FRANCHI TIRATORI, L’INCUBO RESTA
IN AULA TRA BATTUTE E RIME BACIATE
«Cucù!» Silvio Berlusconi barcolla sorpreso: Matteo Renzi, a quanto pare, gli ha rifilato lo scherzo che lui, anni fa, aveva fatto ad Angela Merkel.
Solo che quello, pur esponendo l’allora premier alle ironie di mezzo mondo, era una sorpresa innocua. Questa no. Questo «cucù» può essere letale.
Non solo per la battaglia quirinalizia ma per i suoi stessi destini politici. Certo, lui non può ammettere se non a mezza bocca di sentirsi bidonato da quel ragazzo al quale aveva perdonato perfino di aver detto che lui, l’ex Cavaliere, poteva essere suo nonno.
E dunque contiene la collera con quelle parole che un tempo, al debutto in politica contro i «faniguttùn», quando era insofferente ogni sfumatura del politichese, sarebbero state molto più dure: «Non siamo noi a non aver rispettato il patto ma Renzi».
E poi: «Questa situazione segna comunque un altolà al patto del Nazareno». Traduzione: adesso salta tutto. Forse. Chissà . Probabilmente.
Dipende dal senso di isolamento…
Sia chiaro: la storia delle elezioni del presidente della Repubblica è costellata di tali incidenti di percorso da consigliare estrema cautela nelle previsioni di una facile vittoria mattarelliana.
Basti ricordare quanti leader, entrati papi nel conclave parlamentare, sono usciti cardinali. E bastonati, a volte, solo per una manciata di voti.
E dopo il tormentone di due anni fa nessuno ha il fegato di dare per già fatta l’elezione di Sergio Mattarella.
Resta valida la diagnosi di Carlo Donat-Cattin chiamato a suo tempo da Aldo Moro a bloccare l’elezione di Giovanni Leone: «I mezzi tecnici», rispose, «sono solo tre: il pugnale, il veleno e i franchi tiratori». Sempre lì. Sullo sfondo .
Solo Wikipedia, nel pomeriggio, per l’incursione di un hacker ferocemente buontempone, dà la cosa per fatta: «Il 29 gennaio 2015 Sergio Mattarella diventa presidente della Repubblica con 679 voti alla prima votazione, raggiungendo la maggioranza qualificata grazie all’appoggio del Partito democratico, di Forza Italia e di Giancarlo Magalli».
Man mano che passano le ore, però, l’incubo di una riapparizione di quelli che Bettino Craxi chiamava «una razza di deputati bastardi che affiorano nelle zone paludose del nostro ordinamento parlamentare», sembra (sembra!) sciogliersi nelle manifestazioni di ottimismo, i sorrisi, le pacche sulle spalle, le battute distensive delle diverse anime del Partito democratico e di tutta la costellazione del centrosinistra.
Ignazio La Russa la butta sul ridere: «Ho fatto un tweet: “dal patto del Nazareno siamo passati al patto del menga”». Sottinteso goliardico: intraducibile. Censura. Sfreccia via, ghignando, Maurizio Gasparri.
Nella scia di poeti parlamentari come il risorgimentale Giovanni Prati, Gabriele d’Annunzio, Trilussa e Mario Luzi, si è scoperto lui pure una vena artistica e si è messo ad armamentare intorno a rime baciate che libera nell’aere a Un giorno da pecora .
Ecco l’ultima: «Tutto è pronto, addobbi e sale / per la sfida Quirinale. / Nazareno, Mattarella, / scegli questo oppure quella. / A dozzin stanno lì fuori / schiere di manovratori / e gli illusi sono tanti / di apparir determinanti. / Poi c’è Sergio Mattarella, / pronto al balzo sulla sella, / ma al momento sono ancor tanti / gli aspiranti e i questuanti».
Al di là della poesiola, il vicepresidente del Senato detta all’Adnkronos parole di fuoco: «Renzi, come in altre occasioni, preferisce l’arroganza. Sarà il difetto che lo porterà nel tempo alla sconfitta».
I renziani che leggono il dispaccio ridacchiano: «Nel tempo! Nel tempo!»
Per ora, a vedere come i protagonisti di tutte le lancinanti battaglie intestine di questi mesi dentro il Pd su tutte ma proprio tutte le iniziative renziane, gironzolano per il Transatlantico ostentando sorrisi e serenità , pare che la vittoria (fatta la tara alla scaramanzia) l’abbiano davvero già in tasca .
E pare una vittoria di tutti.
Gongola Giuseppe Fioroni che tanto invocava sul Colle un inquilino cattolico. Gongola il trentino Lorenzo Dellai, l’ideatore della Margherita, che nel 2001 scatenò la guerra contro «l’amico Sergio» che era stato paracadutato dal partito a farsi eleggere nel collegio sicurissimo sulle montagne dolomitiche: «Non possiamo venire a sapere che uno si candida qui, com’è accaduto, dal Giornale di Sicilia ».
Sia chiaro, ammicca oggi, «tra tutti quelli che ci potevano imporre Sergio era il migliore. E dopo aver posto la questione di principio della nostra autonomia non gli facemmo mancare il nostro sostegno».
«La raccolta delle firme sì, però», ridacchia Gianclaudio Bressa, «Se non fosse stato per noi che venivano da fuori…».
Ma gongola anche lui. Come Stefano Fassina, che pure da mesi è con Renzi ai ferri corti: «Questa volta Matteo ha fatto la mossa giusta. Di unità per tutto il partito».
Vuol dire che quando arriverà in aula alla Camera l’Italicum l’opposizione interna sarà un po’ più conciliante e non pretenderà nuove modifiche? «Qualche modifica dovrà essere fatta senz’altro…», ma perchè litigare oggi?
Rosario Crocetta, il governatore della Sicilia, sprizza euforia: tre lustri dopo la botta micidiale del sessantun parlamentari a zero incassata dalla destra trionfante berlusconiana, l’isola che si riconosce nel Pd potrebbe ritrovarsi con due palermitani, Mattarella e Grasso, ai vertici dello Stato: «Per noi, se si passa Sergio, è una svolta storica. Lui lo sa, cos’è la mafia. Non ne ha sentito parlare così, genericamente. Suo fratello Piersanti, assassinato da chi non voleva che la Sicilia cambiasse, è morto tra le sue braccia. E bene ha fatto Renzi a ricordarlo».
I siciliani, scommette, «lo voteranno tutti. Tutti. Anche i berlusconiani».
Dall’altra parte, sventagliate di battute invelenite.
Ecco Daniela Santanchè, che si dice schifata da quello che bolla come un tradimento degli accordi.
L’altra pasionaria berlusconiana, Michaela Biancofiore, si è sfogata dicendo di avere «l’impressione sgradevole» che Renzi abbia «deciso che tutto il resto del mondo non gli serva più» e di aver capito che «gli piace fare il furbetto».
Lei rincara: «Sono fiera di appartenere ad un movimento politico di uomini che quando danno una parola la mantengono e rispettano i patti.
“Provo tristezza per chi sta con i quaquaraqua».
Augusto Minzolini ride: «Glielo avevo detto, a Berlusconi, che finiva così. Gli avevo detto di puntare su Prodi, per spaccare la sinistra. Oggi mi ha detto: avevi ragione tu. Tardi…».
Maurizio Sacconi spiega che no, non si fa così e che lui e i parlamentari del Nuovo centrodestra resteranno fermi e compatti sul no alla candidatura imposta: «Ormai è chiaro che in prospettiva andiamo verso una specie di cancellierato: il capo dello Stato non può sceglierselo l’aspirante cancelliere».
Maria Elena Boschi è convinta invece che no, non è detto che il terzo giorno il centrodestra resterà arroccato sulle posizioni di oggi: «Tre giorni, in politica, possono essere un’era geologica…».
E Buttiglione? Che farà , a prescindere dalle decisioni dei suoi amici di partito, l’ex segretario che vent’anni fa spostò un pezzo del Partito popolare a destra?
Un ventennio basta e avanza, per fare pace. Ma certo, allora, lo scontro con Sergio Mattarella, convintissimo che andasse confermata la scelta storica della Dc degasperiana del «partito di centro che guarda a sinistra», fu durissimo.
Tanto da spingere Mattarella, generalmente così freddo e razionale da guadagnare il nomignolo «On. Metallo», a lanciarsi in quella che viene ricordata come l’unica battuta della sua vita: «El general golpista Roquito Butilione…» .
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)
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