Luglio 4th, 2015 Riccardo Fucile
SERVILISMO VERSO LA LEGA, FAVORITISMI, REGOLE CHE CAMBIANO SECONDO CONVENIENZA, CAPOGRUPPO NOMINATO SENZA VOTAZIONE
Se qualche elettore di centrodestra si era illuso che Giovanni Toti, presidente per caso della Regione, avrebbe “cambiato verso” alla gestione del potere ligure pare si stia ricredendo piuttosto velocemente.
Ormai la base stessa di Forza Italia non nasconde nei commenti la profonda delusione per i comportamenti e le scelte operate dal Gabibbo bianco, compresi grossolani errori nella composizione della sua Giunta.
La prima accusa è di essersi circondato da un ristretto Cerchio magico, composto dal suo vicino di casa (Giacomo Giampedrone, sindaco di Ameglia), dall’amica della moglie Italia Cavo (la moglie di Toti, Siria Magri, era la sua capa in Mediaset), il coordinatore regionale Sandro Biasotti e la protetta di quest’ultimo Lilli Lauro, risultata non eletta.
La seconda accusa riguarda indirettamente proprio Lilli Lauro: per far posto a lei, Toti ha costretto alle dimissioni da consiglieri (diventano assessori) proprio Giampredone e la Cavo, entrati in Regione con il Listino.
Perchè due dimissioni per far entrare la Lauro? Perchè prima di lei nel listino c’era un altro leghista, Franco Senarega, noto intimo di Salvini nelle sue escursioni a Recco.
Così alla fine Toti, pur di far entrare in Consiglio regionale Lilli Lauro, ha regalato un posto alla Lega.
L’ennesimo favore al Carroccio che si prende tutti gli assessorati chiave (dalla Sanità con la protetta di Maroni, Sonia Viale, alle infrastrutture con l’inquisito Rixi), dopo aver ottenuto pure la presidenza del Consiglio regionale con l’altro indagato Bruzzone.
Mentre Toti piazza l’indagato Marco Scajola al Welfare.
Altre accuse a Toti riguardano il fatto che le regole debbono valere per tutti: . se si adotta il criterio che chi viene nominato assessore deve dimettersi da consigliere, il principio dovrebbe essere rispettato da tutti.
Se deve essere nominato un capogruppo si deve votarlo, non imporlo dall’alto.
I dirigenti dovrebbero essere informati delle decisioni senza doverle leggere sui giornali, visto che Toti fa tutto in gran segreto con il suo cerchio magico.
Per non parlare della serie di gaffes che inanella: l’ultima quella di scrivere a Renzi contro la decisione della Commissione europea di non finanziare il Terzo Valico (peraltro giustamente, visto che non è trans-nazionale).
Ma come, Forza Italia è nel Ppe, hai Tajani che è vicepresidente e invece che fare pressione sui tuoi, stai a scrivere a Renzi che non c’entra una mazza?
Nel frattempo l’alleato Fratelli d’Italia, dopo aver fatto eleggere l’inquisito Matteo Rosso, designa Berrino e non Fidanza come assessore in quota, dopo una votazione in cui la direzione si spacca in due.
Alla fine La Russa parla con stampa di “larga convergenza” sul nome di Berrino: se un solo voto di differenza è una “larga convergenza” basta saperlo.
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Luglio 4th, 2015 Riccardo Fucile
LA MAGGIORANZA DEGLI ITALIANI E’ A FAVORE DELLE MISURE IMPOSTE DA BRUXELLES, MA SI FIDA DELL’EUROPA SOLO IL 49%
Il referendum promosso dal leader greco Tsipras rappresenta un vero e proprio guanto di sfida
lanciato alle istituzioni europee e sta tenendo con il fiato sospeso i cittadini per le implicazioni che potrebbe avere sul futuro dell’Ue.
In attesa di conoscere l’esito delle urne, con il sondaggio odierno abbiamo voluto verificare le opinioni degli italiani rispetto a questo importante appuntamento.
La maggioranza (53%) prevede che, indipendentemente dal referendum, la Grecia riuscirà ad accordarsi con l’Unione Europea, onorando i propri impegni per restare nell’euro, mentre un italiano su tre (31%) è pessimista e ritiene che la Grecia alla fine sarà costretta a dichiarare un fallimento e a uscire dalla moneta unica.
Parlando di Grecia talora viene evocato un effetto domino che potrebbe toccare anche l’Italia, da tempo alle prese con il risanamento finanziario e una difficile politica di riforme strutturali per poter far fronte agli impegni con i partner europei.
L’Italia è spesso considerata sullo stesso livello della Grecia nonostante vi siano profonde differenze, basti pensare al Pil o al numero di imprese (4,4 milioni).
Siamo il secondo Paese manifatturiero d’Europa ma oltre 70% degli italiani lo ignora. Non stupisce quindi che di fronte alla vicenda greca il 55% degli italiani pensi innanzitutto al rischio che questa crisi potrebbe colpire anche l’Italia, come già avvenne nella primavera del 2011 e il 16% sia preoccupato per i crediti che l’Italia vanta sulla Grecia, che potrebbero non essere onorati causando un buco nei nostri bilanci pubblici.
Solo il 15% si mostra tranquillo perchè ritiene che l’Italia sia oggi un Paese economicamente più solido della Grecia.
La crisi greca sta mettendo a dura prova l’Ue minandone la credibilità e mettendo in discussione il suo ruolo politico.
Secondo quasi tre italiani su quattro (72%) l’Europa esce da questa vicenda più debole, perchè non sembra capace di trovare soluzioni che tengano assieme tutti i Paesi mentre solo il 14% è di parere opposto e la ritiene più forte, perchè si rafforza il concetto che con l’unificazione tutti i Paesi devono cedere una parte della propria sovranità .
Ma cosa succederebbe in Italia se fossimo chiamati a votare per un referendum come quello greco?
La maggioranza (51%) voterebbe a favore delle misure imposte dall’Europa, pur di evitare il fallimento dell’Italia e l’uscita dall’euro, mentre il 30% voterebbe contro, correndo il rischio di ritornare alla lira, fortemente svalutata.
Gli elettori del Pd (83%) e quelli centristi (67%) sarebbero nettamente a favore del sì, mentre a favore del no risulterebbero gli elettori di Forza Italia (48%), del Movimento 5 Stelle (48%) e soprattutto i leghisti (56%), anche se una significativa minoranza dei rispettivi elettorati paventerebbe l’uscita dall’euro.
In occasione della crisi greca del 2011 la fiducia degli italiani nei confronti dell’Ue ha subito un brusco calo passando dal 72% al 53%.
Oggi la fiducia si è ulteriormente ridotta e si colloca ai livelli più bassi di sempre (49%).
Non va dimenticato che la vittoria di Tsipras nel gennaio scorso era stata salutata positivamente dal 54% dei nostri connazionali animati dalla speranza di attenuare la politica di austerità per favorire la crescita, di ridefinire le politiche comunitarie e di cambiare i rapporti tra gli Stati membri.
Indipendentemente dall’esito delle urne, l’Europa rischia di uscire ulteriormente ammaccata dal referendum greco.
È un’Europa perennemente a metà del guado nel processo di integrazione: vissuta come tecnocratica, arcigna e distante, concentrata sulle tematiche economiche e assente dai temi più sentiti dai cittadini come lavoro, istruzione e ricerca, sanità , pensioni, ambiente, immigrazione
Troppo spesso si dimenticano i motivi che stanno alla base della costruzione dell’Ue e tra gli italiani manca una riflessione non tanto su ciò che possiamo guadagnare stando in Europa, quanto su ciò che possiamo portare in Europa.
Sembra giunto il momento di un nuovo mito fondativo e di leader europei coraggiosi, visionari e dotati di grande capacità politica.
Ma è proprio ciò che manca ai nipoti di Schuman, Adenauer e De Gasperi.
Nando Pagnoncelli
(da “Il Corriere della Sera”)
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Luglio 4th, 2015 Riccardo Fucile
A RIFIUTARE IL VOTO OGGI SONO I BEN INFORMATI
Sembra che non ci si ricordi già più dell’astensionismo clamoroso alle elezioni del 31 maggio in alcune tra le più importanti regioni italiane, la Toscana, la Liguria, il Veneto, la Puglia, la Campania, le Marche, l’Umbria.
Il problema è stato furbescamente rimosso.
È il diritto di voto, non il suo uso, a dare il potere sovrano ai cittadini, vien detto: anche se gli elettori sono tre su mille i risultati della consultazione hanno ugualmente valore. Ineccepibile.
Non si tiene però in alcun conto l’esistenza e l’essenza della società nazionale che in pratica rifiutando il voto cancella se stessa, la sua forza comunitaria e nel vuoto lasciato dal fallimento della politica cerca di risolvere i suoi problemi come può.
Dopo la seconda guerra mondiale e il fascismo fu una festa il giorno del voto.
Potevano votare anche le donne, finalmente, l’anello forte della catena sociale che in quegli anni aveva retto con coraggio la sorte delle famiglie, gli uomini al fronte, le città distrutte, la miseria, la fame.
Per decenni il voto è stato considerato un obbligo sociale o anche un’abitudine, più o meno sentita, da non rompere.
La caduta è di questi ultimi anni: in maggio è andato ai seggi un italiano su due e quello dell’astensione è diventato il primo partito del Paese.
Le differenze col passato sono sostanziali.
A non votare, un tempo, erano, con gli anarchici, tradizionali nemici del sistema, coloro che rifiutavano le regole della democrazia, i qualunquisti di sempre, gli analfabeti del vivere collettivo, quanti ritenevano che i politici sono, senza eccezione, tutti uguali nel malfare ed era quindi inutile prender parte a quella tenzone.
Gli astensionisti di oggi, se si ascoltano le voci dell’opinione pubblica, i giornali, i blog, i talk-show, anche se ospitano ossessivamente le stesse persone lottizzate, se si ascolta la radio e si va sul tram o sul metrò, si ha, naturalmente senza alcuna scientificità , la risposta.
L’astensionismo è ora in buona parte di opinione, ben cosciente, ne sono protagoniste persone informate che leggono libri e giornali, non sono nè antipartito nè antipolitica, non sono indifferenti per nulla, conoscono i problemi, ne sono le vittime.
È un astensionismo di protesta il loro, interclassista, critico, gonfio di risentimenti, di rancori, di delusione, nei confronti delle promesse non mantenute, delle parole in libertà che si sentono ogni giorno.
È l’astensionismo doloroso di milioni di persone che hanno creduto nei valori della democrazia conquistati con tanta fatica, con il sangue, siglati da una Costituzione scritta da uomini di prim’ordine, svillaneggiata dal ventennio berlusconiano fino a oggi.
Viene considerata un inciampo da una classe dirigente che si ritiene in buona parte all’avanguardia, da governanti inadeguati, senza storia e senza cultura, abili tattici del vivere quotidiano, privi di una visione del mondo rotto e corrotto, da ricostruire non con l’autoritarismo, gli ultimatum, l’ottimismo di maniera privo di fondamento, l’incapacità di mediazione, essenziale nell’arte della politica.
L’astensionismo può essere una malattia mortale che mette a rischio la stessa democrazia, apre la via ai populismi d’accatto, agli estremismi travestiti da moderatismi apparentemente indolori.
Riguarda tutte le opinioni politiche, soprattutto la sinistra che in passato andava compattamente e orgogliosamente al seggio. La Toscana e l’Emilia-Romagna sono l’esempio del vento cambiato.
Gli elettori di sinistra si son trovati a dover votare per un partito, il Pd, con il quale non si sentono più consonanti, un partito personale con una politica divenuta centrista che ha fallito i suoi progetti: conquista di parte dell’elettorato di centrodestra conservando l’elettorato di sinistra.
Risultato: la fiducia in Renzi, secondo il recentissimo sondaggio di Nando Pagnoncelli, è scesa dal 70 per cento dei consensi avuti dopo le mitiche elezioni europee al 36 per cento di oggi.
Mentre i gruppi e i movimenti alla sinistra del Pd, divisi in mille rivoli, sono incapaci di dare un volto unitario ad almeno due milioni di persone prive di ogni rappresentanza politica
Non bastano gli slogan e i tweet per risolvere, con la velocità del velodromo, problemi come il lavoro, le disuguaglianze sociali, le tasse, la riforma della scuola – ha fatto perdere al Pd milioni di voti –, la burocrazia, gli sprechi, la corruzione che dilaga in tutti gli angoli della società , la Mafia capitale che fa rabbrividire anche chi ha studiato i poteri criminali.
Sono queste, più o meno, le ragioni del non voto e del rifiuto.
I problemi vanno affrontati senza oltranzismi, con umiltà .
È necessario rendere partecipi di un possibile ricominciamento i cittadini assenti, dar loro speranze prive di inganni.
La scheda è il segno della libertà se la legge non è una truffa e rispetta i diritti degli elettori .
Corrado Stajano
(da “il Corriere della Sera”)
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Luglio 4th, 2015 Riccardo Fucile
L’AUTHORITY ANTICORRUZIONE: “SPESE LIEVITATE OLTRE OGNI LOGICA, PROGETTI CARENTI E NESSUN TRASPARENZA”
Le premesse perchè la faccenda della Metro C di Roma finisse alla procura della Corte dei conti
c’erano tutte.
Non soltanto per una oggettiva questione di numeri: l’aumento dei costi di realizzazione, cresciuti di ben 692 milioni passando da 3 miliardi 47 milioni 424 mila a 3 miliardi 739 milioni 863 mila euro.
Ma soprattutto per il modo in cui è successo.
Progettazione carente: l’affidamento dei lavori è avvenuto sulla base della progettazione definitiva solo per le tratte più semplici, mentre per quelle del centro storico c’erano solo i progetti preliminari.
Soprattutto, indagini archeologiche assolutamente superficiali, che però non hanno impedito l’avvio di un appalto sempre più caro man mano che venivano a galla le sorprese.
Quindi una cifra astronomica di varianti in corso d’opera (quarantacinque).
Per non parlare di un contenzioso infernale costellato di decisioni e arbitrati per lo meno discutibili.
Questo è il referto finale dell’Autorità anticorruzione, tale da certificare anche il clamoroso e definitivo fallimento della legge obiettivo, che avrebbe dovuto garantire tempi e costi certi con l’istituzione della figura del cosiddetto general contractor.
I dubbi sull’appalto
E le premesse c’erano già dallo scorso novembre. Bastava leggere la prima delibera dell’authority presieduta da Raffaele Cantone, innescata dagli esposti del consigliere comunale di Roma Riccardo Magi e dell’ingegnere Antonio Tamburrino e da alcuni articoli, che aveva già spiattellato tutte le presunte magagne.
Nè le controdeduzioni presentate da Roma Metropolitane, la società del Comune che funge da stazione appaltante e dal consorzio Metro C che sta realizzando l’opera, hanno fatto evidentemente cambiare idea ai commissari dell’Anac.
Che nella relazione conclusiva, pubblicata venerdì sera, sono andati se possibile ancora più pesanti.
E le 44 pagine del loro rapporto hanno preso la via della Corte dei conti, dove il procuratore generale Salvatore Nottola le passerà ai raggi x.
Nel dossier firmato da Cantone si arriva perfino a esprimere perplessità sulla stessa continuità dell’appalto aggiudicato nel 2006 a un raggruppamento composto da Astaldi, Vianini lavori gruppo Caltagirone, il consorzio Cooperative costruzioni e l’Ansaldo Finmeccanica. Si capisce chiaramente dal richiamo ai «soggetti coinvolti ad assumere ponderate decisioni circa il prosieguo dell’opera, atteso che per la tratta T2 (quella che dovrebbe attraversare il centro storico di Roma, ndr) allo stato di fatto sono ancora concretamente da valutare tempi e costi di esecuzione nonchè la stessa possibilità di realizzazione».
Le istruttorie superficiali
La consegna della tratta in questione, secondo il programma originario, era prevista per il 21 giugno 2015: due settimane fa.
Sapevano benissimo tutti quanti, sostiene l’authority, ciò a cui andavano incontro. Sapevano che era impossibile non dover fare i conti con i problemi archeologici, e che quindi i ritrovamenti non potevano essere considerati come eventi di forza maggiore, bensì «circostanze insite nelle attività rimesse al contraente generale», il consorzio Metro C.
Ciò nonostante, insiste il rapporto, le indagini preventive sono state superficiali.
«Appare del tutto evidente», c’è scritto, «come ciò abbia determinato una notevole aleatorietà delle soluzioni progettuali da adottare nella fase di esecuzione e, ad appalto già in corso di esecuzione, rilevanti modifiche rispetto alle previsioni contrattuali, in particolare l’effetto della nuova tipologia esecutiva delle stazioni» che ha fatto lievitare nel tratto T3 un aumento dei costi superiore al 60 per cento.
Basta dire che la scelta iniziale, quella della grande galleria larga 10 metri, è stata subito messa in discussione.
I costi record di un’opera inutile
Ancora: «Pur prendendo atto di indubbie difficoltà operative, la pressochè totale assenza di indagini preventive all’appalto, per una parte così ampia del tracciato, non appare coerente con i principi di trasparenza e di efficienza che debbono connotare l’operato della stazione appaltante, per assicurare la certezza dell’oggetto contrattuale, dei costi e dei tempi dei realizzazione».
Il fatto è, continua il rapporto, che «alla luce dell’ampiezza dell’intervento e delle suddette carenze di indagini preventive, si sarebbe dovuta valutare con maggiore attenzione la decisione di procedere ad un appalto unico; dall’evoluzione dell’appalto sembra potersi dedurre che sarebbe stato opportuno verificare anche la fattibilità , in termini di attendibilità dei costi e dei tempi, della realizzazione dell’opera mediante lotti distinti, per i quali procedere ad accurate indagini prima di sviluppare la progettazione definitiva».
Tanto più che la questione archeologica è decisiva per le tratte del centro storico, dov’è in discussione anche la realizzabilità delle uscite superstiti, dopo che è già stata cancellata quella di piazza Argentina mentre pure quella della Chiesa nuova è ormai data per defunta: ed è chiaro che una metropolitana senza stazioni non serve a nulla.
Per giunta, andando avanti di questo passo, sarebbe l’opera pubblica inutile più costosa mai realizzata nel dopoguerra.
Gli oneri pagati due volte
Ma nel dossier pubblicato venerdì l’Anac tira in ballo anche i 65 milioni riconosciuti da Roma Metropolitane, al general contractor Metro C come «oneri inerenti» la stessa funzione di general contractor.
Denari che secondo l’authority erano già compresi contrattualmente, ma che sono diventati ugualmente oggetto di un singolare arbitrato.
Al termine del quale quegli oneri sono stati riconosciuti non soltanto per il passato, ma anche per il futuro.
Tanto per non venir meno alla regola che la parte pubblica negli arbitrati è sempre destinata a soccombere.
Il rapporto non risparmia neppure le modifiche introdotte, stavolta in sede contrattuale, che sono andate tutte a vantaggio del consorzio, al quale è stato concesso di ridurre dal 20 al 2 per cento gli oneri di prefinanziamento dell’opera a suo carico, oltre a «una riprogrammazione delle attività con anticipazione di opere apparentemente meno complesse di contro a una, di fatto, mancata accelerazione delle attività di competenza di Metro C».
E non manca di sottolineare la circostanza che le valutazioni dei soggetti deputati a esaminare fondatezza, ammissibilità e quantificazione economica delle riserve che hanno contribuito a far esplodere i costi non sempre siano state così attente e rigorose…
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)
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Luglio 4th, 2015 Riccardo Fucile
LA MERCIFICAZIONE DEL NOSTRO PATRIMONIO CULTURALE
Un amico newyorchese mi manda questa fotografia, chiedendomi cosa sia successo all’Italia. Questo amico ama moltissimo Eataly, e ci va spesso «to buy some of their fantastic produce, mortadella and fresh mozzarella».
Ma certo non si aspettava di trovare, nel settore dedicato alla pasta, una statua del secondo Quattrocento proveniente dal Duomo di Milano, buttata nel mezzo della sala dentro una scatola di plexiglass.
In effetti questa fotografia illustra la mercificazione del patrimonio culturale italiano meglio di un intero volume dedicato all’argomento.
Perchè la preziosa opera d’arte di un museo italiano deve decorare il negozio di un privato?
Ed è opportuno che un’opera d’arte del passato (per giunta di soggetto sacro) venga estratta da un museo per essere straniantemente inscatolata in mezzo alla pasta e alla mortadella?
Domande retoriche, visto che la mostra Tesoro d’Italia (sempre di Farinetti, all’Expo) replica questo modello su vastissima scala, mescolando capolavori dei musei pubblici a opere private, e addirittura a opere in vendita.
Poco cambia se quella statua è in realtà una copia eseguita nel 1962 (l’originale del XV secolo è da allora nel Museo del Duomo), perchè oggi lo stesso negozio ospita quattro pezzi originali del Duomo di Milano: tre doccioni autentici del XV secolo e una guglia del Seicento, in un inestricabile miscuglio di feticci e riproduzioni.
Molti pensano che questo sia un modo per avvicinare «la gente» all’«arte».
Io credo che sia solo un modo per piegare il patrimonio artistico bene comune agli interessi commerciali dei nuovi padroni del vapore.
Padroni a cui quelle opere d’arte interessano solo come strumenti del proprio marketing: presentando questi incredibili prestiti, Oscar Farinetti parlò di una statua di Santa Lucia incinta, fraintendendo, fantozzescamente, la veste tardogotica allacciata sotto il seno, e ignorando evidentemente tutto della storia della vergine siracusana in generale, e di questa statua in particolare.
Naturalmente non è questo il punto: ma dovrebbe far riflettere il fatto che chi parla continuamente di bellezza non ha in realtà la minima idea di quella bellezza.
Lo sfruttamento dell’arte da parte dei potenti di turno è una storia antica, ma la Costituzione italiana aveva messo le premesse di un futuro diverso, indicando un uso dell’arte del passato che fosse indirizzato verso la conoscenza, l’uguaglianza, il pieno sviluppo della persona umana.
Ma era un’altra Italia.
Oggi, anche agli occhi di un newyorkese è evidente che Eataly si è mangiata Italy.
(da “la Repubblica“)
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Luglio 4th, 2015 Riccardo Fucile
IL CONSIGLIERE DI VAROUFAKIS: “IL PIANO DELLA UE CUI LA GRECIA E’ STATA SOTTOPOSTA DAL 2010 HA SOLO CAUSATO UN CALO DEL 25% DEL PIL, UNA RICETTA FALLIMENTARE UTILE SOLO ALLE BANCHE TEDESCHE E FRANCESI”
E’ stato l’ombra e il fedele consigliere di uno dei protagonisti della crisi greca, il ministro delle
Finanze Yanis Varoufakis.
Lo ha seguito dappertutto in questi quattro mesi. E a poche ore dal referendum che può segnare il destino dell’Eurozona, è ancora ad Atene, al ministero delle Finanze, in compagnia del ministro greco. James Galbraith, docente all’università di Austin ha tutte le doti tipiche di un consigliere, tranne una: la diplomazia.
E a meno di 24 ore dal voto usa parole durissime nei confronti dei nemici di Atene.
Uno schieramento in cui Galbraith arruola anche il nostro presidente del Consiglio. “Ci ha delusi, è stata una follia la sua presa di posizione di lunedì”, dice Galbraith riferendosi al tweet in cui il premier spiegava che un no avrebbe voluto dire scegliere di uscire dall’euro, come avevano suggerito anche altre Istituzioni europee:
“Una minaccia vergognosa”, accusa Galbraith, “che Renzi ha deciso di sposare”
Professore, torniamo indietro un attimo, osservando da fuori è sembrato che in questi questo mesi di trattative il negoziato abbia cominciato a muoversi veramente soltanto all’inizio di giugno. Come se nelle settimane precedenti le proposte di Atene non fossero mai state prese sul serio. E’ così?
“Non penso. Ci sono state discussioni intense fin dall’inizio. Il problema è che le posizioni dei creditori sono rimaste immutate fino alla fine di giugno, quando il programma era in scadenza. Un programma che di fatto era stato rigettato dal popolo greco con le elezioni di gennaio. Per il nuovo governo, proseguire lungo quella linea era inaccettabile, ma le Istituzioni hanno deciso di mantenerla comunque fino alla fine. L’esecutivo di Tsipras è arrivato a questo punto perchè ha capito che da parte dei creditori non era stata fatta nessuna sostanziale concessione alla Grecia. L’obiettivo era respingere in toto la politica del suo governo”.
Eppure questo scenario sembra una sconfitta per tutti. Crede che ci siano stati errori nel negoziato da entrambe le parti?
“L’errore principale è stato commesso nel 2010, quando invece di ristrutturare e cancellare un debito chiaramente insostenibile è stato coinvolto il Fondo Monetario con l’obiettivo i salvare i creditori privati, specialmente le banche francesi e tedesche. Il secondo catastrofico errore è stata la previsione che la ricetta messa a punto per la Grecia avrebbe portato a una ripresa, quando invece ha causato un calo del 25% del Pil negli anni della crisi. Anche il programma di acquisto di titoli SMP da parte della Bce è stato uno sbaglio e la lista potrebbe ancora continuare”.
Qui si parla però degli anni passati. Rispetto a questi quattro mesi Grecia e creditori hanno qualcosa da rimproverarsi?
“Direi che il governo greco ha negoziato in buona fede e con dignità . Forse è stato difficile capire per tempo quanto sarebbero stati intransigenti i creditori, ma non mi sento di biasimare Tsipras per questo, perchè serve tempo per capire su cosa si può veramente trattare”.
E i creditori?
“Hanno semplicemente immaginato che il governo greco alla fine avrebbe ceduto su tutta la linea. Sono abituati a dare per scontato che ogni nuovo governo che va al potere alzi la voce in Europa ma poi alla fine finisca per allinearsi, come ha fatto il governo francese di Franà§ois Hollande. Hanno scoperto che il governo era diverso e non era disposto a cedere e per questo si sono spazientiti ed esasperati”.
Crede che il governo greco si aspettasse un maggiore supporto da parte dei Paesi socialisti in Europa, compreso il nostro?
“Come si ricorda, all’inizio del suo mandato Yanis Varoufakis ha fatto un tour in Europa per incontrare i ministri dei governi di Centrosinistra. Ma da quei momenti e dai primi incontri con i ministri dell’Eurozona è parso subito chiaro che non ci potevano essere illusioni da parte del governo greco. C’era un fronte all’interno dell’Eurogruppo, con la Spagna il Portpgallo e l’Irlanda in testa, che ha fatto fin da subito capire che per loro Syriza era un pericolo, perchè avrebbe spinto i partiti di sinistra in vista delle prossime elezioni.
E riguardo all’Italia ?
Tutti i partiti socialisti europei, incluso il Pd, hanno guardato con sospetto a Tsipras fin dall’inizio. Il motivo è semplice, sono affiliati con una forza, il Pasok, che è stato praticamente cancellato proprio da Syriza.
Insomma non esiste un alleato in Europa per Syriza
“Se vincerà in Spagna, Podemos. E se ciò accadesse penso che questo possa portare a un cambio di atteggiamento anche da parte del governo italiano”.
In che senso?
Devo dire che una delle cose che ha maggiormente deluso me e molte persone qui in Grecia è stata la presa di posizione di Matteo Renzi lunedì. Ha sposato quella vergognosa minaccia lanciata dall’Europa, per cui se i greci avessero votato no avrebbero scelto l’addio all’euro. Non avrebbe dovuto farlo. Una posizione del genere, così dura, poteva prenderla la Germania, ma non un Paese come l’Italia che sta ancora affrontando una crisi. E non è finita, secondo Bloomberg, i ministri delle Finanze europei sarebbero d’accordo su un sostegno alla Grecia anche in caso di no. Hanno capito che i costi di un’uscita dei Atene dall’ euro sarebbero enormi e maggiori di quelli da sostenere per mantenerla dentro. In altre parole hanno sgonfiato la minaccia fatta da Renzi lunedì e ha reso il suo posizione veramente assurda, folle”.
Pensa che Tsipras si aspettasse una tale radicalizzazione delle posizioni europee?
“Non so cosa Tsipras avesse in testa all’inizio, ma so che Varoufakis non ha mai avuto grandi illusioni. Anche nei vertici europei, i colleghi si sono dimostrati gentili, anche Schaeubele nelle conversazioni private, ma fin da subito si sono dimostrati molto chiari sul fatto che non sarebbero stati in grado di offrire qualcosa di sostanzialmente diverso da quanto previsto dal memorandum”.
Poniamo per ipotesi che vinca il sì. Pensa che Tsipras si dimetterà ? E’ possibile che, una volta che questo fosse il mandato del popolo greco, il premier decida di sottoscrivere un accordo contro cui si è deliberatamente schierato?
“Lo scopriremo la domenica sera, ma penso che sia molto difficile che Alexis accetti questa resa, cioè accetti di portare avanti questo programma. Peraltro lo stesso Varoufakis ha detto pubblicamente che si dimetterà in caso di sì”.
Lei è un amico stretto di Yanis Varoufakis. In questi mesi è stato spesso al centro di molte polemiche per la sua sovraesposizione mediatica. E’ sempre stato rappresentato come un uomo molto sicuro di sè. Ora la Grecia è al bivio, come sta vivendo questa responsabilità così forte?
“Yanis è un uomo molto riflessivo. Sarebbe ingiusto fare una valutazione su di lui solo basandosi sulle apparizioni Tv, perchè quelle rappresentano solo una parte del personaggio”.
Ma sono stati mesi molto duri. All’Eurogruppo di Riga ad esempio, alla fine di aprile, quando secondo alcune indiscrezioni venne definito un”dilettante”.
Crede abbia mai pensato di dimettersi?
“Sì, credo ci siano stati dei momenti. Ma so per certo che non al vertice di Riga. Yanis ha registrato quell’incontro e quelle cose non sono mai state dette, le dichiarazioni circolate dopo sono assolutamente false. Il punto è che Yanis rappresentava una minaccia politica, siccome non c’erano riposte politiche da contrapporgli, hanno provato a screditarlo, spostando la questione sul piano personale”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 4th, 2015 Riccardo Fucile
UN PAESE DIVISO PER UN FUTURO INCERTO
Il sondaggio non è scientifico, il campione non è rappresentativo. Ma a fare su e giù tra le due piazze che hanno chiuso la campagna per il referendum di domani, sembra in vantaggio il no.
Il conteggio ufficiale della polizia parla di 25 mila persone per il no e 17 mila per il sì. I sondaggi danno le due posizioni molto più vicine, per alcuni sarebbe in vantaggio il sì. Ma non tutti li considerano affidabili.
In ogni caso poco cambia se quel nuovo piano di aiuti in cambio di riforme sui cui 8 milioni di greci dovranno votare è stato nel frattempo modificato e pure ritirato.
Più che un referendum, quello di domani è un voto di fiducia al governo di Alexis Tsipras.
Il movimento del sì, l’opposizione al governo, ha scelto la piazza davanti allo Stadio Kallimarmaro, quello tutto di marmo delle prime olimpiadi moderne, quello stretto e aperto su un lato dove si chiuse la maratona dei Giochi 2004.
La gente comincia ad arrivare proprio mentre arriva la notizia che il Consiglio di Stato ha bocciato il ricorso presentato contro il referendum. Domani si vota, nessuna sorpresa all’ultimo chilometro.
Anatolios Andreadis ha una bandierina dell’Europa in mano e la nonna sotto braccio: «Siamo venuti insieme – dice lui, studente universitario di economia – per far vedere che giovani e vecchi sono d’accordo: senza l’Europa staremmo peggio ancora».
La musica non sembra proprio omogenea: prima una rumba poi addirittura Manu Chao. Si stupisce anche Todoros Vlachos, poliziotto in pensione che però si butta subito su quello che sembra il suo argomento preferito: «Io ho sempre votato a sinistra ma Tsipras non è di sinistra. È solo un bugiardo che promette cose che non può mantenere».
Palloncini azzurri, gente vestita bene, signore anche eleganti.
Qui è tutto abbastanza ordinato. Per distribuire gli adesivi ci sono anche i banchetti, poltroncine blu con bordo dorato. «Qui si viene per rimanere nell’euro», spiega la signorina ripetendo le parole che l’ex primo ministro Antonis Samaras ha detto poco prima alla tv.
Piazza Syntagma, quella del no e a favore di Tsipras, è dall’altra parte del Giardino nazionale.
Il cancello è chiuso da oggi pomeriggio per motivi di sicurezza. Bisogna fare il giro e passare davanti al palazzo presidenziale, quello con il famoso cambio della guardia con la pantofola a pon pon che oggi non si filano nemmeno i turisti.
Giri l’angolo ed ecco un cartellone scritto in tedesco, per essere sicuri che arrivi al mittente: «Schà¤uble traditore, vai all’inferno».
Dal palco si fanno i nomi di «Merkel, Draghi, Lagarde e Juncker» che sono «contro la democrazia e davanti a questo voto si stanno innervosendo».
Applausi della folla. Sulla sinistra del palco c’è anche una bandiera italiana ma la ragazza bionda che la sventola non vuole parlare.
Georgos Petropoulos, disoccupato, tiene in mano un manifesto che qui va fortissimo: una vecchia dracma che spacca a metà una moneta da due euro. «Facevo il muratore – racconta – non lavoro da due anni. Cosa me lo tengo a fare l’euro se poi muoio di fame?».
Giù in fondo alla piazza, verso via Ermou, sale il fumo dei lacrimogeni: gli anarchici hanno ottenuto quello che volevano, uno scontro con la polizia, di quelli come si deve. Dura poco, per fortuna.
Adesso tocca a Tsipras chiudere la giornata: «Oggi festeggiamo la vittoria della democrazia che ritorna in Europa. Siamo già vincitori, perchè tutti gli occhi dell’Europa sono puntati sul popolo greco». Boato della folla.
«Con il referendum non decidiamo semplicemente di stare in Europa, decidiamo di stare in Europa con dignità ». Altro boato.
La macchina di Syriza sarà pure riuscita a mobilitare il suo popolo, mentre il fronte del sì è più sfrangiato, scende in piazza con meno facilità e comunque con una «temperatura» diversa.
Ma l’impressione è che mentre davanti allo stadio e sotto le bandiere dell’Europa ci fossero i ricchi, qui a sentire Tsipras ci siano soprattutto i poveri.
Statisticamente i poveri sono di più.
E dopo cinque anni di crisi, con un greco su quattro senza lavoro e gli stipendi scesi di un terzo, sono sempre di più.
Lorenzo Salvia
(da “Il Corriere della Sera”)
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Luglio 4th, 2015 Riccardo Fucile
ALLO IAMB DI BARI (IN DOPPIA VESTE DI GIUDICE E PREMIATO NELLE GARE PER IL PIANO DI SVILUPPO SOSTENIBILE DA ESPORRE A PADIGLIONE ITALIA) ASSEGNATI I LAVORI A CHIAMATA DIRETTA
Un contratto da 1,3 milioni di euro assegnato senza gara. 
Per Expo la storia si ripete.
Oscar Farinetti non è l’unico a essersi assicurato un appalto senza confrontarsi con altri concorrenti.
Lo stesso beneficio è toccato anche al Politecnico di Milano e all’Istituto agronomico mediterraneo di Bari (Iamb), interessato di recente dalle indagini sulla Xylella fastidiosa, il batterio che ha colpito gli ulivi del Salento.
Ai due enti sono state infatti affidate l’ideazione e la gestione di Feeding knowledge, uno dei progetti finalizzati a riempire di contenuti lo slogan “nutrire il pianeta, energia per la vita”.
Tutto regolare? Qualche dubbio viene, a vedere la parsimonia con cui i soggetti coinvolti forniscono informazioni sui dettagli economici dell’accordo.
Partiamo però dal progetto.
Iamb e Politecnico hanno lavorato alla raccolta e alla divulgazione delle ‘best practice’ sviluppate in giro per il mondo in ambito di sicurezza alimentare.
In tutto ne sono state individuate più di 700, poi messe a gara per scegliere quelle migliori da esporre al Padiglione Zero, uno degli spazi più importanti del sito di Milano-Rho. Come già raccontato da ilfattoquotidiano.it, la gara ha avuto come protagonista indiscusso lo stesso Iamb, che non si è limitato a svolgere il ruolo di organizzatore, ma è stato anche arbitro e giocatore.
Ben sei membri sui 18 della commissione di pre-valutazione provenivano infatti dallo Iamb e dal Ciheam, l’organismo intergovernativo di cui lo Iamb è la struttura operativa italiana.
Sui 18 progetti vincitori, inoltre, tre avevano come promotore o partner lo Iamb, che in tutto ne ha presentati una trentina.
Un conflitto di interessi che ha portato una delle aziende escluse dalla premiazione, la pugliese Emitech, a presentare una denuncia in procura a Milano.
A questo aspetto se ne aggiunge un altro: l’affidamento dei lavori a Iamb e Politecnico è avvenuto senza alcun bando pubblico.
Eppure l’importo è piuttosto consistente: 1,3 milioni di euro. Un numero a cui ilfattoquotidiano.it è arrivato con una certa fatica.
Inutile infatti chiedere il valore del contratto a Iamb e Politecnico. Cosimo Lacirignola, segretario generale del Ciheam, l’ha buttata sul “rispetto istituzionale verso Expo.
Sono loro a dover dare questa informazione. Alla cifra che le daranno, aggiunga un 20%, la quota di cofinanziamento che spetta a noi”.
Parole a cui è seguita poche ore dopo un’email dell’ufficio stampa del Ciheam, che invece rivolgeva il proprio rispetto “nei confronti dell’autorità giudiziaria”, in virtù “della (da lei riferita) tendenza di indagini da parte dei ‘pm di Milano’”.
Analoghe le argomentazioni usate come schermo dal Politecnico: “La risposta dovrebbe darla Expo. O in seconda battuta lo Iamb, visto che il nostro ruolo è stato defilato”.
Una risposta, alla fine, Expo l’ha data. Dopo un po’ di insistenza, però. E dopo una prima nota che ometteva qualsiasi riferimento ai dettagli economici del contratto.
Ma come mai un progetto da 1,3 milioni di euro è stato affidato senza gara?
“L’accordo in questione è un contratto di ricerca a rimborso costi”, risponde la società di Giuseppe Sala, sostenendo che tale tipologia è esclusa dall’applicazione del Codice dei contratti pubblici.
Per giustificare la scelta, Feeding knowledge viene definito “un programma di ricerca, finalizzato a creare gli strumenti tecnologici e cognitivi che consentano di migliorare l’accesso e lo sviluppo delle conoscenze per la ricerca e l’innovazione nell’ambito della sicurezza alimentare”.
Sarà . Ma dal Politecnico fanno sapere di essersi limitati allo sviluppo della piattaforma informatica che fa da contenitore alle best practice, un lavoro di “consulenza tecnica”.
E perchè anche quella dello Iamb non è stata considerata una consulenza?
La domanda rimane aperta, con una sola certezza: di bandi pubblici non ce ne sono stati. E non vale come giustificazione il fatto che Iamb e Politecnico non siano aziende private. Nei mesi scorsi infatti l’Autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone ha vietato ad Arexpo, la società proprietaria delle aree Expo, di affidare all’università degli Studi di Milano e allo stesso Politecnico una consulenza sul destino del sito a esposizione conclusa, imponendo la pubblicazione di un bando da 90mila euro.
Nel caso di Feeding knowledge il valore del contratto è pure ben più consistente.
L’Anac però fa sapere di non poter entrare nel merito della questione, dal momento che l’accordo è stato siglato a luglio 2012.
Prima cioè che il governo incaricasse Cantone di vigilare sugli appalti di Expo.
Luigi Franco
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 4th, 2015 Riccardo Fucile
LA SUA POSIZIONE AL VAGLIO DEL TRIBUNALE DEI MINISTRI
“Lascio il governo a testa alta”. Il 20 marzo scorso Maurizio Lupi annunciò alla Camera le dimissioni da ministro delle Infrastrutture rivendicando di non essere indagato: “Dopo due anni di indagini i pm non hanno ravvisato nulla nella mia condotta da perseguire”.
A travolgere Lupi era stato soprattutto il Rolex regalato al figlio da Stefano Perotti, l’ingegnere arrestato con Ercole Incalza dalla procura di Firenze.
Ma le parole di Lupi erano viziate da un vago eccesso di ottimismo.
Lupi infatti risulta indagato per abuso d’ufficio, e la sua posizione è al vaglio del Tribunale dei ministri di Roma.
Nel mirino c’è dunque un reato ministeriale.
La vicenda è ben riassunta dalla lista degli altri indagati. Giacomo Aiello è stato fino al 20 marzo scorso capo di gabinetto di Lupi al ministero. Roberto Linetti è il Provveditore alle Opere pubbliche di Lazio, Abruzzo e Sardegna.
Ci sono poi due imprenditori delle costruzioni, Lupo Rocco, titolare dell’omonima impresa con sede a Gaeta, e Francesco Bachetoni, titolare della Inteco di Roma.
L’ipotesi è dunque che il ministro delle Infrastrutture abbia commesso un abuso d’ufficio in concorso con due dirigenti e due appaltatori.
L’inchiesta parte dalla complessa vicenda dell’ex Provveditore del Lazio Donato Carlea, nominato a settembre 2010 dall’allora ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli al posto di Giovanni Guglielmi.
Quest’ultimo, oggi direttore generale per l’edilizia statale nonostante i diversi procedimenti penali a suo carico, aveva lasciato in eredità a Carlea la grana della ristrutturazione della Questura dell’Aquila, danneggiata dal terremoto del 2009.
I lavori erano stati affidati con procedura “fiduciaria” a un raggruppamento di imprese composto da Lupo Rocco e Inteco, per un importo di 3 milioni di euro.
Nel giro di poche settimane l’appalto si era gonfiato fino a 18,5 milioni, provocando la reazione della Corte dei Conti che sollevò corpose obiezioni di legittimità .
Per quella vicenda Guglielmi e altri sono stati indagati nel 2011.
Fu Carlea, appena subentrato, a bloccare l’appalto e a fare rapidamente una nuova gara, aggiudicata al prezzo di 5,4 milioni.
A testimonianza del clima val la pena ricordare un articolo pubblicato su Repubblica da un giornalista esperto come Alberto Statera a fine 2010, nelle more della seconda gara: “Vogliamo fare una scommessa? La garetta riparatrice sarà vinta dalla stessa Inteco, che magari è un’ottima impresa corretta e timorata. Ma la parabola della questura dell’Aquila rivela i danni delle procedure emergenziali introdotte dalla coppia Balducci-Bertolaso, con il fattivo sostegno della presidenza del Consiglio e segnatamente del supersottosegretario Gianni Letta”.
La maliziosa scommessa di Statera è stata persa, così come l’Inteco ha perso l’affare.
Carlea ha raccolto un centinaio di offerte per il lavoro e l’ha aggiudicato a un’altra impresa.
A fine 2011 Lupo Rocco e Bachetoni hanno cercato di rifarsi partecipando alla gara bandita dal Provveditore per le opere pubbliche di Firenze per il restauro dell’ex caserma De Laugier, e hanno avuto successo.
A febbraio 2013 il Provveditore, Roberto Linetti, cresciuto al provveditorato di Roma nella squadra di Angelo Balducci, in seguito onnipotente dominus della cosiddetta “cricca”, ha aggiudicato alle due imprese un appalto da 12,8 milioni.
A settembre 2013 Lupi e Aiello hanno deciso di far fuori Carlea, che pure rivendicava importanti risultati soprattutto nella ricostruzione dell’Aquila.
Tanto che il suo siluramento provocò la protesta del sindaco del capoluogo abruzzese, Massimo Cialente.
Lo stesso Carlea apostrofò senza mezzi termini Lupi e Aiello: “Quella che voi chiamate rotazione è invece una restaurazione”.
Al posto di Carlea è stato nominato Linetti, oggi indagato con Lupi, Aiello e i due imprenditori.
In seguito si è aperto uno scontro senza esclusione di colpi tra Carlea e i vertici del ministero.
Il primo ha denunciato con un certo vigore l’andazzo incline alla corruzione che vigeva alle Infrastrutture. Lupi e Aiello per tutta risposta lo hanno sospeso dall’incarico di Provveditore della Campania verso il quale lo avevano dirottato.
Mesi prima dell’arresto di Ercole Incalza, l’uomo forte del ministero che ha trascinato nella sua disgrazia anche Lupi, Carlea ha scritto al presidente dell’Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone che, a fronte della sua sospensione, “all’interno del ministero che Lupi e Aiello stanno distruggendo ci sono decine di casi di gente, dirigenti generali e non, che hanno in corso procedimenti penali per reati gravissimi”.
Giorgio Meletti
(da “il Fatto Quotidiano“)
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