Agosto 21st, 2015 Riccardo Fucile
“POSTI POLTRONA PER PROFUGHI, MENTRE GLI ITALIANI DORMONO A TERRA”: MA PER SFORTUNA DEL “SISTEMAMOGLI” C’ERA CHI TESTIMONIA CON FOTO CHE ERA UNA BALLA… “SALVINIPAGALACABINA” L’IRONICO COMMENTO: “DORMIAMO A TERRA PERCHE’ LA CABINA COSTA”
Il leader della Lega Nord Matteo Salvini ha postato su Facebook una foto del traghetto Tirrenia
(Porto Torres-Genova) polemizzando sul trasporto di alcuni immigrati e di una sala riservata solo per i profughi.
“Partenza ritardata per l’attesa di far salire a bordo un pullman di CLANDESTINI. Nella foto la sala poltrone riservata a loro, mentre tanti italiani dormiranno in terra sui materassini… Fanculo.” scrive il “sistemamogli”.
Mentre il post del leghista guadagna like e il mi piace di 41.400 pirla c’è chi risponde a Salvini: da viaggiatore del traghetto coinvolto.
«Non esistono fatti di discriminazione — racconta Fabio presente sul traghetto con alcuni suoi amici — ma bensì gente che ci marcia per farsi pubblicità ».
Ecco la sua testimonianza con alcuni selfie sul ponte e un hashtag ironico: #Salvinipagacilacabina.
“Una ventina di persone ha viaggiato su un traghetto, che sarebbe partito lo stesso, che avrebbe avuto lo stesso costo. Però era più facile dire che la gente italiana dorme per terra. E che il traghetto parte in ritardo per colpa di un pullman. Dalle ore 18.00 si sapeva che bisognava ospitare delle persone sul traghetto. Di sicuro la colpa del ritardo non può essere affidata a loro, ma ad una mal organizzazione. Loro di sicuro non erano in centro per le vie di porto Torres a fare shopping. Mi chiedo, ma se invece fosse stato un pullman di una qualsiasi squadra di calcio, ad arrivare in ritardo, durante il tragitto, sarebbero stati criticati oppure tutti giù di selfie????
Comunque il capitano del traghetto ha appena annunciato che l’arrivo al portò e previsto per le 8,15 anzichè alle 8,00. ‪#‎bravocapitano‬ ‪#‎traghettochescanna‬.
“Il problema, sui traghetti da e per l’isola, sono i prezzi esorbitanti per chi non può godere della continuità territoriale. Normale quindi trovare una marea di persone che dormono sui materassini in passaggio ponte. Una poltrona, in alta stagione, (senza convenzione alcuna) può raggiungere anche il costo di 180 euro.”
Stefania Carboni
(da “Giornalettismo”)
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Agosto 21st, 2015 Riccardo Fucile
ECCO CHI DECIDE SUI FUNERALI DEI BOSS… IN CALABRIA VIETATI SEMPRE PIU’ SPESSO
Non tutti i boss hanno avuto il privilegio di avere un funerale in forma solenne come quello celebrato a Roma per Vittorio Casamonica.
Così non è stato, infatti, nel 2009, per il boss Pietro Costa di Siderno morto nel carcere di San Gimignano, in provincia di Siena, mentre era detenuto al 41 bis, o per Damiano Vallelunga, il “padrino” di Serra San Bruno ucciso nel settembre dello stesso anno davanti al santuario dei Santi medici Cosma e Damiano a Riace, nella Locride.
La decisione, all’epoca, era stata adottata dai questori di Reggio Calabria e Vibo Valentia (competenti sui territori di Siderno e Serra San Bruno) che avevano fatto ricorso al Testo Unico delle leggi di Pubblica sicurezza.
Una normativa che risale addirittura al 1931 e che nel tempo è stata modificata trasferendo molti poteri ai sindaci. Molti ma non tutti.
A quasi 90 anni da quando è entrato in vigore, infatti, il Testo di legge consente ancora ai questori di vietare “per ragioni di ordine pubblico o di sanità pubblica, le funzioni, le cerimonie, le pratiche religiose e le processioni”.
All’articolo 27, infatti, il Testo unico recita: “Il questore può vietare che il trasporto funebre avvenga in forma solenne ovvero può determinare speciali cautele a tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini”.
Un provvedimento che si rende necessario perchè, in terra di ‘ndrangheta, i funerali non sono solo l’estremo saluto a un defunto, seppur criminale, ma possono avere un significato simbolico intriso di quei valori mafiosi di cui si nutre la criminalità organizzata.
Per non parlare, poi, della possibilità che si concede agli affiliati delle varie cosche di incontrarsi per rendere omaggio al boss defunto.
Proprio per questo e per evitare funerali “da film” come quello del “re di Roma” Vittorio Casamonica, la Calabria è una delle regioni dove i questori hanno più volte fatto ricorso al Testo unico delle leggi di Pubblica sicurezza.
Nel 2010 è toccato al boss Giuseppe Pesce di Rosarno, morto a 56 anni.
Tre mesi prima è stata la volta del mammasantissima di Siderno Vincenzo Macrì conosciuto con il soprannome di “u baruni”. Morto a 77 anni al Policlinico “Umberto I” di Roma mentre stava scontando ai domiciliari una condanna a 26 anni per associazione mafiosa e sequestro di persona, Macrì era il nipote del patriarca Antonio Macrì, assassinato a Siderno il 20 gennaio 1975.
All’epoca il questore Carmelo Casabona aveva disposto che il trasporto della salma avvenisse direttamente al cimitero di Siderno Superiore e che alle esequie partecipassero soltanto i familiari più stretti.
Stesso trattamento, nel 2011 anche per il boss reggino Santo Labate della cosca dei “Ti mangio”, deceduto mentre era detenuto agli arresti domiciliari nell’azienda ospedaliera di Padova.
Funerali all’alba e in forma strettamente privata anche per Vincenzo Torcasio, ucciso a Lamezia Terme nel 2011 mentre si trovava in un campetto di calcio.
Nel 2012 il questore di Reggio Calabria Guido Longo (oggi in servizio a Palermo) ha disposto i funerali privati anche per l’anziano boss di Siderno Nicola Cataldo (morto nel suo letto e per cause naturali all’età di 80 anni) e per Giuseppe Vincenzo Gioffrè, reggente dell’omonima cosca di Seminara, nella Piana di Gioia Tauro.
Appena poche settimane fa, il questore di Catanzaro non ha autorizzato i funerali di Domenico Bevilacqua, il boss degli zingari conosciuto con il nome di “Toro Seduto”, che era stato freddato nel suo quartiere e che già in passato era scampato a un agguato. A giugno, infine, i funerali in forma solenne sono stati vietati dal questore Raffaele Grassi a Rocco Musolino, ritenuto un esponente di spicco della criminalità organizzata reggina anche se non è mai stato condannato per mafia.
Un boss “senza certificato” ma che la storia della ‘ndrangheta, decine di verbali di pentiti e recenti inchieste della Dda inquadrano tra i principali mammasantissima della Calabria, un pezzo da novanta che si è guadagnato l’appellativo di “Re della Montagna”.
Se Vittorio Casamonica — mai condannato per mafia — ha conquistato Roma, Rocco Musolino teneva sotto scacco tutta la provincia di Reggio Calabria, compresi magistrati “disponibili”, politici “corrotti” e imprenditori “compiacenti”.
Ma un funerale “da boss” non lo ha avuto perchè un questore ha firmato un provvedimento notificandolo alla famiglia e al sacerdote che avrebbe dovuto celebrare il rito religioso.
di L. Musolino
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 21st, 2015 Riccardo Fucile
DOPO TRE ORE DI DISCUSSIONE, IL CAPO STORICO CACCIATO DAL PARTITO CHE HA FONDATO E GUIDATO PER DECENNI: E’ L’ULTIMO CAPITOLO DELLA FAIDA INTERNA
Jean-Marie Le Pen cacciato dal partito che ha fondato e guidato per decenni. 
E’ questa la decisione del comitato esecutivo del Front National (Fn) dopo oltre tre ore di discussione.
Nonostante l’assenza della figlia Marine, attuale presidente del FN e principale sostenitrice del suo allontanamento, e del suo braccio destro Florian Philippot, il comitato ha votato a “maggioranza sufficiente” per l’espulsione, precisando che le motivazioni precise saranno notificate nei prossimi giorni all’interessato.
La sanzione però potrebbe non mettere la parola fine allo scontro familiare in seno alla formazione di estrema destra, dato che ancora prima che arrivasse il verdetto l’avvocato di Jean-Marie Le Pen aveva annunciato di essere pronto a fare di nuovo ricorso contro un’eventuale decisione sfavorevole.
D’altra parte, i due precedenti passaggi davanti al giudice hanno marcato altrettante vittorie per lo scomodo patriarca della famiglia Le Pen, seppur per motivi formali e non di sostanza.
Il tribunale di Nanterre ha infatti ordinato l’annullamento prima della sua sospensione, per un “vizio di forma” nella stesura del provvedimento, e poi l’assemblea virtuale dei militanti chiamata a ratificare la cancellazione dagli statuti del Fn della sua carica, quella di presidente onorario.
Pare quindi destinata a prolungarsi ulteriormente lo scontro tra padre e figlia, i cui rapporti sono diventati sempre più tesi negli ultimi due anni, arrivando alla rottura definitiva dopo una provocatoria intervista di Jean-Marie Le Pen a un periodico di estrema destra.
In quell’occasione, il leader ormai ultraottantenne, secondo alcuni ansioso di ritrovare visibilità a scapito della figlia, si era lasciato andare a una serie di frasi negazioniste tipiche del suo repertorio, dalla definizione delle camere a gas come “dettaglio della storia” all’invito a non giudicare troppo severamente il regime collaborazionista del maresciallo Petain.
Parole inaccettabili per Marine Le Pen, da anni impegnata nella ‘normalizzazione’ della reputazione del suo partito, trasformandolo da terzo incomodo ad alternativa concreta al tradizionale bipolarismo del sistema transalpino.
In questo contesto, una semplice dichiarazione per dissociarsi dalla posizione del padre non era più sufficiente per la nuova leader del Fn: bisognava fare in modo che Le Pen senior non potesse più parlare a nome del partito, prima levandogli la carica di presidente onorario e poi allontanandolo del tutto.
Operazione rivelatasi più ostica del previsto.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 21st, 2015 Riccardo Fucile
TAGLIATA LA RETE ORDINARIA DI 1.189 KM, RIDOTTI I FONDI STATALI AL TRASPORTO LOCALE DI 1,4 MILIARDI, ALZATE LE TARIFFE PER UN SERVIZIO SEMPRE PIU’ INEFFICIENTE
L’Italia su rotaie viaggia a due velocità : rapidissima — e non potrebbe essere altrimenti — dove corrono i Frecciarossa e Italo.
A passo di lumaca (spesso all’indietro come i gamberi) sui treni dei pendolari e sugli intercity, vittime collaterali — come molti servizi pubblici — dei tagli degli investimenti statali e dei trasferimenti alle Regioni.
I numeri, in questo caso, sono pietre: la cavalcata dell’alta velocità non ha freni.
Nel 2007 tra Roma e Milano viaggiavano 17 Eurostar al giorno. Ora sono oltre 80. Questi “servizi a mercato”, come li chiamano alle Fs — coccolati, promossi e sostenuti da adeguati investimenti per garantire un servizio al top e sopravvivere alla concorrenza — sono diventati il vero tesoretto dei conti del gruppo, visto che solo nel 2014 hanno garantito 113 milioni di ricavi in più con una crescita dell’8% dei passeggeri.
Gli altri treni vivono invece in una realtà diversa, confinati in una sorta di serie B delle strade ferrate: dal 2009 ad oggi le linee ad alta velocità si sono allungate di 740 km. mentre i tecnici di Rfi hanno deciso di chiudere ben 1.189 chilometri della vecchia rete, calcola il rapporto Pendolaria di Legambiente.
L’offerta di Intercity a lunga percorrenza — i convogli che dagli anni ’60 in poi hanno scritto la storia del boom italiano — è calata del 22% tra il 2010 e il 2013 con un altro -1,3% nel 2014.
Per chi vive la Cayenna quotidiana dei pendolari, va se possibile ancora peggio: le risorse statali a loro disposizione sono diminuite dal 2009 al 2014 di un quarto — complici soprattutto i drammatici tagli decisi dal Governo Berlusconi — crollando da 6,2 miliardi a 4,8.
Risultato: i servizi, inevitabilmente, peggiorano.
Anche perchè le Regioni, che non nuotano nell’oro, non sono in grado di tappare il buco dei tagli dello Stato.
E i clienti, disperati, gettano la spugna: il numero di italiani che usa il treno per andare a lavorare è diminuito nel 2014 di 90mila unità al giorno, scendendo da 2,86 a 2,77 milioni di persone.
Nessuno, in realtà , si stupisce.
Le Ferrovie — in un paese costruito sull’auto — sono da sempre la Cenerentola dei nostri trasporti.
Il 66% dei finanziamenti del piano infrastrutture 2002-2014 sono finiti in un modo o nell’altro sulle strade, per costruire viadotti, aggiungere corsie alle autostrade o stendere asfalto drenante antipioggia.
Ben 6,9 sono andati all’alta velocità , 12,7 (il 12% del totale) al treni dei comuni mortali.
Tanti o pochi? La risposta, cruda, la dà la realtà quotidiana di chi ci viaggia sopra. Certo, le tariffe per i pendolari in Italia sono tra le più basse (spessi di gran lunga) d’Europa.
L’età media dei 3.290 convogli in viaggio è però di 18,6 anni e in alcune aree le cose vanno ancora peggio: in Abruzzo l’84% dei mezzi ha più di vent’anni, in Puglia il 66%. Non solo.
Anche a velocità — uno degli indicatori di qualità del servizio — non brilliamo: la media lungo lo stivale è di 35,9 chilometri all’ora, contro il 46 della Francia, il 48 della Germania e al 51 della Spagna.
Secondo uno studio Ansaldo-Breda e Legambiente basterebbero 4-5 miliardi per comprare 1.293 treni locali per ribaltare la situazione e metterci al passo dell’Europa. Ma per ora bisogna accontentarsi della buona volontà e delle promesse delle Fs che nel loro piano al 2017 — al netto dei 50 Frecciarossa mille ordinati per 1,6 miliardi — prevedono di mettere in circolazione 200 nuovi treni regionali e di rinnovarne 235. Gli investimenti, anche sul fronte del trasporto locale, fanno la differenza.
Provare per credere: la Provincia di Bolzano è uno degli enti locali che più ha puntato sui servizi su rotaia, impegnando anche nel 2014 il 2,07% del suo bilancio per scommettere sulle ferrovie.
E i conti tornano: dal 2001 allo scorso anno i passeggeri sono cresciuti da 11mila a 29mila. Lombardia, Friuli, Trento, Emilia Romagna e Toscana sono le altre regioni virtuose che stanziano più dello 0,5% del bilancio per i treni.
Mentre in maglia nera ci sono Piemonte (nel 2014 ha investito 6,5 milioni per Pendolaria, lo 0,05% dei suoi soldi) e la Sicilia con 2,3 milioni.
Cifra che spiega da sola come mai nell’isola ci siano 1.247 chilometri su 1.420 della rete a binario unico
I governatori, ovviamente, tendono a puntare il dito contro lo Stato che tagliando i trasferimenti non li mette in condizione di scommettere sul treno.
Un modo per supplire alla carenza di fondi, ovviamente, c’è. Ed è quello di alzare le tariffe per recuperare le risorse.
L’hanno fatto in molti: tra il 2010 e il 2014 il Piemonte le ha aumentate del 47%, la Liguria del 41%, la Campania del 23,7%.
Peccato che i ritocchi non siano serviti ad ampliare l’offerta, anzi: Torino l’ha tagliata del 7,5%, la Liguria del 9,8%, la Campania del 19%.
E i viaggi dei pendolari in quest’ultima regione, per dire, sono crollati dai 429mila persone al giorno del 2009 ai 271mila del 2013.
Mentre in Lombardia, Toscana e Puglia, dove si è speso di più, i numeri hanno tutti davanti il segno più.
Il futuro, come sempre accade in Italia fino a che non diventa passato, è rosa.
Qualche appalto ferroviario (ultimo in ordine di tempo quello da 1,3 miliardi per il Brennero) è stato sbloccato.
Le Fs, garantiscono i nuovi vertici (come facevano i vecchi, va detto), hanno garantito un cambio di rotta rispetto all’era non troppo lontana in cui l’alta velocità faceva la parte del leone, assorbendo il 65% delle risorse disponibili.
Oggi come oggi si guadagna più tempo a minor costi puntando sulla velocizzazione di Freccia bianca e Frecciargento.
Ettore Livini
(da “La Repubblica“)
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Agosto 21st, 2015 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DI UNA COOPERATIVA DI GIOIA TAURO… IN AGENZIE DEL LAVORO E TOUR OPERATOR I NUOVI CAPORALI
Il meccanico che si occupava della manutenzione dei trattori è andato via senza dare una
spiegazione.
Le ditte che venivano chiamate per sgomberare gli agrumeti dalla legna delle potature sono tutte sparite.
Da mesi anche affittare una motozappa per qualche ora di lavoro è diventato impossibile.
Non si trovano più neppure braccianti nella Piana di Gioia Tauro. O meglio, non se ne trovano disposti a lavorare sulle terre sequestrate al Gruppo Oliveri.
C’è puzza di ‘ndrangheta nella storia denunciata dalla cooperativa Giovani in Vita, che si occupa di gestire i patrimoni che lo Stato ha sottratto ai criminali della provincia reggina.
Un tanfo che si sente lontano un miglio e rischia di asfissiare il gruppo di ragazzi che da mesi faticano in attesa dei raccolti di gennaio e febbraio.
Hanno resistito a tutto, negli anni. Sono andati avanti quando sono arrivate le minacce. Hanno continuato a lavorare quando hanno tagliato gli alberi e rubato i trattori.
Ora però devono affrontare una strategia mafiosa tutta nuova. Nuova e, se possibile, ancora più subdola.
Lo definiscono uno “stillicidio di azioni, tendenti a fare terra bruciata intorno alla cooperativa, tanto da creare serie difficoltà nello svolgimento del lavoro”.
In pratica è come se fosse passato un ordine preciso. Nella “roba” che i boss considerano cosa loro nessuno deve metterci più piede.
Di olive e agrumi nei 500 ettari che la Direzione investigativa antimafia ha sequestrato agli Oliveri ce ne sono tanti.
I ragazzi di Giovani in Vita, per curarli e raccoglierli, pagano 240 mila euro allo Stato.
Ma il prezzo non sarebbe un problema se si potesse lavorare. Contratti regolari per tutti e persino utili da reinvestire in azienda.
I prodotti sono pregiati e ci sono già gli accordi per piazzarli nei supermercati del Nord Italia. Tuttavia c’è il rischio che al raccolto invernale neppure si possa arrivare.
Il 12 agosto hanno rubato l’ennesimo trattore comprato dai soci, e di gente disposta ad affittarne uno non se ne trova.
Mancano le braccia, poi. E di braccia ne servirebbero tante nei prossimi mesi.
Ci sono i soci, certo, e anche alcuni extracomunitari sono pronti a sfidare i segnali lanciati dai “padroni della Piana”, ma non bastano.
Serve più gente per tirare giù le olive dagli alberi, ci vorrebbero almeno 70 persone.
Tra gli operai e i fornitori locali nessuno si fa avanti, anzi. Quando la coop ha provato a cercarli, si sono defilati.
“Terra bruciata”, la chiamano Rocco Rositano e Domenico Luppino, dirigenti della coop.
I campieri dei padrini della piana di Gioia Tauro non sparano più come in passato.
Niente sangue. Ora la nuova arma si chiama “isolamento”, terra bruciata, appunto.
Giuseppe Baldessarro
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 21st, 2015 Riccardo Fucile
LO STATO DA’ UN SEGNALE DI VITA, ORA DISPONE LA RIESUMAZIONE E L’AUTOPSIA CHE PRIMA AVEVA NEGATO
Il titolare dell’azienda agricola ‘Perrone’ di Andria in cui lavorava Paola Clemente, la bracciante di 49 anni morta nei campi il 13 luglio, è indagato dalla Procura di Trani. Nell’indagine per omicidio colposo e omissione di soccorso era finora indagato Ciro Grassi, autista del gruppo di braccianti di cui faceva parte Paola.
L’avviso di garanzia nei confronti dell’imprenditore è stato notificato dal pm inquirente Alessandro Pesce in vista dell’incarico per l’autopsia che sarà affidato il 21 agosto al medico legale Alessandro Dell’Erba e al tossicologo forense Roberto Gagliano Candela, entrambi dell’ Università di Bari.
L’autopsia, che sarà compiuta dopo la riesumazione del corpo della donna, dovrà accertare le cause e concause del decesso e l’eventuale inalazione di sostanze tossiche, poichè il segretario della Flai Cgil Puglia, Giuseppe Deleonardis, ha ipotizzato che sotto i tendoni i braccianti che lavorano all’acinellatura dell’uva inalano quantità massicce di fitofarmaci pericolosi che provocano malori.
Al conferimento dell’incarico per l’autopsia parteciperanno anche i legali della famiglia di Paola Clemente: Pasquale Chieco, Vito Miccolis e Giovanni Vinci, che si costituiranno per il marito e il figlio della donna, Stefano e Marco Arcuri, e nomineranno un proprio consulente medico legale.
Da fonti vicine alla famiglia Arcuri si apprende che il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ha messo a disposizione del marito e dei tre figli di Paola uno psicologo della Asl.
Continua il lavoro della Procura per ricostruire le dinamiche che hanno portato alla morte della donna di San Giorgio Jonico, avvenuta in seguito a un malore mentre lavorava nei campi, all’acinellatura dell’uva.
Un episodio avvenuto il 13 luglio, che è venuto alla luce nelle settimane seguenti e che ha portato il marito di Paola Clemente, Stefano Arcuri, a chiedere giustizia per la fine di sua moglie, che lavorava nei campi per due euro all’ora.
Ed è proprio in seguito alla sua denuncia che la Procura di Trani ha aperto una indagine, chiedendo la riesumazione del corpo della donna e la seguente autopsia.
Il caso di Paola Clemente è solo uno dei tre che hanno funestato l’estate pugliese.
Il suo decesso, infatti, è stato seguito pochi giorni dopo (il 21 luglio) da quello di un bracciante a Nardò: Mohamed lavorava nei campi di pomodoro, per ore sotto il sole, e non aveva un contratto. Il terzo caso è quello di un tunisino a Polignano a Mare: sorte analoga, il 6 agosto.
Come Paola anche Arcangelo, che è suo concittadino: Arcangelo ha 42 anni ed è in coma, ricoverato in rianimazione all’ospedale di Potenza.
Situazioni troppo simili, tanto che la Flai Cgil teme che in quei campi “si usino fitofarmaci pericolosi” alla salute dei braccianti.
Sul caso è stata aperta una indagine conoscitiva, senza reati nè indagati. Intanto emerge che l’uomo ha avvertito il malore mentre lavorava nelle campagne di Metaponto (Matera), e non ad Andria.
Sulla questione è intervenuto anche il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina: “Il caporalato in agricoltura è un fenomeno da combattere come la mafia – ha dichiarato – e per batterlo occorre la massima mobilitazione di tutti: istituzioni, imprese, associazioni e organizzazioni sindacali”.
(da agenzie)
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Agosto 21st, 2015 Riccardo Fucile
IL PARROCO DIFENDE LA SUA SCELTA: “SE IL BOSS ERA COSI’ PERICOLOSO PERCHE’ ERA LIBERO? SI ASPETTAVANO CHE LO ARRESTASSI IO?”
Parla don Giancarlo Manieri che ha officiato il funerale di Vittorio Casamonica nella chiesa romana di
Don Bosco.
Sky TG24 HD gli ha chiesto se, ad oggi, celebrerebbe nuovamente il funerale del boss: “Sì, faccio il mio mestiere”, la risposta del parroco.
Manieri ha però difeso il proprio operato in una lettera pubblicata sul sito della parrocchia di Don Bosco, nella rubrica “Il parrocco risponde”.
“Molti mi hanno rimproverato di non aver bloccato il funerale a un boss che ne ha combinate più che Bertoldo. Ma se era così fuori norma, perchè mai era a piede libero? Hanno aspettato la sua morte sperando che lo… “arrestasse” il parroco? Mio dovere è distribuire misericordia, m’insegna Papa Francesco. Ed è quello faccio.”
Il salesiano ripete inoltre di non essere venuto a conoscenza delle modalità del funerale e dichiara di avere ricevuto come offerta per le cerimonia funebre soltanto 50 euro.
Allo stesso tempo precisa di aver fatto una omelìa generica sul concetto della morte: amici, parenti e conoscenti di Vittorio Casamonica, scrive, sono arrivati con 3 quarti d’ora di ritardo ma in chiesa si sono comportati bene:
“Tanto per rispondere a certe insinuazioni sui soldi. “Quanto devo?”. “Può fare un’offerta, se vuole”. L’offerta è stata di € 50,00 (cinquanta non cinquemila). Molti colleghi giornalisti hanno insistito per sapere quello che è successo in chiesa. Nulla è successo. Quando sono arrivati con circa tre quarti d’ora di ritardo sull’orario, [e solo allora ho saputo della carrozza con relativo contorno e anche dell’identità del defunto], sono entrati in chiesa. Un po’ di confusione c’è stata, come sempre, ma esortati a prendere posto (erano circa quattro o cinquecento persone) hanno immediatamente obbedito, in perfetto ordine e silenzio.”
“Non ho avuto – ha spiegato il parroco a Sky – nessuna indicazione da parte della Curia. Che cosa dovevo fare? Io faccio il mio lavoro e faccio il parroco, non spettava a me bloccare un funerale. Ho saputo che avevano appiccicato dei manifesti, che sono stati tolti subito, perchè me lo hanno detto i miei collaboratori, poi dicono che abbiano messo l’altro, con il vestito da Papa, ma non l’ho assolutamente visto e non lo sapevo, perchè non sono uscito”.
Nella lettera sul sito don Manieri invece spiega la differenza con Piergiorgio Welby, l’attivista radicale malato di distrofia muscolare al quale furono negati i funerali religiosi proprio in quella chiesa:
“Quanto al paragone con Welby non è non congruo. In quel caso è intervenuto il Vicario del Papa, assumendosene la responsabilità e ordinando al parroco di non celebrare il funerale. Welby, se non vado errato, era non più considerato cattolico. A me nessuno ha detto nulla. Pregare per un morto, chiunque esso sia, non è proibito. Anche per Welby, del resto, i salesiani hanno pregato e molto e la chiesa è rimasta aperta tutto il giorno.”
Non sapeva, don Manieri della carrozza trainata da cavalli, della musica del Padrino, che avrebbe fatto da sottofondo o del manifesto con Casamonica in versione “papale”.
I cartelloni citati erano due: su uno, era riportata la scritta ‘Re di Roma’ insieme a un fotomontaggio raffigurante il Colosseo accanto alla Basilica di San Pietro e l’immagine dell’esponente di Casamonica vestito di bianco con un crocifisso.
Su un altro manifesto, era scritto invece: “Hai conquistato Roma ora conquisterai il paradiso”.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 21st, 2015 Riccardo Fucile
STANNO A IPOTIZZARE RIDICOLE INFILTRAZIONI DELL’ISIS SUI BARCONI, POI UN QUALSIASI ELICOTTERO PUO’ SORVOLARE LA CAPITALE SENZA AUTORIZZAZIONE E NESSUNO INTERVIENE E NESSUNO SI DIMETTE PER LA VERGOGNA
Giusto per la cronaca: ieri durante i discussi funerali di Vittorio Casamonica, il set cinematografico “indegno” per utilizzare un termine del “Guardian”, un elicottero ha sorvolato la piazza per gettare petali da 300 metri di altezza.
Lo guidava un ex pilota Alitalia (oggi la sua licenza è stata sospesa e lui denunciato) che era decollato dall’elisuperficie di Terzigno, in provincia di Napoli, con destinazione l’elisuperficie Romanina, utilizzando un elicottero monomotore R22.
In arrivo su Roma ha chiesto alla torre controllo l’autorizzazione all’attraversamento dello spazio aereo controllato, effettuando successivamente una deviazione su Roma a quota inferiore alla minima che, sulla città , non può essere meno di 1.000 piedi, ovvero circa 330 metri.
Il sorvolo della città di Roma è comunque vietato agli elicotteri monomotore.
Il lancio di materiale da bordo, peraltro, è proibito a meno di specifica autorizzazione che l’esercente non aveva.
L’Enac ha oggi evidenziato “che non era stata data alcuna autorizzazione al volo o al sorvolo della città di Roma”.
Una domanda sorge spontanea: se a bordo, invece del seguace di Casamonica ci fosse stato un terrorista di qualsiasi colore, magari provvisto di quelle armi chimiche oggi tanto di moda o altro materiale esplosivo, che sarebbe accaduto?
Sarebbero queste le misure di sicurezza per difendere gli spazi aerei della capitale d’Italia e sede della Cristianità ?
Dove erano i mezzi di intercettazione per la difesa del nostro spazio aereo?
Nessuno ha chiesto alla Pinotti di riferire immediatamente alle Camere su questo pauroso buco nella nostra sicurezza.
Troppo presi a ipotizzare ridicole e strumentali infiltrazioni di terroristi sui barconi dei profughi per alzare il naso verso il cielo e comprendere che siamo un colabrodo.
Altro che musica del Padrino, qua siamo a Disneyland.
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Agosto 21st, 2015 Riccardo Fucile
IL SEGRETARIO DELLA CEI AL MEETING DI RIMINI RACCOGLIE OVAZIONI: “PAPA FRANCESCO CI VUOLE MISSIONARI E DALLA PARTE DEI POVERI”
Nunzio Galantino non arretra dalle sue posizioni. Contesta le “scelte, individuali e pubbliche” del
nostro tempo, che, dice, “sono guidate per lo più dal perseguimento di interessi e fini immediati e poco meditati, dettati spesso dalla ricerca dell’utile e meno da un progetto consapevole e a lunga scadenza”.
E chiede che “chi sperimenta qualche forma di difficoltà venga integrato e non scartato” e che “quanti sono ai margini dello sviluppo siano coinvolti e le loro potenzialità messe a frutto”.
L’atteso discorso che il segretario Cei pronuncia al Meeting di Comunione e Liberazione è un ragionamento antropologico, ma in controluce nasconde tutte le risposte alle polemiche dei giorni scorsi, dopo le sue frasi che hanno innescato una fibrillazione nei rapporti con il mondo politico e all’interno della stessa Conferenza episcopale.
Il presule scherza con i fotografi ma scansa i cronisti nel giorno del suo ritorno in pubblico, dopo il forfait all’appuntamento trentino dedicato ad Alcide De Gasperi nel quale il suo messaggio scritto etichettava la classe politica contemporanea come un “harem di cooptati e furbi”.
E se aveva fatto discutere in precedenza l’appellativo di “piazzisti da quattro soldi”, rivolto a chi “specula sul dramma dei migranti”, a Rimini Galantino parte teorizzando un umanesimo basato sull’equilibrio tra senso del limite e fascino delle frontiere, ma arriva, in forma più felpata e filosofica, a ribadire il concetto di accoglienza e condivisione come contraltare all'”istinto a difendersi dagli altri”.
Si tratta, spiega, di costruire una società che “non considera i gruppi e gli Stati per quanto sanno produrre o per le risorse finanziarie di cui dispongono, e tenta anzitutto e con i mezzi di cui realisticamente dispone di risollevare i poveri, per non creare un mondo a due velocità “.
Come nei giorni scorsi, Galantino sottolinea ancora che è il Vangelo a “intendere gli ultimi non più come scarti ma come persone da sollevare e delle quali condividere la sorte”.
Un messaggio che Galantino chiede di attualizzare. “A noi sta di coglierne i riflessi per l’oggi e di tradurla nel nostro tempo”, dice il presule, subito prima di invocare “attenzione a tutti i poveri, a quelli che non hanno il lavoro o lo hanno perso, a quelli che provengono da zone più povere ed economicamente arretrate, a quelli che non sono in grado di difendersi perchè attendono di nascere e godere della vita”.
Con lo stesso stile e sempre riflettendo sul concetto di limite come risorsa, il numero due della Cei regola anche le scosse sismiche sotterranee che si registrano all’interno dell’episcopato italiano.
Chiarisce di essere in sintonia con il pontefice affermando che “una Chiesa che fa del limite una risorsa, assume lo stile missionario tanto invocato da papa Francesco divenendo sempre meno dispensatrice di servizi e sempre più ‘ospedale da campo’, chinata sugli ultimi”.
E in questo senso affonda il colpo affermando la volontà di proseguire sulla linea del cambiamento.
Proprio dall’antropologia del limite, incalza infatti Galantino, “anche la Chiesa è sollecitata a rinnovarsi nelle sue strutture, nelle dinamiche decisionali e nelle prassi delle comunità “.
E aggiunge: “Le comunità ecclesiali e le associazioni già sono, per il nostro tempo, un mirabile segno della presenza di Dio e della carità che da lui promana. Queste giornate di incontro e riflessione ne sono un esempio. Tuttavia, ancora tanto dobbiamo fare nella via della testimonianza”.
Non c’è da scoraggiarsi, lascia poi intendere in un altro passaggio Galantino, davanti a chi contesta la posizione dei credenti rispetto al relativismo.
“A partire dagli anni Settanta – osserva il presule – abbiamo assistito a un radicale mutamento del paradigma antropologico, che ha contribuito a mettere al centro, talvolta enfatizzandola in maniera esclusiva, la libertà individuale, quasi rappresentasse l’unico vero valore” e oggi, aggiunge, “è tacciato di essere retrogrado, repressivo e fuori dal tempo chi tenta di metterlo in discussione e mostrare, argomentando, che la persona non è solo libertà assoluta”.
L’uomo però, insiste l’ex vescovo di Cassano, “è tante altre cose ancora: ricerca di Dio e della verità , responsabilità , accettazione del sacrificio, alle quali è intimamente legato il raggiungimento di una libertà vera”.
Ed è in questo senso, appunto, che viene mostrato il concetto di limite che “non è semplicemente sinonimo di imperfezione ma è la radice stessa dell’apertura dell’uomo” perchè porta al “fascino delle frontiere”: “Il limite allora è una scuola capace di insegnarci quale sia il segreto della vita. Chi è appagato non cerca, nè lo fa chi è disperato. Cerca invece chi è povero, cioè chi percepisce il limite come caratterizzante la natura umana e ne fa motivo di crescita”.
Andrea Gualtieri
(da “La Repubblica”)
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