Agosto 25th, 2015 Riccardo Fucile
IN FLORIDA LEE COBB CONDANNATO PER AVER SOTTRATTO ALLO STATO 3 MILIONI DI DOLLARI
In Florida, Stati Uniti, certo James Lee Cobb III è stato condannato a 27 anni di prigione per frode
fiscale.
Si è fatto rimborsare 3 milioni di dollari cui non aveva diritto utilizzando documenti falsi.
La frode fiscale italiana analoga a quella commessa da James Lee consiste nella emissione e utilizzazione di fatture false mediante società finte, appositamente create — in genere all’estero — per frodare l’Iva.
Il sistema è semplice.
Delinquente, titolare di una Srl, Frodatrice, crea una società estera priva di risorse e di personale, un semplice recapito presso un commercialista che gli mette a disposizione un’impiegata; chiamiamola Fantasma.
Compra merce a nome di Fantasma cui saranno intestate le fatture.
Fantasma paga con il denaro di Delinquente. Però non paga l’Iva.
Subito dopo rivende (con Iva) la merce a Frodatrice per un prezzo inferiore: la differenza è pari all’Iva non pagata.
Frodatrice vende la merce in Italia a prezzo concorrenziale (può contare sul risparmio Iva di Fantasma) e si porta in detrazione l’Iva che finge di pagare a Fantasma; finge perchè Fantasma e Frodatrice fanno capo sempre a Delinquente.
Alla fine dell’anno di imposta Fantasma sparisce.
Invano il Fisco straniero chiederà il pagamento dell’Iva: non c’è nessuno, soci e amministratori erano vecchietti ricoverati all’Ospizio.
Frodatrice chiede al Fisco italiano il rimborso dell’Iva a credito o comunque si porta in detrazione quella che ha fatto finta di pagare a Fantasma.
Tutto questo viene ripetuto N volte con società diverse aventi sede — questo è molto importante — in differenti città . E così si evadono milioni di euro (altro che 3 milioni di dollari di James Lee).
Cosa succede sul piano tributario?
Il processo dura da 12 a 15 anni e, quando finisce, farsi dare soldi dalle varie Fantasma è impossibile: gusci vuoti.
Farseli dare dalle Frodatrice anche; quando il Fisco arriva (a 3/4 anni di distanza dai fatti) sono fallite o in liquidazione. Delinquente è nullatenente. I soldi se li è spesi; barche, macchine e case sono intestate a società terze.
Resta la prigione, che non sarebbe poco. Ma la frode fiscale è punita con un massimo di 6 anni; se ripetuta, applicando l’art. 81 cp, si può arrivare a 18.
Pura teoria, in tutta la mia vita di pm mai è stata inflitta una pena superiore a 4/5 anni; nel 90% dei casi, con un anno e 8 mesi e sospensione condizionale tutto andava a posto.
Ma, si potrebbe giustamente dire, è colpa dei giudici: svegliatevi. Vero.
Però sarebbe comunque tutto inutile perchè la legge è studiata apposta per non far andare in prigione nessuno.
Prima di tutto c’è la prescrizione; 7 anni e mezzo dal momento in cui i reati sono stati commessi.
Siccome li si scopre con accertamenti e verifiche di Fisco e GdF, la procura si attiva quando le arriva la notizia di reato: sono passati minimo 3 anni.
Un sistema come quello descritto richiede rogatorie estere e indagini contabili (pensate alle migliaia di fatture e documenti bancari da esaminare) molto complesse. Meno di 2 anni per mandare a giudizio Delinquente non è possibile.
Restano 2 anni e mezzo per primo grado, appello e Cassazione. Ma in genere in Tribunale è già prescritto tutto.
Poi c’è il giochino della competenza territoriale.
Supponiamo che la frode venga scoperta a Torino, nel corso di una verifica a Frodatrice 1.
Da qui, con indagini bancarie, perquisizioni e sequestri e un po’ di fortuna, si scoprono Fantasma 2, 3 e 4 e le corrispondenti Frodatrice; nonchè i vari Delinquenti che compongono la banda, ognuno in una differente città .
Bisogna spezzettare il fascicolo e mandare gli atti alle procure competenti per ogni domicilio fiscale di ogni Frodatrice: così dice la legge.
Così il sistema complessivo non lo conosce più nessuno; ogni pm si deve fare le sue rogatorie (magari già fatte da un altro) e ripetere indagini.
Oppure aspettare che il primo pm abbia finito e gli mandi copia di tutto quello che è stato fatto; poi l’indagine sarà integrata con quello che manca nel caso specifico. In questi casi la prescrizione matura nel corso delle indagini.
Ah, manca un pezzetto. Se si arriva a sentenza definitiva, 3 anni non si sconteranno: gli anziani di Cesano Boscone hanno molto bisogno di aiuto.
Al massimo si andrà in prigione per i mesi eccedenti i 3 anni.
Ma di sentenze così severe non ce n’è.
Tutto questo favorirà un tipo particolare di “crescita”.
Gli imprenditori onesti in Florida o in altri posti del genere. E i Delinquenti in Italia. A pensarci bene è avvenuto da un pezzo.
Bruno Tinti
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 25th, 2015 Riccardo Fucile
LA FINANZA INDAGA NEI VIGNETI DI ASTI….DIVERSI IMPRENDITORI UTILIZZANO LAVORATORI IN NERO
Tirava aria fredda ieri tra le colline del Moscato e le nuvole basse minacciavano pioggia.
Nei filari, decine di migranti della vendemmia hanno cominciato la raccolta dei grappoli dorati che diventeranno uno spumante tra i più famosi al mondo: sono in gran parte bulgari, macedoni, romeni.
Arrivano in piazza Indipendenza a Canelli, direttamente dai Paesi dell’Est Europa, cercando un contratto (regolare o meno non importa) per portarsi a casa compensi che spesso non superano i 3-5 euro l’ora.
Il trucco del contratto
Anche quest’anno, si aspettano dai 200 ai 300 stagionali.
Alcuni, i più fortunati, trovano occupazione con cooperative in regola con paghe e contributi, ma altri, forse la maggioranza, finiscono nel gorgo del sommerso.
Quelli che assicurano ingaggi in nero li chiamano caporali anche da queste parti: il trucco è far firmare al lavoratore un contratto da bracciante in cui non vengono indicati i giorni di lavoro e neppure l’orario.
Su questo traffico, da qualche giorno, ha cominciato a investigare anche la Guardia di finanza.
Le Fiamme gialle astigiane del colonnello Michele Vendola e quelle della Brigata di Canelli avrebbero già indagato il legale rappresentante di una cooperativa del Canellese, ipotizzando il reato di intermediazione abusiva di manodopera, il caporalato appunto.
Per ora l’inchiesta è ancora coperta dal massimo riserbo.
L’impressione, però, è che le indagini siano in una fase molto delicata e non sono esclusi clamorosi sviluppi.
In piazza a Canelli sono parcheggiati i bus che partono da Romania, Bulgaria o Macedonia e che di turistico non hanno nulla.
Trasportano i migranti dell’uva. I costi per l’imbarco, a carico dei lavoratori naturalmente, vanno dai 50 ai 120 euro.
Arrivati a Canelli c’è il problema sistemazione.
«Io ne conosco tanti di miei connazionali che dormono in 20 o 30 in una cascina diroccata – racconta un romeno che a Canelli vendemmia da 15 anni – l’affitto per un dormitorio che sembra un pollaio è 150 euro al mese».
Quest’anno il Comune ha deciso di chiudere il «campo» che in passato era stato allestito alle porte della città .
Il sindaco, Marco Gabusi, ha deciso di usare il pugno di ferro. «Nessuna accoglienza, niente campi, bagni o docce pubbliche. Questa vergogna deve finire. Ho chiesto ai vigili e ai carabinieri di identificare i vendemmiatori e se non sono in regola allontanarli da Canelli».
E c’è chi racconta come si affronta una vendemmia tra caporali e controlli. Stefano è un bulgaro di 46 anni che da quasi 20 vive in Italia.
«Faccio il camionista a Cremona — dice — e da 13 anni vengo a Canelli per la vendemmia. Domani arrivano anche mia moglie e mia figlia».
Quest’anno ha un contratto da bracciante. «È il primo che firmo, 5 euro l’ora per 10 ore di lavoro».
Pier Gustavo Barbero, titolare di una cooperativa con 100 lavoratori, segue la via della legalità . «Non è facile lavorare con la concorrenza dei caporali – racconta – i nostri clienti sono grandi aziende che scelgono di pagare il giusto ma troppi piccoli imprenditori si fanno abbindolare dalle sirene del risparmio a discapito di chi lavora da sfruttato».
Franco Binello e Riccardo Coletti
(da “La Stampa”)
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Agosto 25th, 2015 Riccardo Fucile
“IL MESSAGGERO” RIVELA LA LISTA DEL PREFETTO: MOLTI I POLITICI DI DESTRA E SINISTRA
Sono 101 i personaggi meritevoli di una “particolare” attenzione da parte della prefettura di Roma.
Tra questi molti esponenti di spicco della politica romana.
Ne dà conto il Messaggero: il quotidiano racconta dell’esistenza di un documento riservato che verrà distribuito durante il Consiglio dei ministri di giovedì prossimo su Mafia Capitale.
“Per uscire dalla grana Mafia Capitale e sopravvivere al Giubileo l’unica strada sarà quella di puntare sul prefetto di Roma Franco Gabrielli.
Tanto più – scrive il Messaggero – che l’ultima rilettura delle relazioni consegnate dalla prefettura dopo la lunga ispezione in Comune ha evidenziato ancora una volta pesanti responsabilità politiche.
Evidenziate dalla commissione presieduta dal prefetto Marilisa Magno con una lista di 101 nomi “attenzionati” tra i quali molti politici”.
Racconta il Messaggero:
Tra i documenti imbarazzanti che giovedì saranno nelle mani di tutti i membri del consiglio dei ministri, col rischio di ulteriore pubblicità , c’è, ad esempio, l’elenco dei 101 nomi ai quali i membri della commissione d’accesso prefettizia hanno dedicato un ‘focus’. Non tutti sono indagati, ma sarà comunque spiacevole sia per il Pd sia per l’opposizione vedere come la relazione si soffermi, nella stragrande maggioranza dei casi con una ‘scheda’ dedicata, su elementi di spicco della politica locale.
Oltre agli indagati, da Mirko Coratti a Luca Odevaine, l’elenco con schede allegate cita l’ex vicesindaco Luigi Nieri (al quale i prefetti non avevano risparmiato giudizi politicamente pesanti) ma c’è anche l’ex segretario del Pd romano Lionello Cosentino.
C’è Erica Battaglia, presidente Dem della commissione Affari sociali, alla quale Buzzi ha versato un contributo elettorale di 5mila euro.
Sveva Belviso, vicesindaco di Alemanno ora a capo di una nuova formazione politica. Tra le fila del centrosinistra spiccano Mattia Stella, ex responsabile dell’attuazione del programma nella segreteria Marino, e Micaela Campana, deputata Pd e compagna di Daniele Ozzimo (ex assessore alla Casa accusato di corruzione).
Tra quelle di destra, il consigliere Pdl Alessandro Cochi e Stefano Andrini, ex ultrà con un passato da picchiatore, a lungo ai vertici di Ama Servizi su nomina di Alemanno.
La lista giovedì girerà tra le mani di tutti i ministri presenti.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 25th, 2015 Riccardo Fucile
LO STATO NON TRASFERISCE FONDI ALLA PROVINCIA E NON RISPONDE NEANCHE AI SOLLECITI
Non ci sono soldi per la manutenzione delle strade? “Riduciamo la velocità di tutti i veicoli a 30 chilometri orari”.
È la trovata della provincia di Crotone per far fronte alle precarie condizioni delle strade di pertinenza dell’ente.
Da alcuni mesi ormai gli automobilisti che vogliono spostarsi da un paesino all’altro devono rispettare il limite di velocità imposto dall’ordinanza firmata dal dirigente dei lavori pubblici, viabilità , mobilità e trasporti, Francesco Benincasa, il quale ha puntato il dito contro la politica mettendo nero su bianco che il provvedimento si è reso necessario “a causa delle criticità economiche in cui versa la Provincia”.
In altre parole, la situazione è questa ed è destinata a rimanere tale.
“Passo d’uomo” e circolare quindi.
Ecco così risolto il problema delle “numerose buche, avvallamenti, frane e smottamenti, che determinano una sensibile riduzione degli standard di sicurezza per la percorrenza delle stesse“.
L’ordinanza ha carattere temporale ma, se si legge con attenzione, non ci sono i margini per pensare che i disagi degli automobilisti possano durare solo pochi mesi.
Negli ultimi esercizi finanziari, infatti, “non sono state stanziate risorse destinate alla manutenzione ordinaria e straordinaria, nè se ne prevede lo stanziamento per il presente esercizio finanziario”.
E siccome le buche e gli avvallamenti non si riparano da soli, nè tantomeno le frane e gli smottamenti si mettono in sicurezza senza prevedere un minimo di spesa, il destino di chi intende percorrere le arterie provinciali di Crotone è quello di non superare i 30 km orari anche nelle strade in cui, da codice della strada, si potrebbe arrivare a 50 o a 70 km/h.
Un modo per scongiurare incidenti e, molto probabilmente, per evitare le responsabilità penali e i risarcimenti chiesti dagli automobilisti costretti a fare i conti con strade che sembrano groviere.
Il provvedimento tocca tutta “rete stradale provinciale extraurbana” ad eccezione, naturalmente, dei “tratti delle arterie già precluse al transito”.
Oltre a informare tutti i sindaci della zona, a metà giugno il dirigente Benincasa ha inviato la copia dell’ordinanza (definita “urgente e improcrastinabile in quanto motivata dalla gravità di una situazione che determina un pericolo per la pubblica incolumità ”) alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al ministero delle Infrastrutture che, quindi, sono informati del fatto che la “regolare transitabilità ” non è garantita “secondo gli standard di sicurezza”.
Sono passati quasi due mesi, l’estate è praticamente agli sgoccioli e nessuno si è domandato se la Provincia di Crotone è in grado di garantire la manutenzione ordinaria delle sue strade.
Lucio Musolino
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 25th, 2015 Riccardo Fucile
IL CASO DI ANGELINA: 32.000 EURO DI DEBITI DI AFFITTI ARRETRATI MAI PAGATI
Un Casamonica di ultima generazione, pannolone e ciuccio in bocca, apre la porta e ci scruta. Subito
ne arriva un altro, poco più spettinato e almeno altrettanto perplesso.
Roma Sud, quartiere Spinaceto. Quello di Caro Diario («Spinaceto? Credevo peggio..»).
Nanni Moretti, si vede, non era venuto in via Salvatore Lorizzo, svuotati nei servizi e nel decoro. Pulsantiere degli ascensori sfondate, cassette della posta dalle lamiere piegate.
Un’enclave pubblica (sono case dell’Agenzia territoriale del Lazio) dei Di Silvio, Sulejmanovic e Ciaglia, imparentati a «Re» Vittorio.
È qui che vivono Liliana e Marilena Di Silvio, assieme a nonna Celeste, ristretta ad un’autorevole invalidità sulla nuova sedia a rotelle: «Non c’entriamo co’ Vittorio – precisa subito lei -. Lui era un altro ramo della famiglia. Il funerale? Non sono andata».
Icone di Padre Pio, barbuto e benevolo, spiccano alle pareti
In origine questo appartamento era stato assegnato ad Angelina Casamonica, cugina di Vittorio, pare, ma la prova non c’è.
Angelina, comunque, dichiarava reddito zero. Nel suo caso l’Ater aveva applicato il canone sociale. Sette euro e settantacinque centesimi al mese.
Morta anni fa, la donna si è portata debiti e penalità relative nella tomba.
Le sue eredi, Marilena e Liliana Di Silvio, devono all’Ater del Lazio 32. 272,07 euro d’affitto con tanto di penali arretrate
Domandiamo, allora, se lo sanno e se, a loro volta, sono altrettanto «saltuarie» nei pagamenti: «Vivo qui da vent’anni… – dice la più giovane, Liliana, alta e formosa – Dipende. L’ultima volta mi sono arrivati 700 euro! Quelli non li ho pagati»
Marilena tace. I debiti si accumulano una generazione sull’altra
Non solo Porsche e villette dai fregi dorati: ci sono Casamonica negli alloggi pubblici regionali e nelle case popolari del Campidoglio.
Paradosso: in una città che vanta circa ventimila occupazioni abusive, i Casamonica sono quasi sempre in regola.
A loro l’appartamento è stato assegnato decenni fa e qui, nella periferia sud di Roma, c’erano già negli anni Ottanta.
Qui il canone d’affitto si calcola in base al reddito dichiarato, anche quando (spesso) le dichiarazioni sbagliano per difetto.
Anche i canoni degli affiliati ai clan sembrano destinati a una rivalutazione.
Ma sarà applicata? Si dirà che l’Ater fatica a riscuotere sempre, figurarsi con i clan.
Per anni nessuno ha messo a confronto le dichiarazioni degli inquilini con altri indicatori, finchè, un paio di anni fa, il sommerso affiorò in tutto il suo iperbolico oltraggio e si scoprì un inquilino Ater, a reddito sociale, proprietario di un cabinato a motore, ormeggiato a Fiumicino.
Ed ecco perchè ora, dopo le esequie-scandalo, il Campidoglio che ha l’ultima parola sulle assegnazioni, ha reso noto che, da mesi, sono in corso verifiche sul reddito degli assegnatari.
Ma intanto: Antonio Casamonica, inquilino di un appartamento ad altra scala di via Lorizzo, dichiara 5.726 euro l’anno e dunque paga un canone sociale di 7,65 euro che versa «puntualmente» assicurano all’Ater.
Giuseppe Casamonica, invece, ne dichiara 21 mila l’anno e perciò paga cento euro mensili di affitto.
Giulia Spinelli, capofamiglia, mamma di Dante e Giovinella Casamonica, si è aggiudicata un appartamento in via Giova Battista Scozza, nei pressi di Centocelle. Anche qui canone minimo a fronte del reddito minimo dichiarato.
Le occupazioni abusive dei Casamonica sono davvero episodiche.
Se il clan impiega la forza nelle attività di riscossione dei debiti, almeno non sfonda le serrature. All’Ater risultano solo un paio di abusivi del clan. In futuro, forse, sanando il dovuto, potranno mettersi in regola.
Non è il caso di fare gli schizzinosi: le casse comunali piangono, perchè rifiutare il dovuto da un presunto boss?
Tornando a Spinaceto, sui citofoni, c’è un pezzo di genealogia dei clan romani.
Casamonica. Spinelli. Di Silvio. Uno Spada, apparentemente fuori dal suo raggio d’azione (il litorale: gli Spada sono i primi alleati dei Fasciani a Ostia).
I Di Silvio invece appartengono al ramo Casamonica più preso di mira dall’Antimafia.
Molti di loro furono condannati per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio nel maxiprocesso del 2013 ma la sentenza fu smantellata un anno fa dalla Corte d’appello che ne prosciolse 11 e restituì i beni confiscati.
Ora, nell’enclave dell’Ater, non hanno nulla da temere, fuorchè i guasti agli ascensori che, di quando in quando, li lasciano a piedi.
Ilaria Sacchettoni
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 25th, 2015 Riccardo Fucile
SI TRATTA DI UN TIPICO PROCESSO POLITICO DI REGIME SOVIETICO: I BOIA SONO GLI AMICI DI SALVINI…. CADUTO NEL VUOTO L’APPELLO DI MILLE ARTISTI
Vent’anni di carcere per “terrorismo” al regista ucraino Oleg Sentsov. Era accusato di aver preparato atti di sabotaggio e terrorismo in Crimea, dopo l’annessione russa avvenuta nel marzo 2014.
Secondo gli inquirenti, il regista con l’aiuto di tre complici ha dato fuoco alle sedi del partito “putiniano” Russia unita di Sinferopoli e dell’organizzazione filorussa Comunità russa di Crimea.
A Sentsov è anche contestato di aver pianificato la distruzione di una statua di Lenin, sempre nella capitale della penisola sul Mar Nero.
L’accusa aveva chiesto 23 anni di carcere, mentre Sentsov si era detto vittima di un processo politico.
Il regista era stato arrestato l’11 maggio 2014 dai servizi segreti russi, l’Fsb, nella sua casa a Sinferopoli.
Il processo era iniziato dopo un anno di carcere, anche se il testimone chiave aveva ritrattato il suo racconto.
Insieme a Sentsov è stato condannato a 10 anni di reclusione anche un altro imputato, Aleksandr Kolcenko. Altre due persone, Oleksiy Chyrniy e Ghennadi Afanasiev, erano stati condannati in precedenza a sette anni di carcere per le stesse accuse.
Prima della sentenza, a favore del regista ucraino si erano mobilitati diversi esponenti della cultura, anche internazionale.
L’Efa, l’European film aca demy, aveva chiesto per esempio “l’immediato rila scio”. Nell’appello destinato al presidente della Russia Vladimir Putin che ha raccolto oltre mille firme tra direttori artistici, attori e produttori.
Hanno aderito tra gli altri il regista britannico Ken Loach, il polacco Agnieszka Hol land, il finlandese Aki Kau ri smà¤ki, il tedesco Vol ker Schlà¶n dorff e l’italiano Enzo De Camillis, direttore di Anac (la National association of cinematographic authors).
(da agenzie)
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Agosto 25th, 2015 Riccardo Fucile
LA CANCELLIERA DA’ L’ESEMPIO, SOSPESO IL TRATTATO DI DUBLINO PER I SIRIANI CHE FUGGONO DAL MASSACRO…MENTRE I PROFUGHI BEFFANO IL RIDICOLO MURO DELL’UNGHERIA
La Germania chiede al resto d’Europa di farsi carico dell’ondata eccezionale di profughi di guerra
attraverso un meccanismo di quote obbligatorie, ma allo stesso tempo ha deciso di sospendere gli accordi di Dublino per i siriani che faranno richiesta dello status di rifugiato in territorio tedesco: ciò significa che accoglierà le domande di tutti i siriani che arriveranno.
La disposizione arriva dall’agenzia per i migranti e per i rifugiati (Bamf).
L’ordine è quello di accettare le domande di asilo dei siriani senza indagare sul tragitto che hanno compiuto per giungere in Germania e senza tenere conto delle registrazioni o delle domande inoltrate in altri Paesi europei.
Berlino dunque non espellerà i richiedenti asilo siriani che secondo la normativa europea dovrebbero tornare nel primo paese del continente dove hanno messo piede, solitamente la Grecia, l’Italia o l’Ungheria.
Con un atto dal sapore decisamente umanitario, ma anche molto concreto, Angela Merkel spera in questo modo di sollecitare gli altri paesi europei a rispettare la normativa sull’asilo.
Dopo un rapido vertice con Hollande, il 24 agosto la cancelliera ha chiesto un rapido intervento dell’Europa tutta sulla più forte crisi migratoria dalla fine della seconda guerra mondiale.
Nel documento in 10 punti elaborato dal ministero degli Esteri tedesco sulla questione dell’asilo c’è anche la richiesta di stabilire delle quote di rifugiati che ciascun paese europeo dovrebbe essere obbligato ad accogliere dopo l’arrivo sulle coste Mediterranee.
Per la Commissione europea i 40mila che saranno dislocati dall’Italia e dalla Grecia, frutto di un faticosissimo accordo a inizio estate, “resta una cifra proporzionalmente molto piccola rispetto al numero di persone che arriva”: solo per dare un dato, a luglio in tutta Europa sono arrivati 107mila tra migranti e richiedenti asilo.
Nella notte tra lunedì e martedì sono riusciti a passare la frontiera tra Serbia e Ungheria circa 2mila richiedenti asilo, in maggioranza siriani, protagonisti nei giorni scorsi degli scontri con la polizia macedone al confine tra Grecia e Macedonia.
Gli operatori umanitari confermano che l muro non servirà a fermare la marcia dei profughi: “Sarà soltanto un altro ostacolo, riusciranno a passarci sopra o sotto, oppure entreranno in Ungheria dalla Croazia”, avvertono i lavoratori della ong riportati dal New York Times
Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker promette di presentare nuove proposte sull’accoglienza dei rifugiati nel discorso sullo Stato dell’Unione il prossimo 9 settembre al Parlamento europeo, forte anche dell’appoggio di Berlino e Parigi.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 25th, 2015 Riccardo Fucile
DALL’ERITREA IN 10 MESI HA ATTRAVERSATO FIUMI E DESERTI: “HO LASCIATO LA MIA FAMIGLIA, DI LORO NON SO PIU’ NULLA”
Il profugo bambino è scoppiato in un pianto a dirotto solo dopo aver varcato la soglia della comunità .
Porta sulle spalle magre un viaggio lungo quattromila chilometri: dieci mesi attraverso due fiumi, un immenso deserto e infine quel mare che da anni inghiotte i suoi fratelli.
Troppo per un bambino di dodici anni scappato da solo dall’inferno Eritrea.
Un bambino che ieri ha pianto lacrime amare quando ha dovuto lasciare i compagni di viaggio, quei ragazzi appena più grandi di lui diventati la sua famiglia.
Foltissimi riccioli neri, lunghe ciglia a incorniciare gli occhioni nocciola, Merhani è il più piccolo dei 45 minori non accompagnati sbarcati ieri al porto di Palermo insieme con altre 500 persone.
Al porto, seduto sulle panche di legno sistemate sotto ai tendoni, ieri Merhani sorrideva cingendo col braccino magro un quindicenne dai capelli corti che si guardava intorno con aria assente
Mentre gli attivisti di “Save the children” raccoglievano la sua storia, Merhani con la mano destra stringeva il ciondolo con l’immagine della Madonna che, ha raccontato, non si è mai tolto da quando dieci mesi fa ha lasciato il suo paese, l’Eritrea devastata dalla dittatura di Isaias Afewerki.
«Sono stato due mesi in Etiopia, sei mesi in Sudan e due mesi in Libia — ha raccontato — I miei genitori sono rimasti in Eritrea. Sono partito da solo».
Merhani ha fatto quello che moltissimi suoi connazionali minorenni fanno: scappare da un paese che impone ai ragazzini il servizio militare a tempo indeterminato.
La maggior parte dei 7.300 minori non accompagnati arrivati in Italia dall’inizio dell’anno sono proprio eritrei.
Ma in genere a partire sono i quindicenni.
Quando Merhani ha lasciato la sua mamma e il suo papà di anni invece ne aveva appena 11.
Solo in mezzo al deserto, con la paura che non lo lasciava dormire, ha costruito la sua nuova famiglia strada facendo: «Ho incontrato altri ragazzi lungo il cammino».
Timido e con difficoltà a comunicare — si esprime in tigrino, una lingua parlata in Eritrea e nel nord dell’Etiopia — ieri ha accennato appena i dettagli del suo lunghissimo viaggio. Prima tappa l’Etiopia raggiunta a piedi attraversando il fiume Tigrai.
Poi il Sudan, attraversando stavolta il Teseke. Oltre il fiume ad attenderlo c’era la tappa più difficile: il cammino nel deserto durato sei mesi.
A giugno Merhani è arrivato in Libia dove ha trascorso 60 giorni in attesa di imbarcarsi.
Il profugo bambino è uno degli oltre quattromila migranti salpati dalle coste libiche a bordo dei sette barconi e dei 16 gommoni soccorsi sabato mattina dalla Guardia costiera.
Sara Scarafia
(da “La Repubblica”)
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Agosto 25th, 2015 Riccardo Fucile
UNA AGGRESSIONE INVENTATA A UN ANZIANO E SI SCATENA L’ODIO CONTRO IL CENTRO ACCOGLIENZA: MA CONTRO IL CONSIGLIERE COMUNALE DELLA LEGA CHE GUIDAVA I PATACCARI A QUANDO LA DENUNCIA?
Una falsa notizia, una bufala, fa scatenare a Lamezia Terme l’intolleranza contro gli immigrati.
Assediata per ore la comunità “Luna rossa” che ospita minori non accompagnati in un palazzo confiscato alla ‘ndrangheta.
Minacciati pesantemente i ragazzi e gli educatori.
Una situazione di alta tensione in un mix tra brutta politica e razzismo, con la partecipazione silenziosa del clan mafioso.
Le forze dell’ordine sono così obbligate a potenziare la sorveglianza del palazzo che più volte è stato oggetto di attentati, da quando don Giacomo Panizza, il sacerdote bresciano da più di trenta anni in Calabria e fondatore della comunità “Progetto Sud”, ha deciso di prendere in gestione il bene strappato al clan Torcasio, che prende da allora il nome “Pensieri e parole” e che ospita anche un gruppo di disabili non autosufficienti.
Una decisione non tollerata dagli ‘ndraghetisti che lo hanno pubblicamente minacciato.
È così venuta la tutela per il sacerdote e dopo gli attentati (non solo al palazzo) anche al resto della comunità .
Ma questa volta è diverso. La ‘ndrangheta c’è sempre, ma questa volta solo come “osservatore”.
«Sono preoccupato — commenta don Giacomo — perchè è la seconda volta in pochi mesi che se la prendono coi giovani immigrati. Ma questa non è Lamezia che, invece, è sempre stata accogliente ne tollerante».
Tutto comincia quando un ottantenne si presenta alla Polizia denunciando di essere stato aggredito, derubato e addirittura seviziato da tre giovani immigrati nel quartiere di Capizzaglie, area storicamente dominata dai clan e proprio dove si trova il palazzo confiscato.
I poliziotti fanno subito accertamenti, interrogano a lungo l’anziano e non trovano riscontri del fatto.
Intanto però la notizia gira per la città , rilanciata anche da alcuni consiglieri comunali di maggioranza che fanno riferimento al Movimento territorio e lavoro-Noi con Salvini. che ha la sede proprio davanti al palazzo “Pensieri e parole”.
Ed è lì che cominciano a raccogliersi i manifestanti, seguendo il tam tam della notizia.
A placarli non è sufficiente una nota di smentita del commissariato che spiega che da «accertamenti sanitari, l’assenza di segni di violenza sul corpo della presunta vittima, nonchè di tracce sui vestiti, gli investigatori parlano di una simulazione.
No, non basta a chi ormai se la vuole prendere coi giovani immigrati di “Luna rossa”.
Bloccano la strada con le auto, si avvicinano al palazzo. Tra di loro anche due consiglieri comunali, uno dei quali su Facebook non fa tanti giri di parole: «Chi non rispetta la nostra gente deve andare via dalla nostra città ».
Ma poi i manifestanti se la prendono coi ragazzini e con gli educatori.
Proprio mentre stanno rientrando in comunità dopo le tante attività (formazione, sport) svolte per trasformare l’accoglienza in vera integrazione.
E volano parole molto forti. «Negro di m…», rivolto a un ragazzo. «Sei una p…», indirizzata a un’educatrice. Qualcuno, con gesto provocatorio, sbuccia una banana, getta a terra la buccia e la calpesta. Fino a minacce pesantissime: «Questa notte ti uccidiamo».
Gli organizzatori parlano di «manifestazione pacifica», ma non basta la presenza di carabinieri e poliziotti a placarli e devono essere chiamati rinforzi.
Tra la gente in strada, tranquilli ma ben visibili, ci sono anche due esponenti del clan.
Osservano e, soprattutto, si fanno vedere, quasi a dire, in perfetto stile mafioso, che loro ci sono, anche su questo tema. Ma a preoccupare è quella che don Panizza chiama «strumentalizzazione, prendendosela con ragazzi che, oltretutto, sono controllatissimi. Siamo davvero al sonno della ragione — si sfoga il sacerdote —, all’oscurantismo, allo squadrisimo. I temi della vita, dei diritti, della legalità sono stati calpestati».
Ma come per gli attentati della ‘ndrangheta la risposta è positiva. «Anche questa notte terremo le porte e le finestre aperte — annuncia don Giacomo —, non possono condizionare la nostra vita e, soprattutto, quella dei ragazzi che già hanno tanto sofferto».
Discretamente, però, le forze dell’ordine hanno rafforzato la tutela. E non è certo un buon segno.
(da agenzie)
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