedere come la Terza Repubblica per realizzarsi abbia bisogno della Prima».
Battute a josa, nell’acquario dei milleenove grandi elettori vestiti a festa. Al Bano e Romina a Sanremo, Raffaella Carrà in prima serata, Sergio Mattarella al Quirinale e trent’anni in meno, per decreto, per tutti.
Sorride Anna Finocchiaro, in smagliante procinto di farne sessanta.
«Magari… Ma va bene così. Mattarella è un gran bel nome, tiene insieme il Pd tutto intero. È difficile non votarlo, anche nel centro destra è una sfida per tanti».
Per tanti, non per tutti. Pierferdinando Casini, un altro dei presidenti del giorno prima, alla domanda “è una buona idea?” risponde: «È un’idea».
Poi aggiunge sornione: «Se capisco qualcosa di politica Mattarella avrà almeno settanta voti in più del necessario. La partita è chiusa».
Quindi si volta verso Franco Giordano, parlamentare di Sel: «Cosa ridi tu? Guarda che comunque dovrai votare un democristiano… ».
Un democristiano, sì. Un cattolico di sinistra di quelli che fecero e fanno impazzire l’area più conservatrice della destra cattolica: gli eredi di Buttiglione, oggi al governo. Comunione e Liberazione soffre come sotto tortura.
Maurizio Lupi, ministro di Renzi, scivola via dai capannelli e lascia che dicano di lui che non si occupa troppo di Quirinale, ha in vista la campagna elettorale per sindaco di Milano.
Esultano i siciliani, tutti, con alleanze ed entusiasmi imprevisti.
Crocetta fa campagna a destra, Bobo Craxi — a suo tempo eletto a Trapani — ricorda quando il centrosinistra mandò Mattarella a farsi eleggere a Bolzano, lo definisce «il più cattivo tra gli uomini miti», «un non professionista dell’antimafia», «un capolavoro di Renzi».
Denis Verdini sfila via scurissimo in volto, il patto del Nazareno osserva un turno di riposo, anche l’ex tesoriere Ds Sposetti oggi è meno intervistato del solito.
Gli uomini del momento sono altri, la geografia è all’improvviso cambiata: Alfano torna a consigliarsi con Berlusconi, Vendola torna a scambiare fitte opinioni con Renzi.
Il presidente del Consiglio, incassata a metà la legge elettorale, promette a Sel che si sta per aprire la “stagione dei diritti”.
Volete o non volete stare con noi? Maggioranze variabili, rimpasti di governo possibili.
Agli uomini di Sel Renzi ha chiesto di leggere con attenzione le 127 pagine di riforma sulla scuola. «Non abbiate pregiudizi », ha detto.
«Noi non abbiamo pre-giudizi, tu non darci un pre-testo », ha risposto Vendola.
Che rivendica, comunque, la fine di una fase: «Il Nazareno è finito. Si apre, si può aprire una stagione nuova».
La magia di Renzi sarebbe avere una maggioranza per il governo, con Alfano.
Una per il presidente della Repubblica, una terza per le prossime riforme — “la stagione dei diritti” — con Sel.
Pippo Civati profetizza che alla fine, pur di non rimanere fuori dai giochi, anche Berlusconi voterà Mattarella. Magari senza votarlo, lasciandolo passare come accadde a Napolitano la prima volta.
Angelo Sanza, vecchio democristiano, è più prudente e meno ottimista. «Ha fra 560 e 580 voti. Pochi per stare tranquillo»
Molto dipenderà da altri tavoli.
Si tratta per il segretario generale, per esempio: Frattini, forse?
Nessuno starà tranquillo, stanotte.
Girano fotocopie degli articoli dell’intervento di Mattarella contro un concerto di Madonna, anno 1990, con commenti che lo paragonano allo schiaffo (presunto) di Oscar Luigi Scalfaro alla signora scollata.
Mattarella come Scalfaro. Per Berlusconi c’è materia per restare insonne.
Per un certo Pd pure. Non si sa mai come va a finire, coi miti.
Entrano grigi, escono a colori.
Una notte ancora. State sereni.
Concita De Gregorio
(da “La Repubblica“)
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