LA COMPAGNIA DELLA BUONA MORTE E LA LEGGE BAVAGLIO
CHI L’HA DETTO CHE LE NOTIZIE PENALMENTE IRRILEVANTI DEVONO RESTARE SEGRETE?
C’è almeno un aspetto positivo nell’ennesimo bavaglio in cantiere alla Camera: quando un governo, anzichè degl’interessi dei cittadini, si fa gli affari propri tentando di occultare le vergogne del potere, ha già un piede nella fossa.
Il primo bavaglio lo tentò il quadripartito nel 1992, all’inizio di Tangentopoli, con la legge Correnti: un anno dopo era già morto e sepolto (il bavaglio, ma anche il quadripartito).
Il secondo bavaglio lo azzardò il I governo B. nel luglio ’94 col decreto Biondi: 5 mesi dopo era già caduto.
Il terzo bavaglio lo lanciò Mastella nel 2007, II governo Prodi: tempo qualche mese e tutti a casa.
Il quarto bavaglio lo provò nel 2010 il III governo B. con la legge Alfano: un anno dopo, bye bye Silvio con tutto il cucuzzaro.
Forse la museruola alla stampa porta sfiga. O, più semplicemente, è un terrificante segnale di debolezza: un governo forte e autorevole non ha paura della verità , specie se non ha niente da nascondere.
Se invece ce l’ha, in un modo o nell’altro la verità verrà fuori: una prece.
Prendiamo l’ultima legge delega sul processo penale che l’altra notte, come i ladri di Pisa, il Nuovo Centro Detenuti ha emendato col divieto di registrare e filmare di nascosto i propri colloqui per poi diffonderli all’insaputa degl ‘interlocutori.
Il Pd l’ha votata, poi dinanzi alle proteste dei 5Stelle e di alcuni giornalisti, s’è spaventato e ha fatto marcia indietro, annunciando un emendamento all’emendamento che è la classica toppa peggiore del buco: prevede che nessuno possa registrare nulla di nascosto salvo che per motivi “professionali” o per esercitare il “diritto di difesa”.
Che senso ha? Il delitto di Graziella Campagna fu risolto grazie alle indagini private, non nell’ambito della sua professione, del fratello della vittima, appuntato dei carabinieri, che dopo anni di depistaggi decise di assumere informazioni di nascosto visto che nessuno le avrebbe mai messe a verbale.
Fosse già stata in vigore la legge porcata, anzichè i colpevoli dell’omicidio, sarebbe stato condannato lui.
C’è poi la parte della legge-delega che i partiti danno ormai per acquisita, e cioè che i magistrati non devono inserire agli atti (ma conservare in un archivio top secret) nè i giornalisti divulgare intercettazioni di “estranei” all’inchiesta, per tutelarne la privacy. Solennissima sciocchezza.
Intanto, 99 volte su 100 l’indagato intercettato parla con estranei all’indagine.
Ed è impossibile sbianchettare una frase sì e una no.
Ma poi tutto dipende da chi è l’estraneo: se è un politico o un titolare di funzioni pubbliche, non sempre ciò che dice è coperto da privacy.
Prendiamo l’ultima intercettazione dell’Espresso: giudiziaria o privata che sia, se davvero il dottor Tutino ha detto “facciamo fuori la Borsellino come il padre” e Crocetta non ha fatto una piega, quest’ultimo deve dimettersi, punto.
Se invece non esiste, Crocetta ha diritto a un risarcimento per diffamazione.
E fa benissimo a difendersi nel merito, anzichè invocare la privacy, che all’evidenza non esiste
L’aveva capito anche Nunzia De Girolamo quando fu intercettata da un privato mentre decideva in casa propria i vertici dell’Asl di Benevento, e si dimise da ministro.
La verità è che sulle intercettazioni, giudiziarie o private che siano, non occorre alcuna riforma: basta e avanza la legge sulla privacy.
Se un fidanzato registra un colloquio o un incontro amoroso con una ragazza e lo diffonde sul web, questo è già oggi un reato.
Se invece una squillo registra o annota un incontro erotico in casa del capo del governo e questi paga il suo silenzio in un processo per corruzione di testimoni, non c’è privacy che tenga: i giudici devono utilizzare l’intercettazione o l’annotazione al dibattimento e i giornali devono pubblicarla.
E se un indagato (poi archiviato) come il generale Michele Adinolfi, numero 2 della Guardia di Finanza, parla con Matteo Renzi, segretario Pd e futuro premier, delle manovre per cacciare Letta e poi, a cena con l’allora vicesindaco di Firenze Dario Nardella, accenna a possibili ricatti al presidente Giorgio Napolitano sui presunti altarini del figlio Giulio, non sono i giornali a dover spiegare perchè hanno pubblicato quei colloqui, ma il premier, il generale e il vicesindaco a dover spiegare le loro parole.
Da qualunque parte la si guardi, questa è una legge folle: chi l’ha detto che le notizie penalmente irrilevanti devono restare segrete?
Ed è una legge di Casta: fatta su misura non per i cittadini comuni, il cui diritto alla privacy è totale, ma per i potenti, il cui diritto alla privacy è affievolito dal ruolo pubblico. Se politici & compari non vogliono rischiare che qualche loro conversazione finisca sui giornali, si ritirino a vita privata. In Italia invece pretendono addirittura più privacy della gente comune.
Quando la stampa pubblicò i diari privati di Sarah Scazzi e Yara Gambirasio, due private cittadine, per giunta minorenni e morte ammazzate, nessuno alzò un sopracciglio.
Quando invece il Fatto pubblicò il diario, allegato agli atti del processo Ruby ter, dunque depositato e quindi pubblico, della maggiorenne Iris Berardi sul bunga-bunga alla rovescia con B., il Garante della Privacy si scomodò per farcelo rimuovere dal sito e dall’archivio online.
Ma c’è poco da preoccuparsi.
Se anche la legge passasse, noi la violeremmo subito per seguitare a informare i lettori, avendo dalla nostra parte la Costituzione e la Corte di Strasburgo.
E sarebbe comunque l’ultimo rantolo di un regimetto che già puzza di cadavere.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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