INTERROMPONO LA MESSA PER GRIDARE “VIVA IL DUCE” DALL’ALTARE
AVANTI, C’E ANCORA POSTO NEL TEATRINO DEI FASCI DA AVANSPETTACOLO
Dopo l’esibizionista dello stabilimento balneare di Chioggia, ecco un altro caso psichiatrico.
È andato in scena sabato sera a Casella, Genova, durante la festa della Madonna del Rosario.
Nella chiesa di Santo Stefano, piena per la funzione, un gruppo di una ventina di persone è entrato all’improvviso. Due di loro sono saliti all’altare e hanno inneggiato a Mussolini col braccio destro proteso.
«Forse ci siamo lasciati troppo andare». Emilio Hromin lo ammette al termine di una lunga riunione chiesta dal parroco don Stefano Calissano, ieri pomeriggio in una stanza accanto alla chiesa, e che ha visto la partecipazione di un gruppo di parrocchiani che sabato erano a quella funzione.
Sul braccio destro Hromin ha tatuata la scritta “DUX”. «I miei nonni – racconta – sono scappati dalla Dalmazia per colpa dei russi». Sui fatti di sabato insiste nel dire che «noi volevamo solo festeggiare il compleanno di un camerata».
Il compleanno fascista nella sala parrocchiale ancora mancava negli annali di Casella. «Quando la signora Claudia è venuta a iscrivere la figlia al catechismo, mi ha chiesto se poteva avere la sala per una festa di compleanno. Immaginavo intendesse della figlia», sospira don Stefano. «Non di un, diciamo così, camerata».
La signora Claudia è Claudia Ferrando, moglie di Emilio Hromin e militante, come il marito, nell’organizzazione politica di estrema destra Fiamma nazionale-Rsi.
«Durante la nostra festa nella sala parrocchiale – racconta Claudia Ferrando – abbiamo appeso un foulard della Fiamma alla parete, per delle foto di gruppo».
Il foulard non è passato inosservato. Le persone che entravano in chiesa per la messa l’hanno visto dalla finestra aperta. Un minuto dopo è entrata in chiesa anche Claudia Ferrando per accompagnare la figlia, di sette anni, che era coi genitori alla festa ma voleva sentire la funzione. «Ho visto tornare mia moglie in lacrime – racconta Hromin – e non ho capito più niente».
*In chiesa don Stefano aveva appena saputo del foulard. «Vedendomi entrare – dice Ferrando – mi ha aggredita davanti a tutti».
«Le ho detto con tono forte e deciso di togliere subito quel simbolo», dice il sacerdote. «Mi ha umiliata», replica lei.
All’umiliazione ha fatto seguito la rappresaglia. «Quando offendi un fascista li offendi tutti. Siamo entrati in chiesa in una ventina», è il racconto di Hromin. «Io e mia moglie siamo saliti sull’altare. Abbiamo fatto il saluto romano e abbiamo ripetuto tre volte “A noi, viva il duce”».
La chiesa in quel momento era piena di famiglie con bambini.
Alla riunione di ieri, oltre al parroco e ai coniugi Hromin, c’era una piccola rappresentanza del paese compreso il sindaco, Francesco Collossetti.
Sulla pagina Facebook del Comune, il sindaco ha scritto un post di condanna: “Siamo vicini a don Stefano e pronti ad intraprendere qualsiasi iniziativa legale volta alla punizione dei responsabili di un atto tanto basso ed inqualificabile”.
La compagnia di giro del’avanspettacolo ora si sposterà altrove? Dove colpirà la prossima volta?
Ma è mai possibile che tutto un lavoro storiografico di analisi obiettiva del ventennio debba essere compromesso da queste macchiette?
(da agenzie)
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