Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile
TRA RENZI E BERLUSCONI CONTRASTO O BLUFF ?
Siccome è una partita tra furbi che si credono l’uno più furbo dell’altro, nessuno può dire se la carta Mattarella sia un atto di guerra di Renzi contro B. per rompere il Nazareno, o una manfrina per consolidare il Patto ma con il coltello dalla parte del manico.
Stando a quel che è accaduto ieri, si sa solo che Renzi ha detto: il Nazareno è vivo, ma comando io, quindi votiamo Mattarella al primo scrutinio.
E B. ha risposto: no, comando anch’io, dunque al primo scrutinio Mattarella non lo voto, si va a sabato, e intanto vediamo cosa mi offri in cambio.
I due compari erano d’accordo per un nome condiviso (da loro, s’intende) che non si chiamasse Prodi.
A dicembre era Casini, a gennaio Amato.
Poi, anche grazie a un giornale con un pizzico di memoria storica e alle reazioni dell’opinione pubblica, Renzi ha capito quanto sia impopolare Amato, e ha virato su Mattarella.
Che, sì, lasciò il governo Andreotti contro la legge Mammì con gli altri ministri della sinistra Dc. Ma questa è preistoria.
Da anni il buon Sergio s’è inabissato in un mutismo impenetrabile, ai confini dell’invisibilità , che non autorizza nessuno a considerarlo nè amico nè nemico del Nazareno.
Quel che si sa è che, pur essendo un ex Dc, non appartiene al giglio magico renziano, ma è molto ben visto dall’ex re Giorgio e dalla sottostante lobby di Sabino Cassese, di cui fanno parte i rispettivi rampolli Giulio Napolitano e Bernardo Mattarella (capufficio legislativo della ministra Madia, ex fidanzata di Giulio).
La solita parrocchietta di establishment romano.
Altro che rottamazione. Altro che il “nuovo Pertini” di “statura internazionale” promesso da Renzi.
Brava persona, per carità , ma non proprio “simbolo della legalità ” per comportamenti, frequentazioni e parentele.
È l’ennesimo “coniglio bianco in campo bianco” (com’era chiamato anche Napolitano, prima che smentisse tutti sul Colle).
Una figura talmente sbiadita che il premier sperava mettesse d’accordo tutti: renziani e antirenziani del Pd, ma anche B. che comunque allontana definitivamente lo spettro di Prodi.
Diciamola tutta: se Renzi avesse voluto rompere il Patto del Nazareno, avrebbe candidato l’unico vero ammazza-Silvio del Pd, e cioè il Professore.
Perciò sarebbe il caso che Imposimato — anche alla luce di quel che abbiamo scritto ieri e aggiungiamo oggi sulla sua carriera tutt’altro che lineare — venisse pregato dai 5Stelle di ritirarsi a vantaggio del secondo classificato alle Quirinarie.
E che votassero Prodi anche Sel e la minoranza Pd, che ieri hanno incredibilmente abboccato all’amo di Renzi nella pia illusione che Mattarella segni la fine del Nazareno.
A meno che B. non scelga spontaneamente il suicidio votandogli contro al quarto scrutinio di sabato, Mattarella non è affatto un candidato anti-B..
Non a caso Renzi, quando ha visto l’amico Silvio vacillare, ha consultato Confalonieri, che è subito sceso a Roma per convincere B. a restare in partita.
Se alla fine, come in tutti questi anni, fra gli umori del partito e gli interessi dell’azienda, B. sceglierà i secondi e voterà Mattarella, potrà metterci il cappello e continuare a spadroneggiare e a fare affari.
Anche perchè, senza i suoi voti, Renzi può (forse) eleggere il capo dello Stato grazie all’apporto straordinario dei delegati regionali (quasi tutti pd).
Ma poi non può governare nè far passare le sue controriforme.
Salvo follie autolesionistiche di un Caimano bollito, è probabile che i tamburi di guerra forzisti di ieri siano solo l’ultimo ricatto per alzare la posta, e siano destinati a trasformarsi nel breve volgere di 24 ore in viole del pensiero.
Magari in cambio del salvacondotto fiscale del 3%, dato troppo frettolosamente per morto; o addirittura di qualche ministero tra qualche mese.
Domani, comunque, tutte le carte saranno scoperte.
Compresi i bluff.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile
AL CONFRONTO MONTI ERA IL CARNEVALE DI RIO
Al confronto Monti era il carnevale di Rio. 
Ho guardato e riguardato l’unica intervista a Sergio Mattarella disponibile su YouTube, ambientata su un divano a fiori non vivacissimi.
In quattro anni ha ricevuto zero commenti.
Questo è il primo.
Argomento della conversazione, il ruolo della cultura.
Il Presidente designato della Repubblica parla per sei minuti senza mai variare il tono della voce nè muovere un muscolo del volto.
A metà , per alleggerire, racconta una storiella del quarto secolo avanti Cristo.
La sua dialettica è un riuscito mix tra la verve di Forlani e l’immediatezza di De Mita. «Credo che il bombardamento commercializzato di modelli di vita cui oggi siamo sottoposti abbia agevolato e accresciuto, se non la tendenza, il pericolo di un abbassamento dei valori di riferimento».
Intendeva dire, con qualche ragione, che le tv di Berlusconi ci hanno lietamente rimbecillito. Però, vuoi mettere.
Oltre a Epitteto e Aristippo, che non sono due nazionali brasiliani, cita l’amato san Francesco.
Non è difficile immaginare che le sue prime mosse sul Colle sarebbero il distacco delle prese dei televisori e l’abbassamento della statura dei corazzieri per risparmiare sulla stoffa delle divise.
Dimezzerebbe i costi, gli sprechi e gli aggettivi, imponendo la dieta Bergoglio a tutto il Quirinale.
Da cittadino un Presidente così mi entusiasma.
Da giornalista mi getta nella disperazione più cupa.
Per dirla alla Mourinho, Mattarella ci darà «zero tituli».
Confido nell’effetto inebriante della carica, ma nel dubbio comincio a ripassare Aristippo.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile
ANTONINO MATTARELLA, AVVOCATO RADIATO DALL’ALBO, E IL CASSIERE… RISULTA LEGATO A UN GIRO DI FONDI COLLEGATI A NICOLINI, IL TESORIERE DELL’ORGANIZZAZIONE CRIMINALE
Un fratello che chiedeva prestiti a Enrico Nicoletti: non è certo un punto a favore della candidatura di Sergio Mattarella la presenza in famiglia di un tipo come l’avvocato Antonino Mattarella, o forse sarebbe meglio dire ex avvocato perchè, stando ad alcune pubblicaizoni di una decina di ani fa, sarebbe stato cancellato dall’ordine professionale per i suoi traffici.
Le colpe dei fratelli non ricadono sui presidenti in pectore però è giusto conoscere a fondo la storia delle famiglie di provenienza quando si parla di capi di Stato.
Sia nella luce, come nel caso del fratello Piersanti, nato nel 1935 e ucciso nel 1980 dalla mafia, sia nell’ombra, come nel caso di Antonino, nato nel 1937, terzo dopo Caterina (del 1934) e prima del piccolo Sergio, classe 1941.
Antonino Mattarella ha fatto affari con quello che è da molti chiamato “Il cassiere della Banda della Magliana” anche se in realtà quella definizione è imprecisa e sta stretta a don Enrico Nicoletti, una realtà criminale, come dimostra la sua condanna definitiva per associazione a delinquere a 3 anni e quella per usura a sei anni, autonoma e soprattutto di livello più alto.
Enrico Nicoletti era in grado di parlare con Giulio Andreotti, faceva affari enormi come la costruzione dell’università di Tor Vergata, si vantava di conoscere Aldo Moro, ha pagato parte del riscatto del sequestro dell’assessore campano dc Ciro Cirillo.
Ora si scopre che ha prestato, 23 anni fa, 750 milioni di vecchie lire al fratello di un possibile presidente della Repubblica.
Il Tribunale di Roma nel provvedimento con il quale applica la misura di prevenzione del sequestro del patrimonio di Nicoletti nel 1995 si occupa dei rapporti tra l’avvocato Antonino Mattarella e Nicoletti.
Nell’ordinanza scritta dal giudice estensore Guglielmo Muntoni, presidente Franco Testa, si descrive la storia di un palazzo in zona Prenestina comprato da Nicoletti, tramite una società nella quale non figurava, grazie anche alla transazione firmata con il curatore di un fallimento di un costruttore, Antonio Stirpe.
L’affare puzza, secondo i giudici, perchè il curatore, Antonino Mattarella era indebitato con lo stesso Nicoletti.
Il palazzo si trova in via Argentina Altobelli in zona Prenestina e ora è stato confiscato definitivamente dallo Stato.
“Davvero allarmanti sono le vicende attraverso le quali il Nicoletti ha acquistato l’immobile in questione — scrivono i giudici — Nicoletti infatti ha rilevato l’immobile dalla società in pre-fallimento (fallimento dichiarato il 20 luglio 1984) dello Stirpe con atto 9 gennaio 1984; è riuscito ad evitare una azione revocatoria versando una cifra modestissima, lire 150 milioni, rispetto al valore del bene, al fallimento. La transazione risulta essere stata effettuata tramite il curatore del fallimento Mattarella Antonino, legato al Nicoletti per gli enormi debiti contratti col proposto (dalla documentazione rinvenuta dalla Guardia di finanza di Velletri emerge che il Nicoletti disponeva di titoli emessi dal Mattarella, spesso per centinaia di milioni ciascuno)”. La legge fallimentare cerca di evitare che i creditori di un imprenditore restino a bocca asciutta. Il curatore dovrebbe evitare che, prima della dichiarazione di fallimento, i beni prendano il volo a prezzo basso.
Per questo esistono contro i furbi le cosiddette azioni revocatorie che riportano i beni portati via con questo trucco nel patrimonio del fallimento.
Il curatore dovrebbe vigilare e invece, secondo i giudici, l’avvocato Antonino Mattarella aveva fatto un accordo con Nicoletti e il palazzo era finito nella società di don Enrico.
Per questo le carte erano state spedite in Procura ma, prosegue l’ordinanza del sequestro, “una volta che gli atti furono trasmessi dal Tribunale Civile alla Procura della Repubblica per il delitto di bancarotta si rileva che le indagini vennero affidate al Maresciallo P. che risulta tra i soggetti ai quali Nicoletti inviava generosi pacchi natalizi”.
Non era l’unica operazione realizzata dalla società riferibile a Nicoletti e poi sequestrata, la Cofim, con Antonino Mattarella.
“In data 23 aprile 1992 risulta il cambio a pronta cassa dell’assegno bancario di lire 200 milioni non trasferibile, tratto sulla Banca del Fucino all’ordine di Mario Chiappni”, che è l’uomo di fiducia di Nicoletti per l’attività di usura.
“In data 28 aprile viene versato sul predetto c/c altro assegno di lire 200 milioni sulla Banca del Fucino, tratto questa volta all’odine della Cofim dallo stesso correntista del primo assegno: questo viene richiamato dalla società , a firma dell’Amministratore sig. Enrico Nico-letti. In data 30 aprile 1992 la Banca del Fucino comunica l’avvio al protesto del secondo assegno).”
L’assegno citato— concludono i giudici di Roma — risulta essere stato emesso dal Prof. Antonino Mattarella”.
I giudici riportano le conclusioni del rapporto degli ispettori della Cassa di Risparmio di Rieti, Cariri.
“A tal proposito — scrive il Tribunale — viene esemplificativamente indicato il richiamo di un assegno di 550 milioni emesso sempre dal Prof. Mattarella.
Si riporta qui di seguito per estratto quanto esposto dall’ispettorato Cariri: ‘In data 15 maggio 1992 (mentre era in corso la presente ispezione), è stato effettuato dalla Succursale il richiamo di un assegno di Lire 550 milioni, tratto sulla Banca del Fucino da Mattarella Antonio, versato in data 4 maggio sul c/c 12554 della Cofim (società riferibile a Nicoletti e poi sequestrata, ndr). Il richiamo è avvenuto previo versamento sul c/c della Cofim di altro assegno di pari importo tratto dallo stesso Mattarella, essendo il primo insoluto’. La Banca del Fucino ha regolarmente informato la nostra Succursale (il giorno 21 o 22) che anche il secondo assegno, regolato nella stanza di compensazione del 18 maggio, era stato avviato al protesto. (…). L’assegno di 550.000.000 lire è tornato protestato il 4 giugno e, al termine dell’ispezione, è ancora sospeso in cassa per mancanza della necessaria disponibilità per il riaddebito sul conto della Cofim”.
I rapporti tra Nicoletti e Antonino Mattarella risalivano ad almeno 3 anni prima.
I giudici riportano un episodio: il 17 luglio del 1989 Nicoletti telefona al suo uomo di fiducia Mario Chiappini mentre sta nell’ufficio di un tal Di Pietro della Cariri. Chiappini prende il telefono e dice al suo boss “che aveva prelevato e fatto il versamento e che era tutto a posto. Doveva sentire solo Mattarella con il quale aveva un appuntamento”.
Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile
E IL 72% VUOLE L’ELEZIONE DIRETTA DEL CAPO DELLO STATO
Un italiano su due non vuole Sergio Mattarella presidente della Repubblica. 
E’ questo il risultato di un sondaggio dell’Istituto Ixè per Agorà .
Solo il 20 per cento del campione è a favore di Mattarella, il 29% non sa.
Non solo: Il 72 per cento del campione intervistato da un sondaggio dell’Istituto Ixè, per la trasmissione di Rai Tre, è a favore dell’elezione diretta del Capo dello Stato.
Il 22 per cento è contrario e il 6 per cento non sa.
Si tratta del primo sondaggio sulla candidatura di Mattarella alla presidenza ed emergono chiaramente due elementi: in primis il rifiuto di un politico scelto dai partiti con un percentuale schiacciante che vorrebbe poterlo scegliere direttamente senza mediazione del Parlamento.
In secondo luogo il personaggio Mattarella non viene visto positivamente da oltre metà degli italiani e solo un italiano su cinque si schiera per la sua nomina.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile
POCO PERSONALE, NESSUN REGISTRO, ABBANDONO E CONFUSIONE… VIAGGIO NELLO SFASCIO DELL’AGENZIA CALABRESE CHE DOVREBBE GESTIRLI
Ci si potrebbe fermare qui, un passo oltre la porta della Agenzia nazionale per i beni confiscati alle mafie.
Al cospetto delle parole del direttore amministrativo Massimo Nicolò (165 mila euro di compenso annuo, di cui 14 mila di premio di risultato).
«Siamo in pochi», dice. «Vede dottore, tutti sparano a zero contro di noi. E ci sono problemi quotidiani, non si può negarlo. Ma in quanti siamo oggi al lavoro?».
Sono in 37, a fronte di 55 mila beni confiscati in Italia.
«Non ce la facciamo – dice – non possiamo farcela. Siamo dentro un gigantesco imbuto burocratico. In teoria, la legge ci darebbe la possibilità di assumere 100 persone, ma sono costi a carico delle amministrazioni di provenienza. Si rifiutano di darci il personale. Oppure lo richiamano indietro, quando lo abbiamo appena formato. Non siamo neppure riusciti a chiedere il bilancio consuntivo del 2013. Siamo pochi e tutti ci additano. Ma non ci danno i mezzi per lottare. Una scatola vuota? Diciamo che siamo una scatola da riempire»
Le sorprese
Ci si potrebbe fermare qui. Dentro questa palazzina gialla sgraziata, con le bandiere arrotolate, i corridoi vuoti, un silenzio spettrale. Ma sarebbe un errore.
Ci perderemmo diverse sorprese. Quelle che un sostituto procuratore di Catanzaro, Vincenzo Luberto, definisce provvedimenti manifesto.
«Sono leggi inventate con l’unico scopo di mettere in scena delle belle intenzioni, mentre nel concreto si fa esattamente l’opposto».
Luberto sostiene che le cose in Calabria, tutte quelle che riguardano la lotta alla ‘ndrangheta, si ispirino a questa principio: «Fare finta di…».
«Voi giornalisti – dice Luberto – guardate sempre il dito e vi perdete la luna».
E quale sarebbe, la luna? «Prendiamo il caso del processo al clan Muto di Cetraro, il re del pesce: 22 condanne definitive. Grandi titoli sulla costituzione di parte civile della presidenza del Consiglio. Era la prima volta che succedeva in Italia. Un segnale forte. Era il 2006».
E poi? «Sono passati otto anni. Nessuno è andato davanti al giudice civile a chiedere l’effettiva quantificazione del risarcimento. Lo Stato italiano poteva recuperare soldi dalla famiglia in questione, ma non lo ha fatto».
La Calabria è un pozzo di notizie.
Ed è vero quello che ha dichiarato il procuratore generale di Torino Marcello Maddalena, durante l’apertura dell’anno giudiziario: «L’impressione è quella di un sistema allo sbando. Riuscire a ripristinare la legalità nei confronti delle grosse organizzazioni mafiose è impresa quasi impossibile».
Su 59 beni sequestrati a Torino, 58 sono ancora nelle mani degli illegittimi proprietari. Beni che l’Agenzia con sede a Reggio Calabria nemmeno conosce.
Mancano i collegamenti. Il sito Internet non è aggiornato.
Spesso il telefono squilla a vuoto. Il direttore amministrativo Nicolò è l’unico ad aver accettato di rispondere alle nostre domande: «Al telefono, almeno nella sede principale di Reggio, io rispondo sempre e fino a tarda sera. Lavoro dodici ore al giorno. Ma è più che probabile che nelle succursali, i pochissimi impiegati lascino alcuni orari scoperti. Quanto a sapere, effettivamente, quali siano i beni confiscati, allora… Noi ci rifacciamo ad una vecchia banca dati del demanio che, senza voler parlare male di nessuno, beh…».
Nessuno sa. Nessuno ha la mappa.
I tempi burocratici italiani applicati alla materia dei beni sequestrati giocano a grande vantaggio dei mafiosi
Piccole storie calabresi significative.
Dopo anni di battaglie giudiziarie, il Comune di Lamezia Terme era riuscito a farsi assegnare un alloggio sequestrato alla famiglia Benincasa, nel quartiere ad alta densità ‘ndranghetista di Capizzaglie.
Lo ha ristrutturato e dato in gestione alla cooperativa Progetto Sud per ospitare dei rifugiati politici. Ma la corte d’Appello ha restituito il bene alla famiglia, che ora ci abita con impianti nuovi e infissi ammodernati con soldi pubblici
Gli investimenti
A due passi dal Castello Aragonese di Reggio Calabria, quasi di fronte al Tribunale, c’è un palazzone lasciato a metà .
È lì da cinque anni, come una specie di monumento. Era stato sequestrato a Gioacchino Campolo, detto il re dei video-poker.
Mezzo centro storico era suo. Il villino che ospitava in affitto la sede di Forza Italia. Il palazzo prestigioso in via Malacrinò, dove c’era la sede del Tribunale di Sorveglianza. Così come il «Super Cinema» sul lungomare, ormai chiuso da più di dieci anni e mai riconvertito.
Non è facile trovare imprenditori che vogliano investire soldi su beni dal futuro tanto incerto
Anche il procuratore capo di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, usa parole definitive: «La gestione non funziona. Manca la cognizione di quali siano i beni sequestrati, dove si trovino e la destinazione. È una ricchezza che lo Stato lascia nelle mani dei mafiosi».
Ci sono tre proposte di legge per modificare l’Agenzia. Si discute se portare la sede a Roma o lasciarla a Reggio Calabria. «Il problema è politico» dice un impiegato a fine turno, con aria abbacchiata.
Ecco, ancora la luna. La politica.
Niccolò Zancan
(da “La Stampa”)
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Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile
D’AVOLIO E IL BUCO DA 47 MILIONI DI EURO A ROZZANO
Da giorni naviga sotto traccia, eppure l’inchiesta della procura di Milano sull’attuale consigliere regionale
del Pd Massimo D’Avolio, eletto nel 2013 con oltre 7.000 preferenze, sta creando grande agitazione all’interno dei democratici milanesi che temono un nuovo caso Sesto per il quale è a giudizio l’ex presidente della Provncia Filippo Penati.
Dal 20 gennaio 2015, D’Avolio risulta indagato per abuso d’ufficio in relazione a fatti che risalgono a quando era sindaco di Rozzano, comune dell’hinterland.
Secondo l’accusa, coordinata dal dipartimento del procuratore aggiunto Alfredo Robledo, D’Avolio attraverso alcune delibere, avrebbe autorizzato il pagamento della partecipata Ama ad alcune società della moglie.
Con l’ex primo cittadino è indagato anche l’attuale capo gruppo Pd nel consiglio comunale di Segrate, l’ingegnere Vito Ancora.
Anche per lui l’accusa è abuso d’ufficio. Infine, risulta coinvolto un dirigente dell’ufficio tecnico del comune di Rozzano per un presunto danno erariale legato alla compravendita di un’area industriale. nei giorni scorsi il Fatto ha cercato di contattare l’ex sindaco del comune milanese per chiedere spiegazioni, senza però riuscire a parlarci.
Questi i fatti, fino ad oggi.
Le carte dell’inchiesta però raccontano ben altro. Per capirlo bisogna partire dalla seconda partecipata del comune di Rozzano: la società Api, attualmente in liquidazione e che si tiene in pancia un buco da 47 milioni di euro.
Un crack senza precedenti nato e costruito sotto l’ombrello politico del Partito democratico e sotto la gestione D’Avolio, sindaco del comune milanese dal 2004 al 2009 nelle file dei Ds e dal 2009 al 2013 con rigorosa casacca Democratica.
Sul caso pesano diversi esposti di un ex consigliere comunale sui quali da oltre un anno si è incardinata un’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dai pm Luca Poniz e Letizia Mannella. L’indagine ha avuto una prima parzialissima discovery il 20 gennaio scorso.
In attesa degli sviluppi giudiziari, ciò che preoccupa ora sono i conti e il buco di Api: 47 milioni. Di questi ben 35 sono con le banche. Anzi con la banca.
Visto che il principale istituto creditore nei confronti della municipalizzata risulta il Monte dei Paschi di Siena.
Per comprendere l’intera vicenda bisogna tornare al 2004, quando la prima amministrazione D’Avolio vara il progetto del Teleriscaldamento inizialmente legato solo a un nuovo quartiere e in un secondo tempo allargato a tutta l’area di Rozzano.
Titolare dell’operazione è Ama, altra società pubblica che riceve l’incarico dal comune di stendere un progetto sul teleriscaldamento.
Due anni dopo, nel 2006, nasce Api srl, una vera società patrimoniale per quanto riguarda gli immobili pubblici. E’ lo strumento ideale per andare a batter cassa dalle banche. Arrivano così i 35 milioni da Monte dei Paschi.
Nello stesso anno, poi, Ama crea la società Rete srl. Lo scopo di Rete è quello di costruttore e di venditore dei servizi. Opererà fino al 2010, quando l’amministrazione decide di inglobarla in Ama, trasferendo il know how in Api. Molte ombre, dunque.
Tanto che nel blitz del 20 gennaio scorso la Guardia di finanza ha sequestrato ben 1.400 faldoni della società Ama.
Fin dall’inizio, il progetto del Teleriscaldamento solleva diverse ombre e molti dubbi. A partire dallo stesso business plan.
L’intero progetto, infatti, viene affidato allo studio dell’ingegnere Vito Ancora, pugliese classe ’66. Non uno qualsiasi, visto che Ancora, già nel 2006 risulta ricoprire l’incarico di responsabile tecnico sia in Ama che in Rete, esattamente le società cui il comune ha affidato l’opera del teleriscaldamento e che a loro volta appaltano la progettazione allo studio Ancora.
Fino al 2013 Vito Ancora risultava ancora negli assetti societari di Ama, mentre il suo ruolo in Rete è terminato nel 2011 contestualmente alla chiusura della società poi inglobata in Ama. Insomma, un elementare conflitto d’interessi.
Con lo studio Ancora che fattura oltre un milione di euro ad Api “in merito alla progettazione, direzione lavori (…) e lo sviluppo della rete del teleriscaldamento nel comune di Rozzano”. Questo si legge nella lettera che il 15 ottobre 2013 lo studio legale Ditto, per conto di Ancora, invia ad Api chiedendo il pagamento di fatture per 1.342.487 euro.
Dal 2010, l’ingegnere, laureato al Politecnico di Milano nel 1992, ricopre la carica capogruppo Pd nel consiglio comunale di Segrate.
E dopo il business plan, ecco i fornitori.
Uno su tutti: la Sauter energia e servizi Milano srl. La società , chiusa nel gennaio 2012 e inglobata in Sauter spa, nasce nel 2007. Tra i soci, nel 2013, compare Vito Ancora e la signora Laura Tesse, moglie dell’allora sindaco di Rozzano Massimo D’Avolio.
In quel periodo la Sauter servizi energia fornisce ad Ama strumenti per i controlli elettronici del teleriscaldamento.
“Il tutto — si legge nell’esposto depositato in Procura — senza che il sindaco abbia mai relazionato al consiglio comunale in merito alle scelte gestionali di merito”.
La società Viessman, invece, ha fornito le caldaie. Nel 2010 sia Viessman sia Sauter comparivano nelle locandine che sponsorizzavano le iniziative del Partito democratico. Il teleriscaldamento, naturalmente, non è un progetto sbagliato alla base. Tutt’altro.
Il problema nel caso di Rozzano, oltre agli incarichi societari sotto l’ombrello del Partito democratico, è stato un calcolo commerciale sbagliato.
In sostanza durante i lavori si sono tirati i tubi della rete in luoghi e aree dove il teleriscaldamento non potrà mai essere allacciato. Uno dei motivi generali è stata la forte crisi immobiliare che ha bloccato le speculazioni delle cooperative locali.
Questo, assieme a un contratto con Aler di dubbia efficacia, ha sbilanciato il rapporto economico tra investimenti e ricavi.
E così la semestrale di Api del luglio 2013 ha calcolato un rosso di 47.403.580 di euro. Di questi, oltre al dovuto a Monte dei Paschi, ci sono 2.720.539 di debiti tributari.
Da qui la messa in liquidazione nel dicembre del 2013. Qualche settimana prima, il 4 dicembre 2013, l’assemblea dei soci andò deserta. Di fatto il sindaco non si presentò.
In quella sede fu ribadito che “alla data odierna la situazione finanziaria non presenta alcun miglioramento” e che “lo stato societario non ha più le condizioni operative per la sua continuità aziendale”.
Tre giorni dopo, il 7 novembre, il presidente del Collegio dei revisori comunicò al sindaco le dimissioni in massa del Consiglio di amministrazione di Api.
Alla vicenda giudiziaria, infine, si affianca la polemica interna al Pd, tutta legata a Vito Ancora. Nel novembre scorso, infatti, David Gentili, consigliere comunale del Pd, nonchè presidente della commissione antimafia di palazzo Marino, scrive una mail al segretario metropolitano del Pd.
“Ti scrivo a nome anche dell’area tematica legalità per sollecitare una tua riflessione sulla possibile candidatura di Ancora a sindaco di Segrate. In particolare ti pongo alcune domande in merito a notizie a me giunte su un possibile conflitto d’interessi che lo avrebbe visto coinvolto. Intrecci, che se fossero confermati renderebbero inopportuno e rischioso candidare proprio Vito Ancora a sindaco di Segrate”.
Risultato: Ancora farà un passo indietro.
Davide Milosa
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 30th, 2015 Riccardo Fucile
ADDIO AL FOGLIO DOPO 19 ANNI: “CHE FARO’? RESTO NEL BRANCO, AI MARGINI DELLA FORESTA”
Ferrara, addio al Foglio dopo 19 anni “Tifo Nazareno, è politica stile Craxi”
Da oggi Il Foglio è firmato dal giovane collega Claudio Cerasa.
Da oggi Giuliano Ferrara è un ex direttore che rassicura i lettori orfani: «L’elefantino resta nel branco sia pur ai confini della foresta».
E’ di buon umore, difficile immaginarlo pensionato. Ha fatto le ore piccole per una festa di congedo, pretende di essere creduto quando dice: «A 63 anni bisogna imparare a morire. L’età conta e io non sono uno che ama la fitness».
Ferrara, cosa fa un Elefantino ai bordi della foresta?
«Prende le distanze dalla vita affollata e dai suoi ritmi tremendi, si riappropria dello spazio personale. Il Foglio è forse la cosa più bella che ho fatto nella mia vita ma è giusto dargli una prospettiva. A Natale ho avuto l’intuizione. Ho capito che questo era il momento di lasciare. Cerasa non ne sapeva niente, è quasi svenuto. E’ bravo, giovane, sexy. Non aveva senso perdere altro tempo».
Poi lei non sparisce vero?
«Assolutamente no. Sarò sempre un fervente tifoso del giornale. Mi sono trasferito in un ufficietto provvisorio. Ieri (oggi, ndr) ho portato a passeggio le mie canine, e poi, dopo la riunione di redazione, sono andato a leggermi il Wall Street Journal e il Financial Times. Articoli sui greci, posizioni opposte: andiamo a trattare o li meniamo…»
Arrivato al ventesimo e ultimo anno di direzione, lei dice: “Non mi pento di niente”, anzi, lo dichiara in francese: “Je ne regrette rien”. Mi dica un momento basso della sua direzione, ci sarà pure stato.
«Momento basso? Neanche uno, zero. So di darle un dispiacere ma tra i momenti alti, che sono stati tanti, metto la campagna sull’aborto»
Vincino la disegna da oggi in poi dimagrito. Sostiene che era la gestione de Il Foglio ad appesantirla. Qualche nuovo incarico in vista?
«Non mi preparo a nulla. Sono un sessantenne, glielo ho detto, ho soldi da parte, le mie canine, e ho un innato senso dell’uscita. Sono andato via dal Pci in piena carriera, ho rinunciato a La7 dopo la campagna sull’aborto, alla Rai, con i suoi funzionari impiccioni, e a Radio Londra… Sono sempre andato via al momento giusto».
Craxi, Berlusconi, adesso Renzi. Lei, in politica, ha bisogno di subire la fascinazione…
«Tre personalità accomunate mio modo di vedere le cose, estasiato e ironico. Non ho mai pensato che Craxi fosse Garibaldi, Berlusconi uno stinco di santo e Renzi uno esente da terribili difetti. Però mi piace la leadership che agisce, che incide, la spregiudicatezza, la menzogna swiftiana».
Ha sostituito Berlusconi con Renzi?
«Berlusconi è un vecchio amico. Vedo Renzi come il suo erede ».
Patto del Nazareno e inciucio si assomigliano?
«L’Italia si costruisce dal connubio tra Cavour e Rattazzi, il fascismo firma il Concordato, la Repubblica nasce sotto l’egida di Togliatti, c’è stato il compromesso storico, che ha dato anche i suoi frutti positivi, sconfiggendo il terrorismo. La politica è questo: patti, compromessi, spregiudicatezza nella cornice di una visione. Il Nazareno fa parte di tutto ciò»
Un nome secco per il futuro presidente della Repubblica.
«Mi rifiuto di giocare al borsino. Il nome non conta. Conta il metodo: il nuovo capo dello Stato sarà scelto dal capo della maggioranza d’intesa con il principale esponente dell’opposizione ».
L’opposizione dentro il Pd rimarrà così o si va verso una scissione?
«L’opposizione dentro il Pd non esiste, è sfilacciata, attraversata da interessi personali, da chiacchiere vagamente di sinistra. Alla prima prova seria, importante, sulla legge elettorale, è stata scavalcata dall’abilità di Renzi. Sono tutti figli di Bersani che ha collezionato sconfitte».
Lei l’ha proposto come presidente della Repubblica…
«Mi è simpatico. L’ho fatto per scherzo, era una chiacchiera divertente ».
La vittoria di Tsipras può influenzare il Pd di Renzi?
«Tsipras è il contrario di Renzi. Lui ha fatto un governo macho, Renzi un governo femmina. Lui si è legato ad una destra antisionista, Renzi, con il Patto del Nazareno, ad un mite democratico come Berlusconi. Tsipras è un comunista allegro e conservatore, vuole mantenere la Grecia così com’è. La sua vittoria è transitoria, mostrerà la corda».
Torniamo al Foglio. La famiglia Berlusconi si sta economicamente defilando.
«Sicuramente Il Foglio non è in cima ai loro pensieri e piano piano usciranno. L’elefantino, dai bordi della foresta, veglia sul giornale e sta già cercando nuovi investitori».
Alessandra Longo
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 29th, 2015 Riccardo Fucile
NEGLI ULTIMI 11 ANNI IL DIRIGENTE HA GUADAGNATO OLTRE 10 MILIONI DI EURO… SOLO NEL 2014 LA RETRIBUZIONE HA SFIORATO I 2 MILIONI
I bambini sognano di diventare, lo confermano anche i sondaggi, piloti, dottori o astronauti. 
E però, se volessero guadagnare cifre davvero stellari, dovrebbero puntare su un lavoro meno trendy ma assai più redditizio: quello di segretario generale della Coldiretti, l’associazione che raggruppa oltre un milione e mezzo di agricoltori italiani.
Solo negli ultimi 11 anni il segretario generale della Coldiretti ha guadagnato infatti la bellezza di 10 milioni di euro.
È questa la cifra record scoperta da “l’Espresso” spulciando i dati ufficiali dell’Inps: solo nel 2014 Vincenzo Gesmundo ha incassato tra stipendio e buonuscita 1,8 milioni di euro, a cui aggiungere anche il Tfr, circa 200 mila euro.
In tempi di vacche magre per l’economia italiana e per i contadini, la somma fa scalpore.
Il segretario, uno dei dirigenti più influenti della Coldiretti, dopo aver preso il super bonus non ha nemmeno lasciato l’associazione, ma ha cambiato tipo di rapporto di lavoro, passando da un contratto a tempo indeterminato a tempo determinato: ora prenderà 224 mila euro netti l’anno.
Oltre 18 mila euro al mese.
Contadino, ma milionario.
Emiliano Fittipaldi
(da “L’Espresso“)
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Gennaio 29th, 2015 Riccardo Fucile
PRENDE 9 VOTI COME PRODI… IL CAPOGRUPPO DI SEL DELLA QUINTA MUNICIPALITA’ DI NAPOLI COINVOLTO NELL’ELEZIONE DA QUALCHE BUONTEMPONE
Sostiene di non saperne niente e c’è da credergli.
Mauro Morelli, barbuto capogruppo di Sel alla Quinta municipalità del Comune di Napoli, che comprende i quartieri Vomero e Arenella, ha ottenuto nove voti nel primo scrutinio.
Nove, quanti Romano Prodi.
Al punto da indurre il solitamente compassato Enrico Mentana a chiedersi in maniera piuttosto colorita, in un fuori-onda che è già virale sul web e che domina la pagina Facebook dello stesso Morelli, chi mai fosse questo candidato.
Lo stesso candidato a sua insaputa, sempre sul suo profilo Fb, posta lo screen-shot dell’homepage di Repubblica.it con i risultati dello scrutinio e rassicura i suoi amici che gli chiedono notizie: “Sì, sono io”.
Di Morelli a livello nazionale si sa molto poco, praticamente nulla, mentre è piuttosto noto nel suo quartiere per l’impegno a sinistra e la partecipazione alle manifestazioni elettorali del suo partito e della lista Tsipras.
Non si sa chi può averlo votato, visto che il candidato ufficiale di Sel è Luciana Castellina, che infatti ha incassato 37 voti.
Forse uno scherzo, forse un gesto dimostrativo, nato quasi certamente per iniziativa di grandi elettori suoi concittadini, non necessariamente compagni di partito.
Antonio Tricomi
(da “La Repubblica“)
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