L’ASTENSIONISMO DI “OPINIONE” CHE METTE A RISCHIO LA DEMOCRAZIA
A RIFIUTARE IL VOTO OGGI SONO I BEN INFORMATI
Sembra che non ci si ricordi già più dell’astensionismo clamoroso alle elezioni del 31 maggio in alcune tra le più importanti regioni italiane, la Toscana, la Liguria, il Veneto, la Puglia, la Campania, le Marche, l’Umbria.
Il problema è stato furbescamente rimosso.
È il diritto di voto, non il suo uso, a dare il potere sovrano ai cittadini, vien detto: anche se gli elettori sono tre su mille i risultati della consultazione hanno ugualmente valore. Ineccepibile.
Non si tiene però in alcun conto l’esistenza e l’essenza della società nazionale che in pratica rifiutando il voto cancella se stessa, la sua forza comunitaria e nel vuoto lasciato dal fallimento della politica cerca di risolvere i suoi problemi come può.
Dopo la seconda guerra mondiale e il fascismo fu una festa il giorno del voto.
Potevano votare anche le donne, finalmente, l’anello forte della catena sociale che in quegli anni aveva retto con coraggio la sorte delle famiglie, gli uomini al fronte, le città distrutte, la miseria, la fame.
Per decenni il voto è stato considerato un obbligo sociale o anche un’abitudine, più o meno sentita, da non rompere.
La caduta è di questi ultimi anni: in maggio è andato ai seggi un italiano su due e quello dell’astensione è diventato il primo partito del Paese.
Le differenze col passato sono sostanziali.
A non votare, un tempo, erano, con gli anarchici, tradizionali nemici del sistema, coloro che rifiutavano le regole della democrazia, i qualunquisti di sempre, gli analfabeti del vivere collettivo, quanti ritenevano che i politici sono, senza eccezione, tutti uguali nel malfare ed era quindi inutile prender parte a quella tenzone.
Gli astensionisti di oggi, se si ascoltano le voci dell’opinione pubblica, i giornali, i blog, i talk-show, anche se ospitano ossessivamente le stesse persone lottizzate, se si ascolta la radio e si va sul tram o sul metrò, si ha, naturalmente senza alcuna scientificità , la risposta.
L’astensionismo è ora in buona parte di opinione, ben cosciente, ne sono protagoniste persone informate che leggono libri e giornali, non sono nè antipartito nè antipolitica, non sono indifferenti per nulla, conoscono i problemi, ne sono le vittime.
È un astensionismo di protesta il loro, interclassista, critico, gonfio di risentimenti, di rancori, di delusione, nei confronti delle promesse non mantenute, delle parole in libertà che si sentono ogni giorno.
È l’astensionismo doloroso di milioni di persone che hanno creduto nei valori della democrazia conquistati con tanta fatica, con il sangue, siglati da una Costituzione scritta da uomini di prim’ordine, svillaneggiata dal ventennio berlusconiano fino a oggi.
Viene considerata un inciampo da una classe dirigente che si ritiene in buona parte all’avanguardia, da governanti inadeguati, senza storia e senza cultura, abili tattici del vivere quotidiano, privi di una visione del mondo rotto e corrotto, da ricostruire non con l’autoritarismo, gli ultimatum, l’ottimismo di maniera privo di fondamento, l’incapacità di mediazione, essenziale nell’arte della politica.
L’astensionismo può essere una malattia mortale che mette a rischio la stessa democrazia, apre la via ai populismi d’accatto, agli estremismi travestiti da moderatismi apparentemente indolori.
Riguarda tutte le opinioni politiche, soprattutto la sinistra che in passato andava compattamente e orgogliosamente al seggio. La Toscana e l’Emilia-Romagna sono l’esempio del vento cambiato.
Gli elettori di sinistra si son trovati a dover votare per un partito, il Pd, con il quale non si sentono più consonanti, un partito personale con una politica divenuta centrista che ha fallito i suoi progetti: conquista di parte dell’elettorato di centrodestra conservando l’elettorato di sinistra.
Risultato: la fiducia in Renzi, secondo il recentissimo sondaggio di Nando Pagnoncelli, è scesa dal 70 per cento dei consensi avuti dopo le mitiche elezioni europee al 36 per cento di oggi.
Mentre i gruppi e i movimenti alla sinistra del Pd, divisi in mille rivoli, sono incapaci di dare un volto unitario ad almeno due milioni di persone prive di ogni rappresentanza politica
Non bastano gli slogan e i tweet per risolvere, con la velocità del velodromo, problemi come il lavoro, le disuguaglianze sociali, le tasse, la riforma della scuola – ha fatto perdere al Pd milioni di voti –, la burocrazia, gli sprechi, la corruzione che dilaga in tutti gli angoli della società , la Mafia capitale che fa rabbrividire anche chi ha studiato i poteri criminali.
Sono queste, più o meno, le ragioni del non voto e del rifiuto.
I problemi vanno affrontati senza oltranzismi, con umiltà .
È necessario rendere partecipi di un possibile ricominciamento i cittadini assenti, dar loro speranze prive di inganni.
La scheda è il segno della libertà se la legge non è una truffa e rispetta i diritti degli elettori .
Corrado Stajano
(da “il Corriere della Sera”)
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