GRECIA, LE DUE PIAZZE CONTRO
UN PAESE DIVISO PER UN FUTURO INCERTO
Il sondaggio non è scientifico, il campione non è rappresentativo. Ma a fare su e giù tra le due piazze che hanno chiuso la campagna per il referendum di domani, sembra in vantaggio il no.
Il conteggio ufficiale della polizia parla di 25 mila persone per il no e 17 mila per il sì. I sondaggi danno le due posizioni molto più vicine, per alcuni sarebbe in vantaggio il sì. Ma non tutti li considerano affidabili.
In ogni caso poco cambia se quel nuovo piano di aiuti in cambio di riforme sui cui 8 milioni di greci dovranno votare è stato nel frattempo modificato e pure ritirato.
Più che un referendum, quello di domani è un voto di fiducia al governo di Alexis Tsipras.
Il movimento del sì, l’opposizione al governo, ha scelto la piazza davanti allo Stadio Kallimarmaro, quello tutto di marmo delle prime olimpiadi moderne, quello stretto e aperto su un lato dove si chiuse la maratona dei Giochi 2004.
La gente comincia ad arrivare proprio mentre arriva la notizia che il Consiglio di Stato ha bocciato il ricorso presentato contro il referendum. Domani si vota, nessuna sorpresa all’ultimo chilometro.
Anatolios Andreadis ha una bandierina dell’Europa in mano e la nonna sotto braccio: «Siamo venuti insieme – dice lui, studente universitario di economia – per far vedere che giovani e vecchi sono d’accordo: senza l’Europa staremmo peggio ancora».
La musica non sembra proprio omogenea: prima una rumba poi addirittura Manu Chao. Si stupisce anche Todoros Vlachos, poliziotto in pensione che però si butta subito su quello che sembra il suo argomento preferito: «Io ho sempre votato a sinistra ma Tsipras non è di sinistra. È solo un bugiardo che promette cose che non può mantenere».
Palloncini azzurri, gente vestita bene, signore anche eleganti.
Qui è tutto abbastanza ordinato. Per distribuire gli adesivi ci sono anche i banchetti, poltroncine blu con bordo dorato. «Qui si viene per rimanere nell’euro», spiega la signorina ripetendo le parole che l’ex primo ministro Antonis Samaras ha detto poco prima alla tv.
Piazza Syntagma, quella del no e a favore di Tsipras, è dall’altra parte del Giardino nazionale.
Il cancello è chiuso da oggi pomeriggio per motivi di sicurezza. Bisogna fare il giro e passare davanti al palazzo presidenziale, quello con il famoso cambio della guardia con la pantofola a pon pon che oggi non si filano nemmeno i turisti.
Giri l’angolo ed ecco un cartellone scritto in tedesco, per essere sicuri che arrivi al mittente: «Schà¤uble traditore, vai all’inferno».
Dal palco si fanno i nomi di «Merkel, Draghi, Lagarde e Juncker» che sono «contro la democrazia e davanti a questo voto si stanno innervosendo».
Applausi della folla. Sulla sinistra del palco c’è anche una bandiera italiana ma la ragazza bionda che la sventola non vuole parlare.
Georgos Petropoulos, disoccupato, tiene in mano un manifesto che qui va fortissimo: una vecchia dracma che spacca a metà una moneta da due euro. «Facevo il muratore – racconta – non lavoro da due anni. Cosa me lo tengo a fare l’euro se poi muoio di fame?».
Giù in fondo alla piazza, verso via Ermou, sale il fumo dei lacrimogeni: gli anarchici hanno ottenuto quello che volevano, uno scontro con la polizia, di quelli come si deve. Dura poco, per fortuna.
Adesso tocca a Tsipras chiudere la giornata: «Oggi festeggiamo la vittoria della democrazia che ritorna in Europa. Siamo già vincitori, perchè tutti gli occhi dell’Europa sono puntati sul popolo greco». Boato della folla.
«Con il referendum non decidiamo semplicemente di stare in Europa, decidiamo di stare in Europa con dignità ». Altro boato.
La macchina di Syriza sarà pure riuscita a mobilitare il suo popolo, mentre il fronte del sì è più sfrangiato, scende in piazza con meno facilità e comunque con una «temperatura» diversa.
Ma l’impressione è che mentre davanti allo stadio e sotto le bandiere dell’Europa ci fossero i ricchi, qui a sentire Tsipras ci siano soprattutto i poveri.
Statisticamente i poveri sono di più.
E dopo cinque anni di crisi, con un greco su quattro senza lavoro e gli stipendi scesi di un terzo, sono sempre di più.
Lorenzo Salvia
(da “Il Corriere della Sera”)
Leave a Reply