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RAFFRONTO CON ELEZIONI REGIONALI SICILIA 2012: CRESCE SOLO IL M5S CHE AVEVA IL 18,2%

Novembre 5th, 2017 Riccardo Fucile

IL CENTRODESTRA AVEVA IL 41,1% DIVISO TRA DUE CANDIDATI, PER QUESTO VINSE CROCETTA

Per capire meglio i risultati delle Regionali siciliane, almeno quelli anticipati dagli exit pool, è necessario raffrontarli con quelle del 2012 .
Allora Crocetta vinse con il 30,5% grazie all’apporto del Pd (13,4%), Udc (10,8%), Movimento politico (6,2%).
Il centrodestra era diviso tra due candidati, Musumeci e Miccichè.
Musumeci fece secondo con il 25,7% grazie all’apporto del Pdl (12,9%), Cantiere popolare (5,9%) e Musumeci presidente (5,6%).
Miccichè finì quarto con   il 15,4% grazie a Mpa (9,5%), Grande Sud (6%), Fli (4,4%)
Cancelleri fu terzo con il 18,2% (M5S al 14,9%).
Giovanna Marano fu quinta con il 6,1% grazie a Idv e Sel

(da agenzie)

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EXIT POLL: MUSUMECI IN TESTA, CANCELLERI DUE PUNTI DIETRO, MICARI TERZO MA DAVANTI A FAVA

Novembre 5th, 2017 Riccardo Fucile

TRA I PARTITI STRAVINCE IL M5S, SECONDA FORZA ITALIA, TERZO IL PD, QUARTO L’UDC

Il voto delle regionali in Sicilia si è concluso. Lo spoglio tra le polemiche inizierà  soltanto domani alle 8.
Intanto l’Istituto Piepoli-Noto ha fatto un primo exit poll per la Rai.
Secondo la rilevazione all’uscita dai seggi, che ha coinvolto 4.442 persone, il candidato del centrodestra Nello Musumeci è avanti con il 35-39 per cento, seguito dal candidato governatore dei 5 stelle Giancarlo Cancelleri che si attesterebbe al 33-37 per cento.
Solo terzo Fabrizio Micari, sostenuto dal centrosinistra a guida Pd, che arriverebbe al 16-20 per cento.
Il candidato della sinistra, Claudio Fava, sarebbe al 7-11 per cento.
Piu o meno dati simili anche da Emg che dà  Musumeci tra il 36 e il 40%, Cancelleri tra il 34 e il 38%, Micari tra il 16 e il 20%, Fava tra il 6 e il 9%.
Quanto ai partiti il M5S risulterebbe il primo partito tra il 30 e il 34%, secondo Forza Italia tra il 12 e il 15%, PD tra il 9% e il 13%, UDC tra il 6 e il 10%, Fdi e Lega unite tra il 5 e l’8%, Diventerà  Bellissima tra   il 4 e il 7%, Psi tra il 3 e il 6%, Ap tra il 2 e il 5%

(da agenzie)

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IL LEADER DI SVP FA “L’ITALIANO”: PERDE LA PATENTE E SE LA RIPRENDE DA SOLO

Novembre 5th, 2017 Riccardo Fucile

“QUEL FURBACCHIONE FORMALMENTE BOCCIATO E SENZA PATENTE CHE HA TAMPONATO UNA FAMIGLIA TEDESCA” … L’IMBARAZZO DEL PARTITO

Patenti, punti ritirati, esami riparatori fatti in corsia preferenziale.
Il tutto condito da incidenti stradali.
Una storia molto italiana, eppure ha toccato Philipp Achammer, assessore provinciale di Bolzano, nonchè presidente del Sudtiroler Volkspartei.
Una vicenda che viene resa nota proprio adesso che il Svp, grazie all’approvazione del Rosatellum, incassa una vittoria forse decisiva nel confronto con la comunità  di lingua dell’Alto Adige.
Tutto comincia nel 2013, come ha rivelato il settimanale di lingua tedesca Ff. Achammer, nato nel 1985, guida la campagna elettorale del Svp e corre per l’Alto Adige a bordo della sua Audi.
Le cronache raccontano che il viva voce della macchina fosse rotto e così ci scappa qualche telefonata al volante. Poi, è stato scritto, qualche limite di velocità  non rispettato.
Così il politico sudtirolese accumula sanzioni. E deve rifare l’esame della patente.
Un bel guaio, anche di immagine. Qui comincia il giallo: “Achammer ha deciso di sostenere l’esame da privatista. Così, dopo diversi rinvii, il 6 febbraio 2015 (all’epoca era già  assessore provinciale, ndr) è arrivato all’ufficio patenti della Provincia da solo”, raccontano in Provincia.
Da solo? “In effetti di solito agli esami abbiamo 10-15 persone”. Allora? “Non siamo verginelle, dai. Accade in tutta Italia se un assessore fa un esame… Lo abbiamo fatto per evitargli imbarazzi. Ma nessun favoritismo sull’esito dell’esame!”.
Non è finita: “Achammer ha risposto alle domande, gli errori ammessi erano quattro”. E lui? “Cinque”. Bocciato? Sì e no. Perchè salta fuori, e qui gli avversari politici sorridono maliziosi, che due quiz — formulati in italiano — erano mal tradotti in tedesco.
“Capitava spesso all’epoca”, giurano in Provincia. Si decide di fare ricorso. Altra stranezza: “L’Ufficio patenti ha inviato il ricorso a Roma”. Non spetta alla persona bocciata? “Sì, è stato un atto di cortesia”.
Ma il bello deve ancora venire: “Quel furbacchione”, si lasciano scappare in Provincia, “che in quel momento risultava formalmente bocciato (quindi senza patente) è uscito dall’ufficio, è saltato sulla sua Audi e dopo pochi metri ha tamponato una famiglia tedesca”. Diecimila euro di danni.
Ma Achammer aveva o no l’autorizzazione a guidare in quel momento? “Era in una zona grigia…”, allargano le braccia gli uffici.
Bisognava capire se dovesse rifare o meno l’esame. Soprattutto se avesse guidato senza patente. “Noi ritenevamo che la vecchia patente fosse valida, ma lui, per non avere favoritismi, ha chiesto di rifarlo”, dicono in Provincia, dove Achammer oggi è assessore.
Cosa dice Achammer? Il cronista lo ha cercato ripetutamente, ma non ha ottenuto risposta nè alle telefonate, nè ai messaggi.
Una vicenda che tocca il Svp proprio nel momento in cui incassa una decisiva vittoria politica con l’approvazione della nuova legge elettorale: “Il Rosatellum consegna l’Alto Adige ai sud tirolesi del Sà¼dtiroler Volkspartei, cancellando gli italiani di Bolzano dal Parlamento”, sostiene Michaela Biancofiore (parlamentare del centrodestra).
La coalizione Svp-Pd potrebbe portarsi a casa 16 parlamentari su 17 eletti in regione. Un allarme che arriva da voci molto diverse.
Oltre a Biancofiore ci sono Riccardo Fraccaro (M5S) e Florian Kronbichler (Mdp). L’accusa: in cambio del sostegno di Svp al governo, il partito altoatesino allarga il proprio già  schiacciante potere.
Una partita che riguarda il sistema elettorale, ma anche le concessioni autostradali, le Agenzie delle Entrate e perfino i tribunali. “Con il 40% dei voti il blocco di potere Svp (Patt a Trento) e Pd potrebbero portarsi a casa più dell’80% degli eletti. Addirittura forse 16 su 17”, sostengono Biancofiore e Fraccaro. Kronbichler — unico parlamentare di lingua tedesca mai eletto fuori dell’Svp — la spiega così: “Il Rosatellum prevede per il Trentino Alto Adige una norma che pare scritta su misura per Svp.
Viene eliminato lo scorporo. Così i voti già  conteggiati per il maggioritario vengono riutilizzati per il proporzionale.
Non solo: la soglia di sbarramento del 3% a livello nazionale qui viene sostituita per i partiti della minoranza linguistica col 20% a livello locale. Oppure con due collegi vinti per provincia. Requisiti tagliati su misura per l’Svp”.
Ma il gioco, sostiene Biancofiore, è ancora più ampio: “L’Svp potrebbe incassare altre partite decisive per mettere definitivamente all’angolo la comunità  italiana in Alto Adige”. Si parte dalle autostrade: “Si vorrebbe ottenere il rinnovo della concessione autostradale trentennale alla Autobrennero spa, dove gli enti locali, controllati dall’Svp, fanno la parte del leone. Parliamo di una società  che è una cassaforte di potere e di denaro. L’unico ostacolo è l’Europa che chiede che la concessione sia messa a gara”.
E non è finita: “L’Svp — conclude Fraccaro — vorrebbe che anche la gestione delle Agenzie delle Entrate e del personale amministrativo dei tribunali passasse alle Province. In pratica all’Svp. Così il partito sudtirolese, dietro la scusa della tutela della minoranza altoatesina, si preoccupa soprattutto del proprio potere”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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BERLUSCONI, FLOP DA COSTANZO

Novembre 5th, 2017 Riccardo Fucile

POCO PIU’ DI 2 MILIONI DI SPETTATORI, APPENA L’8,7% DI SHARE

Forse non è stata un’ideona anticipare in prima serata “L’Intervista” di Maurizio Costanzo.
Certo l’intervistato era Silvio Berlusconi in grande spolvero: dimagrito e con doppiopetto morbido, però…
Però, chi segue Costanzo – e in generale i talk: politici, o giù di lì – attende la seconda serata. O forse meglio sarebbe dire che la platea è ormai abituata ad altro.
Specie in tempi di ultra trash come questi del GfVip che sta (non a caso) spopolando.
Difficile che quel pubblico – che è poi lo zoccolo duro dei vari Uomini e Donne, Isola dei Famosi e via trashando – si sintonizzi dopo cena, per ascoltare la chiacchierata soft tra Maurizio Costanzo e Silvio Berlusconi.
Vecchie volpi quasi coetanee e di (gran) classe, che però hanno un pubblico differente: da brandy in poltrona, non da redbull in prima serata.
Morale, come snocciola Davide Maggio, «su Canale 5, L’Intervista con Silvio Berlusconi ha raccolto davanti al video 2.193.000 spettatori pari all’8.7% di share». Brutto dirlo, ma un’inezia.
Quasi battuto dalla Gruber con 8 e 1/2, appuntamento ormai fisso.
E battuto dal faccia a faccia De Filippi-Costanzo, che si intervistavano quasi a vicenda qualche stagione fa.
Sempre ne L’Intervista, ma in orario differente: seconda serata. Altro pubblico.
Per dire, “Destini Incrociati”, con Harrison Ford e Kristin Scott Thomas – non certo di prima visione – ha inchiodato «al video 1.737.000 spettatori, pari ad uno share del 7.1%», sempre fonte Davide Maggio.
Insomma, il Presidente che rimpiange il suo Milan e che racconta i suoi trascorsi da bambino, in crociera o a Parigi, preso per un orecchio dal padre che se lo riportò a Milano, è stato vittima della sua stessa Mediaset.
Che in questa stagione sta talmente spopolando col GfVip, da non lasciare altro spazio in prima serata, che a film o programmi supertrash.
La conferma? Grazie all’ultima fiction nella fiction – la love story Rodriguez-Moser – ieri la «striscia quotidiana di Grande Fratello Vip ha raccolto 2.805.000 spettatori con il 25.9%».
Però se il Berlusca entrasse nella Casa di Cinecittà ….

(da agenzie)

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L’ATTESA DI CHIARA APPENDINO E IL SILENZIO DEI BIG M5S CHE SPIAZZA LA SINDACA

Novembre 5th, 2017 Riccardo Fucile

I VERTICI NAZIONALI SCELGONO IL SILENZIO … CONTO ALLA ROVESCIA PER GLI AVVISI DI GARANZIA

Delusa, probabilmente no. Forse nemmeno dispiaciuta.
Però è innegabile che Chiara Appendino si sarebbe aspettata di vedere il Movimento 5 Stelle – tutto, non solo gli esponenti torinesi – fare quadrato al suo fianco nei giorni oggettivamente più difficili del suo mandato: l’indagine per falso ideologico sul caso Ream, le dimissioni del capo di gabinetto Paolo Giordana, gli sviluppi dell’inchiesta sul caos in piazza San Carlo durante la finale di Champions League.
Invece è come se il corpaccione romano dei Cinquestelle, i big nazionali, si fossero di dimenticati di Torino, quell’amministrazione elevata a «modello» da Beppe Grillo, Luigi Di Maio e molti altri, considerata una vetrina buona anche per offuscare inciampi e magagne della Roma guidata da Virginia Raggi.
È vero che Torino è sempre stata un’isola a sè, dove i capi del Movimento hanno lasciato piena libertà  agli attivisti locali e ad Appendino, senza imporre nomi e scelte.
Ed è vero che il M5S negli ultimi giorni era impegnato nel rush finale della campagna elettorale in Sicilia. Eppure dai suoi esponenti di punta non è arrivata una sola dichiarazione pubblica, un tweet, un messaggio di sostegno e solidarietà . Niente.
La sindaca di Torino si aspettava qualcosa di diverso.
L’ha trovato a casa sua, nei «torinesi», che ancora una volta nella galassia Cinquestelle sembrano dimostrarsi una realtà  a parte, autonoma e anomala.
I parlamentari – dalla deputata Laura Castelli al senatore Alberto Airola – si sono fatti sentire e anche vedere. E così hanno fatto i consiglieri comunali, superando le fibrillazioni degli ultimi giorni, esplose con la pubblicazione delle telefonate in cui l’ex capo di gabinetto Giordana chiedeva la cancellazione di una multa presa da un amico su un autobus.
Il Movimento torinese difende la sindaca «assediata e aggredita», denuncia chi «alimenta un clima di paura» e rispolvera il grande complotto: «Speriamo non sia perchè siamo alla vigilia dell’importante appuntamento elettorale in Sicilia». Il presidente del Consiglio comunale Fabio Versaci, fedelissimo di Appendino, se la prende con i mass media – «mi fanno venire il vomito» – e serra i ranghi: «Io so che qualcuno spera e sogna di mandarci a casa solo ed esclusivamente per il proprio tornaconto elettorale. Continuate pure a sperare e sognare».
Si sentono sotto attacco, i Cinquestelle torinesi. Ma gli avversari li stoppano subito: «Versaci sogna un’informazione ridotta a tappetino del M5S. Prendersela con i mass media è un vizio antico dei Cinquestelle», dice Osvaldo Napoli di Forza Italia.
«Sarebbe facile ricordare l’adagio popolare “chi è causa del suo mal pianga se stesso”: non lo faccio, perchè, a differenza loro, io sono garantista con tutti, si tratti dei Cinquestelle o di altri partiti».
Il clima è teso da giorni ma si è fatto incandescente ora che l’inchiesta sulla tragica notte di piazza San Carlo è arrivata a un punto decisivo.
Testimonianze, relazioni e documenti acquisiti in cinque mesi di lavoro hanno permesso alla procura di ricostruire la catena delle responsabilità .
Che sono vaste e coinvolgono esponenti di vari livelli delle istituzioni locali: Comune, questura, prefettura, organi di vigilanza.

(da “La Stampa”)

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LA MUMMIA DI LENIN, CHE FARE?

Novembre 5th, 2017 Riccardo Fucile

DA KSENIA A KADIROV: “SEPPELLITELA”… LA SFIDANTE DI PUTIN RIACCENDE IL DIBATTITO NAZIONALE

Alla vigilia del centesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, il destino della mummia di Lenin torna a tormentare i russi.
E tutto avrebbe immaginato il padre dell’Unione Sovietica, tranne che il quesito di una delle sue opere più celebri avrebbe finito per riguardare se stesso: che fare?
Reso eterno dall’imbalsamazione, disteso dentro una teca di cristallo, traslucente a due metri di profondità  nella cavità  fredda del Mausoleo sulla Piazza Rossa, il corpo di Vladimir Ilich incarna tutte le contraddizioni, i nodi irrisolti e le fragilità  della Russia post-sovietica.
Fondatore dello Stato moderno e padre del totalitarismo, reliquia della Superpotenza socialista cara all’auto-percezione russa e simbolo di un passato che non passa, Lenin è nuovamente al centro di un dibattito emotivo e lacerante.
A riaccendere la miccia di una polemica mai veramente sopita, è stata Ksenia Sobchak, già  it-girl, stella dei reality show, blogger e ora candidata alle elezioni presidenziali del marzo prossimo.
«Se fossi eletta – ha detto in un’intervista televisiva – ordinerei di rimuovere la mummia di Lenin dal Mausoleo e di seppellirla».
Di passata, nella presa di posizione è interessante notare una coerenza familiare, per così dire: nel 1990, in piena perestrojka, fu infatti il padre di Xenia, Anatoly Alexandrovich Sobchak, allora sindaco dell’appena ribattezzata San Pietroburgo, a proporre la rimozione e l’inumazione del leader bolscevico, nel rispetto, spiegò al tempo Sobchak padre, delle sue ultime volontà .
Tant’è. L’uscita della signora ha avuto l’effetto di una deflagrazione.
Giovedì scorso, perfino il leader ceceno, Ramzan Kadyrov, non esattamente un cultore della storia o una tempra di democratico voglioso di chiudere col passato comunista, ha detto che «è giunto il tempo» di seppellire il corpo di Lenin, invitando il presidente Putin a chiudere l’annosa questione.
«E’ sbagliato che nel cuore della Russia, sulla Piazza Rossa, ci sia un sarcofago con un cadavere». E in verità , Kadyrov in genere i morti, di preferenza gli oppositori, tende a farli sparire.
Mikhail Fyodotov, capo del Consiglio per i Diritti Umani, ha addirittura proposto di trasformare il Mausoleo in un museo dove si racconta la tecnica dell’imbalsamazione, nella quale i russi sono all’avanguardia nel mondo.
Una specie di Museo egizio del Cairo in versione moscovita: lì Tutankhamon, qui Lenin.Per Valentina Matvijenko, presidente del Consiglio della Federazione, dovrebbe essere un referendum popolare a decidere se rimuovere o meno la mummia. Ma non subito, poichè c’è ancora «un’intera generazione di russi per i quali Lenin ha un grandissimo significato».
«Blasfemia», tuona il leader del Partito comunista, Gennady Zyuganov, il quale definisce «inaccettabile» che il tema venga riproposto alla vigilia dei cento anni dell’Ottobre Rosso. Zyuganov aggiunge anche di aver avuto assicurazione da Vladimir Putin in persona che fin quando lui sarà  presidente anche Lenin rimarrà  nel Mausoleo: «Con me in questo ufficio – sarebbero state le parole di Putin, secondo la versione di Zyuganov – non ci sarà  barbarie sulla Piazza Rossa».
Sul piano ufficiale, tuttavia, il leader russo non si esprime: «Il tema non è all’agenda dell’Amministrazione presidenziale», si limita dire il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peshkov.
Coerente con il profilo basso assunto nei confronti del centenario, che evoca una palingenesi rivoluzionaria non gradita a un potere che punta su ordine e obbedienza, Putin si guarda bene dal prendere pubblicamente posizione sulla mummia di Lenin.
Sa che il tema rimane controverso. Sa che con la salma di Vladimir Ilich, egli rimuoverebbe dalla Piazza Rossa anche il fondatore della Russia moderna.
Non ultimo, in cuor suo forse gli sta bene così. Non è stato lui a dire, non senza ragioni, che «la scomparsa dell’Unione Sovietica è stata la più grande catastrofe geopolitica del Ventesimo Secolo»?

(da “Il Corriere della Sera”)

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PARADISE PAPER, I CONTI SEGRETI DEI VIP NASCOSTI NELLE SOCIETA’ OFFSHORE

Novembre 5th, 2017 Riccardo Fucile

LA REGINA ELISABETTA IL MINISTRO DI TRUMP, IL SEGRETARIO AL COMMERCIO USA E GLI AFFARI CON IL GENERO DI PUTIN, I MINISTRI BRASILIANI E CANADESI, MADONNA E BONO, I BIG DELLA FINANZA

La regina d’Inghilterra. Il ministro al commercio di Trump. Star della musica come Madonna e Bono. L’ex generale Wesley Clark, già  comandante supremo della Nato in Europa. Il co-fondatore della Microsoft, Paul Allen. La regina di Giordania. Il tesoriere del primo ministro canadese Justin Trudeau. Il finanziere George Soros.
Sono nomi che compaiono, con moltissimi altri, in una lunga lista di personaggi eccellenti, accomunati da una caratteristica: hanno investito in società  offshore.
A svelare i loro affari riservati nei paradisi fiscali è un grande “leak”, una gigantesca fuga di notizie, che rende possibile conoscere fatti e misfatti di migliaia di personaggi della categoria dei “ricchi e famosi”, celebrati dalle cronache finanziarie, giudiziarie o mondane.
Li raccontano montagne di file ottenuti dal giornale tedesco Suddeutsche Zeitung, che li ha condivisi con l’International Consortium of Investigative Journalists (Icij). Documenti studiati e analizzati da più di 380 giornalisti, attivi in 67 paesi e 96 media di tutto il mondo, tra cui New York Times, Guardian, Le Monde, Bbc, che L’Espresso pubblica in esclusiva per l’Italia insieme con Report, la trasmissione d’inchiesta di Raitre
Rivelazioni sugli affari riservati nei paradisi fiscali di 120 politici di tutto il mondo e di migliaia di ricchissimi imprenditori, uomini d’affari, case reali e istituti religiosi.
I segreti sono nascosti nei 13,4 milioni di documenti su società  offshore ricevuti dalla testata tedesca Sà¼ddeutsche Zeitung che li ha condivisi con Icij, il Consorzio internazionale di giornalisti investigativi.
Il nome in codice della nuova inchiesta giornalistica internazionale è Paradise Papers. Ed è firmata dallo stesso network dei Panama Papers, le carte segrete dello studio Mossack Fonseca che nel 2016 hanno per la prima volta svelato come i potenti del mondo, criminali compresi, occultano i propri patrimoni nei paradisi fiscali e societari.
I Paradise Papers sono un nuovo tesoro di 13,4 milioni di documenti riservati che svelano, tra l’altro, i legami d’affari tra la Russia di Putin e il segretario al Commercio di Trump; le operazioni offshore realizzate dal tesoriere del primo ministro canadese Justin Trudeau; gli interessi nelle isole Cayman della regina d’Inghilterra; e le casseforti anonime di più di 120 politici di tutto il mondo.
Il segretario al commercio Usa ha una partecipazione, coperta da società  offshore, in una compagnia di navigazione controllata dalla cerchia più vicina al presidente russo.
E dietro massicci investimenti in Facebook e Twitter ora spuntano colossi del gas e banche statali di Mosca
Sono documenti che mostrano quanto il sistema finanziario offshore sia in grado di gestire enormi ricchezze a livello globale, come una sorta di economia parallela, sovrapponendosi al mondo visibile degli uomini d’affari, politici, attori e di colossi come Apple, Nike, Uber e altre multinazionali, che vogliono evitare di pagare le tasse grazie ad artifizi contabili sempre più intricati e fantasiosi.
I file provengono da due studi internazionali di professionisti che forniscono e gestiscono società  offshore:   Appleby , fondato nelle Bermuda, con nove filiali in altrettanti paradisi fiscali; e Asiaciti Trust, quartier generale a Singapore e altre 7 sedi in luoghi come isole Cook, Hong Kong, Panama e Samoa.
Il primo archivio contiene quasi 7 milioni di documenti, il secondo oltre 560 mila. Poi ci sono i dati ricavati da 19 registri commerciali, finora inaccessibili, gestiti dai governi dei più riservati paradisi societari, dai Caraibi alle isole del Pacifico, da Antigua e Barbuda alle Cook Islands, e di paesi europei come Malta.
Questi registri contengono oltre 6 milioni di dati e rappresentano un quinto delle più attive, e segrete, giurisdizioni del globo.
Le offshore sono società  estere collocate in paesi dove non esistono tasse sui profitti e dove è possibile tenere segreti i nomi dei titolari.
Detenere società  offshore è legale, se vengono dichiarate al fisco e alle autorità  nazionali. Ma la segretezza che le caratterizza apre le porte a personaggi che vogliono restare nell’ombra: politici corrotti, riciclatori di denaro sporco, trafficanti di droga.
Le offshore spesso sono scatole vuote, senza dipendenti o uffici: società -schermo utilizzate in complesse strutture di elusioni fiscale internazionale, che drenano miliardi ai bilanci statali.
È un’industria che «rende il povero più povero» e «aumenta la diseguaglianza», come ha spiegato al consorzio Icij la professoressa Brooke Harrington, docente della Copenhagen Business-School, autrice del libro “Capitale senza frontiere: i manager della ricchezza e l’uno per cento”, con riferimento all’elite mondiale favorita dalle offshore, che la studiosa definisce «un piccolo gruppo di persone non soggette alla legge».
Le carte segrete dei paradisi fiscali svelano le falle nei controlli anti-riciclaggio: numeri in codice per coprire principi sauditi, parlamentari americani, oligarchi russi e funzionari corrotti. Ignorati gli allarmi di un ex poliziotto, che spiegava i rischi ai dipendenti mostrando immagini dei Soprano’s
Lo studio Appleby gode di una fama più che centenaria ed è sempre stato attento a non incappare in problemi legali grazie a un mix di discrezione e monitoraggio dei clienti. Eppure, nonostante questa immagine pubblica, si è trovato a trattare non solo con paesi a rischio, come Iran, Libia e Russia, ma anche con paradisi societari contestati a livello internazionale per i buchi nei controlli anti-riciclaggio.
E per questo, come rivelano i Paradise Papers, la società  Appleby è stata inquisita e multata dall’autorità  di controllo monetario delle Bermuda.
Appleby non ha risposto alle numerose richieste di spiegazioni, dettagliatissime, inviate dal consorzio Icij.
Ha però pubblicato un commento online, limitandosi ad affermare di essere «soddisfatta che non ci siano prove di qualsiasi irregolarità ». E ha aggiunto: «Siamo soggetti a frequenti controlli degli enti regolatori e siamo impegnati a raggiungere gli elevati standard da loro imposti».
RICCHI, FAMOSI E AL DI SOPRA DELLE TASSE
Tra i clienti di Appleby compaiono migliaia di uomini d’affari di tutto il mondo. Ma anche stelle dello spettacolo, tra cui due celebrità . Madonna possiede indirettamente azioni in una società  di forniture mediche. Bono, al secolo Paul Hewson, detiene quote di una società  registrata a Malta che, stando alle carte, ha investito in un centro commerciale in Lituania. Società  chiusa nel 2015, secondo una sua portavoce, che ha puntualizzato: il leader degli U2 era «un investitore di minoranza passivo».
Tra i big dell’industria spicca Paul Allen, co-fondatore di Microsoft. I file di Appleby segnalano i suoi investimenti attraverso società  offshore in un mega-yacht e alcuni sottomarini.
Anche il re dei fondi d’investimento George Soros, grande finanziatore dei democratici americani, è presente negli elenchi. Le sue strutture di private equity ricorrono a una rete di offshore per operare nel campo delle riassicurazioni (maxi-polizze per altre compagnie assicurative). A Soros fa riferimento anche un’organizzazione filantropica, la Open Society Foundations, che ha sovvenzionato Icij. Ora il consorzio gli ha chiesto un commento sulle sue operazioni finanziarie, ma Soros ha declinato. Altre domande, inviate a Paul Allen e Madonna, non hanno nemmeno avuto risposta.
I POLITICI ALL’OMBRA DELL’OFFSHORE
Folta anche la rappresetanza dei politici americani, repubblicani e democratici. Tra i primi spicca   Wilbur Ross , attuale segretario al Commercio del presidente americano Donald Trump. Tra i democratici emerge Wesley Clark, generale a quattro stelle dell’esercito Usa, già  in corsa per le elezioni presidenziali del 2004. Risulta “director”, cioè amministratore, di una società  di gioco d’azzardo legale collegata a strutture offshore. Richiesto di un commento da Icij, Clark non s’è fatto vivo,
Nei file americani spunta anche il predecessore di Wilbur Ross nella carica di segretario al Commercio, Penny Pritzker. L’esponente democratica aveva promesso di vendere i suoi investimenti per evitare conflitti d’interesse, dopo essere entrata nel governo del presidente Barack Obama.
Gli archivi di Appleby dimostrano però che, dopo essere stata confermata dal Senato nel giugno 2013, Pritzker ha trasferito i suoi interessi in due entità  delle Bermuda a un’impresa che usa lo stesso indirizzo email della sua finanziaria privata di Chicago. Una finanziaria, si apprende sempre da Appleby, «controllata da trust a beneficio dei figli di Penny Pritzker». Il consorzio le ha chiesto se queste scelte siano in linea con i requisiti etici richiesti dalle leggi federali. Ma Pritzker non ha risposto.
Per il Canada fa scalpore il nome di Stephen Bronfman, consulente e amico stretto del primo ministro Justin Trudeau. Secondo gli archivi di Appleby, Bronfman, che è miliardario, è in affari con Leo Kolber, una colonna del partito liberale ed ex senatore del Canada, e con il figlio di quest’ultimo.
Dai documenti emergono trasferimenti di milioni di dollari in un trust delle isole Cayman. Manovre, via offshore, che potrebbero aver evitato di pagare imposte in Canada e negli Stati Uniti, secondo gli esperti consultati da Icij che hanno esaminato tremila documenti sull’attività  del trust.
Mano a mano che le ricchezze offshore crescevano, secondo le carte di Appleby, avvocati di Bronfman e dei Kolbers premevano sul Parlamento canadese per bloccare proposte di legge finalizzate a tassare i trust offshore.
Bronfman è un tesoriere fondamentale per Trudeau, che pure ha promesso un giro di vite contro l’elusione fiscale internazionale. In settembre Trudeau, all’assemblea generale delle Nazioni Unite, ha dichiarato: «Abbiamo un sistema che permette ai canadesi ricchi di ricorrere a società  private per pagare tasse più basse di quelle pagate dalla classe media. Non è corretto, dobbiamo porvi riparo».
In una lettera mandata al partner canadese di Icij, la tv Cbc, gli avvocati di Kolber scrivono che «nessuna transazione è stata eseguita o decisa per evadere il fisco». Limitandosi ad aggiungere che «i trust rispettano le leggi applicabili».
LE REGINE E I MINISTRI IN PARADISO
Tra i clienti degli studi offshore compare   la sovrana d’Inghilterra , ma anche Noor di Giordania, indicata come beneficiaria di due trust nell’isola di Jersey. Contattata, la regina della Giordania ha precisato che si tratta «lasciti destinati a lei e ai figli» dal defunto re Hussein, il padre di suo marito, «che sono stati sempre amministrati in base alle regole e ai più elevati standard etici e legali».
Contattata dal consorzio, la sovrana fa sapere che paga comunque le tasse. E nel paradiso fiscale di Jersey spuntano due trust di Noor di Giordania
Tra i 120 politici di tutto il mondo che risultano collegati a società  offshore emergono molti nomi eccellenti.
Come Sam Kutesa, ex ministro degli esteri dell’Uganda ed ex presidente dell’assemblea generale delle Nazioni Unite; il ministro delle Finanze del Brasile, Henrique de Campos Mireilles, presente nelle liste di Icij con una fondazione costituita nelle Bermude «per scopi caritatevoli»; Anantas Guoga, lituano, parlamentare europeo e giocatore professionista di poker: a lui fa capo una quota di un’offshore nell’Isola di Man, che vede, tra gli altri azionisti, un re del gioco d’azzardo, finito sotto indagine per frode negli Stati Uniti in una vertenza poi chiusa.
Alcuni dei tanti politici, sentiti da Icij, hanno risposto dando le loro giustificazioni. Sam Kutesa, tramite il quotidiano dell’Uganda “The Daily Monitor”, partner del consorzio, sostiene di non aver fatto nulla con le offshore: «Ho detto ad Appleby di chiuderle molti anni fa». Campos de Meirelles afferma che la fondazione da lui creata non avvantaggerà  lui personalmente e sosterrà  attività  benefiche per l’istruzione dopo la sua morte. Mentre Guoga dichiara che il suo investimento in una società  dell’isola di Man è stato segnalato alle autorità  e di aver venduto le ultime azioni nel 2014.
La conclusione di questa nuova inchiesta giornalistica internazionale, secondo il consorzio Icij, è ben descritto nelle parole della studiosa Brooke Harrington: «Quando il ricco diventa più ricco, il povero diventa più povero, perchè i ricchi non pagano la loro giusta quota di tasse».

(da “la Repubblica”)

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NON VOTA PIU’ NESSUNO: ALLE 19 SOLO IL 36,39% IN SICILIA, ADDIRITTURA IL 28,6% A OSTIA

Novembre 5th, 2017 Riccardo Fucile

IN SICILIA I VOTANTI SCENDONO ALLE 19 DELL’ 1,27% RISPETTO AL 2012 (FINI’ CON IL 47,07%)… A OSTIA I VOTANTI CROLLANO DEL 10,67%

In Sicilia per le elezioni regionali, alle 19, dopo il riepilogo di tutte le sezioni, ha votato il 36,39 per cento degli elettori (1.695.182 su 4.661.111) con un calo pari a 1,27 per cento rispetto alle regionali del 2012 quando aveva votato l’37,66 per cento. I dati sono del servizio elettorale della Regione siciliana
Rispetto alla stessa rilevazione di cinque anni fa, l’affluenza è leggermente in calo in tutte le province.
La più bassa è a Enna con il 27,23% (30,92%), segue Caltanissetta 29,94% (32,39%). La percentuale di votanti più alta si registra a Messina con il 40,7% (42,16%), seguono Catania con il 39,75% (39,86%), Siracusa con il 38,42% (38,97%) e Ragusa con il 37,6% (37,84%). A Palermo ha votato il 36,34% (37,48%), a Trapani il 35,87% (38,6%), ad Agrigento il 30,19% (32,07%). In totale hanno votato finora 1.696.204 di elettori (1.750.074 nel 2012) su 4.661.111 aventi diritto.
Le urne per l’elezione del presidente della Regione e dell’Assemblea regionale siciliana si sono aperte stamattina alle 8. Al voto 4 milioni 661.123 elettori chiamati a scegliere uno dei cinque candidati governatori. Con un avversario in più da battere: l’astensionismo. Nel 2012 si recarono ai seggi solo 2,2 milioni di siciliani, appena il 47,07%. C’è tempo fino alle 22 di stasera. Lo spoglio inizierà  domani alle 8, cosa che ha suscitato non poche polemiche
CROLLO VOTANTI A OSTIA
L’affluenza alle urne alle 19 nel Municipio X, secondo quanto riporta il sito elettorale del Campidoglio, è pari al 28,67%.
Sul totale dei 185.661 aventi diritto nelle 183 sezioni allestite hanno votato in 53.233. Alle scorse amministrative del 5 giugno 2016 l’affluenza alle 19 era stata del 39,34%. Si registra dunque un calo di oltre 10 punti percentuali.
Alle 12 era del 10,89%. Sul totale dei 185.661 aventi diritto nelle 183 sezioni allestite hanno votato in 20.223. Il X Municipio torna al voto dopo due anni di commissariamento per mafia. Si vota oggi fino alle 23.

(da agenzie)

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MONTE DEI PASCHI, UN MISTERIOSO TESTIMONE E IL GIALLO SULLA MORTE DI ROSSI: “HO SENTITO ANCHE UNO SPARO”

Novembre 5th, 2017 Riccardo Fucile

UN IMPRENDITORE HA RACCONTATO ALL’AVVOCATO DI FAMIGLIA DEL MANAGER SCOMPARSO IL RETROSCENA DI UN MANCATO APPUNTAMENTO

Perchè l’avvocato Luca Goracci non abbia mai rivelato l’incontro misterioso, lo spiega egli stesso: “Era la terza o la quarta persona che si presentava millantando di sapere qualcosa sulla morte di David Rossi, poi sparita nel nulla. E non avrei mai potuto provare niente”.
Certo è che nell’episodio della fine violenta del capo della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena ogni particolare rischia di non essere insignificante.
La morte, avvenuta mentre infuriava la bufera giudiziaria sull’acquisizione della banca Antonveneta, la sera del 6 marzo 2013 in circostanze mai chiarite, è stata archiviata due volte come suicidio.
E ora è giunto il momento di raccontare anche questo episodio, per assurdo che possa apparire.
Ecco allora che cosa è successo nei giorni tra la fine di febbraio e i primi di marzo del 2016 al legale che sta minuziosamente seguendo per la famiglia di Rossi questa vicenda, ostinandosi a non credere alla versione ufficiale.
“Il caso di David”, rievoca Goracci, “era stato riaperto a novembre 2015. A febbraio mi telefona un tizio dicendomi che mi deve parlare del caso Rossi. Non vuole dare il numero di telefono, ma richiama sempre lui. Dopo un appuntamento mancato ci incontriamo nel mio studio: doveva essere l’inizio di marzo 2016. Sui quaranta, un metro e ottanta, distinto. Dice di essere un imprenditore che lavora nel mantovano. Dice di conoscere Rossi e di farsi vivo solo ora dopo tre anni passati all’estero, perchè il caso era stato riaperto”.
Ma quale segreto ha da rivelare? “Mi dice “, continua Goracci, “di aver fissato un incontro con David alle ore 18 del 6 marzo 2013, giorno della sua morte. Però di essere arrivato in ritardo di quasi due ore. Dice perfino di ricordare che il suo orologio, quando si trova ai Ferri di San Francesco segna dieci minuti alle otto”.
In quel momento David è già  a terra nel vicolo.
“Il mio interlocutore dice di essere arrivato proprio lì e di aver visto il corpo di Rossi. Fa per avvicinarsi, ma succede l’imprevedibile: viene assalito alle spalle da tre o quattro persone. Dopo una breve lotta si divincola e scappa, mentre sente esplodere un colpo d’arma da fuoco”, ricorda l’avvocato.
A questo punto Goracci gli chiede il perchè di quell’appuntamento.
“Ed è lì”, spiega il legale della famiglia, “che lui comincia a parlare di conti correnti aperti dalla banca con l’intervento di alcuni dirigenti per i finanziamenti necessari alla sua attività  imprenditoriale a Brescia e Mantova”.
A Mantova anche Rossi si recava spesso, visto che era vicepresidente del Centro Palazzo Te, una Fondazione culturale comunale.
Nel racconto affiorano altri particolari: “Lì a Mantova, secondo il mio interlocutore, si frequentavano con cadenze quasi settimanali. E un giorno, forse verso la fine del 2012, lui si sarebbe recato con Rossi a Roma per incontrarsi con una persona che avrebbe consegnato loro una valigetta, e poi David si sarebbe fatto accompagnare all’Ospedale di Siena con quella valigetta”.
La storia sembra sempre più sconclusionata. Ma Goracci, dopo l’incontro, ricorda un curioso particolare riferitogli in un’occasione dal fratello di David, Ranieri.
E verifica quella circostanza: un giorno del 2012 David si era effettivamente presentato in ospedale, dove il padre era ricoverato, proprio con una valigetta.
Era il 7 novembre. “La narrazione prende poi una piega strana, il tizio comincia a parlare di denaro in nero che veniva dalle fatture di operazioni immobiliari a Mantova. Pare tutto assurdo. Ci salutiamo a finisce lì. Non l’ho più visto nè sentito. Ma ricordo bene che si era presentato come Antonio Muto”.
Quando si pronuncia quel nome, a Mantova è automatico associarlo a quello dell’Antonio Muto processato e assolto, tanto in primo quanto in secondo grado, dall’imputazione di contiguità  con le cosche mafiose che in quella zona controllano affari, politica e appalti.
Oggi ha 55 anni: quando è arrivato da Cutro, nella provincia calabrese di Crotone, era appena un ragazzo che faceva il muratore.
Adesso, come lo descrive la giornalista della Gazzetta di Mantova Rossella Canadè nel suo libro inchiesta “Fuoco criminale – La ‘ndrangheta nelle terre del Po”, è “il costruttore più noto e più chiacchierato della città “.
A giugno scorso è finito ancora in manette con l’accusa di aver distratto fondi dalla sua società  impegnata in una grande iniziativa immobiliare nel centralissimo piazzale Mondadori, poi fallita, in favore di una seconda società  creata per una gigantesca speculazione nell’area vincolata di Lagocastello.
Operazione che a sua volta ha originato un’inchiesta su presunte pressioni che a dire dei magistrati sarebbero state esercitate su Consiglio di Stato e ministero dei Beni culturali per far cadere quel vincolo.
E l’11 dicembre il gip di Roma dovrà  decidere se mandare a processo Muto insieme ad alcuni personaggi di primo piano come l’ex senatore democristiano ed ex consigliere della Finmeccanica Franco Bonferroni, l’ex presidente della Commissione Lavori pubblici del Senato Luigi Grillo e l’ex presidente del Tar Lazio Pasquale De Lise.
Ma anche l’ex sindaco forzista di Mantova Nicola Sodano, architetto di origini crotonesi che gli inquirenti ritengono cointeressato con Muto nella vicenda Lagocastello.
Domanda d’obbligo: che c’entra la banca senese in una vicenda così torbida?
Nelle carte dell’inchiesta sulla ‘ndrangheta c’è un pentito il quale riferisce ai magistrati di aver appreso da Muto che “a Siena c’era un altissimo funzionario che sboccava i movimenti, anche se poi voleva la sua parte”.
Non è un pentito qualsiasi, ma il commercialista della cosca. Vero o falso che sia, è un fatto che i soldi per piazzale Mondadori, 27 milioni e mezzo, siano arrivati proprio dal gruppo Monte dei Paschi.
A Siena Muto, accompagnato da Bonferroni, ha incontrato a più riprese alcuni dirigenti: una volta pure l’ex amministratore delegato Fabrizio Viola.
Quanto a Rossi, anche lui è effettivamente di casa a Mantova, dove il Monte ha rilevato molti anni prima la Banca agricola mantovana. Come detto, David è stato designato nel 2011 alla vicepresidenza del Centro Palazzo Te in rappresentanza della banca senese: lo stesso giorno in cui il sindaco Sodano ne è stato nominato presidente.
Le sorprese, però, non sono finite.
Quindici giorni dopo quella misteriosa visita del sedicente imprenditore mantovano all’avvocato Goracci, il giornalista Paolo Mondani che sta conducendo un’inchiesta sui grandi debitori delle banche italiane intervista per Report su Rai3 proprio Antonio Muto.
E ci manca poco che l’avvocato Goracci, davanti al teleschermo, caschi dalla sedia: “Non era la stessa persona che avevo incontrato. Decisamente un altro”.
Qual è allora l’identità  del misterioso visitatore? Forse quella di un omonimo? “Antonio Muto costruttori edili fra Mantova e Provincia saremmo una quindicina “, dice l’intervistato a Mondani. Abbiamo controllato. Di Antonio Muto iscritti al registro delle imprese ce ne sono 44, e di questi 4 operano in provincia di Mantova: due sono di Cutro, il terzo di Crotone. Quanti di loro affidati dal Monte dei Paschi?

(da “La Repubblica”)

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