Novembre 28th, 2015 Riccardo Fucile
ALLA KERMESSE DELL’EX SINDACO A ROMA SFILANO MARCHINI, FASSINA, RENZIANI E IMPRENDITORI
Rutelli, il “rianimatore” ce la mette proprio tutta.
Sorride, stringe mani a raffica, pacche sulle spalle, baciamani alle signore. A tratti sembra di stare nella macchina del tempo, negli anni d’oro del sindaco Beautiful.
Attorno a lui, per una intera giornata di convegno, si sono radunati tutti gli amici di un tempo, assessori oggi deputati dem come Marco Causi e Walter Tocci, renziani doc già Rutelli boys come Luciano Nobili e Lorenza Bonaccorsi.
E poi David Sassoli, Paolo Cento, docenti, professionisti, architetti come Michele Molè, terzo settore, Arci, imprenditori come i fratelli Toti, Chicco Testa, Enrico Giovannini, Gianfranco Polillo ora in Ncd, esponenti di Forza Italia, Loredana De Petris con Stefano Fassina, candidato a sindaco per la sinistra.
Che dice: “Qui ci sono tante competenze da ascoltare, vogliamo mettere in connessione i tanti anticorpi che ci sono per ricostruire Roma”.
Si fanno vedere anche gli ex parlamentari rutelliani Riccardo Milana e Lucio D’Ubaldo, l’ex consigliere comunale Athos De Luca e il capogruppo uscente del Pd Fabrizio Panecaldo, che ad un’amica racconta le lacrime dei consiglieri quando il Pd ha imposto le dimissioni in blocco. C’è pure D’Agostino con i suoi due cani. Oltre alla ex first lady Barbara Palombelli in jeans e piumino.
Tutti cercano Francesco, tutti vogliono salutarlo. “Mi viene quasi da dire ‘Ragazzi, dove eravamo rimasti’?”, esordisce Roberto Morassut, capogruppo Ds in quegli anni e poi assessore con Veltroni.
C’è un clima da rimpatriata, però senza grande freddo. Lui ci tiene a ribadire che lo sguardo e tutto “al futuro”, alla “prossima Roma”, come recita il titolo della kermesse.
Una “Francesca” al posto della “Leopolda”, ironizzano i suoi amici, ma Rutelli a sua volta la ribattezza “Lupolda”, visto che “questa è la città della lupa…”.
Ci sono similitudini? “Quella di Firenze era un processo creativo volto all’ascesa politica di Renzi, qui vogliamo solo far ripartire un treno finito su un binario morto”, spiega Rutelli. “Vedremo chi sarà alla guida, certamente io non intendo candidarmi, ma solo dare una mano”. In platea anche giovani, lui ci tiene a dire che “non siamo sempre i soliti”, e manda sul palco un gruppo di ragazzi di Tor Bella Monaca che “dal pianerottolo di casa” hanno messo su un comitato contro il degrado del quartiere.
“Vogliamo svegliare anche gli altri dal torpore in cui anche noi eravamo caduti”, spiegano e parte l’applauso più caldo della giornata.
Perchè in fondo è questo, prima ancora delle pedine da muovere sullo scacchiere elettorale dove Rutelli vuole ritagliarsi il ruolo da kingmaker che fu di Bettini, il senso della giornata: una iniezione potente di antidepressivo, un “antidoto alla sfiducia e alla rassegnazione che ha travolto i romani”.
Non ci sono solo i giovani delle periferie. Accanto a Rutelli si muove instancabile il suo braccio destro Alessandro Rosi, trentenne assessore del V municipio, un nome “di cui si sentirà parlare”.
La Lupolda è un fluire ininterrotto di interventi dal palco, ma la vera kermesse è fuori dove tanta gente si rivede dopo anni. Fuori dove ad ora di pranzo escono i ragazzi del collegio San Giuseppe, prestigiosa scuola dove si sono diplomati prima Ignazio Marino e poi Alfio Marchini. Lui, il candidato su piazza da più tempo, che raccoglie simpatie da destra a sinistra, si materializza intorno alle 15, attesissimo. Ma dal palco non parla e ai cronisti che lo assediano consegna solo poche frasi: “Sono qui per ascoltare. Io lavorai con Rutelli nel ’95, quando era sindaco.
Fu un’esperienza straordinaria e la dimostrazione che la politica può essere anche serietà concretezza e onestà ”.
Poi ribadisce il no all’ipotesi di una sua partecipazione alle primarie del Pd e nega una sua connotazione partitica: “Noi siamo un movimento civico, è tempo che la società civile ossigeni la politica”.
C’è chi sussurra che l’invito a Marchini sia un modo, per Rutelli, di sottrarre l’imprenditore al centrodestra e di riportarlo più vicino all’alveo del Pd.
Ma il centro della giornata è il ritorno di “Francesco” che, in queste settimane di agonia Pd post Marino, impartisce una lezione agli ex compagni su come rimettere in piedi i cocci di un programma per Roma.
“Io sosterrò solo qualcuno che abbia intorno a sè una squadra di almeno 100 persone competenti, Roma non si salva con l’uomo solo al comando. Parlare di candidati ore sarebbe solo un grande inganno”.
Nessun endorsment per Marchini. “Lei corre troppo”, risponde Rutelli a domanda.
Poi, parlando con Huffpost, aggiunge: “Chi vuole candidarsi deve essere già imparato. Non ci possiamo permettere uno che debba fare un anno o due di apprendistato, uno che magari confonde Torre Angela con Castel Sant’Angelo. Ci vuole una persona che conosca Roma anche fi-si-ca-men-te”.
A benedirlo ci pensa la deputata Pd Ileana Argentin, che si dice pentita del sostegno a Marino (“E’ un puro ma fuori dal mondo, non potevamo che cacciarlo noi del Pd”) ed elogia l’ex sindaco: “Si dice che Marchini è bello, ma vi ricordare cos’era Francesco?”. Applausi scroscianti.
La scena se la prende il prefetto Franco Gabrielli, intervistato sul palco da Mario Sechi, brillante e a suo agio. “Non volevo venire per non alimentare rumors, io sono un prefetto e un civil servant, la politica l’ho fatta da ragazzo e non mi interessa”.
Eppure i cronisti lo assediano, e lui a ripetere che mai e mai poi sarà candidato. Dal palco si concede un plateale sorriso quando Sechi gli ricorda che il primo atto del collega prefetto Tronca è stato lo stop ai finti centurioni. “No, non è vero che il primo atto è stato quello”, sorride Gabrielli, che ricorda di aver visitato in lungo e in largo tutta la città . Poi spiega che la questura e anche i vigili urbani sono pesantemente sotto organico e si concede un’altra battuta su Marino parlando del Giubileo: “Saremo pronti, i 31 cantieri chiuderanno a fine gennaio. Non attendiamo più di 10 milioni di pellegrini. Ma essere assillanti col Santo Padre abbiamo visto che non porta bene…”.
C’è chi lo punzecchia per una ipotetica rivalità con Marchini, che lo ascolta dalla prima fila: ”No, guardate, io al massimo potrei fare l’assessore…”, scherza ancora il prefetto, che poi si fa serio e mette il dito nella piaghe della macchina comunale che “deve essere registrata”.
“Senza una legge su Roma non si va da nessuna parte, Roma è diversa dagli altri comuni, i municipi devono avere autonomia di bilancio”.
Alla fine della lunga giornata le presenze registrate arrivano a superare quota 2mila.
Rutelli lo annuncia dal palco, e chiude guardando alle sfide del futuro, dalle Olimpiadi 2024 al Giubileo del 2025. “Da domani partono i nostri sette gruppi di lavoro, a febbraio faremo una nuova assemblea per presentare le proposte, prima che si inizi la campagna elettorale”. Proposte, dalle infrastrutture alla governance fino a turismo e digitalizzazione, che si annunciano come una sorta di ossatura del programma del centrosinistra. Rutelli ne lancia subito un paio: una “settimana civica” in cui “ogni romano dedichi una giornata di volontariato alla nostra città ” e l’idea di un “vicesindaco che si dedichi alla smart city”.
Il prossimo appuntamento della Lupolda dunque è per febbraio.
Per ora Rutelli ha risposto al disperato bisogno di politica che si respira in una città commissariata da due prefetti. Ma è pronto a tornare nel Pd? In fondo ai vertici sono tutti figliocci suoi…”Per ora mi accontento di questo”, sorride l’ex sindaco.
(da “Huffingtinpost”)
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Novembre 28th, 2015 Riccardo Fucile
DA GENNAIO NON E’ PIU’ DIRETTORE DEL QUOTIDIANO DELLA MARGHERITA MA NON E’ RIMASTO SENZA LAVORO…DELRIO GLI GARANTISCE SUBITO UN CONTRATTO DI CONSULENZA
“Europa vive anche senza di noi, trattatela bene”. Così Stefano Menichini un anno fa si
congedava dai lettori del giornale che aveva contribuito a fondare e diretto per oltre dodici anni.
Un doloroso addio, seguito a stretto giro dall’incarico sfumato d’un soffio alla direzione dell’Unità , poi affidata da Matteo Renzi al fedelissimo Erasmo D’Angelis. Per sua fortuna è arrivata una mano dal cielo a invertire la sfiga e l’incipit del triste commiato: vivo anche senza Europa, ma trattatemi bene. Detto, fatto.
La mano è quella del ministro Graziano Del Rio, altro ex Margherita che, tempo due settimane ancora, ha firmato a Menichini un incarico al ministero delle Infrastrutture e Trasporti di “diretta collaborazione” cioè di consulenza, da 120mila euro.
Il contratto è stato stipulato il 14 luglio 2015 con scadenza a fine legislatura.
Da qui al 2018 Menichini riceverà dunque uno stipendio da 40mila euro l’anno, tremila e passa al mese.
Un trattamento certo inferiore allo stipendio da 5mila euro netti al mese che dichiarava di percepire come direttore di un giornale di partito che è sopravvissuto al partito stesso (e alla mancanza di lettori) grazie a 30 milioni di fondi pubblici.
Ma certo migliore di quello riservato agli altri giornalisti di Europa, cassintegrati e messi alla porta dalla Fondazione Eyu del Pd che ha rilevato la testata, ormai prossima alla liquidazione, per tenerla in vita in versione digitale, facendola digitare al Nazareno dagli ex uffici stampa del partito senza lavoro.
Gli estimatori, e tanti ce ne sono, diranno che è una bella notizia.
I suoi detrattori che non lo è affatto. Il punto è che è una notizia, comunque la si pensi, rimasta finora sotto traccia. Dell’incarico in questione, infatti, è stata data ben poca pubblicità .
Tanto che ancora oggi, a distanza di quattro mesi, perfino tra gli addetti ai lavori c’è chi si sorprende: “Davvero? Cadono sempre in piedi!”, maligna qualcuno.
Il nome di Menichini, a ben vedere, non compare nello staff degli uffici di diretta collaborazione del ministro. Per trovarlo bisogna smanettare un bel po’. Si deve consultare il sito alla sezione “trasparenza” e passare in rassegna l’elenco dei 675 consulenti esterni sparsi in 76 pagine.
Se non sai che c’è, non ci arrivi di sicuro. Non si trova, va detto, neppure il relativo decreto di nomina (DM 244/2015).
Il ministero precisa: “non viene richiesta la pubblicazione”. E’ un dettaglio che oltre alla “predisposizione dei Piani della comunicazione” il decreto in questione indichi “attività di supporto all’indirizzo per l’attuazione del principio di trasparenza dell’azione amministrativa, in particolare mediante la realizzazione degli Open Data”.
C’è però una scorciatoia per arrivare dritti al nome di Menichini.
Basta ordinare l’elenco per importo e voillà , salta fuori in un baleno.
E’ il nono della lista, appena dietro Ettore Incalza, il super-dirigente arrestato nell’inchiesta sulle grandi opere e poi rimosso (ma non ancora dall’elenco).
Presto sarà anche il primo: i contratti di chi lo precede, infatti, vanno in scadenza al 31 dicembre mentre il suo proseguirà per altri tre anni.
Proprio così: Menichini, diplomato al liceo classico Socrate di Roma, presto sarà il consulente più costoso di tutto il ministero.
Nulla di cui vergognarsi per il giornalista, che non è nuovo a questo tipo di incarichi. Già Bassanini e Amato hanno fatto ricorso ai suoi consigli, come racconta lo stesso Menichini presentandosi in terza persona: “È passato per qualche anno dall’altra parte della barricata occupandosi di comunicazione istituzionale al Comune di Roma e a palazzo Chigi come consigliere del presidente Amato…”.
A questo giro, però, neppure l’incaricato fa bella mostra dell’incarico. Non sul Post, dove ha una sua rubrica. Meno che mai sui suoi profili “social”, seguitissimi, dove da qualche tempo fanno capolino sparuti cinguettii che rilanciano attività e presenze del ministro: Del Rio che è qui, Del Rio che è la, che fa questo e che fa quello.
Idem per i talk politici della tv, che sempre fanno a gara per ospitarlo: non c’è volta che spenda mezzo minuto per chiarire a che titolo sia lì e parli, se di libero giornalista o di stipendiato dal governo.
Così, giusto per segnalare da che parte della barricata si trova oggi. Bastano anche un tweet o un sottopancia.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 28th, 2015 Riccardo Fucile
MANIFESTAZIONE A ROMA, NON ESCLUSO SCIOPERO GENERALE
«Contratto subito». Questo lo slogan dello striscione d’apertura del corteo partito da piazza della Repubblica a Roma, per la manifestazione nazionale promossa dai sindacati del pubblico impiego di Cgil, Cisl e Uil, da Confsal e Gilda.
Nel complesso hanno protestato le categorie di 600 diverse professioni, dai dipendenti dei ministeri e degli enti locali, al personale della scuola e della sanità .
«Siamo oltre 30 mila», dicono dal palco gli organizzatori.
Nel corteo riecheggiano le parole del ministro Poletti, secondo cui l’ora di lavoro è un parametro superato.
«L’idea» che emerge è quella di un «ministro che non conosce com’è fatto il lavoro», attacca Susanna Camusso e «vuole apparire come Ufo robot, per risolvere tutti i problemi. Ma le condizioni non vanno che peggiorando».
La leader Cgil accusa il governo di non volere il rinnovo dei contratti e non esclude lo sciopero generale: «Decideremo come proseguire la mobilitazione sulla base delle risposte che riceveremo». La conferma arriva dal segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo: «Se non si fa il contratto subito, entro l’anno, la prossima manifestazione non sarà nè di sabato, nè di domenica».
A fianco dei lavoratori ci sono anche i metalmeccanici della Cgil: «Il contratto è un diritto di tutti», afferma il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, che ieri aveva detto di non utilizzare solo l’ora-lavoro come riferimento per i contratti.
«Rivendichiamo il diritto al rinnovo del contratto bloccato da sei anni – afferma il segretario della Fp-Cgil, Rossana Dettori – un blocco ritenuto illegittimo dalla Corte Costituzionale. Vogliamo un contratto sia per la parte normativa sia per la parte salariale: chiediamo un aumento di 150 euro per restituire almeno in parte i soldi persi in sei anni dai lavoratori, in media 4.800 euro. Il governo invece ha stanziato solo 300 milioni, pari a 5 euro al mese: solo una mancia».
Le parole di Poletti, peraltro ribadite in mattinata intervenendo ad un convegno in provincia di Udine («l’ora-lavoro non può essere l’unico parametro» per misurare il rapporto tra lavoratore e opera realizzata «viste le novità che avanzano nel mondo»), non vanno giù nemmeno alla leader della Cisl Anna Maria Furlan: «Il ministro non ha espresso opinioni condivisibili. Che significato hanno le battute? È un tema troppo serio» quello dei contratti, la sua «uscita è stata estemporanea».
Quindi, se il Governo vuole dimostrare attenzione alla contrattazione, «ha qui una bella cartina di tornasole – afferma Furlan -: rinnovi subito i contratti».
Sul piede di guerra anche il numero uno della Uil, Carmelo Barbagallo. «Poletti è entrato a gamba tesa sul rinnovo dei contratti e questo non va bene», sostiene, e avverte: «Se vogliamo discutere seriamente, siamo pronti» ma se «si pensa con slogan giornalistici di attaccare la contrattazione, secondo un neoliberismo selvaggio, allora hanno sbagliato tempo e modo». Critico anche il capo delle tute blu della Cgil Maurizio Landini, che parla di offesa ai lavoratori. Ma c’è anche chi difende le parole del ministro.
Per l’industriale Alberto Bombassei Poletti «l’ha detta male ma dietro una provocazione c’è anche tanta verità , il sistema lavoro andrebbe un po’ rivisto».
«La valutazione oraria c’è e io ho solo detto non consideriamo questa l’unico metro attraverso il quale si può misurare la relazione tra una persona e l’opera. Del resto – ha precisato Poletti nel suo intervento in mattinata – ho parlato a una università , a dei ricercatori. E questo non è un attentato ai diritti, figuriamoci. Salvaguardare le tutele storiche va bene ed è del tutto legittimo – ha detto ancora – ma non può diventare la ragione per la quale non vediamo ciò che cambia».
(da “La Stampa”)
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Novembre 28th, 2015 Riccardo Fucile
PROTESTA A OLTRANZA DEGLI AUTISTI CHE DA QUATTRO MESI NON RICEVONO LO STIPENDIO
Seicentomila romani senza bus. Da sei giorni un quinto del territorio della capitale è
tagliato fuori. Un black out pressochè totale nel trasporto pubblico a una settimana e mezzo dall’inizio dell’Anno Santo e con 35 milioni di pellegrini in arrivo a Roma. L’autorità di garanzia per gli scioperi lancia l’allarme.
È ormai una corsa contro il tempo per scongiurare la paralisi dell’inaugurazione giubilare l’8 dicembre
Intere borgate isolat
A lasciare a piedi le periferie romane è lo sciopero degli autisti della Tpl che non ricevono lo stipendio da mesi e che perciò hanno bloccato la circolazione.
Nel mirino della mobilitazione proprio le borgate e i quartieri dove si trovano decine di case per le vacanze e ostelli religiosi, cioè quelle strutture ricettive che garantiscono ai turisti accoglienza a tariffa economica.
Il blocco dei bus andrà avanti a oltranza, senza nessun preavviso e al di fuori di ogni mediazione sindacale.
Protesta selvaggia, cittadini appiedati. La paralisi nel trasporto che taglia fuori le periferie dalla città eterna sono per il prefetto Franco Gabrielli «l’emergenza delle emergenze».
Il commissario Francesco Paolo Tronca si è impegnato ad agevolare il pagamento dei crediti da parte del comune, mentre il garante per gli scioperi, Roberto Alesse prepara l’estensione della moratoria per il Giubileo anche ai sindacati che non hanno firmato al ministero delle Infrastrutture l’intesa anti-scioperi. La società Tpl gestisce un’ampia parte delle linee di bus periferiche .
Secondo i dati dell’Agenzia per la mobilità della capitale, da sei giorni risultano in circolazione solo 12 collegamenti sui 103.
Oltre 20%della città isolate. I bus restano parcheggiati nei depositi. Al deposito della Maglianella la tensione alle stelle. Ieri sera il comune ha liquidato 12 milioni di euro per il pagamento degli stipendi. Non basta.
Ritardi record e linee ferme
Un anno e mezzo di retribuzioni a singhiozzo dei 1800 autisti ha messo ora fuori gioco quartieri popolosi come Casalotti, Selva Candida, Palmarola, Ottavia, Lucchina, Monte Mario Alta.
Tra la stazione ferroviaria Ottavia e Palmarola quattro km a piedi per studenti e lavoratori. Stessa sorte per le zone servite dal deposito di via Raffaele Costi in zona Nomentana: out snodi nevralgici come Casilina, Tiburtina Prenestina.
«Il commissario Tronca mi ha detto che modulerà il piano bus su due tempistiche: a dicembre la versione provvisoria e a gennaio quella definitiva», getta acqua sul fuoco Gabrielli. Primavalle, Torrevecchia, Val Melaina, Fidene, Serpentara, Casal Boccone, Conca d’Oro, Tufello, Bufalotta.
Si estende la mappa del disagio coi pendolari sul piede di guerra. «E’ una penalizzazione ulteriore per noi che già abitiamo in zone degradate», lamenta Mario Giordani, infermiere in servizio a un’ora e mezzo di tragitto da casa.
«E’ incivile uscire la mattina, aspettare un’ora finchè non passa una vettura e poi non avere la certezza di trovarne un’altra per tornare la sera», aggiunge Mara Lombardi. Accanto a lei una badante moldava si infuria sotto la pensilina affollata di persone in attesa: «Ho pagato 250 euro di abbonamento annuale e da una settimana mi tocca spendere per il taxi tutto quello che guadagno con l’assistenza ad un’anziana perchè se non mi presento, perdo il lavoro».
Nelle borgate la protesta accomuna italiani e stranieri. «Non riesco ad arrivare in fabbrica, ieri ho dovuto chiedere le ferie al titolare dell’azienda- allarga le braccia un operaio egiziano».
Giacomo Galeazzi
(da “La Stampa”)
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Novembre 28th, 2015 Riccardo Fucile
IPOTESI CORRUZIONE IN ATTI GIUDIZIARI, RESPINTA LA RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE
Un fascicolo rimasto fermo per un lustro, una richiesta d’archiviazione bocciata due volte, e il rischio di un’imputazione coatta per corruzione in atti giudiziari rischiano di sbarrare la strada della Consulta a Giovanni Pitruzzella, il costituzionalista palermitano che dal 2011 guida l’Antitrust.
Il docente siciliano è infatti il candidato di Scelta Civica per andare ad occupare una delle poltrone di giudice della Corte costituzionale rimasta libera. Una vecchia indagine della procura di Catania però rischia di compromettere l’elezione del numero uno dell’Autorità garante della concorrenza.
La vicenda, raccontata dal quotidiano Repubblica, nasce da un lodo arbitrale del 2008 tra l’Università Kore di Enna e quella di Catania.
Oggetto del contendere era il pagamento di 25 milioni di euro chiesto dall’università etnea al primo ateneo, somma vantata per aver fornito personale didattico.
Il collegio arbitrale però decise a maggioranza per un risarcimento di appena 100mila euro: a favore votarono Pitruzzella, arbitro nominato dalla Kore, e il presidente del collegio, Giuseppe Di Gesù, mentre contrario era Giuseppe Barone, indicato dall’Università di Catania.
Un esposto anonimo arrivato alla procura etnea, però, sosteneva che la figlia di Di Gesù aveva ottenuto un incarico come docente di Diritto internazionale dall’università di Kore, proprio nello stesso periodo in cui si era aperto il lodo arbitrale. Le indagini appurarono che in effetti la figlia del presidente del collegio insegnava a Enna.
Per qualche motivo, però, il fascicolo che ipotizzava il reato di abuso d’ufficio, sempre contro ignoti, rimase fermo e dimenticato.
Fino a quando il pm Valentina Grosso non aveva chiesto l’archiviazione per intervenuta prescrizione: richiesta bocciata dal presidente della sezione gip di Catania, Nunzio Sarpietro, che aveva ordinato alla procura di indagare per corruzione in atti giudiziari quattro persone.
Si tratta dello stesso Di Gesù, dell’allora presidente della Kore Giuseppe Petralia, dello stesso Pitruzzella, e di Carlo Comandè, avvocato dell’università di Enna nel lodo arbitrale, legale dello storico studio del costituzionalista palermitano, che ha ereditato quando il docente è stato nominato al vertice dell’Antitrust.
L’ipotesi tracciata dal gip è che quindi Di Gesù avrebbe votato come Pitruzzella, e in favore della Kore in cambio dell’assunzione della figlia.
La procura, però, ha nuovamente chiesto l’archiviazione dell’indagine, bocciata per la seconda volta dal gip.
Adesso la data cerchiata in rosso sul calendario è quella del prossimo 4 dicembre, quando il giudice comparirà in udienza camerale: e in quell’occasione potrebbe decidere l’imputazione coatta degli indagati, compreso Pitruzzella.
Che per allora potrebbe essere già stato eletto alla Consulta.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 28th, 2015 Riccardo Fucile
IL NUOVO MOVIMENTO ANNUNCIA AUTONOMIA DAL CENTRODESTRA, DEMOCRAZIA DIRETTA, CONSULTAZIONE DELLA BASE, LISTE CIVICHE E PRIMARIE… NESSUN LEADER (QUELLI VERI RESTANO DIETRO LE QUINTE)
Al teatro Quirino è andato in onda oggi il lancio ufficiale di Azione
Nazionale, nata dalla mozione dei “Quarantenni”, presentata all’ultima assemblea dei soci della Fondazione An.
Inno di Mameli e Marsigliese hanno aperto la manifestazione, poi gli interventi di Mario Ciampi (già segretario generale della Fondazione Farefuturo di Gianfranco Fini) e di Marco Cerreto (portavoce di Prima l’Italia, movimento vicino a Gianni Alemanno) del consiglio direttivo del movimento.
Hanno portato il loro saluto anche esponenti di Forza Italia, la fittiana Cinzia Bonfrisco e l’onnipresente Francesco Storace.
«Abbiamo invitato anche Giorgia Meloni, continuiamo ad essere aperti ad un progetto comune» con Fdi, spiega l’ex sindaco Gianni Alemanno, che assicura come, con Azione Nazionale «presentiamo una nuova classe dirigente, che parte dalla base e dal territorio».
Sui contenuti si sono sentiti discorsi in verità molto diversi, le posizioni della destra italiana sono notoriamente variegate e tali si ha l’impressione rimarranno.
Una novità sembra invece quella metodologica: in Azione nazionale non ci saranno leader (qualche maligno sostiene perchè già ci sono dietro le quinte) ma solo portavoci in carica per tre mesi, ogni circolo territoriale avrà la massima autonomia gestionale, nella aggregazione e presentazione locale delle liste.
Ogni decisione sarà sottoposta al voto degli iscritti via internet, una formula mutuata dai Cinquestelle: sicuramente una novità a destra, questa almeno l’intenzione annunciata, tutta da verificare.
Rispetto alla destra corrente è stata rimarcato finalmente la distinzione tra terrorismo e mondo musulmano, ma è apparsa anche la solita retorica dell’interventismo bellico senza un progetto futuro e la mancanza di analisi profonda del fenomeno, risolvibile per taluni con mere misure “di sicurezza”.
Sicuramente una novità positiva la battaglia contro il Ttip sul “libero commercio” e le «trattative segrete Usa-Ue, in difesa del Made in Italy e dei diritti dei lavoratori»
Come il richiamo di Urzi’ al “senso dello Stato”, priorità della destra, e quello di Santoro che ricorda che “la Lega non rappresenta la nostra destra”.
Per la prima volta si è sentito dichiarare che il Jobs Act è un bidone e non rappresenta la soluzione ai problemi del lavoro, ma è sola la istituzionalizzazione del precariato dopato dai contributi statali (cosa che, da soli, per troppi mesi abbiamo documentato nel nostro blog).
Ne prendiamo atto con piacere.
Al di là di certa retorica patriottica un po’ datata e del solito richiamo al quoziente familiare che tutti citano ma che nessuno ha mai tradotto in legge quando governava, segnaliamo una mancanza un po’ grave in questa prima uscita di Azione nazionale: fare della “Legalità ” un punto fermo e prioritario della battaglia politica.
Nessun accenno alla lotta alla criminalità organizzata, alla mafia, alla corruzione e all’evasione fiscale.
Resta poi il nodo dei rapporti con il centrodestra: il concetto “alleabili ma non malleabili” è uno slogan simpatico ma non chiarisce il percorso futuro.
Una “nuova destra” dovrebbe avere il coraggio di “marciare da sola” e differenziarsi dall’esistente: non può “nascere una destra nuova” per poi riproporsi a fianco di chi l’ha distrutta.
In conclusione abbiamo notato luci e ombre nel neonato movimento, ma abituati come siamo a rilevare solo il buio profondo, politico e culturale, dell’attuale centrodestra italiano, è già qualcosa.
Sperando che non si perda per strada.
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Novembre 28th, 2015 Riccardo Fucile
“IL GOVERNO DEL COTTIMO: E’ LA FINE DEL PRINCIPIO DELL’UGUAGLIANZA NEL LAVORO”
“Quella del ministro Poletti è una provocazione, anche rozza, certo. Uno potrebbe fare spallucce e passare avanti. E invece va presa sul serio perchè è la manifestazione pubblica di un veleno che il corpo del sistema economico mette in circolo. L’obiettivo del veleno è semplice: la fine del principio di uguaglianza nel lavoro. Quello secondo cui a parità di lavoro, c’è parità di salario: è questo che viene aggredito nelle fondamenta. E diventa tutto discrezionale. L’opera chi la quantifica? Chi decide? L’ impresa e il mercato. Non il lavoratore, non più”.
Fausto Bertinotti è anche divertito dall’ultima del ministro Giuliano Poletti. Vale a dire di abolire l’ora come unità di misura della produzione a favore invece dell’opera prodotta dal lavoro, cioè della produzione e della sua qualità .
Ma il gusto della provocazione si smorza subito lasciando il posto ad un’amarissima riflessione da parte dell’ex presidente della Camera, ex segretario di Rifondazione Comunista, nonchè massimo esperto di diritti e lotte per i diritti.
Con le ultime dichiarazioni di Poletti, si può definitamene archiviare Marx e la sua teoria su Valore e Tempo?
Primo: Marx andrebbe lasciato stare. E’ un pensatore critico da maneggiare con cura. Sulla teoria del valore, la teoria economica si è impegnata per oltre 50 anni, da Keynes fino a pensatori italiani come Claudio Napoleoni. Marx è un terreno scottante. Vanno evitati dilettantismi e grossolanità . Quando parla del valore, Marx parla del lavoro astratto che non è astratto in quanto non esistente ma in quanto trasformato e messo al lavoro dall’accumulazione capitalistica. Per qualche nozione il ministro del lavoro farebbe bene a leggere Lucio Colletti. Bisogna distinguere tra le categorie di lavoro astratto e lavoro concreto: solo la prima ha a che fare con la teoria del valore.
Lasciamo stare Marx. Il ministro ha reso queste dichiarazioni, che stanno scatenando le proteste della Cgil e della Uil, ad un convegno alla Luiss dal titolo ‘Dalla scala mobile al jobs act’. E’ il compimento di un ciclo.
Vivo Gallino, potrebbe essere definito ‘Cronache di un rovesciamento del conflitto di classe’. Cioè del fatto che dopo gli anni ’80, dalla scala mobile al jobs act, si è prodotta la grande controriforma del lavoro con l’avvento di un nuovo capitalismo, una crisi della civiltà del lavoro, il progressivo annullamento dell’autonomia e della soggettività del lavoro salariato, da intendersi nelle diverse specie, dall’economia cognitiva fino alle forme di schiavismo imperante in un ventaglio enormemente diversificato. Il tratto comune è la perdita progressiva di potere contrattuale del lavoratore nei confronti dell’impresa e del mercato: c’è stato un grande cammino all’indietro fino a perdere quello che era stato conquistato. E in questo rovesciamento c’è stato il rovesciamento delle parole.
Cioè?
Poletti usa il termine libertà . Dice: saremo più liberi. Lo inviterei alla cautela. Anche perchè qualche riferimento storico fa pensare ad un accostamento tra lavoro e libertà non proprio esaltante…
Addirittura Auschwitz?
Solo un riferimento storico. Ma andiamo avanti. Vorrei ricordare che si è finiti nella precarizzazione del lavoro dicendo che si voleva invece aprire un capitolo in cui, grazie a nuove tecnologie e a un lavoro più fluido, i lavoratori avrebbero potuto trovare le risposte alle proprie esigenze e avere possibilità di scelta. E’ finita in precarietà e i lavoratori sono stati azzerati nel soddisfacimento dei loro bisogni, sono diventati pezzi di ingranaggio. Persino la nuovissima frontiera della libertà che ci arriva dagli Usa, quella di scegliere quando e quante ferie fare, magari alla fine di un programma di lavoro, porta gli studiosi a mettersi le mani nei capelli: si è di fronte ad un accrescimento dello stress da prestazione… I termini di libertà e flessibilità mettono paura nelle mani di chi li usa così, non dico Poletti ma parlo del meccanismo complessivo.
Però qui parliamo di Poletti, ministro del governo Renzi, ex presidente della Lega delle Cooperative.
Il ministro del Lavoro dovrebbe sapere che c’è stato un tempo in cui invece dell’ora, era l’opera a misurare la prestazione. Si chiama ‘cottimo a botta’, cioè tanti pezzi fai, tanto sei pagato. Questa grande scoperta è di fine ‘800, inizi del ‘900, cioè la nascita dell’industria. Io non so davvero che luoghi abbia frequentato il ministro del Lavoro nei decenni dell’ascesa del conflitto operaio e del sindacato negli anni ’70. In tutto quel lungo periodo, la retribuzione oraria non è mai stata legata alle ore di lavoro ma alle caratteristiche delle prestazioni lavorative. E poi esiste la qualifica o la mansione: sei retribuito in rapporto alla qualità della prestazione prevista e anche della quantità . Si chiama produttività o meglio: premio di produttività .
Dunque a cosa puntano le parole di Poletti ?
Con la desertificazione dell’orario si ha una perdita di controllo totale del lavoratore sul proprio lavoro. Il movimento operario, in tutta la sua fase di conquiste rispetto al tempo, ha sempre cercato di sottrarre alla pervasività del tempo di lavoro per restituire al tempo di vita, onorando il sacro, domenica e festivi. Quando questo argine viene demolito non è che sei tu sei libero ma tu invece diventi totalmente dipendente dalle richieste dell’impresa e del mercato: sei immerso nel lavoro quando vogliono loro, sei fuori quando vogliono loro. Questo meccanismo che chiamiamo capitalismo finanziario chiede che si vada fino in fondo nella cancellazione dell’autonomia del lavoratore, non tanto sindacale ma la sua possibilità di far valere la sua scelta individualmente e collettivamente che poi diventano i diritti, che hanno a che fare con la dignità della persona.
Esistono degli anticorpi?
Sì. C’è quello che si chiama ‘residuo’. Vale a dire ciò che resta fuori dall’assunzione del lavoratore nel meccanismo di accumulazione. Il meccanismo totalitario tenta di mettere dentro tutto ma l’uomo comunque disperso emette un residuo. Che va organizzato, certo. Ma prima o poi prende forza. Quella del ministro Poletti è una provocazione, anche rozza, certo. Uno potrebbe fare spallucce e passare avanti. E invece va presa sul serio perchè è la manifestazione pubblica di un veleno che il corpo del sistema economico mette in circolo. Richiederebbe almeno che le soggettività degli anticorpi si manifestassero sul terreno culturale. Obiettivo del veleno è semplice: la fine del principio di uguaglianza nel lavoro. Quello secondo cui a parità di lavoro, c’è parità di salario: è questo che viene aggredito nelle fondamenta. E diventa tutto discrezionale. L’opera chi la quantifica? Chi decide? L’ impresa e il mercato. Non il lavoratore, non più.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 28th, 2015 Riccardo Fucile
PARLA LA MOGLIE DEL DISSIDENTE KAZAKO
Seduta nel grande salone dello studio del suo avvocato romano, Alma Shalabayeva segue
gli sviluppi dell’inchiesta di Perugia e ripete come un mantra la stessa parola: «rapimento».
Per la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, il blitz del 29 maggio 2013 e le 48 ore seguenti che hanno portato alla sua espulsione e a quella di sua figlia, sono stati un «rapimento, operato con coscienza e consapevolezza fin dall’inizio».
Su quali basi lancia accuse così pesanti?
«Perchè fin dalla prima irruzione, ho tentato in tutti i modi di spiegare agli agenti e ai funzionari di Polizia chi fossi, chi fosse mio marito e quale fosse il mio status. Da subito ho fatto presente che Mukhtar Ablyazov era un dissidente e un perseguitato politico dal governo kazako».
Qual è stata la risposta italiana?
«Una chiusura totale. Oggi posso dire di essere stata deportata nonostante avessi un passaporto diplomatico assolutamente autentico e non mi è stata data neanche la possibilità di spiegarmi con un traduttore. In quei giorni ho assistito ad una costante violazione dei diritti umani».
Questo atteggiamento si è ripetuto anche in altre situazioni?
«Si è ripetuto ovunque, sia al Centro per l’immigrazione che nel corso dell’udienza con il giudice di pace. Quando mi trovavo al Cie di Ponte Galeria ho detto a tutte le persone presenti chi ero, che avevo un regolare passaporto e che mio marito era un perseguitato politico. E lo stesso ho fatto con gli uomini dell’ufficio immigrazione, ma nessuno mi ha dato ascolto».
Insieme a lei le autorità italiane hanno espulso anche sua figlia Alua, una bambina di sei anni. Come è andata quella vicenda?
«Il 29 maggio mia figlia era stata affidata alla zia Seraliyeva e nonostante questo la Polizia italiana l’ha condotta con l’inganno all’aeroporto di Ciampino dove siamo state imbarcate insieme. Ho chiesto in tutti i modi di non prendere Alua ma non mi hanno dato ascolto».
Nei giorni precedenti all’irruzione nella villa di Casal Palocco ha avuto sentore che qualcosa stesse per accadere?
«Notai che c’era qualcosa di strano e notai un insolito viavai fuori dalla casa. Ovviamente conoscevo bene la condizione di mio marito, ma non avrei mai immaginato che si sarebbe arrivati a questo».
Di cosa aveva paura?
«Del governo kazako. Era chiaro a tutti che io e mia figlia saremmo state trattate da Astana come due ostaggi. Gli servivamo solo per avere mio marito. E le autorità italiane si sono prestate a questo ricatto».
Dobbiamo guardare ad Astana, quindi, per capire chi sono i mandanti di questa operazione?
«Mi sembra evidente. Tutte le operazioni della vostra Polizia sono state condotte dialogando con i rappresentanti kazaki in Italia. Sono loro i primi organizzatori del mio rapimento e della mia espulsione».
(da “la Repubblica”)
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Novembre 28th, 2015 Riccardo Fucile
SEDI CHIUSE O ACCORPATE, CALO DEGLI ISCRITTI
Nella sezione “Pisanova Berlinguer”, un tempo la più grande di Pisa, si è passati dai 350 iscritti del 2014 ai 30 del 2015.
A Roma la mano pesante del commissario Matteo Orfini, coadiuvato dal lavoro di Fabrizio Barca, ha fatto chiudere 35 circoli su 110 e i restanti li ha accorpati riducendoli in tutto a 15. Sono solo due degli esempi dei militanti Pd in fuga dalle sezioni, dai luoghi di discussione del partito. E’ quanto riporta un articolo di Repubblica.
Calano gli iscritti, si riducono i circoli: ecco come si prosciuga la militanza nel Pd. Quella tradizionale, almeno. Si svuotano storiche sezioni in Toscana. Chiudono i battenti sedi “rosse” dell’Emilia Romagna. E nel 2015 i tesserati resteranno sotto la soglia dell’anno precedente. Semi della disaffezione, certo, ma c’è dell’altro, visto che in alcuni casi è stata la segreteria a tagliare i circoli per razionalizzare i costi e mettere ordine dopo gli scandali. È il Pd che cambia pelle, insomma.
Manca, o inizia a mancare, la presa sul territorio. Quella che aveva da sempre caratterizzato un partito come il Pd. In Emilia Romagna, riporta ancora Repubblica, le sedi sono passate dall’essere più di 700 a 640. Ma è un andamento generale, che non salva alcuna area geografica.
Con la drastica riduzione in corso, però – e a causa di un piano di accorpamento varato dal partito – il quartier generale ha già previsto un calo delle sezioni del 30%, scendendo a quota 4.500 entro il 2016. Ai tempi di Bersani, ricorda Davide Zoggia, erano quasi 7.000.
In Sicilia per esempio, è stata commissariata la segreteria di Enna, dopo gli “anni d’oro” di Vladimiro Crisafulli.
E a Messina il commissario Ernesto Carbone ha deciso di chiudere 57 circoli su 61.
“Il motivo? Molti risultavano inattivi, se non addirittura fantasma”.
In Emilia Romagna l’emorragia di iscritti non si arresta: erano 69 mila nel 2013, 57 mila nel 2014 (-18%) e sono poco più di 40 mila a pochissime settimane dalla chiusura del tesseramento 2015 (-30%).
E come non notare il calo di tessere del 15% secco registrato a Siena per l’anno in corso? Difficilmente la due giorni targata Pd (il 5-6 dicembre) servirà a invertire la tendenza.
“Non si tratta di disaffezione – ha detto il vicesegretario Lorenzo Guerini – siamo noi che stiamo razionalizzando il quadro. Non è solo questione di costi, anzi. Se c’è un circolo con tre iscritti, magari lo facciamo fondere con quello del paese vicino. A me interessa che quei tre militanti possano partecipare, riunirsi e discutere di politica”.
(da “Huffingtonpost”)
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