Settembre 14th, 2017 Riccardo Fucile
LA SCENA SURREALE NEL VIDEO DELL’ANSA
Casapound ieri aveva pubblicato un post su Facebook in cui scrivevano che durante la bagarre al Tiburtino III “I manifestanti hanno lanciato oggetti che hanno colpito anche residenti presenti sul posto per assistere al Consiglio, chiesto dai cittadini del quartiere supportati da CasaPound“. Tra le foto pubblicate c’era questa, in cui si nota una persona che cerca di tamponare il sangue che gli esce dalla testa e macchia anche le orecchie e la faccia.
La persona, notate bene, ha una maglietta bianca e una tracolla rossa
in spalla.
In un video, visibile anche sul Sole 24 Ore, si vede una persona con una maglietta bianca e uno zaino rosso in spalla che si avvicina al gruppo di Casapound che è chiuso nel centro anziani mentre fuori una manifestazione degli antirazzisti vuole impedire lo svolgimento del consiglio convocato sulla base di una bufala.
Quando la persona è abbastanza vicina un uomo con una maglietta scura e i jeans lo colpisce con qualcosa che tiene in mano sulla testa
e la persona si ritrae
Successivamente l’uomo colpito alza il braccio verso quello che l’ha colpito, in quello che a prima vista non sembra proprio un saluto romano ma un gesto molto più prosaico, diciamo del tipo “ma che cazzo fai?”
Infine, un’altra persona con un giubbotto scuro e gli occhiali neri si
scaglia verso la persona che ha colpito l’uomo con la maglietta bianca.
Ieri Casapound aveva detto che un “abitante del quartiere” era stato colpito.
Il consiglio straordinario è stato concesso sulla base di una bufala: quella dell’aggressione e del sequestro di una persona da parte dei richiedenti asilo che si trovano nel centro di via del Frantoio.
Una bufala messa in giro dall’estrema destra nelle ore immediatamente successive all’assedio del centro di accoglienza fondato su una ricostruzione falsa di quanto accaduto nella notte tra il 29 e il 30 agosto scorsi.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 14th, 2017 Riccardo Fucile
PIETRO COSTA SOSTIENE DI AVER FATTO QUELLO CHE GLI DICEVA MARCO CAMUFFO IN QUANTO SOGGIOGATO
Ha scaricato la responsabilità sul capopattuglia. Durante l’interrogatorio in Procura, il carabiniere Pietro Costa, indagato per stupro nei confronti di due studentesse americane insieme all’appuntato Marco Camuffo, ha spiegato che è stato quest’ultimo a decidere come muoversi e che lui lo ha seguito perchè «in soggezione».
Costa, 32 anni,il più giovane dei due, interrogato dalla pm di Firenze Ornella Galeotti, ha ammesso il rapporto sessuale, ma ha insistito sul fatto che la diciannovenne che lo accusa era consenziente.
E ha aggiunto un particolare che deve essere ancora verificato visto che non si sa quando è successo: «Quello che dico è confermato anche dal fatto che la ragazza mi ha dato il suo numero di telefono. Vi pare possibile che me lo avrebbe dato se la avessi appena violentata?».
Ma soprattutto ha scaricato la responsabilità su Camuffo: «Era il mio capo, mi ha coinvolto lui, come facevo a dirgli di no?».
Intanto è stato verificato che entrambe le studentesse americane che hanno denunciato di esser state violentate da una pattuglia dei carabinieri a Firenze, ancora tre, quattro ore dopo il rapporto sessuale avevano nell’organismo un apprezzabile quantitativo di alcol.
Una quantità definita “sopra la norma”, considerando come riferimento i 0,50 g/l base dei controlli stradali.
Questo è un primo riscontro scientifico a disposizione della procura di Firenze. Il problema, però, è capire se erano ubriache o no.
E cioè, erano nel pieno delle loro facoltà mentali quando hanno accettato il passaggio dei due carabinieri — Marco Camuffo e Pietro Costa — fino al palazzo del centro dove soggiornano a Firenze? O erano ‘annebbiate’ e in stato di ‘minorata difesa’?
Il procuratore Giuseppe Creazzo ha sottolineato che questo primo riscontro, la presenza di alcol nel metabolismo, non è di per sè sufficiente a stabilire se le due giovani americane fossero lucide o meno in quei momenti, cioè in grado di decidere con piena autonomia.
Bisogna dunque aspettare la relazione di un consulente della procura, e servirà qualche settimana.
Intanto, scrive oggi Repubblica Firenze, la procura è intenzionata a chiedere al GIP l’incidente probatorio sulla vicenda. Questo significa che le due studentesse saranno chiamate a testimoniare davanti ai due carabinieri accusati di stupro.
Questo succederà in una udienza a porte chiuse che consentirà loro di non dover tornare in Italia per il processo.
Sarà l’ultima prova, difficile certo ma liberatoria. E consentirà così agli inquirenti di poter utilizzare le loro dichiarazioni nei successivi processi senza che per le ragazze si debba ripetere l’esperienza della testimonianza in altre occasioni.
I numeri di cellulare
Costa, scrive oggi il Corriere della Sera, racconta di essere stato consapevole che «non era consentito far salire le ragazze in macchina e accompagnarle a casa», e lascia intendere di non aver fatto alcuna obiezione «perchè decideva Camuffo».
In realtà entrambi sono entrati nella discoteca Flo e si sono intrattenuti con le due ragazze. E poi le hanno accompagnate a casa. Sono riusciti anche a farsi dare il numero di cellulare delle due ragazze,come conferma l’avvocato di Costa Andrea Gallori.
Le giovani evidentemente si fidavano, erano rassicurate dal fatto che a scortarle fino alla casa dove abitavano da qualche settimana fossero due uomini in divisa.
E invece – questo hanno denunciato – quella disponibilità si è trasformata in un incubo con entrambi i carabinieri «che ci hanno aggredito e violentato».
Sul fronte tecnico, medico-legale c’è anche da aspettare il risultato dell’esame tossicologico su una delle due americane: è confermato che aveva preso sostanze stupefacenti (hashish o marijuana) ma va stabilito a quando risale l’assunzione, se nell’imminenza del rapporto sessuale o nei giorni precedenti.
Anche questo per capire il grado di controllo delle proprie azioni.
La procura deve anche decidere su eventuali richieste da proporre al gip. Tra queste, data l’esigua disponibilità di alcuni materiali biologici prelevati dalla polizia scientifica — anche per collezionare i Dna — potrebbe chiedere accertamenti irripetibili o un incidente probatorio: entrambi sono strumenti in cui tutte le parti, indagati e parti offese, hanno diritto di essere presenti con propri consulenti.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 14th, 2017 Riccardo Fucile
ALTRO CHE ATTACCO ALLA DEMOCRAZIA, RESTITUISCA I SOLDI CHE LA LEGA HA RUBATO… SAPEVA DA DUE ANNI CHE 48 MILIONI ANDAVANO RESTITUITI, ORA FA LA VITTIMA
“Oggi, per la prima volta nella storia della Repubblica, i giudici stanno bloccando l’attività di un
partito politico”. Matteo Salvini, in una conferenza stampa a Montecitorio, reagisce duramente al blocco dei conti della Lega Nord, una misura cautelare conseguente alla sentenza di primo grado sull’irregolarità nell’utilizzo di fondi pubblici da parte del Carroccio.
Il 24 luglio scorso il tribunale di Genova ha condannato a due anni e mezzo Umberto Bossi e a quattro anni e dieci mesi il suo storico tesoriere Francesco Belsito, riconosciuti colpevoli nel processo sulla truffa da 56 milioni di euro ai danni dello Stato.
Il giudice ligure ha anche disposto la confisca di 48 milioni di euro dai fondi del partito. Ora che la sentenza è diventa operativa, Salvini si scandalizza e parla di “attacco alla democrazia“.
“C’è una scheggia della magistratura che fa politica e vuole mettere fuori legge la Lega, vogliono farci fuori, metterci nelle condizioni di non esistere”. “C’è chi vuole mettere il bavaglio al dissenso, ad alcuni milioni di italiani che credono nella Lega”, continua Salvini.
Salvini ha spiegato che alcune banche a livello locale (in Emilia, in Liguria, a Bergamo, a Trento) hanno negato l’accesso ai conti correnti di dirigenti locali della Lega chiamati a fronteggiare le spese per l’organizzazione della manifestazione. “Se qualcuno pensa di bloccarci si sbaglia di grosso, andiamo avanti ancora più forti di prima. Pontida la facciamo anche a costo di pagarla di tasca nostra“, dichiara il segretario.
Ottima idea, faccia una colletta tra i militanti (che sono pochi secondo le cifre ufficiali del tesseramento) e raccolga i 48 milioni da restituire ai contribuenti italiani.
Matteo Renzi, parlando alla festa dell’Unità di Frascati, aveva dichiarato: “Pensate a come sta messo il centrodestra: tutti i giorni la Lega fa la morale a Roma ladrona ma nessuno che dica che c’è un partito che ha rubato i soldi del contribuente”.
L’inchiesta sui fondi del Carroccio
La sentenza di primo grado del tribunale di Genova che ora provoca le ire di Salvini riguarda il periodo tra il 2008 e il 2010. In quegli anni, secondo l’accusa, la Lega Nord avrebbe presentato rendiconti irregolari al Parlamento per ottenere indebitamente fondi pubblici.
Denaro poi utilizzato in gran parte per le spese personali della famiglia Bossi. Oltre al Senatur e al tesoriere Belsito, sono stati condannati anche i tre ex revisori contabili del partito Diego Sanavio, Antonio Turci e Stefano Aldovisi e i due imprenditori Paolo Scala e Stefano Bonet.
L’inchiesta era deflagrata nel 2012 e aveva portato alle dimissioni di Bossi e dei suoi fedelissimi. Il processo era cominciato il 23 settembre 2016 dopo che nel capoluogo ligure era arrivato per competenza lo stralcio d’indagine da Milano.
L’altra condanna a Milano
L’inchiesta della procura meneghina sulle spese dei Bossi, ribattezzata “The Family” come il nome appuntato sulla copertina di una cartella conservata nell’ufficio di Belsito, ha portato invece al processo che il 10 luglio scorso ha concluso il primo grado con la condanna di Belsito a due anni e sei mesi.
Insieme a Belsito i giudici milanesi hanno condannato il Senatur a due anni e tre mesi e il figlio Renzo Bossi a un anno e sei mesi. Erano tutti imputati per appropriazione indebita per aver usato, secondo l’accusa, fondi del Carroccio per fini personali. Salvini — che aveva deciso di ritirare dal processo la posizione della Lega come parte civile per i danni d’immagine — aveva commentato così la condanna: “Dispiace dal punto di vista umano. Fa parte però di un’altra era politica. La Lega ha rinnovato uomini e progetti”. Un no comment, invece, era arrivato invece dal presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 14th, 2017 Riccardo Fucile
PARMA, IL CORAGGIO DEI COMPAESANI XENOFOBI: IN 50 CONTRO UNA SIGNORA DI 59 ANNI… MINNITI RICORDATI CHE I BLOCCHI STRADALI DEI FACINOROSI SI SCIOLGONO A MANGANELLATE, LA LEGGE E’ UGUALE PER TUTTI
Minacciata, bloccata con l’auto e insultata sotto casa dai compaesani.
Il motivo? Avere deciso di affittare una casa a una cooperativa che lì ospiterà una ventina di migranti. Succede a San Michele Tiorre, frazione del comune di Felino in provincia di Parma.
Nel paese da giorni la polemica stava salendo per l’arrivo dei rifugiati ma nessuno credeva si potesse arrivare a tanto.
La donna, una signora di 59 anni, ha avvisato la prefettura di Parma e sporto denuncia ai carabinieri a cui ha raccontato di essere stata bloccata per un’ora e mezza mentre stava uscendo dall’abitazione.
Ad affrontarla una cinquantina di persone, molti residenti del paese; alcuni di loro sarebbero stati identificati dalla donna che nella denuncia ne avrebbe indicato nomi e cognomi.
Numerose le reazioni . “Quanto è avvenuto è grave ed inaccettabile – commentano oggi in una nota i parlamentari del Pd di Parma Giorgio Pagliari, Giuseppe Romanini e Patrizia Maestri -. Alla signora e a tutta la comunità , scossa da quanto avvenuto, va la nostra vicinanza e solidarietà “.
“Molti comuni della nostra provincia – ricordano – accolgono profughi su disposizione della prefettura e in nessuno di questi vi è stato un peggioramento del livello di sicurezza: questo anche grazie al lavoro delle Amministrazioni comunali, delle forze dell’ordine e dei soggetti che hanno in carico l’ospitalità “.
“Quanto successo a San Michele Tiorre – scrivono il segretario regionale del Pd Paolo Calvano e la consigliera regionale Barbara Lori – è un fatto inaudito. Che un gruppo organizzato di persone aggredisca una signora con insulti e minacce solo perchè lei ha messo a disposizione il suo alloggio per l’accoglienza dei richiedenti asilo rappresenta una degenerazione del principio stesso di civiltà che va arrestata. Ed è ancora più grave perchè si tratta di un episodio mai successo nel territorio di Parma e va contro i valori di solidarietà ed accoglienza che hanno sempre caratterizzato le nostre comunità “.
Sull’episodio interviene anche il sindaco di Parma Federico Pizzarotti: “Pazzesco. Succede a Felino, a due passi da Parma. Farsi dominare dalla paura, seguire chi grida alla pancia e non segue la ragione, pensare che la violenza verbale o fisica sia una soluzione sono il metodo per cadere ancora più in basso. La paura è un sentimento che divide. Le soluzioni ci sono, ma noi dobbiamo avere un approccio istituzionale: ancora più legge, ancora più Stato. Personalmente è quello che Parma sta applicando. Ma non ci facciamo dividere dalla paura. Solidarietà alla signora aggredita e vicinanza al sindaco Leoni che deve gestire questa difficile situazione”.
La Lega Nord soffia sul fuoco e annuncia una manifestazione sabato mattina a Felino contro l’arrivo di 20 richiedenti asilo a San Michele Tiorre.
Questo perchè lo Stato non ristabilisce la legalità : chi istiga all’odio razziale in galera e i blocchi stradali vanni sciolti a manganellate.
(da agenzie)
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Settembre 14th, 2017 Riccardo Fucile
SENTENZA MOSE: L’EX MINISTRO DI AN SUBIRA’ ANCHE UNA CONFISCA DI 9,5 MILIONI DI EURO
L’ex ministro Altero Matteoli di An e l’imprenditore romano Erasmo Cinque sono stati condannati
per lo scandalo Mose, entrambi a quattro anni.
Altri quattro imputati, tra cui l’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni eletto con il centrosinistra e l’ex eurodeputata forzista Amalia Sartori, escono indenni dal processo per assoluzione o prescrizione.
È il caso proprio dell’ex sindaco, che è stato prescritto per l’episodio più grave tra quelli contestati, cioè l’accusa di aver ricevuto un finanziamento “in nero”. Assolto, invece, per i finanziamenti ricevuti da società del consorzio.
Tre anni fa la grande retata che sconvolse il mondo politico, non solo veneto, mettendo a nudo uno scialo di denaro impressionante e una rete di corruzioni molto ramificata. Un anno e quattro mesi fa la prima udienza del dibattimento per un manipolo di imputati che avevano resistito alle tentazioni del patteggiamento o del rito abbreviato.
Ci sono volute 32 udienze e le deposizioni di 102 testimoni per arrivare a scrivere la parola conclusiva di una vicenda che nel prossimo futuro potrebbe però essere ghigliottinata dalle prescrizioni.
Le tesi e la ricostruzione dell’accusa hanno retto sul fronte della corruzione: l’ingegnere Giovanni Mazzacurati ha pagato profumatamente gli appoggi politici di cui ha goduto per far avanzare il progetto Mose, una gallina dalle uova d’oro che finora è stata pagata con soldi pubblici, 5 miliardi e mezzo di euro. Ma non hanno retto, invece, per i casi di finanziamento illecito. Le condanne sono state quattro, altrettante le assoluzioni.
La sentenza è stata letta in un’aula del Tribunale di Venezia dal presidente Stefano Manduzio (a latere Fabio Moretti e Andrea Battistuzzi).
Prima che si ritirassero in camera di consiglio, l’ex ministro alle Infrastrutture e all’Ambiente Matteoli aveva rilasciato un’ultima dichiarazione: “Non ho mai preso soldi, non sono un corrotto”. Non gli è bastata. Fuori dall’aula gli attivisti del Movimento No Grandi Navi e dei No Mose sono rimasti in attesa, con un cartello eloquente: “La Mafia a Venezia si chiama Consorzio Venezia Nuova”.
I giudici hanno ritenuto Matteoli colpevole di corruzione, per aver ricevuto denaro da Mazzacurati e per aver favorito l’amico Cinque nell’ottenimento di appalti di bonifiche a Porto Marghera.
Per entrambi una pena di 4 anni di reclusione e la confisca di 9 milioni 575 mila euro ciascuno. Era molto attesa la sentenza per l’ex sindaco di Venezia, l’avvocato Giorgio Orsoni, che nel 2014 era finito ai domiciliari per una generosa elargizione di Mazzacurati nel corso della sua campagna elettorale.
Orsoni aveva concordato con la Procura un patteggiamento di pochi mesi, ma il gip aveva ritenuto la pena troppo bassa. E così l’ex sindaco è stato rinviato a giudizio per finanziamento illecito, ma ha sempre negato di aver ricevuto soldi, facendo cadere sul Pd la responsabilità della gestione amministrativa della sua campagna elettorale.
E’ stato assolto dalle accuse di finanziamenti illeciti per la campagna elettorale da società del consorzio, mentre per l’accusa di aver ricevuto fondi in nero direttamente dall’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Mazzacurati è intervenuta la prescrizione.
Lo stesso reato riguardava la posizione di Amalia Sartori, ex socialista, passata poi con Forza Italia, una carriera politica di lungo corso. Mazzacurati aveva con lei incontri periodici e in una occasione ha detto di averle portato del denaro, circostanza che l’imputata ha sempre negato. E’ stata assolta.
Il quadro degli imputati principali è completato dall’ex Magistrato alle Acque di Venezia, Maria Giovanna Piva, che secondo il capo d’imputazione era finita a libro paga del Consorzio Venezia Nuova, l’ente che avrebbe dovuto controllare. Esce dal processo per prescrizione e con l’assoluzione per un episodio. All’imprenditore veneziano Nicola Falconi sono stati, invece, inflitti 2 anni e due mesi, all’avvocato romano Corrado Crialese un anno e 10 mesi. Assolto, infine, Danilo Turato, l’architetto che ristrutturò la villa di Galan sui Colli Euganei.
Prima della sosta estiva i pubblici ministeri Stefano Ancilotto e Stefano Buccini avevano chiesto otto condanne, a pene complessive per 27 anni di reclusione: 6 anni per Altero Matteoli, 5 anni per Erasmo Cinque, 4 anni per Maria Giovanna Piva, 3 anni per Nicolò Falconi, 2 anni e 3 mesi per Danilo Turato, 2 anni e 4 mesi per Corrado Crialese, 2 anni e tre mesi per Giorgio Orsoni e due anni per Lia Sartori. Avevano anche chiesto la confisca di 33 milioni e 930 mila euro a carico dell’imprenditore Erasmo Cinque e della sua società Socrostamo, coinvolta nelle bonifiche di Porto Marghera.
Finora i grandi accusatori, su cui si è sostenuto questo processo, non sono stati rinviati a giudizio. Ma l’inchiesta è ormai chiusa per Giovanni Mazzacurati, Piergiorgio Baita e Claudia Minutillo. Probabilmente chiederanno di patteggiare, in continuazione con altre condanne.
Nel 2015, all’inizio del processo, Matteoli si disse sicuro di uscire con assoluzione piena per non aver commesso il fatto.
(da agenzie)
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