Ottobre 11th, 2017 Riccardo Fucile
IL GIOVANE, MINORENNE, ESTRADATO DALLA GRAN BRETAGNA DOVE SI ERA TRASFERITO CON LA FAMIGLIA… IN CARCERE IL PEDOFILO 40ENNE DEL COMASCO
È stato estradato in Italia un minorenne lombardo accusato di aver abusato sessualmente del fratellino più piccolo per soddisfare le richieste di una “fidanzatina virtuale” dietro la quale si nascondeva invece un pedofilo.
La Polizia di Stato aveva arrestato quest’ultimo ed individuato il minorenne, sul quale era stato disposto il mandato di arresto europeo in quanto si era trasferito in Gran Bretagna con la famiglia.
Il provvedimento, emesso su richiesta della procura dei minori sulla base delle risultanze delle indagini compiute dalla polizia postale di Verona, era stato eseguito alcuni mesi fa e nei giorni scorsi il giovane è stato riportato sul territorio nazionale e ha confermato agli inquirenti l’autenticità dei fatti documentati.
Il giovane, un adolescente lombardo, aveva fatto amicizia virtualmente con una 17enne con cui aveva iniziato a chattare.
Ma la ragazza in realtà , altro non era che un uomo di 40 anni, pedofilo seriale. Nel luglio scorso, la Polizia di Stato aveva arrestato il pedofilo che si trova attualmente in carcere, per detenzione di materiale pedopornografico.
Gli investigatori hanno individuato il minorenne sul quale è stato disposto il mandato di arresto europeo che lo ha riportato in Italia.
Il giovane ha confermato agli inquirenti l’autenticità dei fatti documentati. Tutto aveva avuto inizio con un’amicizia nata su Facebook tra il ragazzino ed un’apparente “ragazza di diciassette anni, piuttosto avvenente”, che prima lo aveva sedotto in rete e poi lo aveva indotto ad abusare del fratello di dieci anni più piccolo e ad inviarle il materiale pedopornografico realizzato.
Le indagini hanno consentito di risalire all’identità dell’uomo, un single pedofilo seriale, che viveva da solo in un condominio di una zona periferica della provincia comasca.
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2017 Riccardo Fucile
AVANTI, C’E ANCORA POSTO NEL TEATRINO DEI FASCI DA AVANSPETTACOLO
Dopo l’esibizionista dello stabilimento balneare di Chioggia, ecco un altro caso
psichiatrico.
È andato in scena sabato sera a Casella, Genova, durante la festa della Madonna del Rosario.
Nella chiesa di Santo Stefano, piena per la funzione, un gruppo di una ventina di persone è entrato all’improvviso. Due di loro sono saliti all’altare e hanno inneggiato a Mussolini col braccio destro proteso.
«Forse ci siamo lasciati troppo andare». Emilio Hromin lo ammette al termine di una lunga riunione chiesta dal parroco don Stefano Calissano, ieri pomeriggio in una stanza accanto alla chiesa, e che ha visto la partecipazione di un gruppo di parrocchiani che sabato erano a quella funzione.
Sul braccio destro Hromin ha tatuata la scritta “DUX”. «I miei nonni – racconta – sono scappati dalla Dalmazia per colpa dei russi». Sui fatti di sabato insiste nel dire che «noi volevamo solo festeggiare il compleanno di un camerata».
Il compleanno fascista nella sala parrocchiale ancora mancava negli annali di Casella. «Quando la signora Claudia è venuta a iscrivere la figlia al catechismo, mi ha chiesto se poteva avere la sala per una festa di compleanno. Immaginavo intendesse della figlia», sospira don Stefano. «Non di un, diciamo così, camerata».
La signora Claudia è Claudia Ferrando, moglie di Emilio Hromin e militante, come il marito, nell’organizzazione politica di estrema destra Fiamma nazionale-Rsi.
«Durante la nostra festa nella sala parrocchiale – racconta Claudia Ferrando – abbiamo appeso un foulard della Fiamma alla parete, per delle foto di gruppo».
Il foulard non è passato inosservato. Le persone che entravano in chiesa per la messa l’hanno visto dalla finestra aperta. Un minuto dopo è entrata in chiesa anche Claudia Ferrando per accompagnare la figlia, di sette anni, che era coi genitori alla festa ma voleva sentire la funzione. «Ho visto tornare mia moglie in lacrime – racconta Hromin – e non ho capito più niente».
*In chiesa don Stefano aveva appena saputo del foulard. «Vedendomi entrare – dice Ferrando – mi ha aggredita davanti a tutti».
«Le ho detto con tono forte e deciso di togliere subito quel simbolo», dice il sacerdote. «Mi ha umiliata», replica lei.
All’umiliazione ha fatto seguito la rappresaglia. «Quando offendi un fascista li offendi tutti. Siamo entrati in chiesa in una ventina», è il racconto di Hromin. «Io e mia moglie siamo saliti sull’altare. Abbiamo fatto il saluto romano e abbiamo ripetuto tre volte “A noi, viva il duce”».
La chiesa in quel momento era piena di famiglie con bambini.
Alla riunione di ieri, oltre al parroco e ai coniugi Hromin, c’era una piccola rappresentanza del paese compreso il sindaco, Francesco Collossetti.
Sulla pagina Facebook del Comune, il sindaco ha scritto un post di condanna: “Siamo vicini a don Stefano e pronti ad intraprendere qualsiasi iniziativa legale volta alla punizione dei responsabili di un atto tanto basso ed inqualificabile”.
La compagnia di giro del’avanspettacolo ora si sposterà altrove? Dove colpirà la prossima volta?
Ma è mai possibile che tutto un lavoro storiografico di analisi obiettiva del ventennio debba essere compromesso da queste macchiette?
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2017 Riccardo Fucile
“DA NOI 55 NAZIONALITA’, MANGIAMO INSIEME ALLA MENSA, MAI UN PROBLEMA”
Il momento della verità è arrivato: “Si gioca a carte scoperte”, è l’imperativo della Prefettura. E’ previsto per oggi, l’ultimo faccia a faccia tra comitati, Comune e prefetta a Palazzo Tursi: per chiudere una volta per tutte la tormentata vicenda di Multedo, i migranti che uan minoranza del quartiere non vuole nell’ex asilo Govone e da nessun’altra parte.
Perchè luoghi alternativi non ce ne sono, e il contratto per la gestione dello spazio assegnato tramite regolare bando da Largo Lanfranco a Migrantes, braccio operativo della Diocesi, è ormai siglato.
“Sentiremo cosa ci diranno i cittadini, non vogliamo un muro contro muro — stemperano in Prefettura — in questi giorni abbiamo parlato a più riprese con il presidente del Municipio”.
Adesso, la questione è garantire l’arrivo dei primi venticinque richiedenti asilo — attesi la prossima settimana — senza inasprire gli animi.
Perchè la paura dei migranti che al momento sono ancora accolti in Seminario è tanta: e infatti, quelli che saranno trasferiti per primi sono volontari.
“Abbiamo chiesto chi di loro se la sente — spiega don Giacomo Martino, direttore dell’Ufficio diocesano Migrantes — e abbiamo pensato di mandare avanti ragazzi che sono già qui da un po’: integrati e già avviati in un percorso di borse lavoro nelle parrocchie. Perchè gli ultimi arrivati sono troppo turbati”.
Don Giacomo, per le prime settimane, ha assicurato la sua presenza costante nella struttura: “Multedo diventerà la mia casa”, ha ribadito.
Intanto il comitato del no, dopo giorni di proteste, ha tentato l’ultima carta: una lettera aperta al Cardinale Angelo Bagnasco.
Nella vicenda interviene e fa sentire la sua voce il mondo dei sindacati e dei lavoratori di Sestri Ponente: che “in ritardo, lo ammetto”, sottolinea Giulio Troccoli, segretario della cantieristica Fiom-Cgil e storica figura del cantiere navale di Sestri, lancia il nuovo comitato Genova Solidale.
E alza la voce: “Basta razzismo, questa storia è una vergogna — tuona Troccoli — diciamo una volta per tutte che abbiamo salvato il cantiere anche grazie all’aiuto degli immigrati: qui dentro abbiamo 55 nazionalità , mangiamo alla mensa tutti insieme e mai un episodio
di intolleranza. Senza questi lavoratori le navi non riusciremmo nemmeno a farle”.
Il Comitato organizza una grande mobilitazione al Cinema Verdi di Sestri Ponente, il 19 ottobre alle 17: “In una città che sta morendo stiamo a discutere di poche povere persone?
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 11th, 2017 Riccardo Fucile
IL PRESIDIO DEL M5S, DEL SINDACATO DI POLIZIA E DEL “POPOLO” DEL GENERALE PAPPALARDO
“Dovevamo restare qui fino alle due e invece sono arrivati questi a gridare ‘onestà ,
onestà ‘”. Un poliziotto del sindacato “Italia celere” sente gli è stato scippato lo spazio dal Movimento 5 Stelle.
Oggi è una babele piazza Montecitorio: si sono incrociate e mischiate tre manifestazioni, che hanno difficoltà a convivere e a unire i loro ideali.
I poliziotti e le loro famiglie si sono dovuti spostare e lasciare posto ai grillini che hanno una rappresentanza più consistente.
Il banchetto di ‘Italia celere’ adesso si trova in una viuzza sulla destra della piazza e oltre a una ventina di poliziotti è rimasto un volantino dove si legge: “Contro un Parlamento che ci vuole torturati e ci considera matricole”.
Le voci si incrociano. Da una parte si sente urlare “O-ne-stà , o-ne-stà “, ma poco più in là si sente anche “Abusivi, abusivi”.
Queste ultime grida arrivano dagli uomini del generale Pappalardo, dai sovranisti che ieri hanno contestato Alessandro Di Battista che aveva pensato che la piazza fosse popolata dai grillini e invece no.
Nel mezzo c’è un mucchio di cartoni, su cui alcuni rappresentanti del Movimento Liberazione Italia hanno trascorso la notte. Come se non bastasse, nella folla si intravede anche un gazebo per la raccolta firme contro il reato di tortura.
Per adesso davanti Montecitorio c’è qualche centinaio di persone.
Siamo lontani dalla massa critica invocata ieri da Alessandro Di Battista in un video: “Se siamo duemila è la solita manifestazione, con cinquantamila cambia il discorso”. Ma il clou potrebbe essere giovedì, giorno del voto finale sulla legge elettorale, quando dovrebbe arrivare anche Beppe Grillo. I
ntanto, tra bandiere M5s e bandiere italiane, si sente urlare “Fuori la mafia dallo Stato”, “Fuori i partiti dalla Rai”, “Rosatellum peggio del porcellum”.
In questa variegata piazza si ascolta anche “andate a lavorare”, grido che gli uomini del generale Pappalardo rivolgono anche ai 5Stelle vicini di posto.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 11th, 2017 Riccardo Fucile
IN UCRAINA AL SOLDO DELLO ZAR RUSSO, ECCO CHI SONO
Un plotone di neonazisti italiani che combattono in Ucraina, schierati in prima linea contro il governo di Kiev sostenuto dalla Nato.
Ideologi “rossobruni”, stranieri e nostrani, che teorizzano e sostengono la guerra anti-europea dei miliziani filorussi.
Un istruttore di arti marziali che arruola mercenari nelle nostre città , per spedirli al fronte. Ex poliziotti congedati e militari reduci da altre guerre sporche.
Una misteriosa imprenditrice della sicurezza con base tra Londra e Milano.
Anonimi finanziatori russi che pagano i movimenti europei di estrema destra. E due reclutatori di casa nostra con radici politiche opposte: un neofascista e un comunista. Tutti uniti nel nome di Putin.
Sembra la trama di un film, ma i personaggi sono veri: sono i protagonisti di una serie di indagini dei carabinieri dell’antiterrorismo, che puntano a smascherare le reti di reclutatori e combattenti usciti dal nostro paese per arruolarsi nelle milizie dei separatisti filorussi nel Donbass, contrastati e condannati dall’Unione europea.
Sono italiani partiti per la guerra nell’Est dell’Ucraina, l’area ad altissima tensione dove pochi giorni fa si sono riaccese le ostilità , con un attentato terroristico contro Aleksandr Timofeiev, ministro delle Finanze dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, rimasto gravemente ferito nell’esplosione della sua auto.
Piccoli naziskin crescono
Queste indagini finora inedite, ricostruite dall’Espresso raccogliendo i primi atti diventati pubblici (perquisizioni, sequestri e numerosi messaggi su Internet degli stessi indagati), partono per caso, quattro anni fa, in Liguria. Dove, sui muri di chiese che accolgono immigrati e di scuole superiori, una notte compaiono scritte che inneggiano al nazismo, già viste in Lazio e in Toscana: «Anna non l’ha fatta Frank». «Priebke eroe». «Hitler per 100 anni».
I carabinieri mettono sotto inchiesta due ragazzini, che vengono perquisiti. Uno dei due minorenni nasconde in casa bombe militari, anticarro e antiaereo, più di un chilo di sostanze chimiche utilizzabili per fabbricare esplosivi e un detonatore.
I due ragazzini non sono una cellula isolata: hanno militato in CasaPound, poi sono passati con gli skinhead e da lì sono approdati in Forza Nuova. L’indagine ricostruisce gli stretti legami tra i due minori, i loro capetti e un gruppone di un’ottantina di naziskin sparsi in almeno cinque città italiane.
§Tutti con precedenti per atti di razzismo e violenti pestaggi contro immigrati e giovani di sinistra.
La novità , mai emersa in precedenza, è la gerarchia. I naziskin vivono in città diverse ma sono collegati: fanno parte di un’organizzazione che distribuisce gradi.
Acquisiti sul campo, con atti violenti: più pesti, più sali di grado. In pratica ottieni una promozione, come a scuola.
§Molti di loro ogni domenica vanno allo stadio, tra gli ultras. Perchè la curva è un palestra di violenza, dove ci si fa le ossa. I gradi vanno conquistati e ostentati: invece delle mostrine militari, ci sono le toppe sui bomber. E vengono assegnati a livello nazionale.
Le indagini documentano incontri e accordi tra un plotone di skin liguri e una decina di rappresentanti del gruppo dei Dodici Raggi di Varese, quelli che celebrano ogni anno la festa di compleanno di Hitler, a cui presenziano 400-500 neonazisti provenienti da tutta Europa.
Altra sorpresa: c’è una sezione finanziaria, chiamata “Skins 4 skins”, che raccoglie soldi per pagare le spese legali agli affiliati con grane giudiziarie. Liguri e toscani hanno rapporti di ferro anche con gli hammerskin milanesi di “Lealtà Azione”, la cui popolarità ha raggiunto ormai livelli preoccupanti tanto da avere propri uomini nelle istituzioni locali.
Da questa marea nera sempre in movimento, ecco spuntare una realtà imprevista: un movimento che si fa chiamare Partito comunitarista europeo (Pce). E sostiene apertamente i combattenti filorussi nel Donbass.
L’ex poliziotto in mimetic
Un’altra pista che porta alla guerra in Ucraina nasce negli stessi mesi da una verifica di routine. Ore 22.30, aeroporto di Malpensa. La polizia di frontiera ferma per un controllo quattro cittadini italiani. Tre di loro sono quasi colleghi: c’è un carabiniere congedato, un ex poliziotto e un vigilante privato ancora in servizio.
Sono scesi da un volo Mosca-Milano, ma si scopre che hanno trascorso un periodo di ben quattro mesi nel Donbass, la regione ucraina dove dal 2014 si combatte una guerra civile tra l’esercito di Kiev e i separatisti sostenuti da Putin.
Interrogati separatamente, i quattro si contraddicono in più punti, ma concordano di aver compiuto quel viaggio per cercare un loro amico, forse ricoverato in un ospedale di Lugansk, altra capitale filorussa dell’Ucraina.
L’amico in questione è Andrea Palmeri , un neofascista di Lucca, già capo degli ultras della sua città , con precedenti di non poco conto, che si è arruolato in una milizia filorussa. Il primo a lanciarsi mediaticamente rilasciando interviste ad alcuni giornalisti italiani.
Chi è l’ultra che combatte in Ucrain
Il capo della curva della Lucchese finisce nei guai con la giustizia, allora scappa a Donetsk e imbraccia il mitra. Spacciandosi per emissario di imprese italiane
Quando i poliziotti di Malpensa sentono il nome di Palmeri si insospettiscono. Decidono, così, di controllare le valigie. In quella del loro ex collega, trovano dei pantaloni mimetici, con un dettaglio rivelatore: all’altezza del ginocchio destro la stoffa è molto più consumata rispetto alla parte sinistra.
Sembra il segno evidente di un indumento usurato nella posizione tipica del cecchino. Messo alle strette, l’ex poliziotto fa una mezza ammissione: «Può darsi che possa essere stato fotografato mentre impugnavo delle armi. Ma giuro di non averle mai utilizzate e di non aver mai partecipato a combattimenti».
Pochi giorni dopo, gli inquirenti lo smentiscono. Confrontano il passaporto dell’ex poliziotto, originario della Sardegna, con una foto pubblicata da un sito dei filorussi: è proprio lui, ritratto in zona di guerra con la mimetica e un berretto militare di lana verde. Altre indagini poi documentano che i quattro finti turisti erano entrati in contatto proprio con il combattente italiano ormai dichiarato: l’ex capo dei naziskin di Lucca.
Arti marziali e agenzie privat
Una pedina centrale nella rete italiana di reclutamento è un esperto di arti marziali che si presenta come un ex parà russo, anche se è di origine albanese. Ha un lavoro ufficiale come impiegato in un grande studio legale di Milano, ma gestisce anche una palestra, dove insegna le tecniche di combattimento militare russo.
Giura di aver combattuto in Cecenia e si vanta di aver ucciso decine di terroristi. Di certo, almeno secondo l’accusa, la sua palestra è una copertura per arruolare in Italia giovani estremisti di destra, da inviare in una brigata filorussa apertamente neonazista, che combatte nel Donbass sotto bandiere con la svastica.
La rete di ipotetici fiancheggiatori comprende anche strane aziende di sicurezza privata. Una donna italiana, ufficialmente imprenditrice, è titolare di un’agenzia costituita a Londra ma che di fatto opera in Lombardia.
La sua società «promuove il raggiungimento dei livelli più elevati di sicurezza in contesti criminale e terroristico internazionale», promettendo anche agganci «a livello istituzionale».
Il suo profilo su Facebook si apre con l’immagine di un militare armato fino ai denti, in tenuta mimetica, con il volto coperto da segni neri. A seguire c’è un’infinità di “mi piace” ai messaggi di Matteo Salvini contro i migranti. All’agenzia della signora è legato un investigatore privato che ha lavorato nel mondo dello spettacolo. E che è finito sotto processo per un’accusa singolare: un sequestro di persona che avrebbe gestito presentandosi falsamente come uno 007.
Dalla Libia al Donbas
Combattere a pagamento all’estero è reato: un divieto imposto da una convenzione dell’Onu del 1989, ratificata dall’Italia nel 1995. La legge li chiama mercenari. Gli interessati negano di essere soldati privati e si presentano con un termine inglese più sfumato: contractor. §
Guardie, vigilantes, che fanno un lavoro legale, anche se in zone di guerra. Su questo sottile confine giuridico si muove anche l’indagine dei carabinieri, che ha identificato almeno sei italiani andati a combattere nelle milizie filorusse in Ucraina.
Secondo le autorità di Kiev, però, la cifra sarebbe più alta: almeno 25. Un gruppone tricolore prezioso per i separatisti. Con mansioni non marginali.
Secondo l’intelligence di Kiev, infatti, gli italiani al fronte ricoprono ruoli importanti nei battaglioni filorussi.
Anche perchè molti di loro hanno già un addestramento militare.
Per esempio, c’è anche un ex soldato italiano arruolato con i filorussi: ha 33 anni, è originario di Nola, si chiama Antonio Cataldo. Nel suo caso, la motivazione non sembra politica ma economica. Il militare campano vanta esperienze di guerra in Libia, dice di essersi addestrato nel 2009 in Russia, poi in Kazakistan, prima di tenere corsi d’addestramento a Panama, stando al suo profilo su Facebook, finanziati da una società offshore di quel paradiso fiscale.
La procura di Napoli, da quanto risulta all’Espresso, l’aveva addirittura inquisito per terrorismo, ma poi ha archiviato l’accusa con una motivazione che esclude finalità eversive, e quindi quel reato, ma conferma un curriculum inquietante: «Cataldo già dal 2011 si era trasferito in Libia per combattere dietro pagamento di danaro insieme alla truppe fedeli al colonnello Gheddafi. Più di recente si sarebbe spostato nel sud-est dell’Ucraina per unirsi alle truppe separatiste filorusse».
Per i pm napoletani, dunque, non è un terrorista, ma «sembrerebbe aver svolto attività militare da mercenario».
La sua presenza in Libia era stata scoperta quando fu sequestrato da ignoti rapitori, con altri due ostaggi. Liberato e rimpatriato dopo l’intervento della diplomazia italiana, aveva spiegato di essere andato in Libia per un servizio di scorta. Ora la nuova indagine lo inserisce in un altro teatro di guerra civile. A pagamento.
Un amico di Cataldo, partito con lui per il Donbass ma tornato subito in Italia, precisa che ogni straniero arruolato dai filorussi riceverebbe uno stipendio netto di 400 euro al mese: può sembrare una piccola cifra, ma in Ucraina basta per affittare dieci appartamenti.
Della stessa somma, guarda caso, parlava il camerata lucchese Palmeri, intervistato da “Le Iene”, che la presentava però come un rimborso spese.
Nei circuiti nazifascisti italiani, che oggi sono il principale bacino di reclutamento per la guerra in Ucraina, si parla però di cifre più pesanti: «Cinquantamila euro» per andare in prima linea e rischiare di tornare «con una pallottola nella pancia». Tuttavia nessuno ha mai chiarito da dove arrivino i soldi per i combattenti stranieri.
Un mix ideologico “rossobruno”
L’indagine dei Carabinieri riconferma anche una mutazione ideologica che interessa pure l’Italia. Di fronte alla guerra in Ucraina, lo schema politico di partenza vedeva i camerati europei, neofascisti italiani compresi, schierarsi con il governo e con l’esercito di Kiev, sostenuto apertamente da partiti e movimenti ucraini di estrema destra, provenienti soprattutto dal sottobosco ultras delle curve.
Ma oggi anche i filorussi sono «nazional-comunisti», odiano gli immigrati, danno la caccia ai gay e vietano l’aborto.
Il loro ideologo di riferimento è Aleksandr Dugin, il teorico della creazione di un «blocco euroasiatico», di una grande Russia nazionalista, tradizionalista, ortodossa, anti-capitalista e anti-occidentale.
Ora anche i presunti reclutatori italiani dei combattenti filorussi si professano allievi di questo pensatore “rosso-bruno”, che ha riconosciuto apertamente la sua influenza sul presidente Vladimir Putin.
In alcune università italiane, da mesi, i suoi allievi predicano che «destra e sinistra sono etichette superate, roba del secolo scorso». E in questo nuovo scenario maturano alleanze fino a ieri impensabili tra opposti estremismi.
Come un patto segreto, nel nome di Dugin, tra due italiani accusati di reclutare insieme mercenari filorussi, nonostante le opposte radici politiche: un tradizionalista cattolico entrato in Forza Nuova, che tiene i contatti con gli skinhead, e il capo di un movimento studentesco di estrema sinistra, che si preoccupa di nascondere ai compagni il suo lavoro con i neonazisti.
La nuova ideologia divide dall’interno anche l’estrema destra.
I vertici di Casapound, ad esempio, si sono schierati con il governo di Kiev. Ma in visita nel Donbass spuntano anche esponenti romani del movimento, come Alberto Palladino, detto Zippo. Militante che nel 2008 balzò agli onori delle cronache per aver partecipato all’aggressione degli studenti di sinistra a piazza Navona. E ora si occupa di esteri nella redazione del “Primato nazionale”, giornale online di riferimento del movimento di estrema destra.
Quel vertice a San Pietroburg
A livelli più alti, l’indagine sui reclutatori italiani permette di documentare una serie di contatti internazionali tra il regime di Putin, i neonazisti europei e i neofascisti italiani. Nel marzo 2015, ad esempio, dieci movimenti europei di estrema destra vengono invitati a San Pietroburgo al “Forum internazionale conservatore russo”, patrocinato dal Cremlino
Il vertice è organizzato dal fondatore del partito Rodina, che riunisce l’ala nera dei sostenitori di Putin.
Tra gli ospiti ci sono tutti i capi dei movimenti neonazisti inglesi, tedeschi, svedesi, bulgari, accanto ai comandanti militari di due brigate rossobrune, quelle con la svastica, dei filorussi che stanno facendo la guerra in Ucraina. Come per esempio il leader del famigerato battaglione Rusich, un giovanissimo comandante ritratto sul web come uno spietato guerrigliero.
Per l’Italia sono presenti Roberto Fiore, leader di Forza Nuova; Luca Bertoni, un fedelissimo di Salvini che rappresenta l’associazione leghista Lombardia-Russia; e Irina Osipova, un’italo-russa già candidata alle comunali a Roma con Fratelli d’Italia.
Ai tavoli ufficiali si discute di un memorandum per la formazione di un coordinamento delle «forze conservatrici». Ma a ricevere gli ospiti è l’ex governatore del Donbass, che fu il primo ad annunciare la creazione di brigate internazionali di combattenti filorussi, che comprende «anche italiani».
Al ritorno a Roma, poi, alcuni indagati raccontano su Internet di aver incontrato «un oligarca amico di Putin», che «paga i movimenti nazionalisti e antiglobalisti» in tutta Europa. Un sospetto sollevato anche dalla nostra intelligence.
A svelare il ruolo dei combattenti italiani nel Donbass, stando agli atti giudiziari, ora c’è una prima fonte interna.
Un soggetto che conosce da anni il soldato campano Cataldo. E nel 2015 segue il suo consiglio: parte per Rostov e poi sconfina nel territorio ucraino controllato dai miliziani filorussi.
All’arrivo era convinto di trovare lavoro nella sicurezza privata, poi scopre che deve combattere. Acquista una tuta mimetica, giubbotto militare, guanti, scarponi, ma non vuole andare in guerra: decide di passare qualche settimana al fronte per poi vendere le informazioni a personale della Nato, in guerra contro i filorussi.
Tornato in Italia, inizia a rivelare i segreti della nuova guerra tra blocchi dell’est e dell’ovest.
Spie, infiltrati, doppiogiochisti. E militari, il lato più oscuro di questo intrigo.
Nella brigata neonazista dei filorussi risulta inquadrato un certo Vladimir Verbitchii, nato in Moldavia, ma residente a Parma.
Lui stesso racconta a un camerata italiano, che lo ha intervistato in Ucraina, un retroscena inquietante. Prima di partire per il Donbass, dove ha scelto come nome di battaglia “Parma”, spiega infatti di essersi addestrato come paracadutista già in Emilia, con l’aiuto di alcuni militari italiani. Chi sono questi uomini in divisa disponibili a trasformare un ragazzo in macchina da guerra? Fedeli servitori della Repubblica?
(da “L’Espresso”)
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Ottobre 11th, 2017 Riccardo Fucile
MOGLI, FIDANZATE E ASSISTENTI CORRONO PER LE REGIONALI
Nel M5S la famiglia è molto importante. Famiglia naturale e famiglia politica, s’intende.
Perchè è ormai una costante quella di ritrovare nelle liste dei candidati parenti o amici di attivismo diventati nel frattempo assistenti o portaborse.
Qualche giorno fa ad accendere una luce su questa deriva dei grillini ci ha pensato Davide Barillari, ex candidato governatore del M5S per il Lazio e di nuovo in corsa per la Regione, contro la deputata Roberta Lombardi: «Noi siamo contro chi sfrutta un lavoro in una istituzione per prepararsi una candidatura. Così come lo siamo contro le parentele. Purtroppo abbiamo avuto in passato queste cose, madre e figli in Parlamento ( Cristian Iannuzzi e Ivana Simeoni, usciti dal M5S, ndr); su Roma il presidente dell’assemblea capitolina Marcello De Vito, la moglie (Giovanna Tadonio, assessore III Municipio, ndr), la sorella (Francesca, ora candidata, ndr)».
Barillari forse non sa che la «portaborsopoli» grillina in Sicilia, dove il M5S ha denunciato gli «impresentabili» nelle liste del candidato di centrodestra Nello Musumeci, è ancora più estrema.
Nell’esercito di candidati della lista di Giancarlo Cancelleri l’osmosi tra candidature, portaborse e parenti è un vizio che parte dalla testa.
Cioè proprio da Cancelleri, che, come è noto, ha una sorella, Azzurra, deputata.
Anche il suo recente nemico, quel Mauro Giulivi che aveva fatto inutilmente ricorso contro lo stop della Casaleggio Associati alla sua candidatura, ha un affetto alla Camera: la fidanzata Chiara Di Benedetto, deputata.
Ma il reticolo di nomi e di legami è ancora più fitto.
Nella lista dei candidati appare Stefania Campo, ex assessore del comune grillino di Ragusa, dimissionata dopo essere stata accusata di aver fatto pressioni per infilare il marito nella cooperativa che gestisce la lettura dei contatori.
Francesco Cappello, invece, ha un fratello che ci teneva proprio ad avere una poltrona: è stato candidato alle amministrative di Caltagirone nel 2012, a quelle del 2016 e alle europee del 2014.
Diana Valeria ha un compagno che è stato candidato con lei a Catania nel 2012, finito prima nella graduatoria dello staff del M5S in Regione e poi entrato in servizio in Senato al seguito della questora Laura Bottici.
Alberto Laspada si è candidato quest’anno dopo aver fatto, pure lui, l’assistente all’Ars, mentre Rosa Vilardi, risulta collaboratrice dell’onorevole Giulia Di Vita, sospesa dal M5S dopo lo scandalo delle firme false a Palermo.
Jose Marano e Marco Nipitella, moglie e marito, sono un’altra coppia d’amore pentastellato e si alternano nelle candidature.
Lui era in lizza per le regionali del 2012, lei, dopo aver provato ad agguantare un posto alle europee, è in gara per palazzo dei Normanni.
Alla “s” dell’elenco c’è Luigi Sunseri, collaboratore dell’europarlamentare Ignazio Corrao, a cui nel 2014 aveva lasciato il posto Salvatore Cinà , oggi ricandidato in Regione.
Nello staff di Corrao c’è anche Giuseppe Lomonaco, che fallita l’elezione alla Regione nel 2012 è partito per Bruxelles dopo un passaggio all’Ars: la fidanzata, Paola Pietradura, di Gela come lui, lo ha raggiunto in Belgio nella sede locale dello studio dell’avvocato Carmelo Giurdanella, già candidato sindaco M5S a Vittoria.
Quando salì a Roma, Tommaso Currò, primo parlamentare eretico, poi passato al Pd, aveva come inseparabile assistente Giuseppe Scarcella, oggi nell’elenco dei candidati dopo aver ambito al ruolo di governatore.
Scarcella è catanese come Clementina Iuppa, in corsa per il Comune nel 2013 e cognata di Antonio Fiumefreddo, presidente di Riscossione Sicilia fino alla rottura con il governatore Rosario Crocetta.
A questa tornata Iuppa non si è candidata e fa la portaborse di Angela Foti, che invece c’è nella squadra di Cancelleri. Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo volevano un M5S aperto a tutti e chiuso ai carrierismi.
Avevano sottovalutato che la politica è anche un lavoro.
(da “La Stampa”)
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Ottobre 11th, 2017 Riccardo Fucile
“CHE GARANZIE AVETE CHE I MIGRANTI NON VENGANO TORTURATI?”: LA DURA PRESA DI POSIZIONE DEL COMMISSARIO AI DIRITTI UMANI SULLA VERGOGNOSA POLITICA DEL GOVERNO ITALIANO
Il Consiglio d’Europa ha scritto all’Italia chiedendo chiarimenti sul suo accordo con la Libia.
In una lettera del commissario dei Diritti umani Nils Muiznieks al ministro degli Interni Marco Minniti si legge: “Le sarei grato se potesse chiarire che tipo di sostegno operativo il suo governo prevede di fornire alle autorità libiche nelle loro acque territoriali, e quali salvaguardie l’Italia ha messo in atto per garantire che le persone” salvate o intercettate non rischino “trattamenti e pene inumane, e la tortura”.
In particolare, nella lettera inviata il 28 settembre e alla quale, secondo quanto appreso dall’Ansa, il commissario non ha ancora ricevuto una risposta, si chiede “quali salvaguardie l’Italia ha messo in atto per garantire che le persone eventualmente intercettate o salvate da navi italiane in acque libiche, non siano esposte al rischio di essere vittime di trattamenti e pene inumane e degradanti e alla tortura”.
Nel documento si chiedono anche informazioni sul nuovo Codice di condotta per le ong coinvolte in operazioni di salvataggio in mare, una richiesta già rivolta alle autorità italiane in una lettera adottata ieri dalla Commissione migrazioni dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e indirizzata al capo della delegazione italiana, Michele Nicoletti (Pd).
Rispetto agli accordi con la Libia il commissario evidenzia che “il fatto di condurre operazioni in acque territoriali libiche non assolve il Paese dagli obblighi derivanti dalla convenzione europea dei diritti umani”.
Muiznieks ricorda che la Corte di Strasburgo ha stabilito, in varie sentenze, che gli Stati membri del Consiglio d’Europa rispondono delle loro azioni come se agissero nel proprio Paese quando hanno un controllo effettivo o esercitano l’autorità su un individuo sul territorio di un altro Stato.
Secondo il commissario “questo sarebbe, a suo avviso, vero per le navi italiane che intercettano e salvano migranti nelle acque libiche”.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 11th, 2017 Riccardo Fucile
PIANO PER VOTARE ANCHE LO IUS SOLI MODIFICATO
Il patto tra Paolo Gentiloni e Matteo Renzi, con la sponda del Colle, era stato siglato più
di dieci giorni fa, una triangolazione che ha consentito al premier di fare un passo certo non indolore.
«Se ce ne sarà bisogno si andrà avanti così, rischiamo di non portarla a casa», si son detti tempo fa i due leader. Da giorni il copione era già scritto e Mattarella ne era stato informato.
Ma fino a lunedì sera il premier propendeva per il “canguro”, ovvero la tagliola parlamentare studiata per neutralizzare i voti segreti: tuttavia, quando di fronte all’evidenza si è capito che il “canguro”, escogitato da Emanuele Fiano, avrebbe lasciato comunque in piedi diversi voti segreti, è stato chiaro a tutti che non ci sarebbe stata alternativa alla fiducia.
Perchè c’era un altro patto dietro le quinte, quello tra Rosato e gli altri capigruppo di Forza Italia, Lega e Ap: se salta un tassello salta tutto, niente scherzi.
E di questo patto si fa forte il premier quando ieri apre la riunione del Consiglio dei ministri: «Si pone la questione della fiducia, per facilitare il percorso della legge elettorale. Ce lo chiede la maggioranza perchè c’è il rischio di trovarsi con un nulla di fatto. L’unica cosa certa è che questa iniziativa è sostenuta da un arco di forze parlamentari più ampio della maggioranza e siccome abbiamo bisogno di regole certe e chiare non possiamo ignorarlo».
Il premier è preoccupato, sa di giocarsi l’osso del collo con un voto finale sulla riforma che sarà a scrutinio segreto.
Ma non ci sono alternative e tira dritto. Forte di un consenso largo alla fiducia. Di buon mattino arriva la benedizione di Forza Italia, della Lega e poi pure del Quirinale.
E a chi gli rinfaccerà il suo discorso di insediamento, Gentiloni è pronto a ribattere che le sue parole erano state «il governo non sarà attore protagonista, ma non starà alla finestra e cercherà di accompagnare il confronto, perchè il paese ha bisogno di regole certe pienamente applicabili e con urgenza».
§Insomma, Gentiloni sa che questo «è l’ultimo treno» e se non si prendesse a ridosso delle urne toccherà fare un decreto: con il governo alla ricerca di una maggioranza in aula su due monconi di legge elettorale, per di più a un mese dal voto. Un calvario.
Nel gran salone di Palazzo Chigi Andrea Orlando è l’unico a sollevare obiezioni sulla fiducia. «Scusate, il decreto lo avremmo fatto con il consenso di tutte le forze parlamentari, giusto? Quindi aspettiamo prima di porre in aula la fiducia: se Mdp mostra un minimo di apertura apriamo un tavolo con loro su alcune modifiche circoscritte». Orlando prima ne ha parlato con i capi di Mdp che gli hanno chiuso la porta, ma vuole provare lo stesso.
In Cdm gli rispondono Martina, Minniti, Lotti e Franceschini. Nessuna sponda a Orlando neanche dal ministro della Cultura, l’altro capocorrente forte del Pd. I ministri renziani alzano il muro e si va avanti con la fiducia.
A cui addirittura potrebbe seguirne un’altra, anzi altre due.
Se dal comignolo di Montecitorio venerdì mattina uscirà la fumata bianca, la legge elettorale passerà al Senato martedì in commissione: rapido via libera per arrivare in aula mercoledì o giovedì 19 ed essere varata anche lì con la fiducia.
In tale ingorgo è possibile che la legge di bilancio arrivi in Senato il 27 ottobre, aprendo una finestra anche per lo Ius soli: che sarà riscritto per andare incontro ad Ap, con un irrigidimento anche su entrambi i genitori regolarizzati per poter accedere alla cittadinanza.
Poi il testo andrebbe alla Camera a novembre che avrebbe tempo per approvarlo con la fiducia.
(da “La Stampa”)
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Ottobre 11th, 2017 Riccardo Fucile
L’ACCORDONE PERFETTO CHE SODDISFA TUTTI, DAL QUIRINALE ALLA LEGA… UN MODO CON CUI IL SISTEMA PERPETUA SE STESSO
L’accordone, anzi la forzatura del Sistema, viene sancita quando, prima del consiglio dei ministri, i capigruppo di Forza Italia chiamano Paolo Gentiloni: “Puoi mettere la fiducia — questo il senso del messaggio – noi non ci opponiamo e accompagneremo il percorso della legge fino alla fine”.
È una svolta che matura nelle ultime 48 ore, fortemente voluta da Renzi. Il quale, solo qualche giorno fa, confidava ai suoi: “C’è un unico modo per far passare la legge, con tutti questi voti segreti: la fiducia. Ma Brunetta non è d’accordo…”.
A convincere Silvio Berlusconi, mai entusiasta di questa legge, c’è innanzitutto un ragionamento, spietato e lineare, che ha a che fare le liste, le teste da tagliare e le facce da cambiare: “Renzi — dice una fonte di casa ad Arcore — ci ha recapitato questo messaggio: il Rosatellum, conviene sia a voi che a noi, perchè ci consente di far fuori quelli che vogliamo fare fuori”, che nella fattispecie sarebbero per uno la sinistra degli odiati D’Alema e Bersani, per l’altro quella nomenklatura che resisterebbe con le preferenze, per plasmare liste di obbedienti ai voleri del Capo.
In Senato fonti solitamente attendibili parlano anche di contatti diretti tra Renzi e Berlusconi che però le fonti ufficiali negano.
Ma non c’è solo questo, c’è qualcosa di più e più grande. C’è un Sistema che si tutela e autoriproduce, escludendo dalla prospettiva del governo quelle che una volta si sarebbero chiamate “ali” e oggi si potrebbero chiamare “turbolenze”, mutuando un termine del mercato.
I Cinque Stelle, la sinistra fuori dal Pd: turbolenze per la stabilità immaginata.
Il dato politico è che, su quest’ultima forzatura della legislatura, si realizza l’accordo perfetto, politico e istituzionale, come neanche ai tempi del Nazareno, che si ruppe sull’elezione di Sergio Mattarella.
Proprio dal Quirinale arriva il via libera sostanziale al patto che, al tempo stesso, configura un unicum assoluto nella storia repubblicana: due fiducie, sempre sulla legge elettorale, nello stesso settennato, prima sull’Italicum ora sul Rosatellum (leggi qui il via libera di Mattarella).
Con la stessa tensione fuori e dentro il Parlamento, con opposizioni che chiamano i militanti a manifestare fuori, con una nuova, drammatica spaccatura a sinistra. Certo con Mdp, ma anche nel corpaccione del Pd: “Sono scosso”, diceva Cuperlo in Transatlantico.
Detta in modo un po’ tranchant. Il cuore dell’accordo è certo il prima (liste di nominati e ognuno che torna padrone a casa sua) ma è soprattutto il dopo, ovvero il minuto dopo quelle elezioni su cui circolano già delle date, a sentire i renziani che hanno accesso nelle stanze dei bottoni: “Scioglimento il 23 dicembre, voto il 4 marzo”.
La legge agevola e fotografa una doppia opzione che, presumibilmente, il capo dello Stato si troverà di fronte: se il centrodestra raggiunge il 40, un governo di centrodestra, altrimenti le larghe intese.
Due opzioni che il Sistema ha già sperimentato, sia pur con diversi rapporti di forza quando la Lega era più debole.
E torna Renzi. Perchè la dinamica maggioritaria, anche se la legge sul punto è pasticciata, a livello politico e mediatico risuscita la figura del candidato premier, con una coalizione.
Col Consultellum votavi Pd non sapendo chi sarebbe andato a palazzo Chigi, con questa voti Renzi per mandarlo a palazzo Chigi. Cambia la dinamica. Torna la centralità dei leader e del voto utile.
Ecco perchè il segretario del Pd ha imposto la forzatura che, per esempio, non volle ai tempi della legge tedesca, di impianto proporzionale, affossata dal Parlamento.
Le perplessità di Gentiloni rivelano il senso di una operazione win win per Renzi, tutta giocata sulla pelle del governo: se il tentativo va a buon fine, ha vinto e incassa un’arma; se va male sono tutti povero Gentiloni, costretto a fare una legge di stabilità in un quadro terremotato e col governo che ha perso forza e faccia.
Quella vecchia volpe di Casini diceva a qualche collega a Palazzo Madama: “Vedrete che, al dunque, Silvio non avrà problemi a fare l’accordo con Renzi, con lui a palazzo Chigi. Non si impiccherà per Gentiloni o altri. Tanto sarà un governo di coalizione. Avrà i numeri per tiralo giù se l’altro non sta ai patti”.
Saranno anche ricette per l’osteria dell’avvenire, ma gli ingredienti si vedono tutti. Come anche l’oggettivo vantaggio di Salvini su una legge che gli consente di stare nel gioco e di lanciare, al tempo stesso, un’Opa su Forza Italia al Nord destinata a farlo crescere in modo rilevante in termini di consenso e forza parlamentare.
È il timore di Gianni Letta, la “salvinizzazione del centrodestra”, messo agli atti in tempi non sospetti.
Un parlamentare azzurro, critico, spiega: “Certo che conviene a Salvini. Al Nord fa il pieno e condiziona anche noi. Facciamo un esempio, tanto per capirci: nei collegi c’è da scegliere i candidati comuni. Berlusconi dice Tajani. Quello dice: i miei Tajani non lo reggono, voglio Toti. Così ci costruiamo la quinta colonna in casa”.
Insomma, l’accordo è perfetto, nella misura in cui ognuno incassa qualcosa.
E tutti disegnano un nuovo perimetro politico di Sistema nel quale giocare la partita del governo. Manca solo un voto segreto, dopo la fiducia.
Uno solo, invece dei novanta previsti se si fosse data al Parlamento la possibilità di esprimersi.
(da “Huffingtonpost”)
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