TRE PREMIER PER TRE PD, MA I FALCHI RENZIANI VOGLIONO LE ELEZIONI: “NELLE URNE E’ NATO IL PARTITO DI RENZI ED E’ AL 40%, IL PD E’ UN FERRO VECCHIO”
D’ALEMA SPINGE PER PADOAN, RENZIANO PER GENTILONI, MODERATI PER GRASSO…. GLI ULTRAS RENZIANI: “FARE FUORI DALLE LISTE LA SINISTRA DEL PARTITO”
Il sisma elettorale fa franare ogni certezza nella war room del premier. Rabbia, amarezza, la ferita brucia.
Il capogruppo Ettore Rosato, il mastino del renzismo, nel corso di un breve colloquio con la Boldrini schiumava odio: “Non ci importa nulla di Bersani e compagnia, qua si va a votare e basta”.
Elezioni, elezioni presto, anche a febbraio.
Il partito dei falchi chiede le urne: “Matteo – è il ragionamento – hai il 40 per cento, quello è tuo, facciamo un governo di tre mesi, aspettiamo la consulta, votiamo, facendoli fuori dalle liste. Non si è mai visto un pezzo di partito fare campagna contro il segretario-premier.”
E non è un caso che la direzione del Pd, annunciata a caldo da Guerini per domani, potrebbe slittare.
Al momento la tesi prevalente è che possa svolgersi mercoledì 7 dicembre.
C’è il cuore pulsante del renzismo che spinge per una linea dura.
Luca Lotti e Maria Elena Boschi, i fautori dell’ordalia finale: Pd come partito di Renzi, fuori la sinistra dalle liste e voto anticipato. Una legge elettorale verrà fuori, magari dalle indicazioni della Consulta.
E comunque “quel 40 per cento” è buono per tornare a palazzo Chigi.
Rulli di tamburi. Per impedire che parta il manovrone.
Nel Palazzo a ogni nome di possibile inquilino è legato un progetto di governo, con una durata della legislatura e una ricaduta sul Pd.
Un Pd di rango racconta: “I più vicini a Renzi hanno paura dell’effetto palude, cioè che se Renzi sbaglia a indicare un nome si arriva al 2018 e nel frattempo il governo diventa il terreno su cui si gioca il cambio dei rapporti di forza nel Pd. Per esempio un governo Franceschini…”.
Ecco, è per questo che, suggeriscono “il Lotti” e la “Meb” (Maria Elena Boschi, ndr), occorre andare sul sicuro. E indicare uno tipo Paolo Gentiloni, in uno schema da arrocco di Palazzo ma con la certezza che, quando il Capo deciderà di staccare la spina, troverà un presidente pronto a dimettersi.
Garanzie che altri non potrebbero dare: “Anche perchè — prosegue la fonte — questi gruppi parlamentari non danno garanzie. Se nasce un governo con Franceschini e Orlando dentro, quelli fanno asse con la sinistra e addio”.
Gentiloni a Chigi assicurerebbe la permanenza nella stanze dei bottoni a palazzo Chigi di più di un fedelissimo, dello stesso Lotti.
È uno schema però che, fuori delle war room, non convince la parte più dialogante del renzismo.
Il mite Graziano Delrio, ad esempio, è molto preoccupato perchè ha raccolto lo scontento di parecchi altri ministri per come il premier ha condotto questa campagna elettorale, ma anche per come ha parlato a caldo.
Il problema, per lui, non sono tanto le elezioni anticipate che vanno anche bene, ma come ci si arriva, se allargando il campo o stringendolo, continuando nello schema “uno contro tutti” che dopo la sconfitta porta inevitabilmente a un isolamento populista del leader.
Nelle intenzioni del ministro delle Infrastrutture occorrerebbe lavorare su un’ipotesi Grasso: il presidente del Senato è figura di alto profilo, consentirebbe di rasserenare il clima nel Pd anche in vista di un congresso le cui modalità e i cui tempi assomigliano a un’incognita.
Proprio il congresso è la chiave che orienta le mosse della minoranza.
E c’è un motivo se Roberto Speranza, a metà mattinata, dichiara: “I gruppi parlamentari del Partito democratico siano il perno della stabilità del paese. Pieno sostegno al percorso istituzionale che indicherà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella”.
Al momento, la parola d’ordine della sinistra è “stabilità ”, come unica garanzia per un congresso ordinato.
Nelle prime chiacchiere del dopo voto Massimo D’Alema è sembrato più propenso all’ipotesi Padoan, mentre Speranza vuole capire innanzitutto le reali intenzioni di Renzi sul congresso. Che, al momento, non si capiscono.
Perchè i “falchi” teorizzano che ormai il Pd è un ferro vecchio. Nelle urne è nato il Pdr, il partito di Renzi, anche se ha perso.
Quel 40 per cento è il congresso che si è svolto.
Gli altri sono nemici da far fuori dalle liste al più presto.
(da “Huffingtonpost“)
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