Settembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
UNA PRESA DI COSCIENZA TARDIVA, IL 2 SETTEMBRE ESALTAVA I RISULTATI RAGGIUNTI DA MINNITI
“Le condizioni di rifugiati e migranti in Libia hanno bisogno di essere sorvegliate e migliorate, sui diritti umani sono in alcuni casi vergognose e scandalose“.
A New York per l’Assemblea generale dell’Onu, Paolo Gentiloni ammette anche se a scoppio ritardato l’esistenza del problema: molti dei centri di detenzione nei quali vengono tenuti i migranti fermati dalle milizie libiche per conto dell’Italia sono carceri in cui non sono garantiti i più elementari diritti umani e i migranti sono sottoposti a torture e stupri.
L’obiettivo, ha proseguito Gentiloni parlando con i cronisti in attesa dell’intervento previsto per le 20 ore italiane, è “proporre, sollecitare l’Onu a tornare in Libia, ce n’è bisogno per il processo pace e per la questione migratoria perchè le condizioni dei rifugiati in Libia hanno bisogno di essere sorvegliate e migliorate sul fronte dei diritti umani. E nessuno meglio dell’Onu ci può aiutare”.
Una presa di coscienza tardiva, quella del presidente del Consiglio, che solo il 2 settembre, esaltando i risultati raggiunti dal ministero dell’Interno assicurava: “Abbiamo dimostrato che possiamo ridurre i flussi migratori senza rinunciare ai principi di umanità e di solidarietà “.
“Noi — aggiungeva Gentiloni — stiamo continuando e continueremo a difendere l’onore dell’Europa e contemporaneamente abbiamo ottenuto risultati notevoli nella riduzione di sbarchi affidati ai trafficanti di essere umani e di vittime”.
I flussi migratori sono stati arginati — almeno per qualche settimana, visto che nell’ultimo weekend gli sbarchi sono ripresi — ma l’onore dell’Europa non è stato propriamente salvato, visto che da settimane organizzazioni internazionali come l’Unhcr e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, oltre a numerosi reportage giornalistici, segnalano che in molti dei 34 “centri di accoglienza” gestiti dalle milizie libiche che fanno capo al governo di Fayez Al Sarraj i migranti fermati sono tenuti come bestie.
“Entriamo più volte alla settimana in una ventina di centri per organizzare ritorni umanitari — raccontava già agli inizi di agosto il direttore dell’Ufficio di coordinamento per il Mediterraneo dell’Oim Federico Soda — nei campi vige l’arbitrio, alcuni migranti ci dicono di essere stati picchiati per soldi, altri di aver subito torture o abusi sessuali”.
Nei campi “ci sono decine di uomini, donne, bambini, mamme che partoriscono da sole: tutti insieme, alcuni sulle poche brandine e altri in terra. Non c’è ventilazione, la luce filtra da finestre molto piccole, i bagni sono pochi e gli escrementi sono ovunque”.
Finora il governo aveva deciso di chiudere entrambi gli occhi, ora arriva una prima ammissione.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
LUNGO VERTICE AD ARCORE SUL ROSATELLUM BIS… E GIANNI LETTA DISSE: “SONO CONTRARIO”
Silvio Berlusconi, si sa, è uomo pragmatico e molto più politico di come tende a raccontarsi. E si capisce perchè, dal suo punto di vista, dopo un incontro da mal di testa su numeri e soglie di questa nuova legge elettorale, ha deciso, come si dice in gergo, di andare a vedere le carte, ossia il testo che sarà presentato domani, sia pur senza tanta convinzione.
Anzi, praticamente “costretto” dai capigruppo che sognano di fare il pieno al Nord con questo nuovo marchingegno.
Avrebbe preferito il famoso tedesco, ma comunque si può stare al gioco sul cosiddetto Rosatellum, sia pur con un bagaglio di perplessità e senza esporsi.
Ed è forse questo il vero dato politico. Il “senza tanta convinzione”, in un tentativo che pare un atto dovuto ma che nessuno, al momento, si intesta fino in fondo.
“Ma siete sicuri che quello là faccia sul serio?” ha chiesto il Cavaliere che, dopo aver visto la performance del segretario del Pd a Carta Bianca ha maturato il sospetto che siamo di fronte al più classico dei giochi del cerino.
Ovvero: Renzi si mostra disincantato, ma si augura che la legge si faccia (secondo gli auspici del capo dello Stato); dopodichè, se passa è pronto ad assumersi il merito, se non passa a scaricare la colpa sugli altri, i “signor no”, i “professionisti della palude” e tutto il repertorio di una campagna elettorale già in atto.
La verità è che su questa storia, appena iniziata, e ancora senza un testo scritto, la confusione sotto il cielo pare già essere poco foriera di cose eccellenti: “Neanche si sa se passa — dice un big di Forza Italia — e già rischiamo che la metà dei nostri, il Sud, ce la impallina”.
La tensione è seria, non roba di peones o di seconde file se addirittura si sono trovati su posizioni opposte Gianni Letta e Niccolò Ghedini, il primo assolutamente contrario a una legge che “salvinizza” Forza Italia e il secondo favorevole perchè “la coalizione è competitiva”.
Per tutto il pomeriggio ad Arcore si fa di conto, per provare a capire — unica bussola nel mondo berlusconiano — se conviene o meno.
Più o meno i ragionamenti sono questi: con la legge attuale Forza Italia prende tra gli 80 e i cento parlamentari, tutti “nominati”, con i capilista bloccati.
Col Rosatellum ne prende, di nominati, una sessantina, a cui aggiungere quelli dei collegi. Circola già una stima secondo la quale dal maggioritario ne arriverebbero altri 100 da dividere tra Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia ma è chiaro che al nord, dove la Lega è più forte, Salvini pretenderà di averne di più.
“Guarda che è meglio così che la lista unica”, hanno insistito i capigruppo di fronte alle perplessità del capo.
Numeri del momento, che in politica spiegano molto, ma non tutto. Perchè la politica i numeri li determina, non è una macchina fotografica che li immortala.
Ecco le perplessità di Gianni Letta, la “colomba”, che vede in questa legge un pericolo, perchè mette in campagna elettorale Forza Italia nelle mani della Lega ed è poi difficile agguantare le mani del Pd per un governo di larghe intese.
Perchè ci sarà tutto un blocco di parlamentari che tenderà a fare blocco con Salvini. “Sono contrario”.
Per tutto il giorno la riunione di Arcore è stata aspettata come si attende un oracolo, perchè è chiaro che senza Forza Italia si possono mandare i titoli di coda.
Il testo ancora non c’è, e il rullo dei tamburi sul Rosatellum è già rumoroso: “Orgasmo trasformistico”, l’ha ribattezzato Bersani, “uno schifo” la schietta Meloni, “una legge contro di noi”, per Di Maio.
E alla Camera ci sarà una raffica di voti segreti.
L’altra volta, assieme alla legge, fu affossata la prospettiva di elezioni anticipate il 24 settembre, prospettiva che non c’è più ora che si è arrivati, mese più mese meno, alla fine della legislatura.
Ci sono però le liste elettorali delle politiche e parlamentari inquieti che vogliono garanzie, a maggior ragione se si vota una legge che, ancora una volta, consente di “nominare” il Parlamento.
E guarda caso quelle vecchie volpi di Renzi e Berlusconi, giocano sì, ma senza crederci tanto.
(da “Huffingonpost”)
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Settembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
E UNO SPOT INSULTA LA MEMORIA DELLA VITTIMA DEL CAVALCAVIA, IL CUI CROLLO E’ RESPONSABILITA’ DELLA PROVINCIA
Il 22 ottobre i cittadini della Lombardia e del Veneto saranno chiamati alle urne per decidere dell’autonomia delle rispettive regioni dallo Stato centrale.
Un referendum consultivo pressochè inutile per due ragioni: la prima è che i due Presidenti hanno già il mandato popolare per andare a trattare — come sancito dall’articolo 116 della Costituzione — della concessione di forme di autonomia.
La seconda è che il quesito — che recita: “vuoi che alla Regione siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” — è oltremodo semplicistico e non specifica in alcun modo quali siano le ulteriori condizioni d’autonomia che Maroni e Zaia andranno a negoziare a Roma.
L’unica cosa che si sa è che tutta la questione riguarda i soldi.
Non quelli spesi per un referendum inutile (14 milioni di euro in Veneto e quasi 50 in Lombardia) ma quelli che le due regioni versano allo Stato.
Il problema principale però non sarà vincere il referendum (è dato per scontato che vincerà il Sì) ma convincere quanti più veneti e lombardi ad andare a votare. ù
La Lega Nord infatti intende usare il voto come un gigantesco spot elettorale pagato coi soldi di tutti, ma questo per la Lega non è un problema.
In Lombardia Maroni sta facendo le cose in grande: ha acquistato di recente 24 mila tablet per il voto elettronico per una spesa complessiva pari a 23 milioni di euro.
Tra le altre iniziative ci sono anche dei “divertenti” spot in dialetto lombardo che non hanno mancato di suscitare l’ilarità sui social
Uno spot però è risultato di cattivo gusto. Si tratta di quello che strumentalizza la vicenda del crollo del cavalcavia sulla statale 36 tra Annone Brianza e Cesana Brianza, in provincia di Lecco.
Stando a quanto dicono i due attori della pubblicità a favore del referendum se vincerà il Sì la Regione avrà più soldi per poter riparare i ponti e le strade e per evitare altri incidenti.
Peccato però che gli autori del video abbiano dimenticato che in quell’incidente ha perso la vita una persona — schiacciata dentro la sua auto dalla campata del ponte — e altre tre sono rimaste ferite.
C’è poi da ricordare che il ponte non c’è “perchè non ci sono i soldi” ma perchè — come sta emergendo dall’inchiesta — la Provincia di Lecco avrebbe concesso in modo troppo disinvolto le autorizzazioni al transito di trasporti eccezionali e veicoli il cui peso ha messo a dura prova la tenuta della struttura.
È infatti la provincia l’ente responsabile della viabilità che aveva la competenza su quel cavalcavia.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
BRUTTO SCIVOLONE SUL REFERENDUM, NELLO SPOT C’E’ IL CAVALCAVIA CHE UCCISE MA NON CERTO PER MANCANZA DI FONDI AL NORD
Una quindicina di video spot, anche in diversi dialetti locali. E una campagna di volantini, ma senza il logo del partito.
Sono le principali iniziative di comunicazione avviate dalla Lega Lombarda per sostenere il Sì al referendum consultivo per l’autonomia della Lombardia, in programma il 22 ottobre, in contemporanea con quello del Veneto.
Negli spot video, che saranno trasmessi attraverso social e tv locali, alcune scene presunte “comiche” recitate da attori, che parlano soprattutto in dialetto: in una si vede un uomo in una bara che rappresenta la Lombardia e si risveglia per sgridare le donne che piangono al suo capezzale, facendo capire di essere morto perchè non sono andate a votare (filone sarcasmo macabro).
Il principale obiettivo della campagna comunicativa della Lega è infatti quello di mobilitare gli elettori: «Più gente andrà a votare – ha sottolineato nuovamente il governatore Maroni – maggiore potere negoziale avremo io e Zaia».
Un altro video mostrato in conferenza stampa fa vedere invece il cavalcavia crollato ad Annone in provincia di Lecco: la protagonista ferma il marito che sta pedalando verso il precipizio, spiegandogli che bisogna andare a votare per l’autonomia della Lombardia perchè «non ci sono i soldi per il ponte».
E proprio su quest’ultimo video si è scatenato il M5s. Quelli della Lega Lombarda, «pur di raccontare bugie» sul referendum per l’autonomia regionale del 22 ottobre, «hanno strumentalizzato con ironia la triste vicenda del cavalcavia di Annone, in provincia di Lecco: in quel tragico evento perse la vita un uomo e ne rimasero feriti diversi». Lo sottolinea su Facebook Stefano Buffagni, consigliere regionale del M5S in Lombardia.
«Il ponte crollò per l’incapacità e la burocrazia oltre che per l’incuria e la mancanza di manutenzione ordinaria – afferma Buffagni -. Lì non fu un problema di risorse o competenze, ma di superficialità ed incuria da parte di tutti gli enti coinvolti. Mi auguro la Lega ritiri il video, va bene la campagna elettorale, ma non la speculazione sui morti”.
(da agenzie)
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Settembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
“SONO MANCATA DUE GIORNI A FERRAGOSTO E MI RITROVO CON LA SORPRESA DELL’AIUOLA SECCA”… MA NON E’ ANDATA COSI’
Un tempo c’era l’assessora all’ambiente Paola Muraro a mettere in testa i complotti sui frigoriferi alla sindaca Virginia Raggi.
Ora si potrebbe cominciare a pensare che ci sia qualcosa di strano nell’acqua dell’assessorato visto che la sua successora Pinuccia Montanari, come racconta oggi Simone Canettieri sul Messaggero, è andata a evocare improbabili complotti contro di lei con Beppe Grillo.
Che ovviamente gli ha creduto, visto che se si dà la colpa a presunti complotti si nasconde la sicura inettitudine della povera vittima che li subisce.
Ma sentite cosa ha preso il posto dei frigoriferi nell’immaginario collettivo del Campidoglio:
È «la Pinuccia» a iniziare a sfogarsi con il Capo. I due si conobbero nel 1992 agli appuntamenti del giudice ambientalista Amedeo Postiglione. Sono amici da 25 anni. E così Montanari parla in libertà : si lamenta dei troppi dirigenti comunali, «vicini al Pd», che remano contro, che fanno i dispetti, che sabotano.
L’assessore all’Ambiente, con il suo fare spiccio e la lingua veloce da chi è nato a Reggio Emilia, porta due esempi: il pasticcio con la zanzara tigre e soprattutto una piccola storia, quella dell’aiuola di piazza Venezia, bruciata dal sole questa estate.
Un’immagine girata poi su tutti i siti internet come simbolo dell’incuria grillina.
«Ma ti pare? Sono mancata due giorni a Ferragosto e al ritorno mi sono ritrovata questa sorpresa». «Beppe», con il quale Montanari condivide un’ignota passione per la teologia, annuisce. La rincuora, le dice di andare avanti, che punta molto, tanto, su di lei. […] Non è un caso dunque che fuori dal Forum, Grillo dia in escandescenze. E nella foga si lamenti appunto «delle trappole», tanto che «dovremmo fare un assessore alle trappole». Il leader del M5S attacca: «Ci sono dirigenti che lavorano per i partiti e non per il bene comune: andate a vedere che lavoro stiamo facendo in Ama (l’azenda dei rifiuti-ndr)».
Ora, a parte che sarebbe bello sapere da Grillo chi sono i dirigenti PD che in AMA ostacolano il lavoro della brava assessora: nomi e cognomi, senza insinuazioni perchè a urlare al complotto ma senza prove sono bravi tutti, e a parte che è stata la decisione di procedere alla disinfestazione contro le sole larve a costringere il comune oggi a una disinfestazione completa, concentriamoci sull’aiuola secca di Piazza Venezia.
A sollevare il problema dell’aiuola sui giornali è stato Il Messaggero l’11 agosto scorso Sembra evidente che la situazione è peggiorata nell’arco di tempo che va da giugno 2016 ad oggi.
Anche perchè l’erba non si secca in due giorni (nei “due giorni” che la Montanari “è mancata”, casualmente “a Ferragosto”: lei non era mica in vacanza, no, “è mancata”; come la Baldassarre in ferie mentre si sgomberava via Curtatone) a meno che l’assessora non voglia farci credere che nottetempo, con la piazza illuminata visto che quello è un punto nevralgico del turismo romano, qualche dirigente del PD di AMA (ipotizziamo) non abbia versato qualche misterioso liquido per far seccare istantaneamente l’erba mentre l’assessora era in vacanza — pardon, “mancava”.
Ora quindi le cose sono due: o l’assessora in realtà è in vacanza da molti mesi (il tempo che ci vuole per far seccare l’erba, oltre all’incuria) oppure la Montanari sta raccontando una balla per salvare la faccia.
Beppe le crede, certo. I romani, no.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
“O SI CAMBIA IL SISTEMA DI SELEZIONE DEI CANDIDATI O SI RISCHIA IL FALLIMENTO DEFINITIVO”… “ROUSSEAU TROPPO PERMEABILE A INFILTRATI”
“La figuraccia delle primarie con Di Maio candidato unico e l’ennesimo intoppo leguleio in Sicilia non sono indice di scarsa democrazia. Ma qualcosa di peggio: la prova dell’eterna immaturità , impreparazione, improvvisazione, inadeguatezza di un movimento che cresce fuori, ma non dentro”.
Così Marco Travaglio dà una forte tirata d’orecchie ai “pupi” del Movimento Cinque Stelle, mettendoli in guardia dal rischio di “fallimento definitivo”, se non cambieranno il selezione dei candidati in tempo per le elezioni del prossimo anno.
“Mentre festeggiano il decimo anniversario del battesimo al V-Day, i 5Stelle sembrano nati ieri. Dovrebbero essere in quarta elementare, sono ancora all’asilo nido. Molti si son fatti le ossa in Comuni, Regioni e Parlamento. Ma il Movimento continua a gattonare e inciampare come un infante un po’ ritardato. Con regole o non-regole che andavano bene agli albori, per una piccola forza locale di opposizione, protesta e disturbo, ma non hanno più senso per quello che è — nonostante tutto — il primo partito nazionale […]”.
La responsabilità , scrive Travaglio, è dei vertici, che “sono giunti impreparati, con regole abborracciate last minute e senza una rosa di candidati che rendesse la gara non dico imprevedibile, ma almeno credibile”.
Dunque l’avvertimento:
“[…] se non si cambiano le regole, casi come questo (e quello di Genova) si moltiplicheranno nella selezione dei candidati alle Politiche. Stavolta il M5S dovrebbe portare almeno 250 parlamentari, di cui 150 nuovi di zecca. Davvero si pensa di sceglierli con le solite primarie online, città per città , con i videoprovini e il voto di poche decine di iscritti per ciascuno? O non è meglio un sistema misto che salvi il voto degli iscritti (magari facendoli votare su scala regionale, per evitare scalate di ambienti lobbistici, partitici e malavitosi con poche centinaia di voti), ma lo sottoponga poi al filtro di delegati provinciali che tengano fuori matti, improvvisatori e soprattutto infiltrati?”
Il sistema di selezione grillino — conclude Travaglio — è troppo noto e permeabile perchè qualcuno non ne abbia studiati i punti deboli per infilarci i suoi portatori d’acqua, pronti a cambiare cavallo alla prima chiamata. Basta iscrivere a Rousseau qualche decina di infiltrati da ogni città […] per avere i clic necessari a far eleggere chi si vuole. E questo, per i Cinque Stelle, sarebbe […] il fallimento definitivo”.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
IL CURRICULUM DEI NEONAZISTI CHE DIFENDONO HITLER
L’ultimo scandalo, nell’ordine, riguarda una dichiarazione del candidato alla cancelleria, Alexander Gauland. Durante un incontro con l’ala ‘voelkisch’, quella più radicale, il leader della destra tedesca ha scandito che “abbiamo il diritto di essere orgogliosi su quanto fatto dai soldati tedeschi in due guerre”.
Ignorando decenni di letteratura storica che ha spazzato via la tesi – molto in auge in ambienti neonazisti – che la Wehrmacht fosse meno crudele delle SS, che le bestie in uniforme delle fucilazioni di massa, delle trincee e delle persecuzioni degli ebrei ‘facessero soltanto il loro dovere’, per citare una patetica frase auto assolutoria, tipica dei tedeschi dalla coscienza bruna.
Afd è in lotta per terzo posto, i sondaggi lo danno al 10-12%, ininfluente ma entrerà in Parlamento.
Ci si chiede se esista ancora un”ala moderata’ nel partito fondato quattro anni fa da un oscuro economista di Amburgo, Bernd Lucke.
Perchè si assiste a una radicalizzazione dei contenuti e dei messaggi degli anti-euro.
Ma è un processo che viene da lontano e in questi ultimi due anni la svolta a destra dell’ex ‘partito dei professori’ è diventata sempre più conclamata.
Che l’altra candidata alla cancelleria, Alice Weidel, sia stata smascherata domenica scorsa da una mail del 2013 come una delirante complottista xenofoba, non sembra averne compromesso la ‘resistibile ascesa’, per citare Brecht.
Ultimamente, Gauland stesso ha tentato in tutti i modi di scrollarsi di dosso gli ultimi residui da moderato – il giurista ha militato a lungo nella Cdu – difendendo il leader antisemita dell’Afd in Turingia, Bjoern Hoecke, uno che ha detto che “non tutto di Adolf Hitler è da buttar via” e che il monumento berlinese all’Olocausto è “una vergogna”.
Uno che secondo Gauland rappresenta “lo spirito del partito”, come ha spiegato a Bild.
E tanto per non sembrare meno eversivo dei suoi sodali, Gauland ha suscitato una bufera augurandosi che la ministra all’Integrazione di origine turca Oezoguz sia “liquidata in Anatolia”, nel senso di fatta fuori.
A luglio del 2015, com’è noto, il fondatore Bernd Lucke ha lasciato il partito perchè riteneva fosse diventato troppo populista sotto la guida di Frauke Petry.
Due anni dopo, anche Petry è stata costretta a lasciare: il suo tentativo di rendere l’Afd più appetibile a un elettorato più moderato è stato travolto da un putsch dell’ala più radicale. Quella che ha fatto sì che Gauland e Weidel siano diventati il tandem per il trionfale ingresso al Bundestag di domenica prossima.
I CANDIDATI IN CORSA
E dando un’occhiata ai parlamentari che potrebbero conquistare un seggio, viene la pelle d’oca. Tanto più se si pensa che nelle regioni della ex Germania est, l’Afd veleggia attorno al 20-25%, numeri da ‘Volkspartei’; da partito trasversale e di massa.
Scorrendo la biografia di alcuni candidati, la matrice darebbe ragione a Hubertus Heil. ‘Populista’ suona come un eufemismo.
Uno che entrerà quasi sicuramente nel Bundestag perchè è il numero due in Sassonia, dove alcuni sondaggi danno l’Afd al secondo posto dietro la Cdu, è il militante degli anti islamisti di Pegida, Jens Maier. Ha definito i profughi ‘feccia’ e, come tanti nel suo partito, chiede “la fine del culto della colpa”, quella delle guerre e dell’Olocausto. Sostiene che i neonazisti della Npd siano “l’unico partito che ha sempre difeso la Germania”.
Un altro candidato con buone probabilità di riuscita è Enrico Komning, del Meclemburgo-Pomerania.
Su Facebook si vanta di cantare la prima strofa nazista dell’inno tedesco con la figlia. Fa parte di una fratellanza di destra di Greifswald, Rugia, che pullula di negazionisti.
Il pensionato Wilhelm von Gottberg, che corre in Bassa Sassonia, è convinto invece che l’Olocausto sia stato “un utile strumento per criminalizzare i tedeschi”, come ha scritto su un oscuro giornale ‘prussiano’; è un ammiratore delle tesi neofasciste dell’italiano Mario Consoli, quello che sostenne che “sempre più Stati stiano oscurando la verità sull’Olocausto”.
Un ‘dogma’, anzi, un ‘mito’ che “è stato sottratto a un’indagine storica indipendente”.
Sono numerosi, tra i candidati dell’Afd, i simpatizzanti degli ‘Identitari’, un movimento di estrema destra che cerca di darsi un tono hipster per piacere ai giovani. Robert Teske, ad esempio, candidato a Brema, è convinto che i neonazisti di Charlottesville siano stati ‘provocati’.
Dubravko Mandic, candidato a Tubinga, sogna di una fusione tra Identitari e Afd e definisce Barack Obama un “negro da quota”.
Numerosi anche i fautori di una fusione tra gli anti islamisti di Pegida e l’Afd: per Thomas Goebel la Germania è invasa da “scrocconi e parassiti che mangiano la carne dei tedeschi”. Corre per un seggio in Sassonia.
Candidato in Baviera, Benjamin Nolte si è fatto notare qualche anno fa a un incontro di ex studenti, quando ha allungato una banana a un partecipante di colore.
Successivamente si è unito a Danubia, una nota fratellanza bollata dai servizi segreti tedeschi come di estrema destra che annovera tra i suoi membri il negazionista Horst Mahler.
Sempre nel Land più ricco, il numero due della lista elettorale Afd è il teorico di complotti Peter Boehringer, convinto che il mondo sia governato da una spectre, la NWO, che avrebbe infiltrato il governo, le ferrovie, la Csu e organizzazioni qua e là . Ovviamente i profughi sono marionette mandate dalla Siria e da altre zone di guerra per disgregare la Germania.
Anche tra le file del partito più giovane del panorama politico tedesco non mancano gli ex come il noto antisemita Martin Hohmann, cacciato dalla Cdu per aver sostenuto anni fa che ci sia una censura sul fatto che ebrei avrebbero ammazzato miriadi di persone durante la rivoluzione bolscevica.
Infine, in un partito così aperto alle novità , non può mancare un hooligan.
Sebastian Muenzenmaier, candidato di punta nella Renania-Palatinato, è sotto processo per aver malmenato nel 2012 coi suoi sodali del Kaiserslauten una cinquantina di tifosi del Magonza. In attesa della prossima udienza, tace e corre per il Bundestag.
(da “La Repubblica“)
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Settembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
“CONDIZIONI PESSIME, IN 18 MESI SIAMO ANDATI VIA IN MILLE”
«La verità è che il caos in cui si trova ora Ryanair è dovuto all’alto numero di licenziamenti dei piloti. Da inizio anno se ne sono andati in centinaia. Sono più di mille nell’ultimo anno e mezzo. Sono scappati per le pessime condizioni di lavoro».
A parlare è un pilota di 30 anni, che sotto anonimato racconta le condizioni di lavoro nella compagnia «low cost» di Michael O’Leary.
Il pilota è uno dei tanti che ha scelto di cercare fortuna professionale altrove, da inizio estate ha infatti lasciato Ryanair per un contratto migliore in una compagnia concorrente.
Ci sono altri motivi alla base della cancellazione dei duemila voli?
«Oltre alla fuga per cercare contratti migliori c’è chi è rimasto e ha fatto un ricatto all’azienda, chiedendo le ferie desiderate e minacciando altrimenti di andarsene».
Dove hanno trovato lavoro i piloti in fuga?
«Molti sono andati in Norwegian, gli inglesi hanno scelto invece Jet2. I comandanti con più esperienza sono stati presi dalle compagnie aeree cinesi. Alcune sono basate in Europa e fanno contratti prestigiosi, anche da 30 mila euro al mese».
E in Ryanair quanto guadagna un pilota?
«Ci sono due tipi di contratto. C’è chi è assunto direttamente dall’azienda e guadagna 7 mila euro al mese, ma si tratta di meno di un terzo dei piloti. E c’è chi lavora come autonomo, essendo legato a un’azienda interinale in Irlanda: in questi casi lo stipendio va dagli 8500 ai 10 mila euro, e la retribuzione è sotto forma di rimborso spese. Le cifre riguardano i comandanti, se parliamo invece di un primo ufficiale appena entrato il guadagno è dai 2 ai 4 mila euro».
I contratti hanno delle tutele?
«Chi lavora da autonomo non ha ferie nè la malattia e le tasse vengono pagate in Irlanda, non nel luogo in cui risiede il lavoratore. Questi dipendenti, come accadeva a me, vengono pagati in base a quanto volano e spesso vanno vicino al limite di 900 ore di volo all’anno. A queste cifre vanno però tolte le spese che gravano su ciascun pilota».
Cioè?
«Vengono scalati 5 euro per ora di volo per pagare i simulatori che servono per l’addestramento. E per andare a fare i corsi in programma due volte all’anno a Londra è necessario pagarsi l’albergo. In più ogni pilota è costretto a pagare il parcheggio dell’auto in aeroporto, la divisa, cibo e bevande a bordo. O ti porti l’acqua e un panino da casa oppure li compri sul volo come fanno i passeggeri. Se poi il catering è finito, allora stai senza. Stesso discorso per gli assistenti di volo, che guadagnano molto meno».
Che aria si respirava in azienda?
«Tra colleghi l’ambiente è amichevole. Ma l’azienda fa terrorismo psicologico, non si può rivendicare nulla e non è consentito avere rapporti col sindacato. Al primo problema sei fuori. Certo, bisogna ammettere che hanno un grande fiuto per gli affari e competenza nel gestire l’azienda. Ma forse hanno tirato troppo la corda e ora sta venendo fuori tutto».
(da “La Stampa”)
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Settembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
UN REFERENDUM IMPOSSIBILE PROVOCA UNA GRAVE CRISI SOCIALE E POLITICA
Ricetta per il cocktail di questo autunno: mescolare in un bicchiere concetti emotivamente potenti come ribellione, democrazia, disobbedienza, indipendenza e “vogliamo votare”.
Aggiungere uno spruzzo di un buono spumante catalano. Agitare bene e voilà ! Provatelo in una coppa fredda: è stimolante e frizzante, un sapore perfetto per dimenticare i problemi quotidiani, dimenticare il passato, e sorridere al futuro. Attenzione perchè è anche infiammabile: se le dosi non sono rispettate o se il barman è imbranato, può trasformarsi in un cocktail molotov.
La Spagna sta vivendo giorni molto elettrici politicamente e socialmente parlando, alla vigilia del prossimo primo ottobre, data in cui i catalani sono stati convocati dal loro governo a votare su se vogliono staccarsi dalla Spagna e creare una “Repàºblica” indipendente.
Fin qui arrivano le similitudini con altri referendum secessionisti, come quello della Scozia del 2014, o del Quebec nel 1995. Tutto il resto che gira attorno questa convocazione è pura irregolarità .
Irregolare perchè il referendum è stato sospeso per via della sua prevedibile illegalità , dal più alto Tribunale spagnolo, quello Costituzionale.
Perchè nessuno sa se ci sono urne, a parte il governo catalano, che dice di tenerle nascoste, da qualche parte (la polizia cerca urne e schede, che però nessuno sa dove si trovino e con che soldi siano state pagate e nemmeno se davvero esistano).
Perchè nessuno sa dove si va a votare, nè chi sarà garante del processo: i funzionari non possono farlo legalmente, per cui saranno volontari, dice il governo.
Ancora più kafkiano: perchè non si sa quale registro elettorale il governo pensa di utilizzare. Il registro elettorale di votanti aggiornato lo custodisce chiuso a chiave il governo centrale, perchè fa parte delle sue competenze.
Sommiamo a tutti questi ingredienti il peccato originale: la Legge del Referendum che deve dare copertura legale a questa strana rappresentanza è nata all’inizio di settembre da una sessione turbolenta del parlamento di Catalogna, dove la maggioranza indipendentista ha rigirato i termini legali e le garanzie parlamentari del procedimento, lasciando senza voce i partiti della opposizione.
È importante ricordare che i voti di questa “minoranza” sommati arrivano a oltre il 50% del voto popolare.
Però la chiave non sta tanto nella Legge del Referendum, quanto nella Legge di Transitorietà , approvata con lo stesso procedimento, che consente la proclamazione della Repàºblica catalana se lo scrutinio delle schede dà la maggioranza, anche solo per una scheda, al “sà'”.
La percentuale di partecipazione risulta irrilevante.
Quindi ipoteticamente, a partire del prossimo due ottobre, il governo catalano potrebbe proclamare l’indipendenza catalana attraverso un processo in cui ha votato meno della metà della popolazione, in base a un registro elettorale non valido, con urne, schede e luoghi di voto che nessuno sa dove si trovino, e senza che ci sia stata campagna a favore del “no” all’indipendenza (la campagna per il “sà'” per tre anni ha occupato in modo onnipresente il panorama politico/mediatico catalano, sebbene ora siano proibiti annunci e cartelli).
Non c’è paese al mondo nè istituzione sopranazionale che possa riconoscere l’indipendenza di un territorio ottenuta con così poche garanzie democratiche.
Gli indipendentisti catalani, il cui spettro ideologico va dall’estrema sinistra fino alla destra tradizionale, sono perfettamente consapevoli dell’imperfezione del processo. Dicono che non gli restano alternative.
E hanno ragione.
Perchè il governo conservatore spagnolo afferma che un referendum di autodeterminazione è impossibile secondo l’attuale Costituzione spagnola.
Anche l’esecutivo ha ragione.
E le leggi possono essere cambiate, certo, però per modificare la Costituzione ci sarebbe bisogno del Partido Popular, che mai lo permetterà : finirebbe così di essere la forza più votata in Spagna (in Catalogna è la quinta). Quindi torniamo al punto di partenza.
Per quelli che vogliono l’indipendenza è difficile tanto quanto lo è per quelli che vorrebbero votare per decidere di restare in Spagna.
Insieme arrivano a un 70% della società catalana, e questo dato è importante: il dibattito per l’indipendenza si sovrappone al dibattito sul diritto all’autodeterminazione.
È un secolo che esistono dinamiche indipendentiste in Catalogna, fino a poco fa minoritarie. Negli ultimi anni, con la crisi economica e i tagli ai conti pubblici, la percezione di un maltrattamento fiscale e politico in confronto ad altre regioni spagnole si è cristallizzata in un sentimento anti-spagnolo che sta aspettando un qualunque eccesso di autorità da parte del governo centrale per giustificarsi.
Il presidente Rajoy ha fatto affidamento alla teoria del soufflè: “Già abbiamo avuto prima pulsioni indipendentiste, resistiamo protetti dalla legge, finchè si sgonfieranno”. Essere inflessibile e immutabile gli si è ritorto contro: ora il cocktail frizzantino si è trasformato in molotov.
Siamo passati dal referendum come strumento culturale ad una squallida realtà in cui i sindaci indipendentisti (oltre 700, che rappresentano il 40% della popolazione catalana) vengono perseguiti dalla giustizia — prima ancora che sia successo niente -, e i sindaci non indipendentisti (fondamentalmente le grandi aree urbane) hanno cittadini inferociti che li accusano nelle strade e in rete.
Alcuni giudici, che si sono fatti prendere la mano, stanno persino proibendo dibattiti e manifestazioni di appoggio al referendum.
Una follia in piena regola, con il governo centrale che si nasconde dietro ai tribunali, e il governo catalano dietro ai sindaci.
Ad ogni azione della giustizia attraverso la polizia, corrisponde una protesta più forte in strada. I politici responsabili di organizzare il referendum possono anche loro finire in prigione: questo non è uno scherzo.
L’Europa non riesce a credere a ciò che sta avvenendo.
La cancelliera Merkel è molto preoccupata: la Spagna è stata la sua allieva modello nel suo esperimento di austerità , la dimostrazione che le sue ricette funzionano: quest’anno, un decennio dopo lo scoppio della crisi finanziaria in Usa, il Pil spagnolo può superare il 3%, al di sopra della media europea.
La nuova occupazione è precaria, sì, però non smette di crescere. E proprio quando Bruxelles e Berlino stavano respirando di nuovo pensando che gli indignados spagnoli si fossero calmati, si ritrovano in Catalogna con tutta l’ira, la disaffezione istituzionale, l’insofferenza contro l’establishment che sono diretti ora contro la Spagna. Un cigno nero, uno scenario imprevisto.
Il conflitto catalano è tanto antico quanto postmoderno, e ora imperano le nuove leggi del populismo, il giochino di infiammare le emozioni piuttosto che dare argomenti, e lasciare che le notizie false avvelenino l’ambiente.
Trovatemi, per esempio, un solo catalano indipendentista che riconosca che una Catalogna indipendente si ritroverebbe fuori dalla Ue: fuori dall’ombrello della Banca Centrale Europea, dei fondi strutturali, dell’euro, dei centri di decisione.
Dal momento che risulta inconcepibile, dicono che è impossibile, che non succederà .
Quel che è certo è che non succederà perchè il primo di ottobre potranno esserci urne, ma non un referendum, e ancor meno indipendenza.
Quello che invece ci sarà saranno le foto che alcuni dei promotori di questo buffo dramma sembra che cerchino disperatamente: agenti delle forze dell’ordine che cercano di impedire che cittadini pericolosamente armati di schede votino. Aggiungeteci la possibilità che tutto questo processo si concluda con politici arrestati…
La causa sovranista avrà ottenuto nuovi adepti, e tutti noi catalani e spagnoli che crediamo che il futuro insieme sia meglio che separati, avremo perso.
Manuel Chaves Nogales era un giornalista spagnolo che negli anni 20 e 30 raccontò come pochi l’espansione del fascismo e del comunismo in Europa, la II Repubblica in Spagna e l’esplosione della Guerra Civile.
Nel 1936, dalla Catalogna, lasciò scritto: “Il separatismo è una sostanza rara che si usa nei laboratori politici di Madrid come reagente per il patriottismo, e in quelli della Catalogna come addensante per le classi conservatrici”.
È l’origine di un conflitto che, 80 anni dopo, sta tracimando i confini della politica.
(da “Huffingtonpost”)
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