INTERVISTA A GINA MILLER: “COME DARE SCACCO ALLA BREXIT IN QUATTRO MOSSE”
PARLA LA MANAGER CHE HA OBBLIGATO IL GOVERNO BRITANNICO A PRESENTARSI IN PARLAMENTO: “CENTO BANCHE PRONTE A LASCIARE”
Non la sentirete mai lamentarsi nè raccontarlo, se non con il sorriso. E senza aggettivi. Gina Miller ha subito decine di minacce di morte da quando ha vinto un ricorso a Londra per obbligare il governo a presentarsi in parlamento prima di far scattare l’articolo 50 del Trattato, quello per l’uscita dall’Unione europea.
Oggi questa donna di origini caraibiche, gestore di fondi, è la leader civile – non politica – della metà dei britannici che non vogliono la Brexit. Ancora di più lo è dopo la nomina da parte di Powerful Media come più importante cittadino britannico di colore.
Il negoziato sulla Brexit è in panne. Si va verso un «no deal», l’uscita senza accordo fra Londra e Bruxelles?
«C’è una minoranza di estremisti che ci punta e tiene il governo in ostaggio. Usano l’idea della “volontà del popolo”, il referendum, per intimidire. Qui gioca una combinazione di estremismo, fra i conservatori e i laburisti, e il fattore paura. I parlamentari sono terrorizzati di non essere rieletti e non osano parlare».
Terrorizzati da cosa?
«Dalla parte dei loro elettori che ha votato per la Brexit. Alcuni di loro mi hanno detto che capiscono quanto sarebbe catastrofica una rottura con l’Europa, ma non osano votare contro il partito».
L’orologio corre, resta poco più di un anno per uscire dalla Ue senza strappi traumatici.
«Questo è il problema. Andrew Bailey, il numero due della Bank of England, dice che se a dicembre non si profila un compromesso 107 banche inizieranno a muoversi da Londra. Oggi esistono circa cinquemila passaporti bancari di altrettante aziende per fare affari dalla City nel resto d’Europa. Bailey dice che nemmeno una ha fatto domanda per rinnovare la licenza. Non una. La gente non ne parla, ma dietro le quinte c’è agitazione, ci si prepara a andare. Nella City rischiamo di perdere quattromila posti in 18 mesi».
Andranno a Parigi, Francoforte, a Milano?
«Illusione. Molte banche americane, canadesi, asiatiche iniziano a pensare che se l’Europa è in un tale caos e la Brexit colpirà economicamente anche la Francia e la Germania, allora è meglio tornare a casa».
Cioè la Brexit rafforzerà New York?
«Certo e molti altri investitori e banchieri se ne vanno a Singapore o alle Mauritius».
In vacanza, vuole dire?
«Macchè vacanza, le Mauritius si stanno proponendo aggressivamente per catturare il business che se ne va da Londra. Hanno assunto funzionari da Bruxelles per le loro autorità di vigilanza, offrono accesso diretto all’Africa e all’Asia. I politici di Londra non capiscono, guardano dalla parte sbagliata».
Questione di tempo prima che siano presi dal panico?
«Devono chiedersi se a quel punto non sarà tardi. Quando un’impresa ha preso una decisione strategica, non la ribalta quattro mesi dopo solo perchè un politico ha cambiato idea. Se a dicembre vedono che si va verso il no-deal… Ma da mesi sospetto che tutto sia orchestrato esattamente per questo».
Da parte di chi?
«Di quelli che vogliono solo andarsene dalla Ue, senza accordo. Senza che si sappia come potranno decollare gli aerei il giorno dopo, o attraccare le merci a Dover, o come si potranno importare i farmaci. Noi inglesi compriamo dall’Unione europea metà di quello che consumiamo. Tutti pensano che una rottura con il no-deal sia uno scenario pazzesco, che non può succedere. Ma gli ultranazionalisti diranno che un no-deal è meglio che un cattivo deal e daranno la colpa all’Europa».
Perchè i grandi imprenditori non reagiscono?
«Se l’amministratore delegato dei grandi magazzini Sainsbury avverte che i prezzi degli alimentari possono salire del 32%, nei giornali finisce sepolto a pagina sei. Non in prima. Ma anche i leader delle grandi imprese stanno attenti, non vogliono perdere la clientela pro-Brexit».
Prevede che lo schiaffo del no-deal risveglierà gli inglesi e li indurrà a riconsiderare la Brexit?
«Oggi prevale un incantesimo, la percezione che c’è stato il referendum e sia irreversibile. La gente pensa che si debba comunque andare avanti, qualunque sia il risultato. Invece se ci fosse la volontà politica, legalmente si potrebbe farla finita con la Brexit domani. Dobbiamo spezzare questo stato mentale, questa apatia, questo pregiudizio».
Legalmente ci sono vie d’uscita, ma politicamente?
«Credo che gli strumenti legali vadano usati per dare ai politici lo spazio per arrivare alla decisione giusta. Bruxelles apprezzerebbe davvero, se ci prendessimo una pausa. I negoziatori europei non riescono a capacitarsi come sia possibile che Londra non abbia un piano. Perchè questo è venuto fuori: non abbiamo nulla in mano, non abbiamo presentato niente!».
L’impressione è che Theresa May subisca tutto senza riuscire a reagire.
«No. Vent’anni fa ha lavorato nella City anche lei e tutti quelli che l’hanno conosciuta bene mi dicono che lei ha sempre odiato l’Europa. Vuole una Brexit dura».
Dunque che scenario vede nei prossimi mesi?
«Se si vede che si va verso un no-deal, una parte dell’opinione pubblica comincia a rinsavire. La gente già mi manda email ogni giorno per dirmi che non è questa la Brexit che volevano. Allora magari un piccolo numero di parlamentari scozzesi o gallesi si ribella, May perde la maggioranza e si rivota a primavera 2018».
A quel punto chi vince?
«Il Labour, con un programma di nazionalizzazioni dell’economia stile anni ’50. Invece i Tory vorrebbero tornare all’impero. È tutto un andare indietro. Deve ancora peggiorare, prima che migliori».
(da “il Corriere della Sera”)
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