Novembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
CHIAMATI IN CAUSA SIA PARTITO CHE BOSSI PER RECUPERARE SOLDI RUBATI
Il dato fondamentale è chiaro: il tormentone del maxi-sequestro alla Lega Nord, e de ll’effetto domino che starebbe generando sulle scelte di alcuni maggiorenti, si protrarrà per un bel po’.
Nelle ultime ore la Procura di Genova ha infatti compiuto due scelte cruciali, ancorchè mascherate con qualche tecnicismo.
Ha nuovamente chiesto di poter sequestrare le somme che saranno depositate in futuro sui conti del partito di Salvini, fino a raggiungere quota 48 milioni, senza insomma fermarsi ai 2 milioni trovati finora.
E ha deciso di rilanciare contro Umberto Bossi, in questo caso chiedendo che nel processo di secondo grado sulla truffa al Parlamento i giudici dispongano la possibilità di bloccare somme anche a lui, e non soltanto al movimento.
Per orientarsi è necessario fissare alcuni paletti in ordine cronologico e ripartire dal 24 luglio scorso, quando Bossi e l’ex tesoriere Francesco Belsito vengono condannati a 2 anni e mezzo e a 4 anni e 10 mesi per le decine di milioni di rimborsi pubblici ottenuti fra 2008 e 2011 dalle camere, e usati per fare tutt’altro.
Il tribunale in quel frangente stabilisce la confisca di 48 milioni alla Lega, beneficiaria dello stanziamento, mentre non accoglie una parte della requisitoria del pubblici ministeri, che volevano cercare il denaro frugando pure nei patrimoni di Bossi e Belsito.
A luglio i giudici in pratica dicono: se la Cassazione confermerà i verdetti di colpevolezza, i 48 milioni andranno presi sui conti del Carroccio, non altrove. Tutto molto futuribile, sennonchè la Procura dopo poche settimane alza il tiro.
E chiede il sequestro immediato della somma come misura «cautelare», per evitare si volatilizzi completamente prima del terzo grado.
Poichè la sentenza, sul fronte confische-sequestri, ha messo nel mirino solo il partito e non le persone, la medesima Procura in quella fase ha “titolo” solo per concentrarsi sulla Lega.
Il tribunale accoglie l’istanza, dice insomma che non bisogna aspettare la Suprema Corte (quindi la confisca), ma si può agire subito (con un sequestro conservativo). E però con una postilla stabilisce che i pm si fermino alle somme trovate quel giorno (siamo ai primi di settembre). Gli inquirenti scovano poco meno di due milioni, ma non mollano.
E si rivolgono al Riesame per far cassare la postilla salva-Lega.
Sempre il Riesame dice che la clausola non vale nulla poichè scritta da un solo giudice e non da un collegio, e rispedisce la palla ai pm: se volete, gli spiegano, potete chiedere di proseguire con i sequestri «fino a 48 milioni» agli stessi tre magistrati che hanno condannato Bossi.
La Procura lo fa, ma il tribunale ordinario si oppone alla linea dura, ribadendo che i denari incamerati dal Carroccio in futuro non potrebbero avere alcuna «pertinenza» con il reato, e quindi bisogna rassegnarsi ai due milioni scoperti subito.
Partita chiusa? No, e qui vengono le ultime novità , che si sviluppano su due binari differenti.
I pubblici ministeri hanno da pochissimo fatto appello sul fronte sequestri, chiedendo di poter mettere le mani pure sugli introiti a venire (è il filone su cui i tempi sono più veloci e la risposta arriverà a breve). Non solo.
Dopo che sono state depositate le motivazioni della condanna per truffa a Bossi e Belsito, l’accusa ha deciso di andare in secondo grado anche sul piano “processuale” complessivo.
Chiedendo che la Corte d’appello non limiti la confisca, e quindi la possibilità di chiedere sequestri conservativi, solo alla Lega, ma la estenda «per equivalente» ai possedimenti di Bossi e Belsito.
Qui la risposta potrà arrivare solo dopo il nuovo processo sul raggiro al Parlamento – quindi fra qualche mese – e l’istanza è in fase di ultimazione, rappresentando comunque un’accelerazione pesante.
«Le nostre scelte – spiega il procuratore capo Francesco Cozzi nel confermarle entrambe – non sono dettate da alcun accanimento, ma solo dalla volontà di fissare principi precisi e definitivi».
Ecco perchè le “trattative” con gli avvocati della Lega, e l’ipotesi di garanzie immobiliari fornite dal partito mettendo a disposizione alcune proprietà , si sono interrotte: il Carroccio ormai spera di cavarsela con due milioni, mentre la Procura vuole arrivare fino in fondo.
Ed ecco perchè non si placano i sommovimenti politici. Basta pensare all’ultimo exploit di Roberto Calderoli, che al Senato è passato al Gruppo Misto.
Facendo pensare a molti che stia gettando le basi per un soggetto politico capace di dribblare giuridicamente le evoluzioni del caso Genova.
(da “Il Secolo XIX”)
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Novembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
IL RUOLO DEL MISTERIOSO ARRON BANKS E LE INTERFERENZE DI PUTIN SUL REFERENDUM BRITANNICO
L’uomo che si è comprato la Brexit potrebbe averlo fatto con fondi neri provenienti
dalla Russia. E anche in Gran Bretagna, come negli Usa prima delle presidenziali, Facebook e Twitter potrebbero essere stati i lasciapassare di Vladimir Putin per interferire sul referendum britannico.
Tutto andrà ovviamente dimostrato, ma intanto sia il Comitato elettorale inglese sia il Select committee di Westminster hanno aperto due inchieste per appurare se l’addio alla Ue sia stato sollecitato da “dark money”, usando la definizione del deputato laburista Ben Bradshaw, l’uomo che da tempo sfida il governo per avere chiarezza.
Nel bel mezzo dello scandalo sessuale che ha travolto il parlamento inglese, con le dimissioni del ministro della Difesa Michael Fallon, Bradshaw ci parla dal suo ufficio di Westminster, con ben altro per la testa:
«Sono mesi che chiedo risposte sulle possibili interferenze russe nella nostra democrazia, ma finora non ne avevo ricevuto di chiare. Ci sono prove, sempre più evidenti, di attività di Mosca su Facebook e Twitter nel Regno Unito», sostiene Bradshaw.
Nel mirino delle inchieste, però, ci sono soprattutto i quasi dieci milioni di sterline che un solo uomo, l’imprenditore inglese 51enne Arron Banks, ha iniettato nella campagna elettorale pro Brexit e nelle casse dell’Ukip, il partito xenofobo anti europeo che faceva capo a Nigel Farage.
La sua è stata la donazione più cospicua nella storia elettorale britannica ed è forse grazie a quel denaro che il Leave ha vinto il referendum.
Un’approfondita inchiesta di openDemocracy, citata da Bradshaw, ha messo in evidenza i guai finanziari di Banks.
Nel 2013 la sua compagnia di assicurazioni Southern Rock, con sede a Gibilterra, era in grosse difficoltà . Banks stesso aveva dovuto sborsare 40 milioni di sterline per tappare i buchi. Ma non erano bastati.
L’anno dopo, però, le preoccupazioni economiche sembravano evaporate e l’imprenditore aveva cominciato a investire in miniere di diamanti, aziende chimiche, società di consulenza politica e, soprattutto, aveva cominciato a finanziare l’Ukip.
Con quali soldi?
OpenDemocracy non è riuscita a stabilire la ricchezza reale dell’imprenditore che si scherma dietro conti off-shore e numerose società in cui è coinvolto. Ma di certo la sua resurrezione finanziaria ha del miracoloso.
OpenDemocracy ricorda anche che la seconda moglie di Banks è la russa Ekaterina Paderina, il cui ex marito, secondo il Sunday Times, era stato interrogato due volte dalla polizia responsabile della sicurezza nazionale che sospettava che Paderina fosse una spia per il governo di Mosca.
Banks nega ogni connessione con il Cremlino e definisce baggianate le accuse che gli vengono rivolte. Ma ora gli toccherà dimostrare la sua innocenza.
«Sappiamo già che alcune regole della campagna elettorale sono state violate», ammette l’onorevole Bradshaw. «Le nostre leggi sono molto severe. Per esempio ogni campagna ha un tetto massimo di spesa e le donazioni straniere non solo legali. Per questo è importante stabilire da dove vengano i soldi che hanno portato alla Brexit, cioè a un disastro per la Gran Bretagna».
Una donazione, in particolare, ha fatto preoccupare il laburista:
«Si tratta di 425.000 sterline ottenute dal Dup, il Partito unionista democratico dell’Irlanda del Nord, con le quali si è alimentato il movimento del Leave. A Belfast le regole sono diverse da quelle di Londra. I partiti possono ricevere donazioni anonime (poichè ai tempi degli scontri tra cattolici e protestanti finanziare un certo partito poteva voler dire condannarsi a morte, n.d.r.) eppure il comitato elettorale nordirlandese ha comminato una multa al Dup, spiegando solo che la fonte del denaro non era legale. Io chiedo che adesso le regole vengano cambiate».
Non un particolare di poco conto se si pensa che il Dup è il partito alleato dei conservatori grazie al quale Theresa May tiene in piedi il suo governo.
Il laburista vede un filo rosso tra il Russiagate americano e il possibile Brexitgate:
«Del resto lo stesso Robert Mueller (che indaga sui legami tra Donald Trump e la Russia, n.d.r.) sostiene che l’ex consigliere di Trump, George Papadopoulos, che ha ammesso contatti con Mosca, avesse affari anche a Londra. Il mio governo finora ci ha tenuti all’oscuro, ma spero che stia cooperando con gli Usa e che coopererà con le due inchieste aperte qui. E sono soddisfatto che, dopo le resistenze iniziali, Facebook e Twitter stiano ora collaborando».
Anche per il futuro serve tenere alta la guardia. Secondo il senatore americano Angus King, Mosca starebbe trafficando anche per incidere su un possibile secondo referendum scozzese per l’indipendenza.
«Non sono sorpreso — ammette Bradshaw — si parlava di un coinvolgimento russo anche per il primo referendum. Non dobbiamo dimenticare che l’obiettivo di Putin è di dividere e indebolire le grandi democrazie occidentali».
(da agenzie)
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Novembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
RIMOZIONI CROLLATE DEL 60% IN UN ANNO, LA CAPITALE NON HA PIU’ UN SERVIZIO PUBBLICO DI INTERVENTO
Il 3 novembre 2017 Roma festeggia un compleanno speciale, uno di quelli che poche città possono permettersi di celebrare, un unicum che rende la Capitale ancora più caratteristica tra le metropoli di tutto il mondo.
Giovedì sono due anni esatti senza carri attrezzi e senza ganasce.
Era infatti il 3 novembre 2015 il giorno in cui l’ex comandante dei vigili urbani, Raffaele Clemente decise di ritirare la commessa pubblica del servizio al Consorzio Trasporto Lazio che si occupava da anni della rimozione delle auto parcheggiate in sosta selvaggia perchè, in base a quanto comunicato all’epoca dal comando, due consorziate aggiudicatarie erano risultate “dall’Agenzia delle entrate responsabili di violazioni fiscali”.
Da allora a portare via le macchine ferme in doppia fila, sulle strisce pedonali, nei parcheggi dei disabili, alle fermate degli autobus e così via, in un excursus di inciviltà che a Roma sembra non avere fine, è Italsoccorso, azienda attiva nel settore dei soccorsi stradali che si occupa delle rimozioni per la Prefettura utilizzando i carri attrezzi dei depositi giudiziari indicati all’interno degli appositi elenchi.
Peccato che, dato il numero esiguo di veicoli, questi vengano chiamati solo in casi eccezionali, quando un’auto blocca il traffico o nei periodi in cui si attuano apposite “campagne” contro i parcheggi selvaggi.
Normalmente invece se ne fa a meno, limitandosi alle semplici multe o facendo finta di non vedere le centinaia di auto che ogni giorno contribuiscono a rendere invivibile il traffico della Capitale.
Avrebbe dovuto essere una misura da applicare “in via provvisoria” e invece tra stasi, scandali, burocrazia e cambi di amministrazione “il provvisorio” è arrivato a spegnere la seconda candelina, nonostante le due giunte che si sono susseguite al Campidoglio negli ultimi due anni abbiano promesso, entrambe, soluzioni (in tempi brevi) finora mai attuate.
Dal punto di vista urbano il risultato di quanto sta accadendo è sotto gli occhi di tutti. Dalla Tiburtina a via Catania, passando per il Lungotevere Mellini, per i sottopassi vicini a piazza della Libertà o per via Cola di Rienzo, non c’è strada di Roma che non sia caratterizzata da una sosta selvaggia divenuta ormai simbolo della città tanto quanto il Colosseo o la carbonara, in barba a chiunque osi riferirsi a civiltà o senso civico.
A parlare però, sono anche i dati.
Sebbene i costi (sempre a carico dei trasgressori) siano rimasti sostanzialmente gli stessi, i numeri delle rimozioni hanno subito una vera e propria caduta verticale: 25mila in totale nel 2015, poco più di 10mila nel 2016.
Un crollo del 60% in un solo anno.
Come da tradizione, arriva il capitolo promesse. Nel mese di febbraio, il presidente della commissione Mobilità , Enrico Stefano, aveva annunciato che il servizio rimozioni sarebbe passato in capo ad Atac “con un processo burocratico che dovrebbe concludersi a inizio 2018”.
Nel 2019 sarebbe stata indetta una nuova gara.
Due mesi dopo, era aprile, fu l’assessore ai Trasporti Linda Meleo a promettere che l’appalto sarebbe stato “internalizzato in Atac” entro la fine del mese di ottobre. Scadenza arrivata, ma del piano nemmeno l’ombra.
A rigor di cronaca occorre sottolineare che il progetto non è nemmeno di matrice grillina. Se ne iniziò a parlare nell’aprile del 2016 (Giunta Marino dunque) nel corso di una serie di incontri tra Atac, Comune e Agenzia per la mobilità durante le quali si prospettò l’ipotesi, rimasta tale, di far gestire il servizio al Campidoglio, attraverso la sua municipalizzata, che si sarebbe occupata del sistema ganasce, delle rimozioni, fornendo anche i depositi, attualmente quasi tutti situati oltre il Raccordo.
A complicare le cose nel frattempo, oltre ai problemi di statuto, contratti ecc. è intervenuto anche l’ormai celeberrimo concordato preventivo di Atac attualmente al vaglio del Tribunale fallimentare, che ha sostanzialmente bloccato il progetto.
Almeno fino all’approvazione definitiva del piano industriale, che il Comune però deve ancora presentare (termine 27 novembre), e il successivo ok dei creditori, la partecipata capitolina potrà occuparsi solo ed esclusivamente delle “attività ordinarie”, cercando di tirare avanti la baracca in attesa del tanto agognato rilancio.
Insomma i tempi sono lunghi e l’internalizzazione dei “carri attrezzi” sembra essere l’ultima cosa di cui i vertici dell’azienda intendono preoccuparsi in un momento critico come questo.
Tutto da rifare dunque, forse tramite un nuovo bando o forse attraverso qualche altra via che sarà studiata nel corso dei prossimi mesi. Nel frattempo, per far rimuovere una macchina che intralcia il traffico si continuerà ad attendere ore, gli incivili saranno sicuri di cavarsela, male che vada, con una semplice contravvenzione, e la sosta selvaggia continuerà ad essere una delle “attrazioni principali” di Roma.
Con buona pace dell’ormai inesistente civiltà .
(da “Business Insider”)
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Novembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
SPUNTA IL LEGAME CON UNA DONNA, TESTIMONE CHIAVE PER L’OMICIDIO TARTARI, IL 73ENNE MASSACRATO NEL 2015 DOPO UNA RAPINA … ABITAVA A SOLO 13 KM DAL LUOGO DOVE IGOR FECE PERDERE LE TRACCE MA NESSUNO L’HA CERCATA
Se i carabinieri avessero fatto circolare meglio le informazioni in loro possesso, la
Questura di Ferrara avrebbe potuto fornire ai militari molti elementi su Norbert Feher, alias Igor Vaclavic, anche prima dell’omicidio di Valerio Verri.
Tra questi l’indicazione di una badante che frequentò la banda di Pajdek, con cui Igor aveva seminato il terrore nella Bassa Ferrarese fino al 2015, e che viveva proprio a Molinella, a una manciata di chilometri dal bar di Davide Fabbri.
Scambio di informazioni
La tesi che uno scambio di informazioni più trasparente tra le forze dell’ordine avrebbe potuto evitare il secondo omicidio, quello della guardia volontaria Valerio Verri, è alla base dell’opposizione alla richiesta di archiviazione della Procura di Ferrara depositata dal legale della famiglia Verri, Fabio Anselmo.
Ma il comando provinciale dei carabinieri di Ferrara rigetta le accuse e in una nota precisa che «le attività per la ricerca del latitante sono state costantemente condivise». Invece l’avvocato mette in fila una serie di documenti e comunicazioni riservate dei carabinieri che indicherebbero come i militari sospettassero già subito dopo l’omicidio di Fabbri del rapinatore seriale Igor Vaclavic.
Circostanza che però il comando provinciale di Ferrara continua a smentire, aprendo di fatto un braccio di ferro e sostenendo che «si sono acquisiti elementi sulla possibile presenza di Norbert Feher alias Igor Vaclavic nelle Valli del Mezzano solo dopo i fatti delittuosi del tragico 8 aprile 2017», cioè dopo l’omicidio Verri. Ma allora perchè la scheda segnaletica di Igor Vaclavic fu diffusa a tutti i comandi della regione e alle pattuglie alle 15 del 2 aprile?
La storia della badante
E poi ancora il 18 aprile 2017 la Squadra mobile di Ferrara scrive alle Procure di Bologna e Ferrara che una testimone chiave del processo per l’omicidio Tartari (il 73enne massacrato dopo una rapina nel Ferrarese nel 2015, ndr), la zia del rumeno Patrik Ruszo, è stata prelevata dagli agenti il 13 gennaio nell’abitazione in cui lavorava come badante di un anziano, padre di un’infermiera, proprio a Molinella.
La stessa Questura scrive che quella casa dista 13 chilometri dal bar Gallo e 5 dal luogo dove Igor ha abbandonato il Fiorino per darsi alla fuga dopo l’omicidio Verri.
«Se la Questura avesse avuto tempestiva conoscenza del fatto che si sospettava fondatamente che Igor fosse autore dei delitti del 30/03 (rapina a Consandolo, ndr) e del 1/04 – scrive il legale dei Verri – avrebbe potuto rendere nota di tale circostanza e costituire così valida pista investigativa. Si sarebbe potuto controllare la presenza di Igor in quel posto, considerato che era ferito e necessitava di cure».
I ritardi
Dopo l’omicidio Verri dell’8 aprile, infatti, molte persone che negli anni passati avevano gravitato nella cerchia di Vaclavic sono state interrogate e intercettate, ma senza successo. Ci sono poi gli oggetti ritrovati dai carabinieri di Argenta in un bivacco il 3 aprile, inviati ai Ris solo due settimane dopo.
Nella serie di ritardi segnalati dai Verri, c’è anche la riunione del comitato provinciale per l’ordine pubblico del 7 aprile, 24 ore prima dell’omicidio di Portomaggiore, in cui «nulla era riferito dal comandante dei carabinieri di Ferrara Andrea Desideri sul rischio della latitanza del pregiudicato Vaclavic» in quelle zone.
(da “il Corriere della Sera”)
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Novembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
I SILENZI DEI CARABINIERI: “SAPEVANO CHI ERA, NEL FAX NON LO SCRISSERO”
Una cortina di silenzi e omissioni ha coperto le azioni e la fuga di “Igor il Russo”, il criminale che nella primavera scorsa ha terrorizzato la pianura Padana a cavallo tra Ferrara e Bologna. Da allora Igor è sparito nel nulla.
Probabilmente perchè, nella fase più calda della caccia all’uomo, pezzi dello Stato hanno volutamente tenuto all’oscuro altri pezzi dello Stato. Incartandosi da soli.
In queste ore l’Arma dei carabinieri, che ha condotto le indagini, è precipitata in un profondo imbarazzo e il goffo comunicato stampa diffuso ieri dal Comando provinciale di Ferrara ne è l’ultima testimonianza.
LA CORTINA DI SEGRETI
Quando la fuga di Igor era appena agli inizi, e cioè subito dopo l’assassinio di Davide Fabbri, il tabaccaio di Budrio, i carabinieri di Bologna nascosero alle autorità di Ferrara (polizia e prefettura) l’identità del ricercato.
Peccato che la polizia avesse appena concluso con successo un’inchiesta su Igor e la sua banda di rapinatori e, dunque, fosse in possesso di informazioni preziose e potenzialmente utili per individuarlo.
E che il prefetto di Ferrara, organismo responsabile dell’incolumità pubblica nella provincia dove il killer ha vissuto negli ultimi anni e dove si è sempre rifugiato, se avvertito tempestivamente avrebbe potuto (e dovuto) dire a tutti gli “operativi” che battevano il territorio di stare attenti.
Invece, sette giorni dopo l’omicidio di Budrio, Igor il Russo ha potuto uccidere ancora. Un agguato nel parco delle Valli del Mezzano, proprio in provincia di Ferrara. Dove, sotto i colpi della sua Smith&Wesson calibro 9 è caduto Valerio Verri, un volontario. Stava cercando addestratori abusivi di cani. Ha trovato Igor.
L’ASSASSINO SENZA NOME
Che poi, Igor non è russo. È serbo, di origini ungheresi. E non si chiama nemmeno Igor, ma Norbert. Norbert Feher. Di lui, i carabinieri hanno sempre saputo tutto.
Solo che non lo hanno detto a chi dovevano, non hanno condiviso informazioni trincerandosi dietro il segreto investigativo.
Ancora nella notte tra l’otto e il nove aprile, cioè una settimana dopo i fatti di Budrio e poche ore dopo l’omicidio del volontario, la compagnia di Porto Maggiore trasmise a svariati organismi istituzionali – tra cui la questura e la prefettura di Ferrara – un telex in cui negava di conoscerne l’identità . “Ignoto – così lo definiscono i militari nel documento che Repubblica ha visionato – esplodeva numero 5 colpi di arma da fuoco calibro 9 x 21 attingendo autovettura polizia provinciale Ferrara con a bordo l’agente scelto della Polizia provinciale Ravaglia Marco e Valerio Verri, volontario Legambiente”.
Ignoto. Eppure è documentato che i carabinieri dei due comandi provinciali, Bologna e Ferrara, stavano indagando su Norbert Feher già dalla notte del 30 marzo quando questi rubò la pistola a una guardia giurata.
Fin da subito, un maresciallo di Bologna riconobbe il modus operandi del ben noto Feher, tanto che il 3 aprile gli investigatori misero sotto controllo il suo telefono cellulare.
Nelle cinque pagine della richiesta di intercettazioni, datata 2 aprile, l’identità del presunto assassino è certa. “Considerata la gravità dei reati e il concreto pericolo di reiterazione e l’esistenza di un quadro di gravità indiziaria nei confronti di Vaclavic, appare indispensabile attivare immediate intercettazioni telefoniche”. Avevano il loro uomo. Tutto stava a prenderlo
TUTTI CONTRO TUTT
In quei giorni convulsi di inizio aprile, tra il primo e il secondo omicidio, alla Questura di Ferrara niente fu detto. I giornali già pubblicavano le foto di Feher/Igor e nel frattempo i canali ufficiali rimanevano muti.
“Nessuna segnalazione risulta pervenuta in relazione all’omicidio Fabbri”, scrive la prefettura di Ferrara in una nota alla procura. Lo stesso sostiene la Questura: “Nessun elemento investigativo o di rilievo per la sicurezza pubblica ci è stato comunicato”
E però ieri sera i carabinieri di Ferrara hanno fatto uscire un comunicato che ribalta, o vorrebbe ribaltare, tutto. “Nessun dato investigativo fino all’8 aprile faceva presagire la sua responsabilità penale (di Feher, ndr) per gli episodi delittuosi del 30 marzo e del 1° aprile, nè la sua presenza nella zona”.
Esattamente l’opposto di quanto sostengono gli stessi carabinieri (ma quelli di Bologna) e le carte agli atti dell’indagine.
L’ULTIMO COMUNICAT
Per difendersi dall’esposto dell’avvocato Fabio Anselmo il quale ritiene che l’uccisione di Verri potesse essere evitata, i carabinieri bolognesi hanno dimostrato alla procura che già il 2 aprile la loro centrale operativa aveva trasmesso “informalmente via mail” l’identità del ricercato.
Nome, cognome e grado di pericolosità : “Ha un fucile da caccia e una semiautomatica”. Nel lungo elenco dei destinatari della segnalazione “informale” mancano però Questura e Prefettura di Ferrara.
Incrociando il contenuto di questa mail con il comunicato stampa di ieri, il risultato è da bancarotta: nell’imminenza dei fatti i carabinieri non hanno informato chi doveva tutelare l’incolumità pubblica (ai sensi della legge 121 del 1981), probabilmente al fine di tagliare fuori la polizia da un’inchiesta che prometteva molta visibilità .
Mesi dopo, di fronte alle critiche, si difendono contraddicendosi l’un l’altro.
E dimostrando come, sul campo, il grande vantaggio di Igor fu la disorganizzazione di chi doveva braccarlo.
(da “Il Corriere della Sera”)
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Novembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
DA COMANDANTE DI UNA MOTOVEDETTA LIBICA DISPENSAVA CONSIGLI ALL’ITALIA SU COME BLOCCARE I FLUSSI MIGRATORI
Era fuggito in Nord Africa dopo le truffe milionarie e le estorsioni con la sua Rimini
Yacht, con un cotè di militari della Finanza, residui di P3 e briciole di ‘ndrangheta.
Era finito latitante prima in Tunisia, poi in Algeria, infine in Libia. Qui fu anche arrestato, ma quando cadde Gheddafi, fu liberato dai ribelli alle quali poi si è unito per qualche tempo.
Infine, da comandante di una motovedetta, discettava sui giornali dispensando consigli all’Italia sulle misure più giuste per bloccare i flussi migratori.
Alla fine Giulio Lolli, imprenditore bolognese, da 7 anni ricercato dalla giustizia italiana per via di due mandati di cattura internazionale, è stato arrestato dalle forze speciali di deterrenza Rada, militari che dipendono dal ministero dell’Interno libico per il quale in teoria Lolli lavorava.
Ora l’ex imprenditore si trova nel carcere di Tripoli. L’arresto è avvenuto martedì, come hanno confermato le autorità giudiziarie libiche che hanno eseguito l’arresto chiesto da tempo dalla Procura di Rimini per associazione per delinquere finalizzata alla truffa e estorsione.
In Libia, dopo aver partecipato alla rivolta contro Gheddafi, Lolli era diventato uno dei luogotenenti delle forze speciali di sicurezza marittima del porto di Tripoli, guidate dal comandante Taha El Musrati, col compito dichiarato di fermare gli scafisti.
Per questo anche di recente era finito sui giornali italiani.
Per esempio sul Giornale che definì la sua vicenda una “sfortunata bancarotta”. “Scrivetelo — disse all’epoca Lolli intervistato dal quotidiano diretto da Alessandro Sallusti — il vostro governo sta buttando i soldi in mare. State addestrando e fornendo motovedette a una Guardia Costiera che a Tripoli non ha accesso al mare. A Misurata invece sarà inutile perchè le barche dei migranti non partono da lì”.
In quell’intervista l’ex imprenditore e broker emiliano si definì “un ufficiale delle Forze Speciali di Sicurezza Marittima: siamo una brigata di 153 uomini che controlla il porto di Tripoli e ha l’incarico di recuperare migranti e feriti e sfollati”.
Un anno prima al Quotidiano Nazionale assicurava: “La latitanza non mi ha cambiato: adoro le donne e gli hotel di lusso”.
L’ultima traccia, invece, è del settembre scorso quando — ancora da ufficiale del governo Serraj in nome del quale diceva di operare — discuteva di ong: “Se le ong non ci fossero — disse a San Marino Tv — vi sarebbero meno morti in mare”. Ha tenuto anche un blog molto curato, L’ultimo avventuriero.
Lolli fuggì anni fa dopo l’inchiesta che travolse la sua società , la Rimini Yacht, che vendeva barche di lusso e che è fallita portandosi dietro un’indagine giudiziaria che ha coinvolto importanti esponenti della Guardia di finanza, finanzieri legati alla P3 (tra i testimoni del processo fu chiamato anche Flavio Carboni) ed è arrivata a lambire perfino indagini riguardanti la ‘ndrangheta.
In Italia, Lolli è accusato di una truffa milionaria, basata, sostanzialmente, sulla vendita degli stessi yacht ad acquirenti diversi.
Oltre a questo avrebbe nascosto all’erario oltre 40 milioni di ricavi. Nel corso degli anni gli sono state sequestrate due ville, una a Pennabilli (Rimini) e l’altra a Casalecchio di Reno, per un valore di 2 milioni.
(da agenzie)
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Novembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
“SIAMO INTERVENUTI PER RISPETTO AL PAESE CHE CI OSPITA”.. I DUE GIOVANI GHANESI PRIMA LO INSEGUONO E POI PORTANO DI PESO IL LADRO DAI CARABINIERI
Babu e Akari non perdono tempo. E quando vedono due ragazzini aggredire e derubare del telefonino una donna a bordo dell’autobus della linea 18, decidono di intervenire subito.
Sono in Italia da un anno e mezzo, in fuga dal Ghana dove erano perseguitati solo perchè avevano idee politiche diverse da quelle del governo.
«Da qualche settimana abbiamo anche ottenuto lo status di rifugiati, ci è sembrata la cosa giusta da fare anche per rispetto del paese che ci ospita», racconteranno poco dopo in un italiano difficoltoso ai carabinieri della stazione di Maddalena. Perchè il gesto di Babu e Akari, 28 e 32 anni, non è cosa che si vede tutti i giorni.
I due migranti, infatti, si lanciano all’inseguimento dei due ladri, li rincorrono per i vicoli del centro storico e alla fine, dopo averne bloccato uno, lo consegnano ai carabinieri.
Piazza della Nunziata, ore 14 di sabato pomeriggio.
L’aggressione sul mezzo pubblico avviene in pochi istanti. La vittima è una dipendente del Comune che viene avvicinata da due giovani poco prima che il bus arrivi alla fermata. Uno la immobilizza, l’altro le strappa il telefono cellulare che la donna sta consultando.
Preso lo smarthphone i due scendono alla fermata. Pensano di averla fatta franca.
Ma non hanno fatto i conti con i due rifugiati del Ghana.
Babu e Akari sono sul bus perchè stanno andando ad un colloquio di lavoro. Ora che sono in regola con i documenti possono iniziare una nuova vita nel nostro paese. Ma questo non li ferma dall’intervenire.
Vedono l’aggressione, notano che i due scendono di corsa e li inseguono. I ladri cercano di dileguarsi scomparendo nei vicoli del centro storico. Uno ci riesce, l’altro viene bloccato all’altezza di salita Dell’Oro.
Babu e Akari non si limitano a questo. Prendono il giovane fermato e lo portano di peso alla caserma dei carabinieri di via ponte Calvi.
Qui si presentano ai militari e raccontano quanto avvenuto. Il ladro, un giovane di 17 anni di etnia sinti, ha ancora il telefono della donna in tasca. à‰ la prova che lo inchioda.
(da “il Secolo XIX”)
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Novembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
DAI MACCHINISTI DEI TRENI AI MINATORI, DAGLI OPERATORI ECOLOGICI AGLI INSEGNANTI DI ASILI E MATERNE
Alcuni lavoratori potranno essere esentati dalle rigide maglie della legge Fornero. 
Ci sono i “minatori”, i macchinisti dei treni, oppure gli insegnanti di materne e asili. Le categorie che potrebbero rientrare tra le esclusioni dell’incremento dell’età per poter accedere alla pensione sono diverse e in queste ore si sta cercando di definire questa platea che non dovrebbe superare le 15mila unità .
Queste tipologie di lavoratori già oggi beneficiano della possibilità di aderire all’Ape Social e sono gli stessi che avrebbero presentato nelle ultime settimane la richiesta di adesione all’uscita anticipata.
Lo schema con tutte le categorie incluse e finalmente definite, sarà inserito nella legge di Bilancio entro metà novembre.
Nel dettaglio, sarebbero inclusi in questa lista persone che normalmente sono inseriti in turni di lavoro pesanti o a rotazione: come gli operai edili addetti alle gru, scavatrici o manutentori di edifici.
Ci sono pure i macchinisti e parte dei ferrovieri, i conciatori, camionisti, lavoratori impegnati in turni di facchinaggio, gli infermieri (non tutti), operatori ecologici, insegnanti delle materne e degli asili, badanti che assistono persone non autosufficienti. Per tutti loro potrebbero saltare le griglie imposte dalla Fornero riuscendo a anticipare il giorno della pensione anche di 5 anni rispetto ai 67 anni (e oltre) imposti alle norme.
(da agenzie)
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Novembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
UN ANNO E QUATTRO MESI A FRONTE DELLA RICHIESTA DEL PM DI 4 ANNI
E’ stato condannato a 1 anno e 4 mesi il parlamentare del Pdl, Antonio Angelucci.
Per il politico ed editore la procura di Roma aveva chiesto 4 anni di carcere con l’accusa di tentata truffa e falso nell’ambito di un processo legato ai contributi pubblici percepiti tra il 2006 e il 2007 per i quotidiani Libero e il Riformista.
I due rappresentanti legali delle sue società ‘Editoriale Libero’ e ‘Edizioni Riformiste’, che editavano i quotidiani, Arnaldo Rossi e Roberto Crespi sono stati entrambi condannati a 1 anno.
Il pm Francesco Dall’Olio aveva invece sollecitato per i due una condanna a 3 anni e sei mesi.
Il pm al termine della requisitoria aveva dichiarato prescritta l’accusa di truffa consumata.
Per questa vicenda, nel giugno del 2013, la Guardia di Finanza eseguì un sequestro preventivo di 20 milioni nei confronti delle due società .
Secondo l’impianto accusatorio le due società hanno dichiarato di appartenere ad editori diversi per aggirare il divieto di richiedere contributi pubblici per più di una testata da parte dello stesso editore.
I contributi pubblici sarebbero stati percepiti indebitamente nel 2006 e nel 2007, mentre dal 2008 al 2011 sono stati bloccati in seguito all’indagine.
(da agenzie)
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