Ottobre 4th, 2017 Riccardo Fucile
SONO CENTINAIA, TRA FINTE PARTITE IVA E CO.CO.CO. … IL BUDGET MENSILE A DISPOSIZIONE DI UN PARLAMENTARE PER PAGARLI E’ 3.690 EURO ALLA CAMERA E DI 4.180 AL SENATO
Una borsa, un badge e un passo svelto. I collaboratori parlamentari attraversano i corridoi che contano al seguito di un onorevole avvolti da un velo di mistero.
Quanti sono? Come vengono pagati?
A questa domanda hanno tentato per la prima volta di dare una risposta, nel luglio scorso, i questori della Camera Stefano Dambruoso (Civici e Innovatori) e Paolo Fontanelli (Mdp).
«Il dato complessivo che ci risulta è di 612 contratti – riportò allora il Sole 24 Ore– dei quali 315 (51%) di collaborazione. Mentre gli altri sono suddivisi tra 150 contratti di lavoro subordinato (25%) e 147 autonomi (24%). Non sono disponibili per ora cifre sugli importi».
Stime di questo tipo non sono ancora state fatte al Senato ma è ragionevole ipotizzare che i numeri vadano dimezzati.
«Spese per attività istituzionali
Circa la retribuzione, nel silenzio dell’ufficialità , è l’Aicp, Associazione dei collaboratori parlamentari, a dare qualche cifra: la stima oscilla tra gli 800 e 1.200 euro mensili netti.
I tipi di contratto in essere sono almeno tre: vecchi co.co.co, finte partite Iva travestite da consulenze e contratti a tempo determinato.
«A volte qualcuno di noi finisce per lavorare per due-tre parlamentari contemporaneamente – spiega il vicepresidente di Aicp, Josè De Falco – altrimenti non si arriverebbe a fine mese».
Il problema della retribuzione è centrale in questa vicenda: il budget mensile a disposizione dei parlamentari per pagare i collaboratori è pari a 3.690 euro alla Camera e a 4.180 euro al Senato.
Si tratta di «spese per le attività istituzionali», vale a dire, consulenze, convegni, sostegno alle attività politiche sul territorio, utilizzo di banche-dati, ecc.
Funziona in questo modo: la cifra viene erogata per l’intero subito e poi solo per metà deve essere rendicontata quadrimestralmente; l’altra metà invece è erogata forfettariamente.
Decidere quanta parte di questo budget riservare al collaboratore sta a ogni parlamentare che ha anche l’obbligo di depositare presso gli uffici competenti il contratto del proprio assistente, scegliendo il tipo.
«Quello che accade molto spesso – racconta De Falco – è che ai collaboratori vengano riservate le briciole».
Quante promesse
Eppure le promesse non sono mancate. Ad esempio, lo stesso Dambruoso, presentando i dati aveva rinviato a una settimana dopo ulteriori rivelazioni, in concomitanza con la presentazione della relazione sul bilancio della Camera per il triennio.
In realtà niente altro è stato svelato, mentre nella relazione si legge che «i deputati questori hanno ulteriormente approfondito il tema della disciplina del rapporto di lavoro tra deputato e collaboratore, tenuto conto delle soluzioni individuate dai principali Paesi europei, e confermano che l’attuale situazione di bilancio non consente di destinare al pagamento diretto delle retribuzioni dei collaboratori da parte dell’Amministrazione risorse finanziarie equivalenti a quelle impiegate negli altri Parlamenti».
Lo schema europeo
Ma qual è lo schema seguito dall’Ue? Il parlamentare sceglie in autonomia il tipo di contratto ma questo poi viene stipulato dall’amministrazione.
Un modo semplice per rendere trasparenti retribuzioni e contratti che ora, per lo più, non prevedono tutele per malattie e maternità e ovviamente neanche tredicesima. Un disegno di legge che ci permetterebbe di raggiungere lo standard europeo è all’esame da tempo della commissione Lavoro alla Camera.
«Sì, ma basterebbe che l’ufficio di presidenza ci convocasse per raggiungere un accordo» auspica il vicepresidente Aicp. Ieri la presidente della Camera Laura Boldrini ha incoraggiato l’ufficio di presidenza a muoversi in questo senso.
Sperando sia la volta buona.
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 4th, 2017 Riccardo Fucile
DALLE FRASI MAFIOSE ALLE ALLUSIONI SESSUALI, DALLE ASSUNZIONI FARLOCCHE AI FAVORI AGLI AMICI: LA LUNGA LISTA DI ILLEGALITA’… CARUSO ERA NELLA LISTA MONTI IN QUOTA FUTURO E LIBERTA’
Minacce in stile mafioso e molestie. Assunzioni farlocche e favori agli amici. Un elenco di
comportamenti ‘disonorevoli’. Un rosario di irregolarità .
Una lista di condotte illecite sulle quali ora si invocano accertamenti da parte della procura di Roma.
A partire dalla prima circostanza: il figlio del sottosegretario risulta assunto con un contratto a tempo indeterminato dal deputato amico. E quel deputato col sottosegretario condivide pure l’ufficio istituzionale, oltre che il partito centrista di appartenza: Democrazia solidale-Centro democratico.
Di fatto, ex montiani più ex Udc che ora dicono di “attendere spiegazioni” su quanto accaduto.
La sfilza però continua: il figlio del sottosegretario non viene pagato dal deputato per il ruolo di ‘assistente parlamentare e ufficio stampa’ ma percepisce la retribuzione direttamente dal padre, cioè il sottosegretario.
Come se non bastasse, il figlio incassa, sì, il compenso ma sul posto di lavoro non si vede mai: “Papà ha aperto un ufficio vicino casa mia e io sto sempre là … Mio padre mi vuole piazzare all’ufficio suo…”, replica il giovane a chi gli chiede conto della situazione.
Lui non sa che le sue parole, intanto, sono registrate senza censura.
Imbarazzanti anomalie che emergono dal servizio tv delle Iene: una video-denuncia sulla ‘parentopoli’ in Parlamento che ha già scatenato polemiche e spinto il generale (in aspettativa) Domenico Rossi, 66 anni, sottosegretario alla Difesa eletto nel 2013 alla Camera in quota Scelta civica (guidata dal ‘moralizzatore’ Mario Monti), a lasciare l’incarico di governo.
Lo scandalo dell’uso improprio delle auto della Difesa – che già lo aveva travolto nei mesi passati – all’epoca non era riuscito a fargli maturare la medesima scelta.
Forse perchè, stando al video attuale, quell’uso non si è interrotto con la debole difesa che Rossi tentò di fornire allora: “Ho sbagliato, onestamente e in buona fede”.
Illegalità , queste, rese note dalle parole di una collaboratrice del deputato.
Lui è Mario Caruso, siciliano, 62 anni.
A Montecitorio entra nel 2013 (dopo averci provato pure nel 2006 nella lista ‘Per l’Italia nel mondo’ di Mirko Tremaglia, esponente della destra italiana) con una candidatura all’estero in quota ‘Futuro e Libertà per l’Italia’ nella lista di Mario Monti.
La ragazza gli lancia, nell’ordine, molteplici accuse: è da un anno e mezzo che lei lavora come assistente del deputato senza essere pagata. Ma non è solo una questione di soldi: terminato lo stage gratuito di tre mesi, infatti, Caruso non l’ha mai contrattualizzata nonostante le ripetute promesse.
Ciò nonostante, per 18 mesi la giovane ha varcato tutte le mattine l’ingresso della Camera per svolgere le proprie mansioni (pattuite soltanto a parole).
Come ha fatto? Con un regolare tesserino nominativo e tanto di foto. Non è tutto: a ciò si aggiungono le molestie sessuali. La collaboratrice racconta di un invito a cena a Prati condito di avances e sottintesi. Poi gli sms: “Stasera sono a casa da solo, valuta tu cosa fare”. Lui dopo proverà a difendersi e a dire che le (eventuali) relazioni private nulla hanno a che fare con i contratti di lavoro da stipulare.
Sarà lei a registrare di nascosto la chiacchierata con Fabrizio, il figlio del generale, e a chiedergli perchè sul posto di lavoro lui non c’è mai.
La medesima domanda – sempre con telecamera nascosta – la giovane la rivolgerà direttamente a Caruso. Con tanto di strafalcioni grammaticali, il deputato dirà apertamente di aver fatto un favore al sottosegretario il quale, da padre, provvede pure a ‘remunerare’ il ragazzo.
L’elenco delle illegalità , tuttavia, non è finito.
Incalzato dall’inviato delle Iene che gli chiede spiegazioni su quanto emerso e denunciato, Caruso perde le staffe. Le parolacce fioccano, i gesti scomposti pure.
Se la prende con la telecamera puntata su di lui. E infine cede al peggio, la minaccia in stile mafioso: “Vai a f…..o, e se vuoi di più vienimi a trovare dove io abito sempre… ti faccio vedere io come si ragiona al paese mio”.
Il suo gruppo parlamentare, nel frattempo, ha deciso che a Caruso basterà scusarsi, pagare alla collaboratrice quanto dovuto e interrompere immediatamente il rapporto di collaborazione col figlio di Rossi.
Quanto al sottosegretario dimissionario, invece, gli scranni della Camera lo attendono. In qualità di generale, nel 2013 fu posto in licenza straordinaria per partecipare alle Politiche. E una volta eletto, collocato d’ufficio in aspettativa per la durata del mandato parlamentare.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 4th, 2017 Riccardo Fucile
LA PROTESTA DI CHI HA VOTATO NO: “NON CI SERVONO NUOVI CONFINI”
Mentre gli indipendentisti sfilano sulla Diagonal dentro le loro bandiere gialle e rosse, mentre risuonano clacson all’impazzata e pentole sbattute in segno di solidarietà , mentre gli studenti urlano «fuori le truppe di occupazione!» e tutti, insieme, alzano il dito medio a ogni passaggio dell’elicottero della polizia nazionale, c’è qualcosa che si perde in mezzo al frastuono.
Un’altra idea del futuro per questo pezzo d’Europa.
Quello che non si vede è la tassista Julia Correa che attraversa il centro sulla sua vecchia Renault Kangoo, nella giornata dello sciopero generale.
«Sono molto triste», dice. «Questa è sempre stata la città dell’accoglienza. Non mi sembra giusto non fornire neppure i servizi essenziali alle tantissime persone che vengono qui a fare la nostra fortuna. Trattare male i turisti significa trattare male noi stessi. Sono triste perchè questi ragazzi che stanno manifestando inseguono un’idea che risale al 1714. Guardano indietro, non avanti. Sono legati al passato. Ma io non credo che a noi servano dei nuovi confini. Questa città si fonda da sempre sull’apertura al mondo».
L’11 settembre del 1714 Barcellona cadde nelle mani della Spagna, dopo 14 mesi di assedio.
Ogni anno quella data viene celebrata con la festa nazionale della comunità autonoma della Catalogna. La resistenza all’assedio è l’origine del mito.
Ecco perchè i poliziotti mandati a manganellare dal presidente del governo Rajoy lo hanno fortificato. È sembrato un altro assedio, così come questi elicotteri che continuano a sorvolare Barcellona. Ora sono tutti in piazza. Almeno così sembrerebbe.
Parlano di un’adesione allo sciopero superiore all’80%.
Ma quello che non si vede è il presidente della associazione «Società Civile Catalana», l’architetto Mariano Gomà , al terzo piano di una palazzina moderna in Carrer de Còrsega. Sta discutendo animatamente al telefono: «Sì, ho capito, ma allora i prossimi saranno i Lombardi della Padania, oppure la Corsica o magari la Scozia. No… Io penso questo: se si rompe la Spagna, si rompe tutta l’Europa. Devono fare la massima attenzione a quanto sta accadendo qui in Catalogna».
Loro, quelli dell’associazione «Società Civile Catalana», hanno cercato di farsi sentire in ogni modo. Ma non ci sono riusciti più di tanto.
«Noi unionisti sembriamo quattro gatti», dice amaramente la tassista Correa. «Nessuno ha fatto campagna per il “No”. Questo è stato un grosso problema. Nessun politico è venuto qui a manifestare per la Spagna unita. E mentre molti si sono fatti prendere da questa furia indipendentista, i problemi pratici della città sono rimasti identici.
Nessuna strada. Nessun nuovo giardino oppure una scuola. Tutti i fondi sono bloccati. Siamo fermi. Soggiogati da questa vecchia idea di indipendenza».
Quello che non si vede è l’unionista Susana Gallardo, che ha messo in rete un video di lei ai seggi del referendum con una bandiera spagnola sulle spalle.
«Tutti mi chiedevano di toglierla, come se essere spagnoli equivalesse a qualcosa di vergognoso.
In compenso, sono riuscita a votare in quattro posti diversi con lo stesso nome, il che la dice lunga su quanto sia stato serio il referendum».
Non si vede l’infermiera Marta Colmenero lassù, nel quartiere Pedralbes, quello con la maggiore percentuale di unionisti. È una zona ricca, residenziale, con il Liceo francese, il monastero e certe villette in pieno sole.
L’infermiera è in bici, suo figlio nel seggiolino: «Per me, prima di tutto, è una questione sentimentale. La mia famiglia arriva dall’Andalusia. Mia madre e mio padre mi hanno educata così. A pensare alla Spagna come a un grande Paese pieno di diversità . Separarsi, può solo peggiorare le cose. Devono smetterla di litigare. Io credo che alla Catalogna potrebbe essere concessa l’indipendenza fiscale, sul modello di quella dei Paesi Baschi».
Ad appena cinque chilometri da qui c’è il comune di Hospitalet de Llobregat.
Con 260 mila abitanti il secondo più grande della Catalogna. Qui il 70 per cento della popolazione è unionista.
Come la sindaca Nàºria Maràn, eletta con il partito socialista. Ma essersi inizialmente opposta alla concessione delle scuole per il referendum, dichiarato illegittimo dal Tribunale costituzionale, l’ha messa al centro di una violenta contestazione.
«Non mi sento sola» dice adesso, mentre gli indipendentisti sfilano sotto al suo ufficio. «Ci sono molte persone in Catalogna che mi stanno vicine. Ma sono triste, indignata e molto preoccupata. Perchè gli animi sono esasperati, ci sono anziani in lacrime, c’è paura e rabbia nell’aria. La violenza della polizia nazionale contro la popolazione inerme, domenica ai seggi, ha peggiorato le cose. È stata una scelta politica sciagurata, quella del governo Rajoy. Serve una soluzione per tutti. Una strada condivisa. Un accordo».
Anche questo non si vede, nella giornata del frastuono.
(da “La Stampa”)
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Ottobre 4th, 2017 Riccardo Fucile
TRA CARD SUI SUCCESSI DEL SEGRETARIO DEL PD E INVITI A CONDIVIDERE: SI COPIA LO STILE DEL M5S
In questi ultimi mesi abbiamo imparato a conoscere lo stile della propaganda di Matteo Renzi News,
la pagina dei fan sfegatati renziani che è chiaro essere gestita direttamente da uomini del Partito Democratico.
Ma la comunicazione del PD nell’era renziana si avvale anche di altre pagine, gestite sempre da anonimi fan e sostenitori del Partito Democratico che pubblicano card a tutto spiano per magnificare e ricordare agli elettori i successi e le tante cose buone fatte da Matteo Renzi, da Paolo Gentiloni e dal PD.
È il caso ad esempio di due pagine non ufficiali della galassia Dem come PD 2018 e Democratici 2018.
Le pagine sembrano essere gestite dallo stesso gruppo di persone, che però secondo alcuni non hanno niente a che fare con il PD. Lo stile invece è il quello di Matteo Renzi News, pagina che evidentemente ha definito lo standard della comunicazione renziana sui social.
Un Ci sono le schede con i traguardi e i numeri delle misure approvate dal Governo. Ci sono quelle con le citazioni di esponenti del PD. Ci sono gli hashtag come #Avanti o #5StelleCadenti, #Vergogna5Stalle seguiti dall’immancabile — e perentorio — “metti like e condividi” d’ordinanza.
Così come per Matteo Renzi News anche PD 2018 ha una grafica ben precisa e curata. Insomma non siamo di fronte ad un gruppo di attivisti senza arte nè parte.
Le card hanno tutte la stessa impostazione grafica a seconda che si tratti del genere “successi del PD”, “citazioni di parlamentari e politici” o “critiche agli altri partiti”. Quest’ultima categoria è naturalmente la più problematica visto che è difficile criticare un partito politico senza cadere in uno stile becero e urlato.
Fa sorridere ad esempio la scheda dove Sinistra Italiana e Articolo Uno vengono definiti aiutanti della Destra.
Tra gli utenti c’è chi l’ha definita “una cafonata” e chi invece fa notare che sembra proprio “uno slogan da M5S”. Di quelli che si trovano — autoprodotti — nei gruppi come “Fan Club Luigi Di Maio” o “Algoritmo 5 stelle 40% e oltre”. Non proprio esempi di buona comunicazione politica.
Altre, come quella PD AL 40% ITALIA AL 100% fanno direttamente il verso ad alcune card ignorantissime prodotte dagli attivisti e dai simpatizzanti del M5S.
Con l’unica differenza queste ultime, così graficamente sgradevoli, sembrano più reali e veraci rispetto a quelle perfettine fatte dai fan di Renzi.
E qualcuno potrebbe pure malignamente far notare che il PD il 40% l’ha preso, ma al referendum del 4 dicembre.
Altre card invece sono direttamente un calco di quelle pentastellate.
In questa sulle indagini a carico di Virginia Raggi ci sono tutti i leit motiv grillini. C’è il “nessuno ne parla” (quando invece ne hanno parlato tutti) che lascia intendere che i giornali sarebbero tutti dalla parte del M5S.
E c’è il “condividente questa vergogna” la parola d’ordine del gentismo.
La narrativa poi sviluppa la storia del PD che ha preso un’italia a rischio bancarotta a causa di Berlusconi (ma non era il governo Monti?) e che “si è messo in gioco contro tutto e tutti” (anche se per ha governato con i voti di Berlusconi).
Una storia del genere potrebbe andare bene per un eventuale governo composto solo dal M5S, che non a caso da anni ripete il mantra ghandiano “Prima ti ignorano, poi tideridono, poi ti combattono. Poi vinci”.
Non mancano nemmeno post che rivendicano con orgoglio i successi del leader.
Matteo Renzi va a Stanford a tenere un corso? Ecco una bella galleria fotografica di Renzi a passeggio. Ricorda molto la soddifazione dei 5 Stelle quando Di Maio andò a tenere una lezione ad Harvard.
C’è pure il grande ritorno delle donne del PD che “ridono ad una dichiarazione di un politico del M5S”, in questo caso una di “Giggino Di Maio”.
Ma è davvero possibile che dei supporter del PD possano gestire una pagina producendo ogni giorno decine di card e postando continuamente per aggiornare sulla pagina?
Andando un po’ indietro nel tempo si scopre che prima del 4 settembre la pagina si chiamava Partito Democratico Casoria e che ha studiato a lungo lo stile grafico che caratterizza PD 2018 (e del resto basta scorrere le foto profilo per scoprirlo).
Quindi forse è improprio sostenere che si tratta di fan e simpatizzanti che non hanno alcun legame diretto con il Partito Democratico.
Anche perchè le altre due pagine del PD di Casoria, quella del circolo Angelo Vassallo e quella dei Giovani Democratiche, sono ferme dal 2016.
E proprio a Casoria a settembre è esploso un piccolo caso, con gli iscritti che volevano rinnovare la tessera lasciati fuori dalla sede del Partito.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 4th, 2017 Riccardo Fucile
LA PROCURA HA IMPUGNATO LA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI LIMITARE A 2 MILIONI DI EURO IL SEQUESTRO
È stata fissata per il 17 ottobre la discussione al tribunale del Riesame contro lo stop voluto dal tribunale ai sequestri dai conti della Lega Nord, disposto dopo la sentenza di primo grado nei confronti di Umberto Bossi e Francesco Belsito per la truffa allo Stato sui rimborsi elettorali da circa 49 milioni.
L’istanza è stata presentata dalla procura di Genova. Alla discussione parteciperanno anche i difensori del Carroccio.
Il pm aveva deciso di impugnare la decisione dei giudici di fermare il sequestro ai quasi due milioni di euro trovati sui conti in tutta Italia per fare chiarezza, in maniera definitiva, sulla vicenda e su casi analoghi che potrebbero verificarsi in futuro.
L’orientamento giurisprudenziale, a oggi, è quasi sempre stato quello di continuare a sequestrare somme di denaro alle persone giuridiche beneficiarie del frutto del reato commesso da un altro soggetto fino al raggiungimento di quanto previsto dalle sentenze. Nei giorni scorsi, invece, il tribunale genovese ha invertito la tendenza stabilendo che il blocco si ferma a quanto trovato al momento dell’esecuzione del provvedimento.
I sequestri erano scattati due settimane fa quando la Guardia di finanza aveva bloccato il denaro nei conti sparsi in tutta Italia.
Era stata la stessa procura a chiederlo dopo che il tribunale, a luglio, aveva disposto la confisca di quasi 49 milioni di euro in seguito alla condanna di Umberto Bossi, dell’ex tesoriere Francesco Belsito e dei tre ex revisori contabili.
(da “il Secolo XIX”)
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Ottobre 4th, 2017 Riccardo Fucile
LA DOMANDA PRESENTATA DUE SETTIMANE DOPO LA SCADENZA
Non c’è due senza tre. 
Dopo gli asili nido e la videosorveglianza, il Comune di Roma ha dimenticato di partecipare a un bando per fondi alle biblioteche indetto dalla Regione Lazio.
Il bando, pubblicato il 14 marzo scorso, è scaduto il 28 aprile. Il Sistema delle Biblioteche e Centri Culturali di Roma ha fatto pervenire la sua richiesta di accreditamento soltanto l’11 maggio, quasi due settimane dopo la scadenza dei termini.
Un errore che il vicesindaco Luca Bergamo imputa ai dipendenti capitolini: “Ho chiesto una relazione agli uffici perchè questa è un’attività ordinaria degli uffici e non passa per un atto dell’organo politico. Quando avrò la relazione saprò cosa è successo”.
La storia la racconta Giovanna Vitale su Repubblica Roma: in questi giorni alla Regione stanno procedendo con l’accreditamento delle biblioteche comunali nell’albo dell’Organizzazione bibliotecaria regionale (Obr) e si sono accorti che il Campidoglio ha presentato fuori tempo massimo la domanda necessaria per accedere ai fondi regionali che verranno destinati dalla giunta Zingaretti al servizio culturale, con apposita posta in bilancio:
Il bando, pubblicato il 14 marzo scorso, è scaduto il 28 aprile.
Ebbene il Sistema delle Biblioteche e Centri Culturali di Roma ha fatto pervenire la sua richiesta di accreditamento soltanto l’11 maggio, quasi due settimane dopo lo spirare dei termini.
Significa che quando i fondi verranno distribuiti a tutti i comuni del Lazio, la città eterna rimarrà esclusa. E i soldi, almeno per quest’anno, andranno persi.
E questa non è l’unica strana vicenda capitata alle Biblioteche di Roma, delle quali il Comune ha rinnovato il consiglio di amministrazione nel febbraio scorso.
Nel 2016 l’ente partecipò a un bando regionale con un progetto che venne riconosciuto meritevole di finanziamento (200mila euro) dalla Regione Lazio.
Quando venne l’ora di incassare, l’allora direttore ad interim delle Biblioteche, Vincenzo Vastola, si avvide di «alcuni elementi patologici del procedimento, configurabili come vizi di legittimità » e decise di annullare la pratica in autotutela. Il motivo?
Racconta sempre Repubblica: “Chi nei mesi precedenti si era occupato dell’istruttoria aveva infatti selezionato i partner privati del progetto senza pubblicare nè bandi nè avvisi, attingendo in modo discrezionale dal nuovo registro delle associazioni culturali. così violando «formalmente e sostanzialmente quei principi di imparzialità , parità di trattamento e trasparenza che informano il comportamento delle pubbliche amministrazioni», scrisse Vastola”.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 4th, 2017 Riccardo Fucile
PELUCHE E PUPAZZI IN AUTO PER ATTIRARE LE VITTIME
Da poco uscito dal carcere, dove aveva anche seguito un percorso psicoterapeutico specifico.
È un pedofilo recidivo l’uomo sottoposto a fermo dagli agenti della Squadra Mobile con l’accusa di aver abusato, l’11 settembre scorso, di una bambina cinese di 6 anni a Milano. L’uomo, S. M., italiano, 40 anni, con precedenti specifici e da poco uscito dal carcere di Bollate, è stato fermato nel tardo pomeriggio di martedì a Monza: aveva tentato di cambiare aspetto facendosi crescere un po’ di barba.
Gli atti sono stati conclusi dagli investigatori alle 9 di mercoledì mattina e sono stati inviati in procura.
Decisiva per arrivare al fermo a Monza, dove l’uomo viveva, è stata una segnalazione arrivata dopo che martedì mattina la Questura di Milano ha diffuso le immagini, ricavate dalla telecamere di sorveglianza, del sospettato della violenza.
Erano state sei o sette le segnalazioni arrivate in poche ore al centralino della polizia: su tutte sono stati fatti accertamenti.
Decisivo il fatto che a casa dell’uomo sono stati trovati i vestiti che, secondo gli inquirenti, sarebbero stati da lui indossati l’11 settembre scorso, visibili nelle foto e i video diffusi dalla polizia.
Un elemento ritenuto determinante dagli inquirenti, coordinati dal pm Gianluca Prisco, per procedere al fermo.
Giovedì il pm inoltrerà al gip la richiesta di convalida del fermo e di misura cautelare in carcere per violenza sessuale, per aver costretto la bimba a subire atti sessuali, aggravata dal fatto che la vittima ha meno di 10 anni e dalla recidiva specifica e reiterata.
Il fermato era già stato arrestato nel 2012: all’epoca, tra Milano e Lodi, usava lo stratagemma di tenere in auto peluche e pupazzi per adescare ragazzine fuori da scuole e oratori.
Le faceva salire in auto facendo loro dei complimenti e poi chiedeva prestazioni sessuali, a volte promettendo soldi in cambio.
L’uomo, all’epoca 37enne, operaio, residente a Lodi ma originario di Monza, venne arrestato il 6 agosto 2012 nella sua abitazione, dove viveva con una compagna, con le accuse di induzione alla prostituzione minorile, atti osceni in presenza di minori, atti sessuali con minorenni e corruzione di minori, sempre con le aggravanti di aver agito nei confronti di minori di 14 anni.
Per questi fatti è stato poi condannato con rito abbreviato nel 2013.
Secondo le indagini che aveva svolto la polizia, sin dal 2008 l’uomo agiva tra Milano, Lodi e Pieve Emanuele (Milano).
A far partire le indagini era stata la denuncia del padre di una bambina di 11 anni, avvicinata in un parco a Milano.
L’ordinanza di custodia cautelare era stata firmata dal gip di Milano Gianfranco Criscione su richiesta del pm Giovanni Polizzi.
Secondo l’accusa, l’uomo tentava di adescare le ragazzine, tra i 12 e i 14 anni, mentre era a bordo della sua Hunday, piena di peluche e con le tendine con disegnati i personaggi dei cartoon.
Avvicinava le vittime chiedendo sempre indicazioni stradali per poi passare ai complimenti per cercare la loro fiducia. Quando, però, si accorgeva che le piccole si spaventavano – e fortunatamente il più delle volte scappavano – chiedeva scusa, cercava in qualche modo di tranquillizzarle e se ne andava.
Da quanto si è saputo, l’uomo è stato anche in carcere a Bollate dove ha seguito un percorso psicoterapeutico specifico.
Ora, rinchiuso a San Vittore e assistito di fiducia dal legale Fabrizio Negrini (che non era presente al momento del fermo), attende l’interrogatorio di garanzia davanti al gip per la violenza nei confronti della bimba di 6 anni.
(da “il Corriere della Sera“)
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Ottobre 4th, 2017 Riccardo Fucile
LA NUOVA ROTTA PORTA GLI SBARCHI IN SARDEGNA: IN UN ANNO 1.310 ARRIVI, IL VIAGGIO COSTA AL MASSIMO 700 DOLLARI
Da Annaba, al Sulcis. Dall’Algeria alle coste sarde di Carloforte, Sant’Antioco e Porto Pino. 
La rotta è conosciuta dagli “harraga”- i migranti “che bruciano le frontiere”, come si dice in arabo — fin dal 2005-6. È il punto più vicino dell’Italia al Nord Africa, dopo la Sicilia e Lampedusa, ovviamente.
Secondo il quotidiano algerino El Watan, il viaggio costa al massimo 700 dollari: i prezzi sono cresciuti rispetto al 2016.
Con la rotta libica del Mediterraneo centrale sempre più insicura e pericolosa, la via algerina torna una possibile opzione per i migranti irregolari diretti in Italia.
I numeri segnano già in aumento: se nel 2016 gli sbarchi sono stati 1.106, ad oggi sono 1.310. Raddoppiati anche i migranti intercettati dalla Gendarmeria nazionale algerina: 400 persone in tutto il 2017, 800 solo tra gennaio e settembre, stando ai numeri riportati dalla stampa locale.
Per la stragrande maggioranza si tratta di uomini di nazionalità algerina: pochissimi i subsahariani. Poche le donne e i bambini.
Una popolazione migrante che ricorda quella che lasciava la Tunisia nel quinquennio 2006-2011. Anche il tipo di barche è lo stesso di quegli anni: pescherecci, spesso dotati di un buon motore che in 16-18 ore è in grado di completare la traversata, spiegano i migranti sempre ai media algerini. “Quasi nessuno vuole restare in Sardegna. Il loro obiettivo è l’Europa”, dice invece Angela Quaquero, delegata della presidenza della Giunta regionale per l’immigrazione.
I mesi più critici, in Sardegna, sono stati quelli tardo primaverili: l’isola era in mezzo a due flussi di migranti: uno diretto dall’Algeria, l’altro “di riporto” dalle navi della Guardia costiera e e della Marina con a bordo i profughi provenienti dalla Libia.
Ad oggi al porto di Cagliari ci sono stati oltri 3.500 profughi portati in Sardegna dalle navi che li hanno salvati nello Canale di Sicilia.
“C’è stato un momento in cui era difficile fare un’accoglienza come si deve, visto che il ricambio era continuo”, aggiunge Quuaquero. Infatti, nè i profughi, nè i migranti provenienti dall’Algeria — di cui quasi nessuno richiede l’asilo — vuole fermarsi. Nonostante questo ci sono stati episodi di grande tensione, come quello della notte tra il 27 e 28 luglio: a Dorgali, nel nuorese, alcuni sconosciuti hanno gettato una bomba carta in un centro di accoglienza, ferendo leggermente due nigeriani.
Ora, però, la situazione si è stabilizzata, con oltre 5mila posti di accoglienza occupati quasi totalmente da profughi partiti dalla Libia.
Gli altri, invece, dopo aver ricevuto un foglio di via, cercano di restare invisibili, di salire su una nave diretta verso l’Italia continentale lasciandosi la Sardegna alle spalle. Obiettivi: Germania, Belgio e Francia.
Algerine sono anche le organizzazioni criminali che gestiscono questi traffici.
Su questo fronte indaga la Guardia di Finanza, anche con il supporto di Frontex, che da febbraio ha un suo centro di coordinamento attivo a Cagliari.
Nessuna traccia, al momento, di agenzie umanitarie dell’Onu, Unhcr e Oim. Il timore che la rotta algerina possa ingrossarsi ulteriormente è tanto concreto da aver spinto il ministro dell’Interno, Marco Minniti, ad andare ad Algeri per incontrare l’omologo algerino Nourredine Bedoui.
L’altro interrogativo è legato al caos in Libia. La guerra che sta attraversando Sabrata, la città dove comanda il clan Dabbashi — secondo diverse inchieste giornalistiche pagato dall’Italia per gestire e controllare il flusso dei migranti — ha reso più complessa la partenza delle imbarcazioni.
Già oggi la rotta alternativa al deserto libico porta da Agadez — città snodo dei traffici via terra in Niger — all’Algeria.
Non è da escludere che la situazione possa evolvere ulteriormente. A maggior ragione visto l’elevato tasso di mortalità nel Mediterraneo centrale.
Gli ultimi dati dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) parlano del 2,1% dei migranti che muore durantela traversata. Un tasso così alto non si era visto nemmeno lo scorso anno, quando sempre l’Oim aveva registrato 4.700 vittime circa (5.096 secondo l’Unhcr).
In pratica se nel 2016 moriva durante il viaggio un migrante ogni 82 passeggeri, oggi ne muore uno ogni 48: quasi il doppio. I mesi peggiori, al momento, sono stati maggio e giugno, con 13 e 547 morti.
La causa principale è certamente data dalle condizioni di barche e motori, incapaci di completare la traversata. Per questo, dall’inizio dell’anno, la Commissione europea ha fatto approvare un embargo sulla Libia per impedire che vengano venduti i gommoni di plastica messi in acqua dai trafficanti.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 4th, 2017 Riccardo Fucile
NON SONO STATI PAGATI GLI STIPENDI DEGLI ULTIMI DUE MESI
Natale si avvicina, ma c’è il rischio che sia meno “dolce” degli anni scorsi.
I dipendenti della Melegatti – l’azienda veronese dove nel 1894 è stato inventato il pandoro – protestano contro il mancato pagamento degli stipendi degli ultimi due mesi.
Sembrerebbe poi – scrive l’Ansa – che ci siano carenze nel rifornimento delle materie prime. La produzione, dunque, è a repentaglio, a poco più di due mesi dal periodo in cui l’azienda realizza il massimo delle vendite.
I 90 dipendenti della Melegatti, per lo più donne, hanno manifestato il loro malcontento davanti al municipio di San Giovanni Lupatoto, in provincia di Verona. Anche il sindaco del comune, Attilio Gastaldello, dopo aver incontrato sindacati e lavoratori, si è detto disponibile ad incontrare la proprietà .
Alla base dei ritardi nei pagamenti, una crisi societaria: “Ieri era fissato l’incontro in azienda – ha detto Paola Salvi, segretario della Flai-Cgil – per un nuovo socio-finanziatore annunciato dalla proprietà , invece si sono presentati degli avvocati che illustrando la situazione si sono contraddetti tra loro”.
I problemi aziendali si ripercuotono, secondo il segretario, sui dipendenti, molti dei quali non hanno altre entrate oltre allo stipendio che dovrebbero ricevere alla Melegatti: “Qui ci sono molti lavoratori monoreddito, che non vedono soldi da due mesi, che restano in fabbrica a non fare niente. Ci sono stagionali che erano stati chiamati per la produzione invernale, hanno sospeso la disoccupazione e rinunciato ad altre opportunità e poi non hanno lavorato. E con l’azienda non si ottengono risposte nemmeno per l’attivazione della cassa integrazione”. I lavoratori stagionali sono circa 200 e anche loro, come i dipendenti fissi, oggi si trovano in difficoltà .
L’azienda l’anno scorso ha fatturato 70 milioni di euro. I sindacati, come riporta il Corriere del Veneto sperano ora in un’azione decisiva dei soci: “Si tratta di una grande e storica azienda veronese, ma i lavoratori non ce la fanno più. Adesso tocca ai soci muoversi”, affermano.
(da agenzie)
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