Destra di Popolo.net

LA NOTTE DEI MORTI VIVENTI, TOTI ORA STENDE ANCHE IL TAPPETO NERO PER HALLOWEEN, TANTO PAGANO I CONTRIBUENTI

Ottobre 27th, 2017 Riccardo Fucile

DOLCETTO O SCHERZETTO? E’ PROPRIO VERO, GLI ZOMBI DELLA COMPAGNIA DI GIRO LEGHISTA HANNO TROVATO IL MODO DI SPUTTANARE ALTRI SOLDI PER UNA FESTA PRIVATA

Dopo quello rosso, arriva quello nero.
E le polemiche, a prescindere dal colore, non accennano a diminuire: la scelta di Tursi di promuovere le iniziative per Halloween in centro città , il 31 ottobre, con un lungo tappeto nero steso tra Galleria Mazzini e via XII Ottobre ha fatto storcere il naso non solo all’opposizione, che in consiglio Comunale ha fatto la stessa domanda che già  aveva tenuto banco nel corso dell’estate del red carpet. E cioè, chi paga? La stessa anche la risposta: la Regione.
Ma la denuncia è fatta propria anche da Andrea Carratù, presidente del municipio Centro Est, leghista, ed approda in Sala Rossa a Tursi, “materia” di un articolo 54 presentato da Cristina Lodi, capogruppo del Pd in consiglio comunale, che chiede di sapere chi pagherà  questo evento e per quale motivo non siano state coinvolti i Civ e le altre realtà  economiche, come quelle del centro storico.
Cristina Lodi ha chiesto lumi sui costi di installazione, manutenzione e rimozione, legati poi ai benefici che l’iniziativa potrebbe portare: «L’iniziativa non è stata concordata con i Civ, e non sembra essere al servizio di eventi programmati dall’amministrazione comunale o dalle associazioni», ha chiesto Lodi, ricevendo la risposta del vice sindaco Stefano Balleari, che ha confermato che «il Black Carpet è pagato interamente dalla Regione. Per l’animazione provvederanno i commercianti; il Comune pagherà  solo per alcune truccatrici a disposizione dei bambini».
In realtà , Tursi si accollerà  anche il costo di installazione e rimozione del tappeto nero, mentre la Regione si è fatta carico dell’acquisto-
Lodi attacca. “Che sia la Regione che vuole buttare via dei soldi, non mi risulta, ma ne prendo atto. Il fatto però che non abbia deciso neppure di coinvolgervi per la programmazione, tagliando fuori i Civ, significa che ha una posizione predominante su di voi”, dice riferendosi al Comune.
“Sono comunque soldi pubblici destinati ai privati – incalza Carratù -. Inoltre, i commercianti mi hanno detto che a organizzare l’evento sono stati un negozio e due locali da ballo”.
Carratù aggiunge. “Rimane il fatto che la Regione ha investito dei soldi pubblici per alcuni soggetti privati e non per il territorio, escludendo il centro storico”

(da agenzie)

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“I CINQUE MILIONI PAGATI DALL’ITALIA ALLE MILIZIE LIBICHE HANNO SOLO RINFORZATO BANDE DI CRIMINALI”

Ottobre 27th, 2017 Riccardo Fucile

ORA SI E’ SCATENATA LA GUERRA TRA FAZIONI CHE NON HANNO VISTO UN EURO E IL CLAN DABBASHI CHE HA INCASSATO… ABBIAMO PAGATO DEI DELINQUENTI PER FARE IL LAVORO SPORCO, ROBA DA TRIBUNALI SPECIALI

A Sabratha, la città  costiera, già  feudo dell’Isis e hub delle carrette del mare, si sta consumando una guerra che vede la potente famiglia Dabbashi messa all’angolo da fazioni rivali e militari di Tripoli, sullo sfondo di una lotta intestina per il controllo dei traffici, e di quel presunto accordo tra il clan e l’Italia.
Fonti locali parlano di cinque milioni di euro in cambio dello stop dei barconi.
Un tesoretto su cui tutti vorrebbero mettere le mani.
Ma quei soldi sono mai arrivati in Libia? Se sì, che fine hanno fatto? La Farnesina smentisce categoricamente ogni contatto, ma Hussein Alk-Alagi, portavoce della milizia Al-Wadi, che ha innescato la rivolta anti-Dabbashi, conferma: «L’accordo con l’Italia è stato un disastro».
E mentre sulla polveriera di Sabratha spunta anche l’ombra del generale Haftar, ci si chiede chi fermerà  l’ondata di migranti in arrivo dal serbatoio del Sahel.
La stangata ai traffici  
L’accordo della discordia risale a metà  luglio. Secondo una versione ufficiosa il clan Dabbashi avrebbe provveduto a fermare le partenze in cambio di «attrezzature» e del «restyiling» della fedina penale degli affiliati delle due milizie di famiglia, la Brigata 48 e Al-Amnu.
Secondo fonti locali sentite da «La Stampa» e riportate anche da media internazionali, tra cui Ap, emissari italiani avrebbero stretto un accordo coi Dabbashi, barattando aiuti e soldi, in cambio dello stop dei barconi.
Secondo quanto sostengono fonti locali il denaro in questione sarebbe stato individuato nell’equivalente di circa 5 milioni di euro (non si sa se e quanti ne siano arrivati), oltre alla garanzia di un ufficio nel compound di Mellitah.
La Farnesina smentisce qualsiasi contatto con il clan. A confermare l’intesa è Abdel-Salam Helal Mohammed, direttore dell’unità  anti-trafficanti del ministero degli Interni libico: «Con quell’incontro non ci sono state più partenze».
I Dabbashi spodestati  
I Dabbashi diventano da tycoon del traffico a gendarmi delle coste. A luglio le partenze si dimezzano rispetto all’anno passato, ad agosto calano dell’86%.
Ma le fazioni tagliate fuori dalla spartizione di soldi e potere insorgono.
A metà  settembre Al-Amnu ha uno scontro a fuoco in mare aperto con i trafficanti di Al-Wadi, quartiere Est della città  costiera, dove i migranti vengono rispediti e rimangono bloccati.
La milizia (di orientamento salafita) scatena l’inferno: inizia l’insurrezione anti-Dabbashi. Ai rivoltosi si affianca Operation Room creata dal Consiglio presidenziale subito dopo i raid Usa di febbraio su postazioni Isis a Sabratha.
Alcuni di loro sono gli eroi di Sirte guidati dal colonnello Abduljalil. I militari pian piano prendono il controllo di Sabratha e i Dabbashi vengono messi all’angolo nel corso degli scontri dove muoiono circa cento persone. Bashir Ibrahim, portavoce di Al Amnu, riconosce che l’accordo con l’Italia è stato la causa della guerra: «È una questione di potere, denaro e territorio».
Il portavoce di Al-Wadi, Hussein Alk-Alagi, definisce l’accordo un «disastro» che ha rinforzato solo una banda di criminali.
L’ombra di Haftar  
A complicare le cose è Khalifa Haftar, che approfitta del caos per infilarsi in Tripolitania. Secondo al-Tahar al-Gharabili, capo del consiglio militare di Sabratha, il generale starebbe reclutando uomini sul posto da affiancare agli stessi di Operation Room.
Il gruppo smentisce, ma a quanto sembra Haftar potrebbe contare su una strana alleanza con i locali ultraconservatori Madkahalis.
Al-Gharabili ritiene che il generale stia guadagnando influenza ad Ovest come leva negoziale. O ancor peggio punterebbe a una manovra a tenaglia nella sua ipotetica marcia su Tripoli alla scadenza di Skhirat, a metà  dicembre.
«Ci stiamo affacciando ad un’altra guerra – dice al-Gharabili all’Ap – una guerra che va oltre Sabratha, una guerra regionale, una guerra in Tripolitania».
I migranti dal Sahel  
Ed in vista della quale si impone come un macigno un’altra incognita sul fronte del traffico di esseri umani.
Bisognerà  capire cosa rimane di quell’intesa con l’Italia o se ci saranno nuove richieste. E capire dove è finito il «tesoretto italiano».
Quel che è certo è che nel caos c’è chi ha rimesso subito in moto i barconi. A questo si aggiunge un altro elemento: ottobre è sempre stato foriero di sbarchi in Italia, lo scorso anno è stato un mese record e quest’anno già  ce ne sono stati 3.000.
Secondo informazioni raccolte da La Stampa in Sahel, i trafficanti del «serbatoio nero», stanno intensificando le rotte verso la Libia, così tra poco migliaia di migranti e rifugiati verranno ammassati a ridosso delle coste, pronti a prendere il largo, col rischio di una nuova ecatombe.

(da “La Stampa”)

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“AL G8 DI GENOVA SONO STATA TORTURATA, ORA VIVO E RESTO IN GERMANIA, IN ITALIA POLIZIA SADICA”: UNA BRUTTA PAGINA DA NON DIMENTICARE

Ottobre 27th, 2017 Riccardo Fucile

VALERIA OGGI HA 42 ANNI E ABITA A BERLINO… DOVRA’ ESSERE RISARCITA MA SOFFRE ANCORA DI ATTACCHI DI PANICO

Quarantadue anni di cui 16 passati ad attendere la giustizia italiana. Ora che la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per le torture a Bolzaneto durante il G8 di Genova, dopo averlo già  fatto per quelle della scuola Diaz, Valeria Bruschi dice alla Stampa: “I soldi (del risarcimento, ndr) sono l’unico ristoro dopo tanto dolore e delusioni”.
Valeria oggi vive a Berlino, dove insegna tedesco ai rifugiati.
Soffre ancora di attacchi di panico per le violenze di quelle notti (“Basta poco ed esce tutto”).
Le viene chiesto se sia mai tornata a Genova e lei risponde: “Non c’ero mai stata, ora ci vado ogni anno”. Ma subito dopo sottolinea: “Nel 2001, prima di partecipare al G8, ero in Grecia in Erasmus: i miei mi sconsigliavano di venire, dicevano che c’era un clima strano. Io ero lontana dall’Italia e non avevo capito fino in fondo: oggi forse è cambiato, ma resto in Germania”.
Poi ricorda cos’ha dovuto subire.
A raccontarla così sembra surreale, ma davvero pensavo d’essere finita in un altro mondo. Sono stata prima picchiata alla scuola Diaz, poi trasportata a Bolzaneto dove mi hanno trattenuto due giorni torturandomi. Da lì sono finita, attraverso un altro viaggio allucinante in cui gli agenti mi minacciavano di morte indossando maschere di carnevale, nel penitenziario di Vercelli. (…) Gli agenti a bordo hanno detto: “Adesso vi portiamo in un campo e vi spariamo”. Giuro che un po’ ci ho creduto.
E a Bolzaneto:
Lì è stato vero sadismo. Cominciarono a darmi della tr…, si andava in bagno fra due ali di agenti, si doveva tenere la porta aperta, c’erano sevizie e urla continue e ci consegnarono mezzo panino in due giorni. Speravo di avere solidarietà  dalle donne in divisa, erano persino peggiori.
Dopo tanto attendere, della giustizia italiana Valeria Bruschi dice:
Mi pare incredibile che ci vogliano più di tre lustri e una specie di sovra-processo. In Italia i magistrati hanno fatto il possibile; ma quando mi sono trovata di fronte a decine di avvocati che volevano farmi passare per bugiarda, beh, ho capito che sarebbe stata durissima.

(da “Huffingtonpost”)

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SALVINI VUOLE TOGLIERE IL NORD DAL SIMBOLO DELLA LEGA, MA NON DAL NOME DEL PARTITO

Ottobre 27th, 2017 Riccardo Fucile

UN COLPO AL CERCHIO E UNO ALLA BOTTE: PER NON INIMICARSI IL SUD E NON DELUDERE IL NORD NON ESCE DALL’AMBIGUITA’… PER ELIMINARE IL RIFERIMENTO AL NORD SAREBBE NECESSARIO UN CONGRESSO

Matteo Salvini ha confermato che alle politiche il suo partito si presenterà  con un unico simbolo in tutta Italia e che il nome nel simbolo sarà  Lega e non Lega Nord.
L’annuncio – mai il segretario leghista era stato così esplicito – è stato fatto a “Piazza Pulita”, su “La 7”.
«Alle elezioni, non so quando saranno, a febbraio o a marzo, ci sarà  la Lega, punto, in tutta Italia», ha chiarito il segretario leghista.
A chi gli chiedeva se quindi toglierà  la parola Nord, Salvini ha replicato: «Scusate, secondo voi io vado a Taranto con Lega Nord? Noi siamo concreti, io faccio politica, non mi attacco all’avverbio».
Secondo quanto si apprende, il tema non è all’ordine del giorno della riunione del consiglio federale del partito, convocata oggi per «analizzare la situazione politica e l’esito dei referendum per l’autonomia» di Lombardia e Veneto.
In ogni modo, la modifica che il segretario vuole attuare non riguarderebbe al momento il nome del partito (per fare questo sarebbe necessario un passaggio congressuale) ma il simbolo elettorale da presentare alle politiche, che, negli anni e nella storia della Lega, è cambiato numerose volte in base all’occasione elettorale.

(da “La Stampa”)

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LA GIUNTA RAGGI VA A PASSO DI LUMACA MA ASSUME ALLA GRANDE

Ottobre 27th, 2017 Riccardo Fucile

IN 16 MESI, SU 373 ATTI, 114 RIGUARDANO LE ASSUNZIONI NELO STAFF

Visto che il consiglio comunale di Roma è fermo e la settimana scorsa ha lavorato ben cinque ore, i giornali romani cominciano ad occuparsi dell’amministrare con lentezza che coinvolge la Giunta Raggi così come i Municipi a guida M5S.
Nelle ultime due settimane infatti il presidente dell’Assemblea Capitolina Marcello De Vito non ha potuto convocare l’Aula perchè mancavano “cose” dell’esecutivo da approvare.
Dalla giunta arriva poco e niente. Per oggi è però convocata la conferenza dei capigruppo che dovrebbe stabilire l’agenda dei prossimi lavori dell’Aula Giulio Cesare.
Nel frattempo il Messaggero aggiorna i numeri dei lavori della Giunta Raggi, “scoprendo” che ha approvato finora 373 delibere, di cui 114 riguardano “risorse umane”, ovvero assunzioni di esterni, regolamenti, salari, codici di comportamento o altro.
La percentuale è del 31% ma la parte divertente, in questo caso, è che dopo un anno era del 29%.
Il confronto con il passato è impietoso: nello stesso periodo erano 470 le delibere di giunta, di cui 88 relative ad assunzioni esterni e comandi dell’amministrazione Marino; Alemanno invece arrivava a 637 di cui 154 relative ad assunzioni di esterni. E le altre delibere?
Dopo il settore delle Risorse Umane (cioè quello delle nomine), ci sono la Ragioneria generale (9,2%) e il dipartimento Partecipate (9,2%).
Seguono cultura, mobilità , ambiente e urbanistica.Tutti gangli vitali del Comune, e della vita della Capitale, che dopo 16 mesi non brillano di attivismo.
Ciascuna voce incide infatti solo per circa 5%. Per scuola e sociale sono state licenziate in totale 10 delibere, per sicurezza e protezione civile 9.
Il grosso sono le poltrone, dunque. Per l’esattezza gli atti su nomine sono arrivate a quota 98 (assunzione esterne, comandi, staff sindaca e assessori) per un totale dell’85,96% dei provvedimenti che riguardano le risorse umane: dopo dodici mesi si era arrivati al tetto dell’84%.
Le ordinanze della sindaca
Le ordinanze della sindaca seguono più o meno lo stesso ritmo. In 16 mesi di governo sono state 317 di cui 196 dedicate sempre a nomine e revoche, conferimenti e spostamenti di dirigenti.
Al secondo posto dei provvedimenti urgenti presi dalla pentastellata ci sono l’inquinamento e la circolazione. Ovvero le domeniche ecologiche e le aperture della Ztl. Ma sono state finora solo 57: il 17,9% di tutto il pacchetto.
Repubblica Roma invece aggiunta l’andazzo dei conti nei municipi già  fatto dal Messaggero nei giorni scorsi:
Le minigiunte per ora hanno partorito 204 delibere. Con una distribuzione sbilanciata dalle parti del centro storico: ben 88 atti sono marchiati dal primo municipio della presidente dem Sabrina Alfonsi.
Sotto Marino la produzione era di certo più corposa: 294 le decisioni votate dagli esecutivi municipali. Anche in questo caso i consigli delle ex circoscrizioni fanno da cartina da tornasole: in era Raggi il contatore è fermo a quota 687 deliberazioni, con Marino ne erano state votate 829.
E poi c’è l’estrinseca litigiosità  delle giunte grilline: sono 18 gli assessori revocati dalle giunte M5S in 15 mesi di attività , con il XII Municipio che è in maggiore difficoltà  e ne ha visti cacciati o sostituiti ben quattro.
E mentre l’VIII è già  caduto, anche il III Municipio è a rischio per la faida interna alla maggioranza ammessa anche dalla presidente Roberta Capoccioni.

(da “NextQuotidiano”)

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BELPIETRO PROVA A METTERE ALLA GOGNA IL DOCENTE GAY CHE INSEGNA ALLA SAPIENZA PER IL SUO PASSATO DA PORNOATTORE

Ottobre 27th, 2017 Riccardo Fucile

ALLE SPALLE HA TRE LAUREE E NEANCHE UN ATTENTATO FARLOCCO: CHE SIA QUESTO IL PROBLEMA?… E SE E’ OMOSESSUALE NON FREGA NULLA A NESSUNO, CONTA CHE SIA BRAVO (NON E’ UN GIORNALISTA)

La Verità , il quotidiano scritto diretto, interpretato e acquistato da Maurizio Belpietro, ieri ha deliziato tutti con uno dei suoi imperdibili “scoop”.
Ha infatti scoperto che un professore della facoltà  di ingegneria all’Università  La Sapienza di Roma ha un passato da porno attore gay.
Il suo nome è Ruggero Freddi: cosa abbia a che fare questo con l’insegnamento dell’ingegneria ovviamente è una faccenda che La Verità  affronterà  nel lungo articolo dedicato a Ruggero.
Nelle prime righe dell’articolo di Alfredo Arduino si trova infatti la risposta alla nostra domanda. Sui titoli accademici di Freddi c’è poco da discutere.
Il Dottor Freddi   — non è professore perchè è un dottorando — infatti ha tre lauree e tiene il corso di Analisi I
Freddi è un ex porno attore gay. Nel senso che ora non è più un porno attore. Non è che fa il porno attore (per giunta gay, lo sentite anche voi quanto è pruriginosa la faccenda?) per arrotondare la paga da docente universitario.
La faccenda quindi è di poco interesse sia per il contribuente che per il lettore.
A meno che non tra le righe non si voglia dire altro. Ad esempio suggerire al lettore l’idea che la carriera da porno attore gay e quella universitaria siano in qualche modo legate. Anche perchè, ricorda il titolo dell’articolo all’interno del giornale di Belpietro, la Sapienza è l’università  “famosa” per aver vietato all’allora Papa Benedetto XVI di poter tenere una lezione universitaria.
C’è un qualche collegamento? Assolutamente no.
Che Freddi sia omosessuale   non è un segreto, basta leggere il suo profilo Facebook o la pagina di Wikipedia. Ma la cosa appunto, non è assolutamente rilevante, come non è rilevante che sia muscoloso.
Conta che sia preparato — e a leggere il curriculum lo è — e che sappia insegnare.
Sul Corriere della Sera di oggi Freddi spiega che gli studenti sono rispettosi del suo ruolo.
In classe come viene accolto? Perchè suppongo che i suoi studenti sappiano
«Nessuno mi ha mai fatto domande che non fossero scientifiche. Mi prendono tutti   sul serio, com’è giusto, perchè sono molto preparato. Mi danno del lei. Di solito mi presento così: “Voi non conoscete la matematica, io nemmeno, ragioniamoci insieme”. I ragazzi sono gentili, aperti e curiosi di un professore così strano»
Incredibile poi apprendere che Freddi non nasconde il suo passato. Il fatto che non sia sul sito dell’Ateneo ovviamente è perchè non è rilevante. Ma la titolare della cattedra di cui è co-docente ne è al corrente. E indovinate un po’ a quanto pare non le interessa.
La titolare della cattedra che ne dice di questo co-docente particolare?
«È molto carina e gentile, certamente sa del mio passato ma non ne parliamo. Quando mi prende lo sconforto e mi sento meno bravo degli altri, è la prima che mi incoraggia».
Alla Verità  invece sembrano avere altri problemi: ad esempio perchè altri pornodivi gay non hanno ricevuto offerte dal Mit o da Yale?
Il dubbio che sia perchè non ne hanno i titoli — a differenza di Freddi che ha due lauree e un dottorato in Analisi matematica — non sfiora minimamente la mente dell’articolista

(da “NextQuotidiano”)

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IL COMIZIO DI RENZI DAL PULPITO DELLA CHIESA DI PAESTUM E IL PARROCO CHE NON SAPEVA NULLA

Ottobre 27th, 2017 Riccardo Fucile

IN PLATEA LO ASCOLTANO DE LUCA E IL “RAS DELLE FRITTURE” ALFIERI

Dal predellino del treno Destinazione Italia al pulpito di una chiesa paleocristiana.
Non era previsto, anzi tutto è stato organizzato all’ultimo istante.
E nè la Diocesi nè la parrocchia ne sapevano nulla: una delle tappe del segretario del Pd Matteo Renzi, in giro per l’Italia a bordo del trenino democratico, è stata la chiesa della Ss. Annunziata di Paestum.
Una location inusuale per la sua propaganda politica, dal sapore di predica vista la scenografia. Tra altare e crocifisso, ha raccontato il suo tour sui binari italiani, aneddoti di quando era a Palazzo Chigi, ha sponsorizzato “l’ottimo” lavoro dell’ex sindaco di Salerno e oggi Governatore Vincenzo De Luca e i risultati della collaborazione tra i due quando era premier, il masterplan per il Sud, ha attaccato il Movimento 5 Stelle e la sinistra.
In altre parole, un comizio in chiesa, mancavano solo le bandiere di partito.
Nulla di dissacrante ma certamente uno sgarbo nei confronti delle istituzioni religiose.
Ad attenderlo a Paestum c’erano tutti i quadri dirigenti locali del partito e le istituzioni: il presidente della Campania quindi, e il figlio Piero membro della segreteria regionale dem, la segretaria del Pd campano Assunta Tartaglione, l’ex sindaco di Agropoli Franco Alfieri ben noto per le fritture di pesce che, secondo De Luca senior, avrebbe dovuto offrire alle persone per convincerle a votare Sì al referendum costituzionale di un anno fa.
Ecco come è andata.
La chiesa della SS. Annunziata ospita per qualche giorno un evento culturale che non ha nulla a che fare con il tour politico del segretario Pd: la Borsa Mediterranea per il turismo Archeologico. “Avevamo dato la nostra disponibilità  per tre giorni ad ospitare l’evento perchè entrava in un disegno di promozione e valorizzazione archeologica della chiesa, con la collaborazione di Mibact, del Parco nazionale, Unesco, come avviene da diversi anni”.
E la visita di Renzi? “Quando abbiamo visto la polizia abbiamo chiesto, che succede?”. Racconta il parroco Johny in esclusiva all’HuffPost che non è la prima volta che la chiesa ospita eventi culturali, ma politici mai.
“Non sapevo nemmeno io che arrivava, e sono il parroco, è stato tutto organizzato dai politici locali. Renzi, nella sua predica (la definisce così, ndr), ha detto che la Regione Campania sta lavorando bene sul turismo, e che il suo governo ha investito molto su questo aspetto per evitare che i giovani vadano via da qui”.
Detta brutalmente, la chiesa si era “prestata” per un evento di carattere internazionale (tra gli ospiti, ad esempio, il presidente del Museo di Palmira distrutto dall’Isis).
Ma il blitz politico è stato deciso in tempi brevi dal partito e dagli amministratori locali. “La diocesi non sapeva nulla, se avesse saputo non avrebbe dato il permesso per la propaganda del partito. Tutti siamo benvenuti nella chiesa, il fatto di essere un politico non degrada la persona, tutt’altro”, dicono dalla parrocchia.
“Però il contesto in cui Renzi ha fatto questa visita, di propaganda con il suo treno per l’Italia, ci ha turbato e imbarazzato”.

(da “Huffingtonpost”)

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GLI STRANIERI RESIDENTI IN ITALIA VERSANO 3,2 MILIARDI DI TASSE E RICEVONO SOLO LO 0,3% DELLE PENSIONI

Ottobre 27th, 2017 Riccardo Fucile

ISTAT: “TRA 50 ANNI UN TERZO DELLA POPOLAZIONE SARA’ DI ORIGINE STRANIERA”… CONTRIBUISCONO ALL’8,8% DEL PIL, IL TASSO DI CRIMINALITA’ E’ PIU’ BASSO DI QUELLO DEGLI ITALIANI

Da Nord a Sud, le culle della penisola si riempiono di ‘nuovi italiani’.
A Milano e a Roma circa 500 nuovi nati al mese hanno genitori stranieri ed è boom di figli di immigrati anche nei reparti di ostetricia di Prato, Piacenza, Modena, Parma, Mantova, Ravenna, Brescia, Alessandria, Cremona, Lodi, Pavia, Bologna, Reggio Emilia e Asti.
Qui i i bimbi di origine straniera sono oltre un quinto del totale dei nuovi nati. Non solo. Da Paese-corridoio per raggiungere il Nord Europa, il nostro si sta trasformando sempre più in un Paese-destinazione: sono ben 14 milioni i potenziali migranti diretti verso l’Italia, mentre i residenti stranieri con permesso di lungo periodo sono ormai la stragrande maggioranza (63%).
Sono queste alcune novità  contenute nel Dossier Statistico Immigrazione 2017, curato dal Centro studi e ricerche IDOS con il Centro studi Confronti.
Il pianeta immigrazione.
Il Dossier, in 480 pagine piene di dati e tabelle, calcola la presenza straniera regolare (immigrati residenti con una qualche forma di permesso di soggiorno) complessiva in 5.359.000 persone, una cifra quasi identica a quella degli italiani residenti all’estero, che sono oggi 5.383.199.
Tra il 2007 e il 2016 la popolazione straniera residente in Italia è aumentata di 2.023.317 persone.
“L’ulteriore rinvio della riforma della legge 81/1992 sulla cittadinanza risulta ancora più inescusabile – scrivono in proposito i curatori del Dossier – se si tiene conto dell’elevata quota di giovani stranieri nati in Italia”.
Secondo le previsioni demografiche dell’Istat, nel 2065 potrebbero essere 14,1 milioni i residenti stranieri e 7,6 milioni i cittadini italiani di origine straniera: nell’insieme, dunque, più di un terzo della popolazione.
Destinazione Italia.
Secondo un’indagine internazionale condotta da Gallup nel 2017, un terzo della popolazione subsahariana e un quarto dei residenti nell’Europa non comunitaria vorrebbero emigrare. Nel gruppo dei Paesi mete possibili di questi potenziali flussi si colloca anche l’Italia: sono 14 milioni i migranti – sempre potenziali – che sceglierebbero il nostro Paese, che si piazza al 9° posto tra tutte le destinazioni.
Il “tesoro” degli immigrati.
Nel 2015 gli occupati stranieri hanno prodotto una ricchezza di 127 miliardi di euro, vale a dire l’8,8% del Pil, ed hanno dichiarato in media redditi di 11.752 euro annui a testa, pari a un totale di 27,3 miliardi di euro.
Hanno inoltre versato Irpef per 3,2 miliardi, in media 2.265 euro a testa (gli italiani 5.178).
“Continua così a essere notevole – rileva il Dossier Idos   – il beneficio finanziario assicurato dagli immigrati ai conti pubblici, compreso tra 2,1 e 2,8 miliardi di euro a seconda del metodo di calcolo”.
Presentando il bilancio 2016, il presidente dell’Inps Tito Boeri ha sottolineato che senza immigrati il Paese nei prossimi 22 anni potrebbe risparmiare 35 miliardi di euro di prestazioni a loro destinate, ma così facendo rinuncerebbe a 73 miliardi di entrate contributive, con una perdita netta di 38 miliardi di euro.
Anche perchè i pensionati non comunitari nel 2016 sono stati 43.830 su un totale di 14.114.464. L’incidenza degli stranieri sul totale degli assegni di pensione in Italia è quindi di appena lo 0,3%.
Le religioni dei nuovi italiani.
Per il 2016 il Dossier ha aggiornato la stima delle appartenenze religiose degli immigrati. Dai primi anni del 2000 persiste la netta prevalenza dei cristiani (53%), tra i quali gli ortodossi sono i più numerosi, seguiti dai cattolici e dai protestanti (rispettivamente circa 1,5 milioni, quasi 1 milione e più di 250mila tra protestanti e altre comunità  cristiane).
La rilevante incidenza dei musulmani, pari a un terzo dell’intera presenza straniera (1,6 milioni di persone), “non giustifica il timore di un’invasione e l’atteggiamento contro l’islam”.
I crimini degli stranieri.
Il Dossier riporta anche i dati Eurostat: il tasso di criminalità  per 100mila abitanti è più basso tra gli stranieri che tra gli italiani. Inoltre, l’archivio interforze del ministero dell’Interno attesta che, sia per gli uni che per gli altri nel 2016 le denunce sono diminuite rispetto all’anno precedente, mentre nel periodo 2008-2015, secondo Eurostat, quelle contro italiani sono aumentate del 7,4% e quelle contro stranieri sono diminuite dell’1,7%.

(da agenzie)

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L’IMPRENDITORE VENETO: “L’AUTONOMIA NON SERVE A NULLA, IL PROBLEMA NON SONO LE TASSE, MA LA BUROCRAZIA”

Ottobre 27th, 2017 Riccardo Fucile

“HO PORTATO LA FABBRICA IN AUSTRIA”

L’ultima nicchia dello sterminato capannone da 60 mila metri quadrati è occupata da imballaggi alti quattro metri. Due presse, 8 mila tonnellate ciascuna, arrivate dal Giappone. Costate 17 milioni e mai installate.
«Ho richieste da tutto il mondo e non riesco a soddisfarle. Non mi lasciano ampliare lo stabilimento, e allora queste macchine restano imballate. Ci perdo io, ci perdono tutti: potrei dare lavoro a centinaia di veneti. Invece assumo all’estero».
Nonostante l’Italia, a quasi 79 anni Francesco Biasion tutte le mattine alle 8 entra in fabbrica. Spesso anche di sabato.
Domenica ha votato sì al referendum. Per sconforto, racconta. «Il Veneto dà  troppo e riceve troppo poco. Peggio di così non può andare. Ma dia retta a me: non cambierà  nulla. Anzi, potrebbe essere peggio: l’unica autonomia necessaria è quella da certi amministratori locali che ci impediscono di lavorare; Dio ce ne scampi se un domani avranno più poteri».
Quinta elementare. A dieci anni era in azienda. Anzi, prima: «Mio padre mi portava a vedere i fabbri picchiare l’incudine». La Bifrangi era poco più di un’officina. Oggi è leader mondiale nello stampaggio a caldo dell’acciaio: oltre mille dipendenti, 250 milioni di fatturato, sei stabilimenti.
Il più grande, quasi 500 addetti, è a Mussolente, 7 mila anime in provincia di Vicenza, dove i Biasion abitano da generazioni. Gli altri sono a Lincoln e Sheffield, in Gran Bretagna, e a Houston. L’ultimo è ad Althofen, in Carinzia, dove negli anni scorsi qualche imprenditore veneto ha ceduto alle lusinghe e trasferito in Austria parte delle produzioni.
Biasion non ha scelto l’Est Europa dove la manodopera costa un quarto. Ha aperto là  dove gli operai guadagnano bene e il Fisco è meno opprimente, ma solo un po’. «Quelli come me non se ne vanno per pagare meno tasse. Ce ne andiamo perchè non siamo padroni nelle nostre fabbriche. Sono stufo di andare dal sindaco di turno con il cappello in mano ogni volta che devo fare un investimento».
Nel Vicentino la Bifrangi dà  lavoro a centinaia di famiglie tra dipendenti, fornitori e indotto, albergatori compresi, perchè è un modello studiato a ogni latitudine.
Mai uno sciopero. In mensa lavorano dieci cuochi assunti, si serve la verdura coltivata nei campi di Biasion e la carne delle sue bestie. C’è un frantoio per estrarre l’olio delle sue olive e un piccolissimo mulino per macinare la farina ottenuta dal suo grano. Nei capannoni si producono non solo i componenti in acciaio per l’industria pesante e la meccanica di precisione venduti in tutto il mondo; si progettano e realizzano anche i macchinari con cui fabbricarli.
«Eppure mi sento trattato come un delinquente», dice Biasion. Dieci anni fa ha brevettato il maglio più grande al mondo: un gigante di 1.500 tonnellate che quando piomba sull’acciaio incandescente esercita una pressione di 55 milioni di chili.
«Mi serviva un capannone nuovo. Provincia e Regione erano d’accordo. Il Comune anche». Anzi no: il sindaco decide di costruire una nuova strada proprio nell’area dove dovrebbe estendersi la fabbrica. «Protesto e alla fine la spunto».
Ma in Comune si accorgono che il capannone è troppo alto e gli uccelli potrebbero sbatterci contro: niente licenza edilizia, altri anni di liti finchè arriva la deroga per cominciare i lavori.
Apre il cantiere: servono fondamenta profonde 16 metri ma il Comune si mette di nuovo di traverso. «Mi sono stufato. Ho chiamato in Texas. La sera avevo una risposta: si può fare. Quando siamo andati a presentare il progetto erano sorpresi: la fabbrica è vostra, dentro potete fare quel che volete».
Tre anni fa, come alcuni suoi colleghi veneti, Biasion ha trasferito un pezzo di produzione in Carinzia.
Gli austriaci facevano promozione spinta, avevano creato una agenzia (oggi in liquidazione) per setacciare il Nord Italia e convincere le aziende a varcare il confine. «E io sono andato, sempre per lo stesso motivo: avevo troppe commesse, mi serviva uno stabilimento più grande ma qui non me lo lasciavano fare». In dieci mesi la fabbrica era pronta. «Mi hanno accolto con le fanfare, non sono mai riuscito a pagare nemmeno un caffè. Eppure non lo rifarei: le tasse sono più basse, la pubblica amministrazione garantisce contributi a fondo perduto e procedure snelle, ma non trovo manodopera. Un disastro».
Si torna al punto di partenza: le due presse imballate da cinque anni, i progetti incagliati, gli investimenti bloccati.
Le denunce: per aver piantato alcuni alberi e installato tre panchine, per una recinzione abusiva, per un impianto che inquinava. «Tutte archiviate. L’ultima poche settimane fa: il fatto non sussiste».
Nel frattempo Francesco Biasion ha assunto i 700 addetti che gli servivano. All’estero.

(da “La Stampa”)

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