Ottobre 26th, 2017 Riccardo Fucile
PARLA LA MANAGER CHE HA OBBLIGATO IL GOVERNO BRITANNICO A PRESENTARSI IN PARLAMENTO: “CENTO BANCHE PRONTE A LASCIARE”
Non la sentirete mai lamentarsi nè raccontarlo, se non con il sorriso. E senza aggettivi.
Gina Miller ha subito decine di minacce di morte da quando ha vinto un ricorso a Londra per obbligare il governo a presentarsi in parlamento prima di far scattare l’articolo 50 del Trattato, quello per l’uscita dall’Unione europea.
Oggi questa donna di origini caraibiche, gestore di fondi, è la leader civile – non politica – della metà dei britannici che non vogliono la Brexit. Ancora di più lo è dopo la nomina da parte di Powerful Media come più importante cittadino britannico di colore.
Il negoziato sulla Brexit è in panne. Si va verso un «no deal», l’uscita senza accordo fra Londra e Bruxelles?
«C’è una minoranza di estremisti che ci punta e tiene il governo in ostaggio. Usano l’idea della “volontà del popolo”, il referendum, per intimidire. Qui gioca una combinazione di estremismo, fra i conservatori e i laburisti, e il fattore paura. I parlamentari sono terrorizzati di non essere rieletti e non osano parlare».
Terrorizzati da cosa?
«Dalla parte dei loro elettori che ha votato per la Brexit. Alcuni di loro mi hanno detto che capiscono quanto sarebbe catastrofica una rottura con l’Europa, ma non osano votare contro il partito».
L’orologio corre, resta poco più di un anno per uscire dalla Ue senza strappi traumatici.
«Questo è il problema. Andrew Bailey, il numero due della Bank of England, dice che se a dicembre non si profila un compromesso 107 banche inizieranno a muoversi da Londra. Oggi esistono circa cinquemila passaporti bancari di altrettante aziende per fare affari dalla City nel resto d’Europa. Bailey dice che nemmeno una ha fatto domanda per rinnovare la licenza. Non una. La gente non ne parla, ma dietro le quinte c’è agitazione, ci si prepara a andare. Nella City rischiamo di perdere quattromila posti in 18 mesi».
Andranno a Parigi, Francoforte, a Milano?
«Illusione. Molte banche americane, canadesi, asiatiche iniziano a pensare che se l’Europa è in un tale caos e la Brexit colpirà economicamente anche la Francia e la Germania, allora è meglio tornare a casa».
Cioè la Brexit rafforzerà New York?
«Certo e molti altri investitori e banchieri se ne vanno a Singapore o alle Mauritius».
In vacanza, vuole dire?
«Macchè vacanza, le Mauritius si stanno proponendo aggressivamente per catturare il business che se ne va da Londra. Hanno assunto funzionari da Bruxelles per le loro autorità di vigilanza, offrono accesso diretto all’Africa e all’Asia. I politici di Londra non capiscono, guardano dalla parte sbagliata».
Questione di tempo prima che siano presi dal panico?
«Devono chiedersi se a quel punto non sarà tardi. Quando un’impresa ha preso una decisione strategica, non la ribalta quattro mesi dopo solo perchè un politico ha cambiato idea. Se a dicembre vedono che si va verso il no-deal… Ma da mesi sospetto che tutto sia orchestrato esattamente per questo».
Da parte di chi?
«Di quelli che vogliono solo andarsene dalla Ue, senza accordo. Senza che si sappia come potranno decollare gli aerei il giorno dopo, o attraccare le merci a Dover, o come si potranno importare i farmaci. Noi inglesi compriamo dall’Unione europea metà di quello che consumiamo. Tutti pensano che una rottura con il no-deal sia uno scenario pazzesco, che non può succedere. Ma gli ultranazionalisti diranno che un no-deal è meglio che un cattivo deal e daranno la colpa all’Europa».
Perchè i grandi imprenditori non reagiscono?
«Se l’amministratore delegato dei grandi magazzini Sainsbury avverte che i prezzi degli alimentari possono salire del 32%, nei giornali finisce sepolto a pagina sei. Non in prima. Ma anche i leader delle grandi imprese stanno attenti, non vogliono perdere la clientela pro-Brexit».
Prevede che lo schiaffo del no-deal risveglierà gli inglesi e li indurrà a riconsiderare la Brexit?
«Oggi prevale un incantesimo, la percezione che c’è stato il referendum e sia irreversibile. La gente pensa che si debba comunque andare avanti, qualunque sia il risultato. Invece se ci fosse la volontà politica, legalmente si potrebbe farla finita con la Brexit domani. Dobbiamo spezzare questo stato mentale, questa apatia, questo pregiudizio».
Legalmente ci sono vie d’uscita, ma politicamente?
«Credo che gli strumenti legali vadano usati per dare ai politici lo spazio per arrivare alla decisione giusta. Bruxelles apprezzerebbe davvero, se ci prendessimo una pausa. I negoziatori europei non riescono a capacitarsi come sia possibile che Londra non abbia un piano. Perchè questo è venuto fuori: non abbiamo nulla in mano, non abbiamo presentato niente!».
L’impressione è che Theresa May subisca tutto senza riuscire a reagire.
«No. Vent’anni fa ha lavorato nella City anche lei e tutti quelli che l’hanno conosciuta bene mi dicono che lei ha sempre odiato l’Europa. Vuole una Brexit dura».
Dunque che scenario vede nei prossimi mesi?
«Se si vede che si va verso un no-deal, una parte dell’opinione pubblica comincia a rinsavire. La gente già mi manda email ogni giorno per dirmi che non è questa la Brexit che volevano. Allora magari un piccolo numero di parlamentari scozzesi o gallesi si ribella, May perde la maggioranza e si rivota a primavera 2018».
A quel punto chi vince?
«Il Labour, con un programma di nazionalizzazioni dell’economia stile anni ’50. Invece i Tory vorrebbero tornare all’impero. È tutto un andare indietro. Deve ancora peggiorare, prima che migliori».
(da “il Corriere della Sera”)
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Ottobre 26th, 2017 Riccardo Fucile
ALLE 17 PUIGDEMONT DOVRA’ ESPRIMERSI SULLA INDIPENDENZA, MA STA PERDENDO PEZZI… RAJOY PRONTO AD APPLICARE L’ART. 155
È ancora senza soluzioni il rebus catalano, a poche ore dall’intervento del presidente Carles Puigdemont al Parlament in cui dovrà esprimersi sulla dichiarazione o meno di indipendenza.
Nella notte si sono confrontati per circa 7 ore i gruppi indipendentisti convocati da Puigdemont allo scopo di concordare una strategia da tenere di fronte al commissariamento della Catalogna da parte del governo spagnolo.
Stando a El Pais, l’incontro si è però chiuso alle 2 di notte senza una soluzione definitiva.
Puigdemont, scrive il sito del quotidiano spagnolo, continuerà a tenere i contatti anche stamattina in vista della seduta del Parlament alle 17 dove dovrà esprimersi sulla dichiarazione o meno di indipendenza, che potrebbe poi essere votata domani.
Intanto è stato recintato e chiuso al pubblico il parco de la Ciutadella a Barcellona, che ospita la sede del Parlament.
Secondo i media spagnoli, il premier Rajoy si appresta a indicare una figura con un profilo più tecnico che politico e molto probabilmente di origine catalana alla guida della commissione che dovrà applicazione le misure dell’articolo 155 della Costituzione.
Secondo El Pais, l’esecutivo sta pensando di affidare l’incarico a una figura del genere per evitare possibili azioni giudiziarie.
Rajoy, aggiunge il quotidiano di Madrid citando fonti di governo, cerca la forma “meno invasiva” possibile in vista dell’applicazione dell’articolo 155.
Le misure saranno votate domani dal Senato spagnolo e entreranno in vigore immediatamente. La prima conseguenza sarà la cessazione dell’incarico del presidente Puigdemont e del suo governo.
(da agenzie)
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Ottobre 26th, 2017 Riccardo Fucile
I SENATORI DI ALA ALMENO CI HANNO MESSO LA FACCIA, NON COME CERTI VIGLIACCHETTI CHE ENTRANO DI NASCOSTO
Il Rosatellum sta per diventare legge grazie a Denis Verdini e alla Lega –
Mentre gli addetti ai lavori e gli addetti stampa si cimentano nei conteggi quasi a impazzire sui numeri di ogni voto e ogni chiama, un vero e proprio dedalo, c’è almeno una certezza condivisa sia dalla maggioranza che dall’opposizione.
E cioè che i 13 senatori di Ala (o almeno qualcuno di loro) siano stati determinanti a garantire il numero legale in aula almeno solo alla terza fiducia.
Ma a nessuno è sfuggito che nelle ultime votazioni dove i numeri erano a rischio sono ricomparsi miracolosamente in Aula diversi senatori della Lega, chiamati a fare la ruota di scorta del Governo.
Alla quinta fiducia in particolare è stato necessario l’aiutino anche da parte di qualche senatore azzurro e del Carroccio.
Prendiamo allora la terza votazione, quella per la quale anche dal Pd ammettono l’evidenza. Un assente in maggioranza, Bruno Mancuso di Ap. Un caso, dicono dal quartier generale Dem. Ma è un’assenza che pesa.
Perchè senza i verdiniani, per via di quell’unica assenza in aula, non ci sarebbe stato il numero legale e il castello del Rosatellum sarebbe crollato alla terza prova.
I sì in questa terza fiducia sono stati 148, due in meno rispetto alle altre (tranne la quinta dove sì sono stati 145). I no 61. Numero legale: 143.
Senza i 13 sì dei verdiniani il numero si sarebbe fermato a 138, considerando i 91 voti Pd, i 22 di Ap, i 14 della Autonomie, gli 8 del misto e i tre di Gal. E sarebbe stato insufficiente per mandare avanti la votazione.
Il senatore fiorentino veramente rivendica un ruolo anche nel numero legale della quarta votazione. Ma su questo non c’è certezza, visto che in Senato ognuno dice la sua sui numeri: complicatissimo il calcolo a ogni fiducia, tra prima e seconda chiama.
Cioè: quando si vota la fiducia il presidente d’aula scorre l’elenco dei parlamentari per due volte, in modo che chi non risponde alla prima, possa farlo alla seconda.
“Il numero legale va calcolato alla prima chiama”, sostiene per esempio il senatore Federico Fornaro di Mdp, gruppo che insieme a M5s e Sinistra Italiana ha votato no. “Noi abbiamo votato no ma solo alla seconda chiama perchè — spiega Fornaro — alla prima abbiamo aspettato di capire se c’era il numero legale. Se non ci fosse stato, sarebbe saltato tutto. Invece c’è stato perchè c’era Verdini”.
Il calcolo che fa Fornaro è questo: 149 senatori hanno risposto alla prima chiama della prima fiducia. “Non si può dire che siano tutti 149 sì, sono solo persone che hanno risposto alla chiama”, aggiunge il parlamentare.
Cioè in quella quota vanno compresi quanto meno anche gli otto del Pd che hanno deciso di non partecipare al voto, pur garantendo il numero legale, cioè la presenza in aula. Si tratta di Vannino Chiti, Luigi Manconi, Claudio Micheloni, Massimo Mucchetti, Walter Tocci, Roberto Ruta e Renato Turano, Francesco Giacobbe. Hanno risposto alla chiama, passando quindi sotto il banco della presidenza come si fa quando si vota la fiducia, ma non hanno indicato nè sì, nè no. “Se dai 149 togliamo i 13 di Ala, il totale fa 136: il numero legale non c’è”, conclude Fornaro.
Certo, in teoria i 149 della prima chiama presa in esame non sono tutti sì. Ma considerato che i no sono stati espressi alla seconda chiama, si può dire che i voti della prima chiama sono praticamente tutti sì meno i dissidenti del Pd che non hanno partecipato al voto pur rispondendo alla chiama. Se questo è il calcolo allora il numero legale c’era anche senza Verdini. In tutte le fiducie tranne la terza: l’unica dove il Pd ammette l’aiuto di Ala.
Sfiancante.
E’ tardo pomeriggio quando l’aula si accinge a votare la quinta fiducia.
Il grosso è fatto, l’attenzione evidentemente è scesa perchè in aula c’è meno gente.
Mdp, M5s, Sinistra Italiana decidono infatti di non partecipare per mettere davvero alla prova il numero legale anche alla prima chiama.
Sono 172 i senatori presenti, i votanti 162. A fronte di una media nelle votazioni precedenti di ben oltre 200 presenti e oltre 200 votanti a ogni voto.
Urge soccorso. In questo caso verde Lega.
Alcuni senatori di Forza Italia e Lega restano in aula per assicurare il numero legale all’ultimo miglio e votano no. Si vota: 145 sì, 17 no.
Oggi il voto finale, il Rosatellum è quasi legge
(da “Huffingtonpost”)
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