Aprile 18th, 2016 Riccardo Fucile
IL COSTITUZIONALISTA DI SALVATORE: “CINQUE CONCESSIONI SCADUTE DA TEMPO, PROROGA ILLEGITTIMA”
Le associazioni del Comitato per il sì al referendum sulle trivelle presenteranno un ricorso al
ministero dello Sviluppo Economico per chiedere il blocco immediato di cinque concessioni estrattive entro le 12 miglia.
L’annuncio oggi in conferenza stampa alla Camera.
Secondo Enzo Di Salvatore, costituzionalista ed estensore dei quesiti referendari, “Queste concessioni sono scadute da tempo e la proroga è illegittima. La norma prevede che siano prorogati i titoli vigenti, non quelli scaduti. Il Mise non si è mai pronunciato a riguardo, di conseguenza le aziende petrolifere stanno continuando ad estrarre senza autorizzazione”.
Dopo il fallimento del referendum per il mancato raggiungimento del quorum, la partita dunque non è chiusa.
Oltre al ricorso al Mise, il Comitato per il sì ne ha pronto un altro in sede europea per la violazione, da parte dell’Italia, delle norme che disciplinano l’estrazione degli idrocarburi (direttiva 94/22/CE).
Di Salvatore ha reso noto, infatti, che l’europarlamentare Barbara Spinelli (gruppo Gue/Ngl) ha presentato un’interrogazione alla Commissione europea chiedendo se non ritenga di aprire una procedura di infrazione per violazione delle regole sulla concorrenza in merito alla estensione delle concessioni.
Nel corso dell’incontro con i giornalisti, il Comitato ha spiegato le sue ragioni.
Grazie al referendum sulle trivelle “ci sono state modifiche alla normativa proposte dal governo e approvate dal Parlamento. Questa non è demagogia. Petroceltic e Shell hanno rinunciato. I permessi di ricerca sono stati bloccati. Se questo è avvenuto penso sia una vittoria”, ha aggiunto il presidente del Consiglio regionale lucano Piero Lacorazza.
Mentre per Francesco Borrelli, delegato della Regione Campania, è comunque un successo aver riportato al centro del dibattito le tematiche energetiche: “Non si è raggiunto il quorum – ha spiegato – ma comunque è stato tracciato il solco che porterà l’Italia sempre più verso le rinnovabili e sempre più lontano dal petrolio. Da questa vicenda nascerà un dialogo più forte con il governo”.
“Se c’è uno sconfitto oggi in Italia è la democrazia – ha detto ancora Enzo Di Salvatore -. Non possiamo gioire se due terzi degli italiani non sono andati a votare. Tuttavia siamo riusciti a fare diventare ‘nazionalpopolare’ un tema di politica energetica nazionale. Prima se ne discuteva solo nelle aule universitarie. Il percorso referendario è stato un successo. Senza il referendum avremmo ancora la politica energetica del governo Monti del 2013, recepita dallo Sblocca Italia, avremmo 27 procedimenti per concessioni entro le 12 miglia, ci sarebbe il pozzo di Ombrina Mare davanti all’Abruzzo. Invece Shell e Petroceltic sono andate via”.
Matteo Renzi dovrà comunque “tenere conto” dei “13 milioni di sì”, secondo Loredana De Petris: “Dobbiamo ringraziare quei milioni di cittadini che sono andati a votare e assicurargli che il loro impegno non è stato, non è e non sarà inutile – ha affermato la senatrice di Sel – Il fatto che oltre 15 milioni di persone si siano recate alle urne, nonostante una campagna di sabotaggio e disinformazione senza precedenti, è un risultato molto importante. Di questi, ben 13 milioni sono stati i ‘si’, ed è molto significativo che proprio in Basilicata, dove i cittadini conoscono bene la problematiche ambientali legate alle trivellazioni in mare, si sia raggiunto il quorum”.
Di una “vittoria di Pirro” per Renzi ha parlato anche Renato Brunetta, capogruppo alla Camera di Forza Italia, con un occhio al referendum costituzionale del prossimo autunno: “Guardando al 2006, coloro che avevano detto ‘no’ alla riforma costituzionale di Berlusconi erano 20mila in meno dei quasi 16 milioni andati alle urne ieri, e quindi – osserva – se si riuscisse a portare al referendum confermativo di ottobre tutti quelli che hanno votato al referendum sulle trivelle, o ‘sì’ o ‘no’, vincerebbe il ‘no’ alla ‘schiforma’ Renzi-Boschi, il ‘no’ vincerebbe per 60 a 40, come successe 10 anni fa”.
“Renzi dovrebbe vergognarsi per avere incitato gli italiani ad astenersi da un referendum, questo è il ruolo che, secondo i nostri politici o politicanti, devono avere i cittadini”, ha commentato la candidata sindaco a Roma del M5S Virginia Raggi, uscendo dalla Casaleggio Associati a Milano.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 18th, 2016 Riccardo Fucile
SI ROMPE LA CONDOTTA DELLA IPLOM, NESSUN BLOCCO AUTOMATICO E IL PETROLIO ARRIVA AL MARE
“Petrolio nel fiume, petrolio nel fiume”.
Erano le 20 di oeri sera quando nella sala operativa dei vigili del fuoco di Genova è scattato l’allarme.
L’acqua del rio Fegino in pochi minuti si è colorata di nero. L’odore acre in pochi istanti si è diffuso tra le case, mentre il greggio ha cominciato a correre veloce verso il mare.
Difficile, in piena notte, nel buio, valutare l’entità della perdita e dell’inquinamento. Impossibile capire quanto petrolio sia arrivato fino in mare.
A cedere è stato un tubo dell’oleodotto della raffineria Iplom che si trova a poca distanza dal Fegino.
Gli abitanti di Borzoli hanno sentito un boato, poi hanno visto l’acqua del torrente diventare scura. L’allarme è stato dato subito, i vigili del fuoco sono intervenuti immediatamente per tamponare la perdita.
Ma a Genova sabato 16 aprile ha piovuto tanto, i rivi — sempre loro, quelli che si gonfiano in pochi minuti quando ci sono le alluvioni — erano pieni d’acqua.
Così il petrolio era già arrivato al torrente Polcevera (nel Ponente cittadino).
Subito i vigili del fuoco hanno impegnato tutte le squadre in servizio. Con loro anche vigili urbani, carabinieri, polizia. Sono state sistemate barriere per bloccare la macchia scura.
Il torrente è diventato bianco per la schiuma gettata nell’acqua nel tentativo di evitare che la sostanza infiammabile prendesse fuoco, mentre correva tra le case.
Dalle finestre dei palazzi affacciati sul torrente decine di persone assistevano alle operazioni.
“Basta”, urlava qualcuno, perchè questo non è il primo incidente.
A mezzanotte tutte le squadre erano al lavoro. La centrale operativa era ancora in emergenza. Le panne sistemate lungo il fiume stanno trattenendo una parte del greggio.
Ma le barriere dei vigili del fuoco, tentativo disperato di arginare la marea nera che ormai è arrivata in mare, non hanno funzionato.
Ci si chiede come mai non siano scattati gli automatismi che avrebbero dovuto immediatamente bloccare il flusso del petrolio.
(da agenzie)
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Aprile 18th, 2016 Riccardo Fucile
DOPO I PETROLIERI, ALTRA MARCHETTA DI RENZI A FAVORE DEI POTERI FORTI CHE LO SOSTENGONO…BENETTON, UNA PROROGA DA 30 MILIARDI
Se 40 anni vi sembran pochi per dare in concessione ai privati le autostrade, eccovi accontentati: il
governo italiano e Autostrade per l’Italia (Aspi) dei Benetton stanno brigando in sintonia per sfondare quel tetto con una proroga.
Non più il 2038 come era stato generosamente concesso alla fine del secolo scorso quando furono privatizzate l’Autostrada del Sole e le altre che appartenevano all’Iri, ma il 2045.
Sette anni in più, 47 in totale, quasi mezzo secolo.
Di questo passo solo i giovanissimi avranno forse la soddisfazione di assistere all’evento di autostrade date in gestione con una gara, sempre ammesso che allora non ci sia in giro un qualche governo Renzi nuovo modello, benevolo, come l’attuale, con i signori delle autostrade.
La manovra di allungamento è in pieno svolgimento e nei piani del governo e dell’amministratore di Aspi, Giovanni Castellucci, dovrebbe consentire ai Benetton di vendere Autostrade per l’Italia arricchite dalla dote di una prolunga della concessione.
Per Aspi che gestisce 2.800 chilometri di autostrade, metà della rete nazionale, l’allungamento vale potenzialmente una trentina di miliardi di euro, cioè il ricavo annuale ai caselli (nel 2015 circa 4 miliardi e mezzo di euro) moltiplicato per il numero di anni previsti (7).
Nel solco che Autostrade per l’Italia sta aprendo si stanno infilando altre due concessionarie: il gruppo Toto che gestisce l’Autostrada dei Parchi (280 chilometri tra Roma e l’Abruzzo) e il gruppo Gavio che controlla alcune autostrade soprattutto nel Nordovest.
Insomma, bocciato dall’Unione Europea il tentativo di allungare le concessioni con l’articolo 5 del renziano Sblocca Italia di 2 anni fa, il governo ripropone per altre vie il regalo ai signori delle autostrade.
Il ministro dei Trasporti Graziano Delrio ha prima usato come un cavallo di Troia il Sieg (Servizio economico di interesse generale) voluto dai tedeschi per il porto di Amburgo, per allungare di 30 anni le concessioni autostradali in mani pubbliche (la A22 Brennero-Modena e le Autovie Venete).
Ora il nuovo slogan è “Fare come i francesi” che stanno trattando per le loro autostrade allungamenti delle concessioni di 7 anni in cambio di investimenti, con la commissaria Ue alla Concorrenza, Margrete Vestager.
Anche i tre concessionari italiani promettono investimenti, pure se in misura e per motivi diversi. Gavio è alle prese con la Asti-Cuneo, autostrada con volumi di traffico modesti, ma fortemente richiesta dagli industriali piemontesi che Gavio è ben felice di accontentare in cambio di un allungamento della concessione per tutte le sue autostrade dal 2017 al 2024.
Toto, invece, si fa forte di una legge, la 288 del 2012 che impone il rifacimento parziale dell’Autostrada dei Parchi (gallerie, raggi di curvatura etc..), ritenuta un’arteria strategica per la protezione civile dopo il terremoto dell’Aquila.
Anche Toto in cambio della promessa di 5 miliardi di euro di investimenti rivendica il prolungamento della sua concessione dal 2038 al 2045.
Sarebbero però soprattutto i Benetton a fare il colpo grosso con l’allungamento alla francese.
Gli investimenti che Aspi promette sono quelli per la cosiddetta Gronda di Genova, 3,2 miliardi di euro.
La Gronda è tra le grandi opere inserite nel Piano economico finanziario di Aspi e in un primo tempo pensavano di finanziarla con una specie di tassa nazionale autostradale, cioè aumenti ai caselli dell’1,875 per cento l’anno per 8 anni in aggiunta agli aumenti annuali «normali» concessi ad Autostrade per l’Italia.
Poi devono essersi resi conto che si trattava di un percorso minato e ora salutano come manna dal cielo il provvidenziale ingresso francese nella partita autostradale.
Nel frattempo, però, Aspi non costruirà più il Passante di Bologna, grande opera autostradale che avrebbe comportato un investimento di 1,3 miliardi di euro.
I lavori riguarderanno solo l’ampliamento della Tangenziale e del tratto urbano della A14 e costeranno molto, ma molto meno del Passante.
Nessuno ha pensato però che tra Gronda genovese e Passante bolognese potesse esserci una compensazione.
Governo e Benetton preferiscono marciare uniti per la proroga della concessione.
Daniele Martini
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 18th, 2016 Riccardo Fucile
LA PROCURA SEQUESTRA L’IMPIANTO DELLA IPLOM… FALLA NELLE TUBAZIONI, IL GREGGIO FINISCE NEL POLCEVERA
Continuano a lavorare senza sosta i vigili del fuoco impegnati da ieri sera a fermare una fiumana di petrolio che si è riversato nel Polcevera a causa della rottura di una grossa tubatura Iplom.
Intanto via Borzoli questa mattina è stata riaperta. Chiuso l’istituto scolastico di via Fratelli Coronata a Borzoli.
Alle 21.20 di ieri sera è ormai chiaro che le barriere dei vigili del fuoco, sono un tentativo disperato di arginare la marea nera che ormai scende verso il mare: «È un disastro», dice il caposquadra sconsolato.
Dal greto del Polcevera risale in cima al ponte e dà ordine di mettere in azione la ruspa: se non si può più impedire al petrolio di finire in mare, si può tentare di creare una barriera che blocchi almeno una parte del greggio.
Gli effetti del gigantesco sversamento causato dalla rottura di una tubazione dell’oleodotto della Iplom, a Fegino, sono appena cominciati.
La puzza si sente nell’aria per chilometri. L’aria è irrespirabile. E per tamponare la situazione, i pompieri riversano per oltre sei ore una schiuma speciale, per diluire la massa liquida e attenuare il rischio incendi.
Il tubo che si è rotto è quello di un oleodotto della Iplom , che collega il porto petroli con i depositi ancora attivi della raffineria.
Dai primi risvolti investigativi, nella serata di ieri, pare che il danno sia accidentale e non frutto di un sabotaggio.
L’impianto del deposito costiero di Fegino è stato sequestrato da l pm Alberto Landolfi, che ha effettuato un sopralluogo sul posto nella notte.
C’è da capire come mai la perdita non sia stata subito individuata e non si sia provveduto a chiudere immediatamente il flusso. Secondo alcune fonti l’intervento sarebbe stato reso complicato dalla pressione delle tubazioni.
La Procura ha aperto un’indagine per inquinamento e sversamento non controllato. L’azienda rischia di dover pagare gli ingenti costi di risanamento ambientale che inevitabilmente ci saranno, da oggi, una volta terminata la fase di emergenza.
La Valpolcevera e i suoi abitanti, ancora una volta, si trovano a subire l’ennesimo dissesto ambientale, legato agli effetti delle sue industrie e delle servitù.
L’intervento di cinque squadre dei vigili del fuoco, coordinati dal comandante provinciale Antonio La Malfa e dei vigili del nucleo protezione ambientale si dimostra da subito complicato. La fuoriuscita è gigantesca.
(da “il Secolo XIX“)
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