Dicembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
RENZI CONFERMA L’ADDIO MA SU INVITO DI MATTARELLA LO RIMANDA A DOPO L’APPROVAZIONE DELLA LEGGE DI BILANCIO
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha chiesto a Matteo Renzi di “soprassedere alle
dimissioni per presentarle” dopo l’approvazione della legge di Bilancio.
Matteo Renzi ha dunque confermato l’addio in consiglio dei ministri, ma le sue dimissioni arriveranno solo dopo l’approvazione della manovra di Stabilità .
“Lo faccio per senso di responsabilità – ha fatto sapere il premier – e per evitare l’esercizio provvisorio”.
Sono stati momenti frenetici, per il presidente del Consiglio.
Nel tardo pomeriggio ha presieduto il cdm, durato soli 20 minuti, poi s’è recato al Quirinale dove ha incontrato per mezz’ora il presidente della Repubblica.
Quindi ha lasciato la presidenza della Repubblica da una uscita laterale per fare rientro a Palazzo Chigi.
Il presidente Mattarella già stamane aveva sottolineato: “Vi sono di fronte a noi impegni e scadenze di cui le istituzioni dovranno assicurare in ogni caso il rispetto, garantendo risposte all’altezza dei problemi del momento”.
(da agenzie)
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Dicembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
L’ANALISI DELL’ISTITUTO CATTANEO: “PIU’ CHE UN VOTO POLITICO SU RENZI, E’ STATO UN VOTO SOCIALE DI CHI NON SI SENTE RAPPRESENTATO”
Il No degli esclusi, di chi non si sente rappresentato, il No anti-establishment.
Prima che un voto “tecnico” sulla riforma costituzionale o “politico” sul governo Renzi, è stato un voto “sociale”.
“La rabbia” che cova in alcuni strati della società e che esplode appena si apre uno spazio utile allo sfogo. In questo caso, in modo dirompente vista l’affluenza e l’ampiezza del divario tra Sì e No.
A meno di 24 ore dal voto, dati alla mano, si possono fare le prime valutazioni sul risultato del referendum costituzionale. Ma soprattutto sui suoi molteplici significati.
“È il No di chi non si sente rappresentato e che sale sul primo tram che passa ed esplode nella rabbia del voto”, afferma Marco Valbruzzi, ricercatore dell’Istituto Cattaneo, all’HuffPost.
“Si tratta di un classico voto anti-establishment. In questo caso, che si votasse su una questione tecnica come le modifiche della Carta costituzionale, ha interessato poco. Il presidente del Consiglio ha contribuito a dare al voto significati politici. E gli elettori hanno rincarato la dose traducendolo in una punizione di questa classe politica e sociale”.
La classe politica che ha governato in questi anni e che non ha saputo ridurre le distanze con gli elettori, tagliandoli fuori.
“Una punizione che è arrivata a compimento”, dice Valbruzzi. Perchè il premier Matteo Renzi non ha esitato molto prima di presentarsi in conferenza stampa a Palazzo Chigi per rassegnare le sue dimissioni.
Tuttavia, a parte i risvolti politici del voto, ce ne sono altri che vanno analizzati, come i comportamenti degli elettori sulla base dell’età e della provenienza geografica, oppure di una nuova forma di “ideologia”.
“La forza di mobilitazione del Movimento 5 Stelle si è confermata anche al referendum costituzionale, al Sud in particolare. Il caso di Palermo è emblematico: il 98% dell’elettorato grillino del 2013 è tornato a votare domenica e ha votato No”.
Un dato che assume una rilevanza maggiore se si considera che a Palermo il Movimento 5 Stelle sta facendo i conti con lo scandalo più recente, quello delle firme false.
Le polemiche degli ultimi giorni, sulle quali il premier ha investito molto durante la campagna referendaria, non hanno di fatto condizionato il comportamento dell’elettore grillino.
Come si spiega? “In questo caso siamo di fronte a un voto fortemente ‘ideologico’, un’ideologia a bassa intensità diversamente da quella ‘classica’ comunista: persone che votano il Movimento 5 Stelle al di là di tutto quello che accade intorno al Movimento 5 Stelle, perchè ormai entrate a far parte di quella realtà più o meno virtuale. La riconferma di una scelta d’appartenenza a un mondo, in sintesi”.
Ci sono poi quei fattori strettamente legati alla disoccupazione e all’età .
“Questo lo vediamo un po’ ovunque ma soprattutto al Sud e in aree come la parte meridionale della Sardegna e quella orientale della Sicilia. Qui il disagio è più sentito, in particolare quello giovanile visto che la disoccupazione tra i ragazzi i è schizzata al 45-50%. Mischiata con la capacità di un’offerta politica disponibile in loco come quella dei grillini, ne è nata una miscela esplosiva”.
L’aspetto sociale sovrasta tutti gli altri.
“Il referendum costituzionale è diventato un referendum sociale, e lo vediamo a Napoli come a Bologna”, prosegue Valbruzzi. “Gli elettori che avevano voglia di sfogare la loro rabbia hanno utilizzato il voto per mandare un messaggio di disagio sociale. Il mix gioventù-disoccupazione ha dato una forte spinta per la vittoria del No. Nel Nord il dato anagrafico è meno eclatante e più equilibrato”.
Per quanto riguarda invece gli elettori over 55, nelle regioni centrosettentrionali, in particolare nella fascia appenninica, Toscana, Emilia e in parte Umbria tendono a dare un sostegno al Sì.
“Lì è dove c’è l’elettorato tradizionale del principale partito di sinistra e resiste ancora uno zoccolo duro che segue le indicazioni della segreteria”.
Ma, ed è un altro dato allarmante con cui Renzi e il Pd dovranno fare i conti, “si sta riducendo. Il motivo è il fenomeno di socializzazione politica avvenuta nelle passate generazioni e che tende a riprodursi: un voto per abitudine legato a quel mondo di sinistra, anche se non esiste più. Anche per questo sta andando erodendosi nel corso del tempo: la zona rossa si è ristretta parecchio in questo referendum: lo vediamo nell’entroterra toscano. E lo vediamo anche in Emilia Romagna: nelle città più vicine alla Lombardia ha finito per prevalere il No, vedi Piacenza, Parma e Ferrara. E’ l’inizio di una fase di erosione”.
Analisi politica.
L’Istituto Cattaneo ha pubblicato diverse analisi sul voto referendario. E, guardando i flussi elettorali, emerge un dato su tutti: la strategia del premier Matteo Renzi ha fallito su tutti i fronti, sia su quello interno alla sinistra, sia su quello esterno, ovvero nella ricerca di consensi tra gli elettori del Movimento 5 Stelle e di Forza Italia.
Molti elettori del Partito democratico alle politiche del 2013 hanno votato contro la riforma costituzionale, è la conclusione di un primo studio del Cattaneo di Bologna. Nel Pd c’è una “componente minoritaria ma significativa di elettori dissenzienti rispetto alla linea ufficiale della segreteria”, che va da un minimo del 20,3% di Firenze (su 100 elettori del 2013 hanno votato no 20,3) e del 22,8% di Bologna, al 33% di Torino, fino a punte del 41,6% di Napoli e di 45,9% di Cagliari.
Quasi nessuno degli elettori del Pd nel 2013 si è rifugiato nell’astensione.
Quanto al Movimento 5 Stelle, abbiamo già analizzato il comportamento in linea degli elettori con le indicazioni dei vertici (in sei città su dieci le percentuali sono superiori al 90% di voti per il No). Forza Italia perde invece una quota abbastanza significativa verso l’astensione.
E solo in parte la riforma ha convinto gli elettori che hanno votato per Silvio Berlusconi nel 2013, inducendo a votare Sì solo una quota comunque significativa.
Se l’obiettivo di Renzi era sottrarre i voti determinanti a Fi e M5S per vincere non ci è riuscito.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
D’ALEMA SPINGE PER PADOAN, RENZIANO PER GENTILONI, MODERATI PER GRASSO…. GLI ULTRAS RENZIANI: “FARE FUORI DALLE LISTE LA SINISTRA DEL PARTITO”
Il sisma elettorale fa franare ogni certezza nella war room del premier. Rabbia, amarezza, la ferita
brucia.
Il capogruppo Ettore Rosato, il mastino del renzismo, nel corso di un breve colloquio con la Boldrini schiumava odio: “Non ci importa nulla di Bersani e compagnia, qua si va a votare e basta”.
Elezioni, elezioni presto, anche a febbraio.
Il partito dei falchi chiede le urne: “Matteo – è il ragionamento – hai il 40 per cento, quello è tuo, facciamo un governo di tre mesi, aspettiamo la consulta, votiamo, facendoli fuori dalle liste. Non si è mai visto un pezzo di partito fare campagna contro il segretario-premier.”
E non è un caso che la direzione del Pd, annunciata a caldo da Guerini per domani, potrebbe slittare.
Al momento la tesi prevalente è che possa svolgersi mercoledì 7 dicembre.
C’è il cuore pulsante del renzismo che spinge per una linea dura.
Luca Lotti e Maria Elena Boschi, i fautori dell’ordalia finale: Pd come partito di Renzi, fuori la sinistra dalle liste e voto anticipato. Una legge elettorale verrà fuori, magari dalle indicazioni della Consulta.
E comunque “quel 40 per cento” è buono per tornare a palazzo Chigi.
Rulli di tamburi. Per impedire che parta il manovrone.
Nel Palazzo a ogni nome di possibile inquilino è legato un progetto di governo, con una durata della legislatura e una ricaduta sul Pd.
Un Pd di rango racconta: “I più vicini a Renzi hanno paura dell’effetto palude, cioè che se Renzi sbaglia a indicare un nome si arriva al 2018 e nel frattempo il governo diventa il terreno su cui si gioca il cambio dei rapporti di forza nel Pd. Per esempio un governo Franceschini…”.
Ecco, è per questo che, suggeriscono “il Lotti” e la “Meb” (Maria Elena Boschi, ndr), occorre andare sul sicuro. E indicare uno tipo Paolo Gentiloni, in uno schema da arrocco di Palazzo ma con la certezza che, quando il Capo deciderà di staccare la spina, troverà un presidente pronto a dimettersi.
Garanzie che altri non potrebbero dare: “Anche perchè — prosegue la fonte — questi gruppi parlamentari non danno garanzie. Se nasce un governo con Franceschini e Orlando dentro, quelli fanno asse con la sinistra e addio”.
Gentiloni a Chigi assicurerebbe la permanenza nella stanze dei bottoni a palazzo Chigi di più di un fedelissimo, dello stesso Lotti.
È uno schema però che, fuori delle war room, non convince la parte più dialogante del renzismo.
Il mite Graziano Delrio, ad esempio, è molto preoccupato perchè ha raccolto lo scontento di parecchi altri ministri per come il premier ha condotto questa campagna elettorale, ma anche per come ha parlato a caldo.
Il problema, per lui, non sono tanto le elezioni anticipate che vanno anche bene, ma come ci si arriva, se allargando il campo o stringendolo, continuando nello schema “uno contro tutti” che dopo la sconfitta porta inevitabilmente a un isolamento populista del leader.
Nelle intenzioni del ministro delle Infrastrutture occorrerebbe lavorare su un’ipotesi Grasso: il presidente del Senato è figura di alto profilo, consentirebbe di rasserenare il clima nel Pd anche in vista di un congresso le cui modalità e i cui tempi assomigliano a un’incognita.
Proprio il congresso è la chiave che orienta le mosse della minoranza.
E c’è un motivo se Roberto Speranza, a metà mattinata, dichiara: “I gruppi parlamentari del Partito democratico siano il perno della stabilità del paese. Pieno sostegno al percorso istituzionale che indicherà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella”.
Al momento, la parola d’ordine della sinistra è “stabilità ”, come unica garanzia per un congresso ordinato.
Nelle prime chiacchiere del dopo voto Massimo D’Alema è sembrato più propenso all’ipotesi Padoan, mentre Speranza vuole capire innanzitutto le reali intenzioni di Renzi sul congresso. Che, al momento, non si capiscono.
Perchè i “falchi” teorizzano che ormai il Pd è un ferro vecchio. Nelle urne è nato il Pdr, il partito di Renzi, anche se ha perso.
Quel 40 per cento è il congresso che si è svolto.
Gli altri sono nemici da far fuori dalle liste al più presto.
(da “Huffingtonpost“)
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Dicembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
UN DOPPIO ITALICUM PERMETTEREBBE A UN PARTITO DEL 30% DI ARRIVARE AL 51% CON IL PREMIO DI MAGGIORANZA IN ENTRAMBI I RAMI DEL PARLAMENTO… SE LO DICEVA RENZI ERA UN DITTATORE, SE LO DICONO LORO NO
Una versione corretta dell’Italicum che possa essere applicata anche per il Senato.
E’ la bozza alla quale stanno lavorando i 5 Stelle all’indomani della vittoria del No al referendum costituzionale.
La spiegano sul blog di Beppe Grillo il deputato M5S Danilo Toninelli e il senatore Vito Crimi: “Con il voto referendario gli italiani hanno espresso un chiaro segnale politico: la volontà di andare il prima possibile al voto. L’unico problema è la legge elettorale, che i partiti per tre anni hanno usato come merce di scambio delle loro trattative alle spalle dei cittadini. Ora ci troviamo con due leggi elettorali tra Camera e Senato molto diverse
Alla Camera è l’Italicum. La nostra soluzione è applicare la stessa legge al Senato su base regionale. È sufficiente aggiungere alcune righe di testo alla legge attuale per farlo e portarla in Parlamento per l’approvazione. Stiamo lavorando alla bozza che presenteremo in questi giorni”.
“La legge – spiegano i due parlamentari 5 Stelle – recepirà in automatico le indicazioni della Consulta che si pronuncerà a breve. Dopo di che avremo una legge elettorale costituzionale pronta all’uso evitando mesi di discussioni e mercato delle vacche dei partiti. La nostra soluzione e l’azione di controllo della Consulta garantiscono l’approvazione di una legge costituzionale e al di sopra delle parti”
In pratica, dopo aver proposto a suo tempo un sistema proporzionale con piccolo premio di maggioranza, e soprattutto dopo aver fatto una campagna per il No per evitare “un regime autoritario”, ora la soluzione sarebbe, per loro convenienza di bottega, rimarngiarsi tutto.
Un doppio Italicum permetterebbe in pratica a un partito che prende il 30% di avere un premio di maggioranza che lo porterebbe ad avere il 51% di senatori: meno male che erano contro “la concentrazione del potere in mano a pochi”.
Se i pochi sono loro, allora vanno bene anche le leggi truffa.
(da agenzie)
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Dicembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
LA PREVALENZA NETTA DEL NO E’ STATA DA ROMA IN GIU’, A MILANO CITTA’ HA VINTO IL SI’… DETERMINANTE IL 70-80% DEL VOTO DEI GIOVANI CHE NON VEDONO PROSPETTIVE DI LAVORO
Salvini esulta, ma il No ha trionfato dove la Lega non esiste. 
E ha vinto di brutto grazie ai voti del Pd: un elettore Pd su 4 ha votato No, mentre un elettore di Forza Italia su 4 votava Sì
Il voto di elettori del Pd per il No ha portato un 7-8% dal fronte del No a quello del Si.
Ponendo un argine al contributo al Si degli elettori di Forza Italia (3%), Lega (2%), M5S (4%) che non hanno rispettato le consegne di partito.
Il Sì ha vinto nei cento Comuni con meno disoccupati e perso nei cento comuni con più disoccupati.
Il No ha stravinto (81 per cento di No) tra i giovani che hanno un tasso di disoccupazione doppio di quello dei loro coetanei in Europa e infatti è lì che cercano lavoro, mentre qui ci si preoccupava di come trattenere al lavoro i vecchi posticipandogli pensione.
Possiamo continuare a far finta che il problema non sia aver smesso di stare con i poveri, i precari, i disoccupati, smesso di investire in stato sociale invece che nelle imprese, di difendere i diritti dei lavoratori invece che cancellare l’articolo 18 e consentire lo sfruttamento del lavoro precario con i voucher.
Il prodotto finale per la sinistra è stato un voto “contro” il governo che avrebbe dovuto rappresentarli.
(da agenzie)
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Dicembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
IL MOVIMENTO CONTRO LA KASTA HA SALVATO IL CNEL E TUTTI SONO INVITATI A FESTEGGIARE PER IL MANTENIMENTO, TANTO PAGA LO STATO ITALIANO
Non è ancora ben chiaro chi abbia vinto al referendum di ieri.
Verso le undici un euforico Brunetta annunciava che avevano vinto “la Sinistra, il MoVimento 5 Stelle, la Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia”.
Ma in realtà l’unico ad aver vinto è stato il CNEL, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, un ente del quale nessuno aveva mai sentito parlare e che nessuno sapeva di cosa si occupasse.
Perchè se c’è qualcuno che oggi festeggia non sono i deputati del MoVimento 5 Stelle ma i dipendenti e i nuovi estimatori del CNEL.
Nella riforma costituzionale infatti era prevista la soppressione del CNEL, che ha 64 consiglieri, costa venti milioni all’anno e che da quando è stato istituito (nel 1959) ha avanzato appena 14 proposte di legge (che il Parlamento ha ignorato).
Insomma un organo consultivo che effettivamente non sembra essere molto utile al Paese.
Ciononostante è successo che ieri gli elettori hanno votato per salvare il CNEL. Certo, in realtà nessuno di quelli che hanno votato No probabilmente ieri aveva in mente il CNEL quando è entrato in cabina elettorale, le priorità erano altre, in ordine sparso: evitare la deriva autoritaria, mandare a casa Renzi, difendere la Costituzione approvata con suffragio universale nel 1948, mandare Renzi a casa, consentire l’elezione di un premier eletto dal popolo e così via.
Dall’altra parte della barricata il CNEL invece è stato raccontato come uno dei simboli della casta, e va da sè che dal momento che la casta ha vinto anche se a votare No erano quelli “contro la casta” (che è uno dei momenti di confusione più alta ingenerato da questo referendum) al CNEL si festeggi.
Così come in seguito al referendum “sulle trivelle” fu organizzato il Petrolio Party per festeggiare la sconfitta del comitato promotore e degli ambientalisti del No da qualche giorno su Facebook è stato organizzato l’evento Rave Party al CNEL: “domani si festeggia e dopodomani ripartono le assunzioni”, recita la descrizione dell’evento.
E ovviamente c’è chi si diverte a immaginare il fantastico mondo dei dipendenti del CNEL, con le loro lussuose scrivanie in mogano, la servitù, i benefit e l’ampio parcheggio.
Chi non vorrebbe lavorare al CNEL? Ci vorrebbe un Jobs Act apposito.
Anche Lercio ha fatto dell’ironia sul fatto che Renzi abbia dovuto concedere la sconfitta al Presidente del CNEL durante una sofferta telefonata notturna.
Ora che gli italiani hanno salvato il CNEL non potranno certo dire che l’Italia non è una Repubblica fondata sul lavoro.
E in fondo anche Renzi dovrebbe essere contento: ha evitato la perdita di altri posti di lavoro.
(da “NextQuotidiano“)
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Dicembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
LIBERALI NON PERVENUTI, PERSI NEL MONDO DEI SOGNI
Quando l’ha fatto in diretta, me lo sono perso. L’ho ascoltato poco fa recuperandolo in rete… 
In tutta onestà , il discorso di Renzi sull’esito del referendum è stato – oggettivamente – davvero molto bello…
Di “peso”, istituzionale, dignitoso, accorato e, quando ha ringraziato la moglie ed i figli, anche commovente…
Al di la del “colore”, “onore” a chi si è battuto comunque per un’idea. Ancor di più, “onore” a chi, non facendo finta di nulla, ha rassegnato comunque (e prontamente) le dimissioni: certe cose le abbiamo viste molto raramente nel nostro Paese…
Si apre una fase nuova e molto complicata. Pochissimi gli interlocutori davvero seri e credibili in circolazione.
Il “sistema” troverà comunque il modo per reggere l’onda d’urto “dell’antisistema” che, in tutta onestà , non è affidabile nemmeno un po…
Il PD avrà l’obbligo di fare la prima mossa. Berlusconi sarà nuovamente l’ago della bilancia. Salvini e Meloni continueranno a sbraitare: una destrolina sovranista piccola, piccola.
I “liberali” – e lo “dico” con molta sofferenza – continueranno a fare quello che sanno fare bene; continueranno a parlare “in astratto”, spesso, assai e continuamente: forse, un giorno, quella che potrebbe davvero essere la linfa vitale per una nuova stagione di idee, lo troverà il modo per essere realmente (e nuovamente) protagonista.
Comunque sia, i “giochi” della politica sono (ri)aperti e saranno “giochi” molto duri: il Paese, al di là delle percentuali di “accorpamento” sul SI o sul NO, è diviso esattamente “in tre”.
Tre “porzioni” che fanno molta fatica, a parlarsi, a ragionare insieme ed anche a darsi una visione appassionante…
Nel primo, il PD dovrà affrontare le (sue) beghe interne. Renzi difficilmente si farà rottamare dai suoi. Farà autocritica. Cercherà di mettere in seria difficoltà i suoi detrattori. Proverà a farli sentire “piccoli, piccoli” e, in ultima istanza, a conservare la leadership dell’area in vista delle prossime “politiche”…
Il fronte populista, i grillini, insomma, continuerà nella sua spasmodica voglia (e necessità ) di urlare. Il copione sarà sempre lo stesso. La storia racconterà delle loro contraddizioni. Delle firme false. Del loro “garantismo (soltanto) a metà ” e della presunzione di essere l’unica risposta “onesta” ai bisogni del Paese.
Continuerà ad essere soltanto l’imperitura “recita nella recita”, però: l’onesta’ non può rappresentare l’essenza di una proposta politica. Ne costituisce una premessa, semmai…
La politica “si fa” sulla scorta di una visione, allo stesso tempo, lucida e arditamente “folle”, e la loro visione, unita ad un modus operandi da “sospetto continuo” e da “guerriglia in ogni dove” è palesemente inadeguata.
Resta il “capitolo” centrodestra, a sua volta diviso in almeno tre “correnti”.
La prima, quella molto chiassosa, ma con evidente deficit sul versante “appeal”, è quella “sovranista”, capeggiata da Salvini e dalla Meloni.
Una destra retriva, molto greve, illiberale. La sovranità è concetto molto serio: farla diventare una corsa verso “un’autonomia” non meglio precisata è cosa molto pericolosa, soprattutto in un contesto nel quale l’Italia è oggettivamente in ginocchio… I cinesi comprano le nostre squadre di calcio come se nulla fosse. Sarebbe parecchio angosciante se, oltre a quelle, avessero gli strumenti “sovranisti” per comprarci in massa…
Berlusconi allo stato attuale detiene il controllo dei gruppi parlamentari che vanno per “la maggiore” (quelli che potrebbero dare linfa vitale all’ennesimo governo non scelto dal popolo). Non si farà mai da parte. Non accetterà mai una leadership che non sia la sua. La stessa figura di Parisi, non è una soluzione reale: è soltanto un modo per tenere a bada la base del partito e per arginare le megalomani pretese del duo “Salvini-Meloni”.
Insomma, Berlusconi sarà sempre il grande stratega dell’area di cui continuerà a fare (sistematicamente) il buono ed il cattivo tempo, fino alla sfida più ardita (per “trascorsi” e veneranda età ): quella di ricandidarsi al ruolo di Premier…
Poi c’è il versante “conservator-liberale”, quello che sta propugnando da mesi una fase di “riflessione” e “ricostituzione” di idee, programmi ed “uomini”. Quella che ha voglia di primarie, insomma.
Quella che spera di riaccendere i cuori e le speranze di una parte di popolo, via, via (nel tempo) “sedotto e bidonato” dal grande sogno di una “rivoluzione liberale” che il centro-destra italiano è stato capace di scrivere soltanto nei programmi elettorali.
Del resto, si sa, che è sempre difficilissimo “entrare in Chiesa e sostenere la mortalità dell’anima”, e la nostra società è a trazione “social-democratica maggioritaria”, sin dal “midollo”.
L’alternativa sarà seriamente sostenibile soltanto se si avrà il coraggio (autentico) di accettare una sfida che è culturale, prima ancora che politica.
Una sfida (anche) sul metodo perchè quello farà sempre la differenza tra i meri sogni (astrattamente dati) e la concreta possibilità di vincere.
Il futuro, però, lo costruiscono soltanto i sogni e la modernità …
Audace. Irriverente. “Democraticamente incendiaria”.
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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Dicembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
IL NEO PRESIDENTE: “SIAMO UNA SPERANZA PER L’EUROPA”
Lo aveva detto chiudendo la sua campagna elettorale: «Li abbiamo già battuti una volta, ce la faremo anche una seconda».
Gli elettori austriaci gli hanno dato ragione: Alexander Van der Bellen, l’ex leader dei Verdi presentatosi come candidato indipendente, sarà il nuovo presidente dell’Austria. Ha battuto con uno stacco più netto di quanto atteso alla vigilia il suo sfidante Norbert Hofer: il 53,6% degli austriaci hanno optato per lui, il 46,4% per il candidato della destra populista (la Fpà¶), rivelano le proiezioni.
Al ballottaggio di maggio poi annullato per irregolarità nelle operazioni di scrutinio aveva raccolto il 50,35% contro il 46,65% di Hofer, una vittoria spinta allora dal voto per corrispondenza.
Stavolta non ci sarà invece bisogno di aspettare lo scrutinio delle schede rispedite per posta, che inizierà stamattina.
Lo stesso Hofer ammette la sconfitta – e pensa già a ricandidarsi alle prossime presidenziali.
Se si chiedono a Hofer le ragioni che hanno contribuito a spostare gli equilibri elettorali a suo sfavore, il vicepresidente del parlamento austriaco non ci pensa su due volte: la raccomandazione di voto del leader del partito popolare, Reinhold Mitterlehner, a favore di Van der Bellen «è stato un momento decisivo, perchè lui ha un grosso peso, credo sarei stato una buona scelta per l’Austria, ma ormai non conta, gli elettori hanno deciso e chiedo anche ai miei di sostenere il nuovo presidente», spiega.
Esulta invece Van der Bellen: «A maggio il mio vantaggio sul mio concorrente era stato di 30.000 voti, ora sono 300.000», spiega. «Vienna invia oggi un segnale di speranza e di cambiamento positivo verso le altri capitali europee»
Analizzando i dati emerge che Van der Bellen ha vinto tra le donne (62% contro il 38% di Hofer, con picchi del 69% tra le donne sotto i 29 anni), mentre il candidato della destra populista ha raccolto più consensi tra gli uomini (56 a 44).
Il 72enne Van der Bellen sfonda inoltre tra i giovani sotto i 29 anni (58 a 42) e tra gli elettori con un grado d’istruzione più elevato: l’ex professore universitario ha raccolto l’83% dei voti di chi ha frequentato un’università .
(da agenzie)
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Dicembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
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