L’ODISSEA DI MERHANI, IL PROFUGO BAMBINO: “NON LASCIATEMI SOLO”
DALL’ERITREA IN 10 MESI HA ATTRAVERSATO FIUMI E DESERTI: “HO LASCIATO LA MIA FAMIGLIA, DI LORO NON SO PIU’ NULLA”
Il profugo bambino è scoppiato in un pianto a dirotto solo dopo aver varcato la soglia della comunità .
Porta sulle spalle magre un viaggio lungo quattromila chilometri: dieci mesi attraverso due fiumi, un immenso deserto e infine quel mare che da anni inghiotte i suoi fratelli.
Troppo per un bambino di dodici anni scappato da solo dall’inferno Eritrea.
Un bambino che ieri ha pianto lacrime amare quando ha dovuto lasciare i compagni di viaggio, quei ragazzi appena più grandi di lui diventati la sua famiglia.
Foltissimi riccioli neri, lunghe ciglia a incorniciare gli occhioni nocciola, Merhani è il più piccolo dei 45 minori non accompagnati sbarcati ieri al porto di Palermo insieme con altre 500 persone.
Al porto, seduto sulle panche di legno sistemate sotto ai tendoni, ieri Merhani sorrideva cingendo col braccino magro un quindicenne dai capelli corti che si guardava intorno con aria assente
Mentre gli attivisti di “Save the children” raccoglievano la sua storia, Merhani con la mano destra stringeva il ciondolo con l’immagine della Madonna che, ha raccontato, non si è mai tolto da quando dieci mesi fa ha lasciato il suo paese, l’Eritrea devastata dalla dittatura di Isaias Afewerki.
«Sono stato due mesi in Etiopia, sei mesi in Sudan e due mesi in Libia — ha raccontato — I miei genitori sono rimasti in Eritrea. Sono partito da solo».
Merhani ha fatto quello che moltissimi suoi connazionali minorenni fanno: scappare da un paese che impone ai ragazzini il servizio militare a tempo indeterminato.
La maggior parte dei 7.300 minori non accompagnati arrivati in Italia dall’inizio dell’anno sono proprio eritrei.
Ma in genere a partire sono i quindicenni.
Quando Merhani ha lasciato la sua mamma e il suo papà di anni invece ne aveva appena 11.
Solo in mezzo al deserto, con la paura che non lo lasciava dormire, ha costruito la sua nuova famiglia strada facendo: «Ho incontrato altri ragazzi lungo il cammino».
Timido e con difficoltà a comunicare — si esprime in tigrino, una lingua parlata in Eritrea e nel nord dell’Etiopia — ieri ha accennato appena i dettagli del suo lunghissimo viaggio. Prima tappa l’Etiopia raggiunta a piedi attraversando il fiume Tigrai.
Poi il Sudan, attraversando stavolta il Teseke. Oltre il fiume ad attenderlo c’era la tappa più difficile: il cammino nel deserto durato sei mesi.
A giugno Merhani è arrivato in Libia dove ha trascorso 60 giorni in attesa di imbarcarsi.
Il profugo bambino è uno degli oltre quattromila migranti salpati dalle coste libiche a bordo dei sette barconi e dei 16 gommoni soccorsi sabato mattina dalla Guardia costiera.
Sara Scarafia
(da “La Repubblica”)
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