Luglio 26th, 2015 Riccardo Fucile
DALLA RUSPA AL PEDALO’: NON PASSA GIORNO CHE NON ARRIVINO FOTO DEL PADAGNO CHE NUOTA IN PISCINA, CHE SI TUFFA, CHE PASSEGGIA SULLA BATTIGIA O CHE FA SELFIE CON BAGNANTI…. E ORA FINGE PURE DI LEGGERE: E’ LA STRATEGIA DELL’UOMO MEDIO
Di questo passo a fine estate avremo una gallery di Matteo Salvini al mare così ricca da riempire gli archivi per anni.
Ormai non passa giorno che non arrivino istantanee del segretario leghista che nuota in piscina, che si tuffa, che passeggia sulla battigia o che posa con i bagnanti.
Al repertorio tradizionale degli album delle vacanze manca, al momento in cui va in stampa il giornale, solo il torneo di beach volley.
Salvini non è certo il primo leader a proporsi a torso nudo, di recente il suo amico Vladimir Putin ha fatto ampio ricorso alla fotografia di regime.
Il presidente russo però anche senza divisa tende a incutere timore, cerca insistentemente di sottolineare la sua primazia persino fisica (nonostante l’età , in fondo è un classe 1952). Salvini invece non ricerca l’eccezionalità , anzi la rifugge.
Guai ad apparire abbronzato e pronto per un film dei Vanzina, meglio esibire un pallore studiato.
Vuole apparire esattamente in media con gli italiani e nelle foto fa le cose che i nostri zii o cugini ripetono da secoli
Il leader del Carroccio punta a inscriversi nell’antropologia italiana più convenzionale, se avesse un Pellizza leghista si farebbe immortalare nella fiumana che corre verso le onde. È la fase due dello spin dopo il cambio compulsivo di felpe ad uso delle telecamere, ora bisogna rassicurare il ceto medio.
Dalla ruspa al pedalò.
Ma può bastare la campagna fotografica dell’estate per mettere al muro il suo avversario Renzi?
L’impressione è che di solo ombrellone non si vada molto avanti: la proposta leghista della flat tax non ha fatto breccia tra le masse popolari, troppo complicata da raccontare e spiegare persino nelle feste del Carroccio.
I sociologi balneari la paragonerebbero a un castello di sabbia .
Dario Di Vico
(da “il Corriere della Sera“)
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Luglio 26th, 2015 Riccardo Fucile
SU TWITTER L’ESPONENTE DI FORZA ITALIA DA’ DELL’IMBECILLE AL COMICO CHE REPLICA: “ARROGANTE CHE PARLA A VANVERA”
Il caso dei due marò, tornato recentemente d’attualità , diventa la miccia per una “lite” su Twitter
tra il senatore Maurizio Gasparri (Forza Italia) e il comico genovese Luca Bizzarri .
Nel mirino dell’esponente forzista è finita infatti una foto di Luca e Paolo vestiti appunto da fucilieri di Marina che rimanda a un loro sketch (di oltre un anno fa): «Intanto ‘sta gente li prende per i fondelli (i due marò, ndr). Imbecilli», ha twittato Gasparri, al quale ha replicato rapidamente Bizzarri con un «non ha visto lo sketch, se no avrebbe capito che non erano i marò il bersaglio, ma i politici che parlano a vanvera. Tipo lui».
Da qui è nato un serrato botta e risposta, con Gasparri che, in un altro tweet, ha ammesso di non conoscere il comico, lo ha invitato a «rispettare» la vicenda dei marò, attaccando nuovamente: «Non ho visto e non parlo a vanvera come lei, deduco sia l’interprete di cui non conosco il nome, mia lacuna, ma non grave».
Secca la (nuova) replica del comico genovese: «Dare dell’imbecille a uno che non conosce senza aver visto che ha fatto non è lacuna, è arroganza. Si informi. Stia bene».
Non è finita: «Le dico solo di non blaterare imbecilli a caso, senza sapere a chi lo sta dicendo», ha twittato ancora Bizzarri.
Cui Gasparri ha risposto con un «buona vita. Lei sembra uno che si crede importante. Poi vedo chi è, così stiamo sereni. Quello dei marò però è un dramma vero».
A chiudere, l’intervento del deputato Ernesto Carbone (Pd) che, rivolgendosi al senatore di Forza Italia, ha twittato così: «Ma intanto sei andato a vedere chi è Luca Bizzarri?».
(da “il Secolo XIX”)
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Luglio 26th, 2015 Riccardo Fucile
L’EX SINDACO BOCCIA IL PIANO DI PRIVATIZZAZIONE DI MARINO PER LA MUNICIPALIZZATA DEI TRASPORTI
“Ci vorrebbe un emiro sotto stupefacenti per prendere delle quote dell’Atac”.
Risponde così l’ex sindaco di Roma, Francesco Rutelli, intervistato da Rai News 24, alla domanda sul progetto di parziale privatizzazione dell’azienda di trasporto pubblico di Roma, con l’ingresso di un socio di minoranza, proposta dal sindaco Ignazio Marino. “Bisogna invece riprendere un cammino di trasformazione nel senso della concorrenza. Sono necessarie riforme profonde, una concorrenza vera e una trasformazione che deve arrivare ai dirigenti. Perchè poi quando l’effetto degli stupefacenti terminasse, dubito che l’emiro confermerebbe la sua firma, accettando di entrare come socio di minoranza in Atac solo per ripianarne i debiti”.
Dalle pagine del Tempo parla l’ormai ex amministratore delegato di Atac, Danilo Broggi, il quale punta il dito contro il Campidoglio e dice di essere stato “vittima dello scontro Renzi-Marino, e il sindaco mi ha sorpreso e deluso al contempo…”.
Il manager rivendica il lavoro di chi, come lui, ha “ereditato un’azienda che ha 1,6 miliardi di debiti” e critica l’assenza di compattezza nella gestione dei “sabotaggi interni che ci hanno messo in ginocchio”.
Ora, spiega Broggi, “i conti sono in ordine. Tutto scritto nel piano industriale, nero su bianco, arriveremo a pareggio di bilancio non nel 2016, ma nel 2019. Seguitemi, e mi darete ragione”.
I piani hanno trovato tuttavia trovato “nel nostro personale una resistenza che si è anche tradotta in una raffica di 104 (permessi) e una quantità spaventosa di malattie improvvise. Un’epidemia!. Nell’ultimo mese le malattie sono aumentate all’improvviso del 400 per cento”.
Però, prosegue il manager, “quel signore lì”, Ignazio Marino, “doveva spiegare alla gente come stavano le cose”.
Anche secondo Broggi non è possibile credere nell’arrivo di un partner industriale per Atac: “chiunque chieda a un privato di investire in Atac viene preso per matto”.
I lavoratori dell’Atac, che in questi giorni sono rappresentati da un video diventato virale sulla rete di un autista che spiega perchè i mezzi pubblici a Roma sono nel caos, sono pronti a protestare.
“Coloriamo il Campidoglio con il celeste delle nostre divise” è l’appello lanciato dagli autisti dell’Atac, in vista della manifestazione in programma mercoledì prossimo in piazza del Campidoglio.
“Siamo terrorizzati anche solo di andare in giro in divisa – spiega la leader del sindacato Cambia-Menti M410, Micaela Quintavalle, che ha organizzato il sit-in – Ricevo quotidianamente centinaia di messaggi di colleghi minacciati anche fuori dall’orario di servizio. Tutto questo è frutto anche e soprattutto delle parole del sindaco Ignazio Marino che non ha fatto altro che ‘armare’ i cittadini contro di noi con le sue dichiarazioni. Mercoledì pomeriggio saremo tutti in piazza – sottolinea -, senza bandiere, solo con le nostre divise. Ci hanno tolto tutto, ma non vogliamo farci togliere anche la nostra dignità “.
Sulla rete spunta anche una pagina Facebook dal titolo “Disagio pubblico”, con tanto di logo Atac, accompagnata da slogan sarcastici su quello che sta accandendo alla municipalizzata dei trasporti.
Foto, video e commenti dilagano sui social network e immortalano disagi ormai all’ordine del giorno. E così, accanto al video dell’autista che ieri ha provato a difendere la propria causa contro le critiche, compaiono anche vignette ironiche, come quella che riporta l’entrata di una delle stazioni della metro e la scritta “attraversa uno di questi portali per lo spazio intergalattico”.
E, per i più appassionati, sono già disponibili le t-shirt del “disagio”.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 26th, 2015 Riccardo Fucile
SPERANZA: “E’ UN FILM DELL’ORRORE”
“La diaspora di Forza Italia ha tante cause, ma avrebbe potuto essere scongiurata se fosse stata
possibile un’analisi seria e rigorosa della storia del centrodestra e del futuro del nostro Paese, anche alla luce del profondo cambiamento dell’elettorato di sinistra che Renzi ha saputo rappresentare”.
Lo afferma la senatrice Manuela Repetti, compagna di Sandro Bondi, con il quale ha condiviso l’uscita da Forza Italia e il voto a favore del Governo di Matteo Renzi nelle ultime occasioni in cui è stato posto il voto di fiducia.
“Al punto in cui siamo – prosegue Repetti – perciò è innegabile che tutte quelle forze liberali e riformiste che non intendono schiacciarsi e allearsi con una destra come quella rappresentata da Salvini ricerchino fra di esse un minimo comun denominatore e indichino una prospettiva politica che vada oltre questa legislatura stabilendo un progetto di governo riformatore con la sinistra di Renzi”.
Manuela Repetti fa parte di quel gruppo di senatori provenienti dal centrodestra che stanno rimpolpando l’esigua maggioranza a Palazzo Madama.
Una riedizione di quei “responsabili” che andarono in soccorso del Governo di Silvio Berlusconi, fra cui figuravano Antonio Razzi e Domenico Scilipoti.
Negli ultimi giorni si è consumato un nuovo strappo all’interno di Forza Italia, con Denis Verdini che starebbe organizzando un nuovo gruppo parlamentare (quindi almeno 10 senatori) intenzionati a fornire il proprio sostegno a Matteo Renzi sulle riforme.
Si tratta di presenze ingombranti, secondo la minoranza Pd.
Ieri Roberto Speranza – seguito da Miguel Gotor e da altri – ha lanciato l’hashtag #RenzirottamaVerdini, mentre la sua corrente di riferimento, Sinistra Riformista, aggiungeva che “con Verdini e gli amici di Cosentino non c’è più il Pd. Così si tradisce il nostro popolo”.
Oggi Roberto Speranza, ex capogruppo Pd alla Camera, intervistato da Sky Tg24 chiede chiarezza a Matteo Renzi.
“Il Pd deve cambiare l’Italia, non penso che si cambia con passi incomprensibili con Verdini e con gli amici di Cosentino che ci sono in Senato. Non dobbiamo alimentare un nuovo trasformismo”.
Secondo Speranza, “un patto con loro è un vero e proprio film dell’orrore e sono convinto che Renzi chiarirà che non è così. Per governare e cambiare questo paese bisogna tenere unito il Partito Democratico”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 26th, 2015 Riccardo Fucile
L’ALLARME DEI MAGISTRATI, MA NCD NON VUOLE CAMBIARE
È a rischio l’efficacia delle indagini sulla criminalità organizzata, sulla mafia e sul terrorismo.
L’allarme giunge dall’Autorità Nazionale Magistrati (Anm) e da Raffaele Cantone, magistrato oggi presidente dell’Autorità nazionale anti-corruzione.
Raffaele Cantone, in un’intervista al Corriere della Sera, dice che “molte volte la captazione nascosta di colloqui tra le persone ci è servita per individuare dei fatti gravi e colpire, di conseguenza, la criminalità organizzata. Ecco, vorrei che si tenesse conto di questo dato nella formulazione della futura norma”.
Secondo Cantone il tema “impatta certamente sulla privacy delle persone ed anch’io trovo giusto che ci siano limiti alla divulgabilità delle intercettazioni”, ma quante volte, spiega, “vittime di estorsioni, penso a tanti imprenditori, sono andati all’appuntamento coi loro aguzzini con un registratore nascosto. È proprio grazie a quei colloqui rubati che è stato possibile inferire dei colpi seri alla criminalità organizzata. È uno strumento invasivo, può danneggiare immagini e reputazioni. Ma intanto l’estorsore è finito in cella”.
Su Repubblica Rodolfo Maria Sabelli, presidente dell’Anm, afferma che sono “a rischio tutte le grandi indagini per terrorismo, mafia, corruzione. Un’inchiesta come Mafia capitale, con questa norma, non sarebbe stata possibile”.
Il magistrato precisa che “non difendo chi danneggia gli altri con la diffusione di registrazioni fraudolente, anche se mi chiedo se sia proprio una norma necessaria visto che nel codice ci sono già due articoli per punire condotte di questo tipo. Mi riferisco alla diffamazione e all’interferenza illecita nella vita privata”.
Secondo Sabelli poi “il diritto all’informazione va assolutamente salvaguardato. Quindi le strade possibili sono due: prevedere un’aggravante nella diffamazione per chi offende utilizzando registrazioni fraudolente. Oppure dire espressamente che l’attività del giornalista è esclusa, secondo la nota giurisprudenza in tema di rapporto tra reato di diffamazione e diritto di cronaca e di critica”.
Sul Fatto quotidiano spazio alle dichiarazioni del carabiniere Pietro Campagna, che grazie alle registrazioni nascoste ha scoperto gli assassini di sua sorella Graziella, uccisa dalla mafia a soli 17 anni.
“Con la legge bavaglio non avrei mai trovato i killer” dice Campagna.
“Cominciai a indagare da solo – ricorda – dopo che avevano insabbiato tutto. Giravo sempre con un registratore e alla fine riuscii a registrare la cognata di un boss del luogo, che copriva i latitanti”.
E conclude: “Se una persona è onesta, che cosa deve temere? Mi creda, le registrazioni servono, eccome. una norma del genere sarebbe un vero disastro”.
Sul fronte parlamentare, l’autore del provvedimento contestato come “legge bavaglio” sui giornalisti, il deputato di Area Popolare Alessandro Pagano, in un’intervista alla Stampa, afferma che “l’impianto del mio emendamento resta così com’è”. Infatti il diritto all’informazione resta garantito: “è punito chiunque diffonda registrazioni fraudolentemente effettuate al fine di recare danno alla reputazione o all’immagine altrui. Se uno fa giornalismo vero di certo non potrà essere punito”.
Tuttavia “sulle pene siamo pronti a confrontarci. Non sono un dogma. Ma bisogna restare dentro questa logica. L’alternativa è la logica dei Cinque stelle, mentre questa è una battaglia di civiltà . Non si può tornare indietro”.
Pagano riflette poi sulle dichiarazioni del ministro della Giustizia: “siamo rimasti molto sorpresi dalle parole del ministro Orlando. Credo che dovrebbe chiarire il senso delle sue parole, ma innanzitutto a se stesso. La maggioranza è una. Il governo è uno”.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 26th, 2015 Riccardo Fucile
L’EX DIRETTORE DELLA NORMALE DI PISA: “E’ LA VITTORIA DELLA COSTITUZIONE SULL’INTERPRETAZIONE DEI POLITICI”
È la vittoria della Costituzione sull’«interpretazione» che ne hanno dato i governi. Salvatore Settis,
archeologo ed ex direttore della Scuola Normale di Pisa, ora presidente del consiglio scientifico del museo parigino del Louvre, è tra coloro che aspettavano da quindici anni che un giudice affermasse la natura commerciale delle scuole paritarie che abbiano l’obiettivo di perseguire con i propri ricavi il pareggio di bilancio.
E anche se la riforma Berlinguer del 2000 diede pari dignità alle scuole gestite da privati, è alla Carta fondamentale che si richiama per affermare la priorità dell’istruzione statale.
Professor Settis, lei è stato tra i firmatari nel 2013 di un appello contro i finanziamenti alla scuola privata ispirato alla Costituzione. Ora la Cassazione dice che le paritarie chiedono una retta, quindi utilizzano modalità commerciali, e per questo non possono essere esenti dall’Ici. Se l’aspettava?
«La sentenza fa scalpore perchè è in controtendenza con quello che fanno i governi, compresi quelli di centrosinistra. La Costituzione all’articolo 33 parla di scuola pubblica e aggiunge che enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione ma “senza oneri per lo Stato”. Invece, negli ultimi anni non è stato così. A partire dalla legge Berlinguer, con un governo di centrosinistra, e poi negli anni c’è stato uno smottamento verso la scuola privata».
Lei dice “prima la scuola statale”. Ma la legge riconosce anche le scuole paritarie come pubbliche.
«Ma “senza oneri” per lo Stato non può avere un’interpretazione diversa. Purtroppo i contributi di cui le scuole paritarie già godono e i privilegi di natura fiscale si accompagnano a una contestuale riduzione dei finanziamenti per la scuola pubblica. E sarebbero molto più tollerabili se la scuola pubblica venisse salvaguardata, invece non è così. Non dubito che la scuola privata vada difesa, ma la scuola pubblica dovrebbe avere il primato».
La Cei dice che gli istituti paritari ricevono contributi per 520 milioni di euro, ma lo Stato risparmia sei miliardi e mezzo. Chi chiede il sostegno alla scuola paritaria lo motiva anche col fatto che con un milione e trecentomila studenti in più le scuole statali avrebbero un costo molto più alto.
«La Costituzione dice che l’istruzione è obbligatoria e gratuita. Visto che stanno facendo delle modifiche alla Costituzione, cambino anche questo articolo… Potrei capire di più la posizione di chi difende la scuola privata se desse la giusta priorità alla scuola pubblica che invece viene mortificata da continui tagli. Data la scarsità dei finanziamenti, se si rinuncia a pescare dalla tasse, si taglia da altre parti e non vorrei che ci stessero trascinando verso un sistema di tipo americano».
Dove però i costi di un’istruzione di qualità sono molto alti.
«Ci sono Paesi come gli Stati Uniti dove le scuole private sono più importanti e la pubblica è un disastro. Quindi, alla scuola privata vanno i ricchi, e non vorrei che l’Italia andasse in questa direzione. Specie in un momento in cui stanno crescendo le disuguaglianze e le nuove povertà di cui parla anche papa Francesco. In una situazione di questo tipo rafforzare la scuola pubblica dovrebbe essere la prima cosa. Poi se la scuola di carattere commerciale può essere aiutata, è lecito».
Quindi cosa risponde a chi dice che senza finanziamenti le scuola paritarie chiuderebbero?
«Che non stanno facendo i conti con la Costituzione, la difesa dei privilegi in quanto acquisiti è piuttosto debole».
Melania Di Giacomo
(da “il Corriere della Sera”)
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Luglio 26th, 2015 Riccardo Fucile
SONO CINQUE GLI ISTITUTI DEMOSCOPICI CHE LAVORANO PER IL GOVERNO CON UN COSTO DI 300.000 EURO
Il problema è il vuoto. Uno si ritrova a palazzo Chigi con un partito più inconsistente che liquido, con qualche slogan che non riesce a farsi visione del mondo, con alcuni sostenitori da remunerare ma privo di un blocco sociale di riferimento.
Uno, si diceva, si ritrova a palazzo Chigi in queste condizioni e vede un enorme vuoto intorno a sè.
E allora tenta dire agire, cerca di trovare qualcosa a cui aggrapparsi: se non è un’idea di società , che sia almeno il venticello della cosiddetta“opinione” a rinfrescare le fredde stanze del potere. Volgarmente: Matteo Renzi, da quando è premier, ordina un sacco di sondaggi sul gradimento del governo.
Sono la sua bussola, il modo in cui guarda al mondo, il sempre ondivago punto fermo della sua avventura romana.
Orientarsi nella realtà a colpi di sondaggi, però, un po’ costa. E infatti del costo di trova traccia nei contratti pubblicati sul sito governo.it  , quello ufficiale, nella sezione “Amministrazione trasparente”.
Tra fine dicembre e maggio 2015 sono registrati cinque incarichi di questo genere per una spesa che — sempre che non ne arrivino altri- sarà di poco meno di 300 mila euro quest’anno.
Nel 2014, sempre cercando tra gli appalti messi online da Palazzo Chigi, si trovano due soli contratti risalenti all’era di Enrico Letta (assegnatari: Euromedia Resear che Ipsos) per complessivi 93 mila euro.
Il 2013 — vuoi per le elezioni e seguente impasse per “non vittoria”, vuoi perchè Mario Monti con l’opinione pubblica non ha mai avuto molto a che fare- è un anno ancora più morigerato quanto a sondaggi: si trovano sempre due contratti (Ipsos e Istituto Piepoli), entrambi firmati da Letta, ma per soli 71 mila euro.
Questione di carattere, forse. Renzi vuole sapere tutto di quel che gli italiani pensano di lui e del suo governo, ha la sondaggite.
E allora c’è il contratto del 23 dicembre 2014 con Ipsos per conoscere le “aspettative dei cittadini” riguardo alla comunicazione del programma di governo. Prezzo: 20mila euro più Iva. Sempre a dicembre, il 30 per la precisione, vengono stipulati i contratti con Gfk Eurisko (un report ogni tre settimane su una community di 50 persone per tutto il 2015) e Swg (una rilevazione a settimana da gennaio a luglio) sul “gradimento dell’operato del governo”: prezzo, rispettivamente, 66.419 e 41.610 euro al netto dell’Iva.
Uno potrebbe pensare: così il buon Matteo starà a posto tutto l’anno.
Macchè, i politici fanno una vitaccia. “Mi amano? Non mi amano? E, soprattutto, mi voteranno?”.
E infatti , poco prima delle recenti (e non felici) elezioni regionali e amministrative, Palazzo Chigi attiva altri due contratti: il 12 maggio con l’Istituto Piepoli — incaricato di fornire un sondaggio a settimana per cinque mesi sul “gradimento” dell’esecutivo — al prezzo di 39.402 euro più Iva; il 14 maggio con Doxa, che dovrà compulsare invece gli italiani su “attività e decisioni del governo” fino al prossimo febbraio dietro un compenso di 62.800 euro sempre al netto dell’Iva. Non si sa se sia stato influenzato da questi ultimi due istituti — o magari dai tre che già lavoravano per lui — ma nell’ultimo periodo della campagna elettorale il nostro ha smesso di dire in giro che puntava al 7 a 0 nelle regioni che andavano al voto e ha cominciato a sostenere che pure il 4 a 3, alla fine, era una bella vittoria.
Tornando ai contratti, il loro costo totale per il 2015 ammonta a circa 230 mila euro che salgono a oltre 280 mila aggiungendo l’Iva, cioè tre volte più della spesa 2014 e quattro più di quella del 2013.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 26th, 2015 Riccardo Fucile
E CE N’E’ ANCHE PER RENZI: “QUESTA NON E’ CASA SUA, E’ UNO SCEMO”
“E’ un funerale altro che festa, il partito è cambiato, voterò altro”. 
Così risponde un signore che gestisce uno stand di antiquariato all’ingresso di Parco della Valli, dove è in corso la Festa dell’Unità a Roma.
Non è l’unico insoddisfatto, l’umore degli elettori del Pd è nero.
“Denis Verdini bussa alla porta del Pd? La vedi questa chiave inglese? Lo intimorirei con questa”, aggiunge.
“Puzza, fa schifo, non aprire mai, mi barrico in casa, faccio finta di non sentire. Verdini chi? Non è mio ospite”, rispondono altri.
Si gioca e si scherza su questo abbraccio che per molti è mortale, e interiormente si soffre per un Pd cambiato geneticamente davanti ai loro occhi.
“Siamo la metà dei militanti e volontari quest’anno, molti si sentono traditi, sfiduciati, io mi sono turato orecchie, bocca ma ora basta. Vogliamo scendere sotto il 10%?”, domanda un volontario che si occupa della brace.
“Ti allei con il diavolo per fare cosa? Per cambiare la Costituzione e far comandare uno?”, si chiede un signore.
Gli elettori rimpiangono Pierluigi Bersani: “Vuoi mettere con questo scemo, ha fatto lo stesso discorso di Berlusconi sull’Imu, ma allora sei stronzo”.
Qui gli esponenti della minoranza dem sono stati ben accolti.
Adesso si attende la serata di Matteo Renzi in programma per martedì. “Questa non è casa sua”, dice un militante.
“Tutti sono ben accolti alla festa dell’unità . Anche Verdini con la tessera del Pd? Non esiste”, sostengono anche i pontieri.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »
Luglio 26th, 2015 Riccardo Fucile
CHI L’HA DETTO CHE LE NOTIZIE PENALMENTE IRRILEVANTI DEVONO RESTARE SEGRETE?
C’è almeno un aspetto positivo nell’ennesimo bavaglio in cantiere alla Camera: quando un governo, anzichè degl’interessi dei cittadini, si fa gli affari propri tentando di occultare le vergogne del potere, ha già un piede nella fossa.
Il primo bavaglio lo tentò il quadripartito nel 1992, all’inizio di Tangentopoli, con la legge Correnti: un anno dopo era già morto e sepolto (il bavaglio, ma anche il quadripartito).
Il secondo bavaglio lo azzardò il I governo B. nel luglio ’94 col decreto Biondi: 5 mesi dopo era già caduto.
Il terzo bavaglio lo lanciò Mastella nel 2007, II governo Prodi: tempo qualche mese e tutti a casa.
Il quarto bavaglio lo provò nel 2010 il III governo B. con la legge Alfano: un anno dopo, bye bye Silvio con tutto il cucuzzaro.
Forse la museruola alla stampa porta sfiga. O, più semplicemente, è un terrificante segnale di debolezza: un governo forte e autorevole non ha paura della verità , specie se non ha niente da nascondere.
Se invece ce l’ha, in un modo o nell’altro la verità verrà fuori: una prece.
Prendiamo l’ultima legge delega sul processo penale che l’altra notte, come i ladri di Pisa, il Nuovo Centro Detenuti ha emendato col divieto di registrare e filmare di nascosto i propri colloqui per poi diffonderli all’insaputa degl ‘interlocutori.
Il Pd l’ha votata, poi dinanzi alle proteste dei 5Stelle e di alcuni giornalisti, s’è spaventato e ha fatto marcia indietro, annunciando un emendamento all’emendamento che è la classica toppa peggiore del buco: prevede che nessuno possa registrare nulla di nascosto salvo che per motivi “professionali” o per esercitare il “diritto di difesa”.
Che senso ha? Il delitto di Graziella Campagna fu risolto grazie alle indagini private, non nell’ambito della sua professione, del fratello della vittima, appuntato dei carabinieri, che dopo anni di depistaggi decise di assumere informazioni di nascosto visto che nessuno le avrebbe mai messe a verbale.
Fosse già stata in vigore la legge porcata, anzichè i colpevoli dell’omicidio, sarebbe stato condannato lui.
C’è poi la parte della legge-delega che i partiti danno ormai per acquisita, e cioè che i magistrati non devono inserire agli atti (ma conservare in un archivio top secret) nè i giornalisti divulgare intercettazioni di “estranei” all’inchiesta, per tutelarne la privacy. Solennissima sciocchezza.
Intanto, 99 volte su 100 l’indagato intercettato parla con estranei all’indagine.
Ed è impossibile sbianchettare una frase sì e una no.
Ma poi tutto dipende da chi è l’estraneo: se è un politico o un titolare di funzioni pubbliche, non sempre ciò che dice è coperto da privacy.
Prendiamo l’ultima intercettazione dell’Espresso: giudiziaria o privata che sia, se davvero il dottor Tutino ha detto “facciamo fuori la Borsellino come il padre” e Crocetta non ha fatto una piega, quest’ultimo deve dimettersi, punto.
Se invece non esiste, Crocetta ha diritto a un risarcimento per diffamazione.
E fa benissimo a difendersi nel merito, anzichè invocare la privacy, che all’evidenza non esiste
L’aveva capito anche Nunzia De Girolamo quando fu intercettata da un privato mentre decideva in casa propria i vertici dell’Asl di Benevento, e si dimise da ministro.
La verità è che sulle intercettazioni, giudiziarie o private che siano, non occorre alcuna riforma: basta e avanza la legge sulla privacy.
Se un fidanzato registra un colloquio o un incontro amoroso con una ragazza e lo diffonde sul web, questo è già oggi un reato.
Se invece una squillo registra o annota un incontro erotico in casa del capo del governo e questi paga il suo silenzio in un processo per corruzione di testimoni, non c’è privacy che tenga: i giudici devono utilizzare l’intercettazione o l’annotazione al dibattimento e i giornali devono pubblicarla.
E se un indagato (poi archiviato) come il generale Michele Adinolfi, numero 2 della Guardia di Finanza, parla con Matteo Renzi, segretario Pd e futuro premier, delle manovre per cacciare Letta e poi, a cena con l’allora vicesindaco di Firenze Dario Nardella, accenna a possibili ricatti al presidente Giorgio Napolitano sui presunti altarini del figlio Giulio, non sono i giornali a dover spiegare perchè hanno pubblicato quei colloqui, ma il premier, il generale e il vicesindaco a dover spiegare le loro parole.
Da qualunque parte la si guardi, questa è una legge folle: chi l’ha detto che le notizie penalmente irrilevanti devono restare segrete?
Ed è una legge di Casta: fatta su misura non per i cittadini comuni, il cui diritto alla privacy è totale, ma per i potenti, il cui diritto alla privacy è affievolito dal ruolo pubblico. Se politici & compari non vogliono rischiare che qualche loro conversazione finisca sui giornali, si ritirino a vita privata. In Italia invece pretendono addirittura più privacy della gente comune.
Quando la stampa pubblicò i diari privati di Sarah Scazzi e Yara Gambirasio, due private cittadine, per giunta minorenni e morte ammazzate, nessuno alzò un sopracciglio.
Quando invece il Fatto pubblicò il diario, allegato agli atti del processo Ruby ter, dunque depositato e quindi pubblico, della maggiorenne Iris Berardi sul bunga-bunga alla rovescia con B., il Garante della Privacy si scomodò per farcelo rimuovere dal sito e dall’archivio online.
Ma c’è poco da preoccuparsi.
Se anche la legge passasse, noi la violeremmo subito per seguitare a informare i lettori, avendo dalla nostra parte la Costituzione e la Corte di Strasburgo.
E sarebbe comunque l’ultimo rantolo di un regimetto che già puzza di cadavere.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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