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LA HOLDING FORZA NUOVA HA PROVATO A PIAZZARE ANCHE UN QUADRO DI GAUGUIN

Novembre 5th, 2017 Riccardo Fucile

NELLE CARTE DEI CARABINIERI DEL ROS LE TRATTATIVE DI FIORE PER L’OPERA D’ARTE E LA TRAMA DEI CONTATTI INTERNAZIONALI

Il leader di Fn Roberto Fiore e il business delle opere d’arte. Non solo società  che fatturano milioni, intestate a giovani militanti del movimento senza uno straccio di competenza.
Fiore e due esponenti di peso di Fn, Giovanni Maria Camillacci, titolare di diverse coop nere per la cura del verde e Luca Mancinotti, ex sediario di papa Benedetto XVI con una sfilza di precedenti di polizia alle spalle, cercano anche di mediare nella vendita di un antico quadro di Gauguin.
Così, il 21 ottobre 2014, i tre si avventurano in una trattativa per piazzare un’opera del pittore francese a cui è interessata una famiglia americana.
L’incarico ai tre viene affidato da un privato. Il quadro è un’opera del pittore francese, rubata a Londra, ritrovata nel 1974 a Torino nell’ufficio oggetti smarriti della stazione ferroviaria.
All’epoca acquistata all’asta per 45mila euro da un operaio della Fiat. Il valore, 40 anni dopo, è di 5 milioni di euro. “Hanno offerto un milione e otto quelli no?”, chiede Camillacci a Fiore al telefono. “Sì lo so, un milione e ottocentocinquanta, il problema è quella documentazione”. “Mo’ arriva – lo rassicura il fidato militante – noi gli diciamo che ci riserviamo trenta giorni per darvi una risposta. Gli diciamo, sentiamo i proprietaru e sentiamo se è ok, poi secondo me questi se lo comprano pure senza pratica “.
MUSEO DEL BAHRAIN
I due delfini del leader forzanovista, Camillacci e Mancinotti, vogliono accelerare la pratica della vendita e cercano anche altri acquirenti. “A me de perde tempo così me so’ rotto un po’ i coglioni – pressa Mancinotti – col museo del Bahrain già  abbiamo avuto contatti ma non se ne fa un cazzo. Ma se fosse stato interessato ci avrebbe contattato come ci hanno contattato sti’ grandi personaggi perchè il pezzo (il quadro di Gauguin, ndr) non è da museo, il pezzo è una merda, Gianmarì “.
“Il pezzo è una cagata – lo asseconda Camillacci – è tagliato al centro, è tagliato ai lati, è reintelato, è senza telaio, è sporco, è un’opera bretone, è rubato: cioè più di questo che cazzo vogliamo aggiungere “.
“TRE MILIONI SONO POCHI”
Il quadro non riescono a piazzarlo agli americani al prezzo che dicono loro. “Stiamo parlando dei famosi tre milioni giusto?” dice Camillacci. “Sì sono pochi, sono pochi “, si lamenta Mancinotti. Ma il problema è la documentazione che attesti l’autenticità  dell’opera, che loro non hanno. “Siamo arrivati a un punto in cui dobbiamo produrre i documenti, è difficile temporeggiare “. Il problema è come dirlo a Fiore. “Tu non gli dire che sono incazzato, non fare polemiche. Fai tutto molto serenamente”. Alla fine il quadro non verrà  venduto. E così l’affare salta definitivamente.
INTERNAZIONALE NERA
Dalle carte emerge anche la rete internazionale di contatti del movimento. Fiore viaggia per l’Europa, arriva fino al Medio Oriente, in Siria. A novembre del 2014 vuole organizzare una conferenza a Damasco in piena guerra civile. Un incontro con “le comunità  mediorientali che sto riorganizzando come Ailiance for Peace and Freedom”, dice il segretario di Forza Nuova a Camillacci in una conversazione intercettata dai carabinieri.
Poi, a gennaio del 2015, Fiore vola in Grecia per far sentire la sua vicinanza al leader di Alba Dorata Nikolaos Michaloliakos, rinchiuso in carcere perchè accusato di appartenere a un’organizzazione criminale.
Un incontro talmente positivo che un forzanovista (intercettato dai Ros) sostiene che ora i vertici del partito di estrema destra greco “vogliono bene a Forza Nuova”. Assieme a Fiore ad Atene, a trovare Michaloliakos, annotano i militari, sarebbe andato anche un altro pezzo da novanta del neofascismo europeo.
L’eurodeputato Udo Voigt eletto con il partito Nazionaldemocratico di Germania, nel 2012 condannato per sedizione a 10 mesi per aver lodato in un comizio le Waffen-SS. Ma non sono solo i forzanovisti a viaggiare in giro per l’Europa
Anche “altri camerati” vengono a Roma per suggellare alleanze.
È il caso dei neofascisti polacchi arrivati nella Capitale a settembre del 2014 per far visita ai forzanovisti. L’incontro, si legge nella carte della procura, avviene nella sede romana del partito in via Amulio.

(da “La Repubblica”)

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I PROFUGHI VINCONO I RICORSI PER L’ASILO, SEGNO CHE LE COMMISSIONI TERRITORIALI NON COMPIONO I GIUSTI ACCERTAMENTI

Novembre 5th, 2017 Riccardo Fucile

IN PIU’ DI UN CASO SU DUE I GIUDICI RIBALTANO LA DECISIONE… E ALLA FINE I RESPINTI SONO STATI SOLO IL 31% (QUALCUNO LO DICA AL CLANDESTINO SALVINI)

I dati citati dai politici sono tutti da rivedere. A differenza di ciò che vuole la vulgata, la maggior parte dei richiedenti asilo lo ottiene al primo colpo. Ma soprattutto più di un migrante su due, quando presenta ricorso perchè si è vista bocciare la domanda, lo vince.
Lo dicono i dati del ministero dell’Interno, ottenuti da «La Stampa» attraverso un accesso civico.
Tra il 2010 e il 2016 gli stranieri che hanno chiesto di poter rimanere in Italia dopo essere fuggiti dal proprio Paese sono stati 364.469.
Le domande vengono esaminate in prima istanza dalle commissioni territoriali. Queste, sulla base di interviste ai richiedenti, e valutando la situazione esistente nei Paesi di provenienza, decidono se le domande sono meritevoli di essere accolte oppure no.
I richiedenti possono ottenere lo status di rifugiato, quando c’è il fondato timore che in patria sarebbero perseguitati per ragioni di razza, religione, nazionalità , appartenenza a un gruppo sociale o per le loro idee politiche.
Oppure la protezione sussidiaria, quando non sussistono le condizioni precedenti ma il migrante dimostri il rischio di subire un grave danno se tornasse in patria.
Infine la protezione umanitaria, quando sussistono seri motivi per motivi umanitari o risultanti da obblighi costituzionali dello Stato italiano.
Nei primi due casi il permesso di soggiorno vale cinque anni. Nell’ultimo, di solito, due. Sempre rinnovabili.
Delle oltre 360 mila domande arrivate negli ultimi sei anni, quasi il 40% è passato al primo colpo. Il 35% è stato rigettato. Il resto è ancora pendente.
Eppure, guardando bene, quel 35% non è pieno. I richiedenti possono sempre presentare ricorso di fronte al tribunale.
E così, in questi anni, hanno fatto 67.671 persone.
I giudici ne hanno esaminati e decisi poco meno della metà , 30.754. Ma il dato più eclatante è che nel 53,17% dei casi i migranti hanno vinto.
Significa, in parole povere, che nella maggior parte dei casi il giudizio delle commissioni territoriali è stato ribaltato. Non è una questione di poco conto considerando che in media, un secondo grado di giudizio in tribunale, conferma la prima decisione nel 90% dei casi. Cosa succede? Come è possibile una discrepanza del genere?
Le motivazioni possono essere diverse, ma secondo le associazioni che si occupano di immigrazione e per gli avvocati che seguono questi ricorsi, il problema è che le commissioni territoriali sono molto rigide nel concedere l’asilo rispondendo alle pressioni arrivate negli ultimi anni dalla politica.
A riprova di ciò, vengono citati gli stessi dati raccolti dal Viminale.
Dal 1990 a oggi le percentuali dei Paesi di provenienza dei migranti non sono cambiate di molto. Eppure le commissioni territoriali sono diventate più rigide nel concedere l’asilo. Perchè? Sono finite le condizioni nei Paesi di origine che inizialmente caldeggiavano la concessione della protezione internazionale? Evidentemente no.
Un altro problema poteva essere la formazione delle nuove commissioni territoriali, incrementate di numero per far fronte all’emergenza sbarchi.
Ma questa ipotesi è poco percorribile, le commissioni sono formate da professionisti preparati. E allora qualcosa è cambiato, ma solo in prima istanza.
Quando il richiedente asilo insiste, promuovendo un ricorso, alla fine il suo diritto viene riconosciuto nella maggior parte dei casi.
Tutto ciò avviene lontano dai riflettori, si perde nei mille rivoli delle centinaia di tribunali italiani.
Lo sguardo d’insieme, però, restituisce una verità  diversa: dal 2010 a oggi delle 272.035 domande valutate, l’asilo è stato concesso nel 43,6% dei casi, i rigetti sono stati meno di uno su tre: il 31%.

(da “La Stampa”)

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GIULIA BONGIORNO: “LA RIFORMA DELLE INTERCETTAZIONI SARA’ LA FINE DEL PROCESSO PENALE”

Novembre 5th, 2017 Riccardo Fucile

“RISCHIO FALSITA’ E DISTORSIONI, LA RIFORMA TRADISCE IL SUO SCOPO”

“Sarà  l’estrema unzione del processo penale”, “chi ha scritto questa legge non è mai stato in tribunale”. E’ il netto giudizio – in un’intervista a Repubblica – di Giulia Bongiorno, penalista ed ex deputata.
“Le leggi del ministro tradiscono sistematicamente gli obiettivi annunciati – afferma -. Prima voleva combattere la violenza sulle donne e ha svuotato di significato lo stalking, adesso dice di voler evitare abusi nelle intercettazioni e offre strumenti per pubblicazioni fuorvianti e distorte”.
Bongiorno sottolinea che nelle trascrizioni “vi sarà  un’enorme discrezionalità , ai limiti dell’arbitrio, nel decidere quali intercettazioni sono rilevanti e quali no. Escludo che i magistrati italiani, pochi e con enormi carichi di lavoro, riescano a fare i controlli che richiederebbe questa legge”.
La legge “ignora anche l’insidia più ovvia di questo delicato strumento: l’ambiguità  del linguaggio. Forse – aggiunge – il ministro pensa che nelle conversazioni gli interlocutori si esprimono in modo limpido? Sa quante volte si parla di mozzarelle anzichè di cocaina? E le mozzarelle saranno ritenute rilevanti o no?”.
Inoltre, “è inaccettabile il principio stesso della diffidenza nei confronti di tutti i legali. Comunque solo gli studi più strutturati avranno la possibilità  di inviare i collaboratori in procura ad ascoltare ore e ore di intercettazione per appuntare quelle da ripescare”.

(da “Huffingtonpost”)

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NOTIFICATO A PUIGDEMONT IL MANDATO DI ARRESTO, LIBERO SU CAUZIONE

Novembre 5th, 2017 Riccardo Fucile

IL GIUDICE ISTRUTTORE DECIDERA’ SULL’ARRESTO ENTRO 24 ORE

La Procura di Bruxelles ha notificato il mandato di arresto europeo spiccato da Madrid all’ex presidente della Generalitat di Catalogna Carles Puigdemont e ai suoi ex ministri del governo regionale Antoni Comà­n (Salute), Clara Ponsati (Istruzione), Lluà­s Puig (Cultura) e Meritxell Serret (Agricoltura), riparati in Belgio dallo scorso 30 ottobre.
Un portavoce della Procura ha spiegato che Puigdemont e i suoi quattro ex ministri si sono consegnati in mattinata alla polizia federale nel commissariato di Rue Royal 202 a Bruxelles, accompagnati dai loro avvocati.
Non in procura, dove erano attesi anche da una folla di giornalisti.
Dopo la notifica, Puigdemont e i suoi quattro ex ministri sono stati rilasciati su cauzione. Il giudice istruttore nel pomeriggio li ascolterà  individualmente, quindi entro 24 ore deciderà  se confermare il loro arresto.
Il portavoce della procura di Bruxelles ha detto che il termine ultimo per la decisione del giudice è fissato per le 9,17 di domattina, ma è possibile che venga comunicata tra le 20 e le 22 di questa sera.
“Per designare un giudice che entri nel merito della questione, le persone ricercate devono essere private della libertà . Da quel momento potranno comparire davanti a un giudice”, aveva in precedenza chiarito il portavoce della Procura di Bruxelles, Gilles Dejemeppe.
La Procura federale ha trasferito i mandati europei a quella di Bruxelles sabato notte, perchè “è molto probabile” che le persone ricercate si trovino nella capitale. Nella giornata di sabato, Puigdemont ha utilizzato il suo account Twitter per dirsi “pronto a cooperare pienamente con la giustizia belga”.
Mentre il suo legale a Bruxelles in precedenza aveva manifestato l’intenzione di Puigdemont di opporsi alla sua estradizione in Spagna pur non chiedendo asilo politico in Belgio.
Il giudice dell’Alta Corte spagnola Carmen Lamela ha emesso il mandato d’arresto europeo a carico dei cinque separatisti venerdì scorso, il giorno dopo l’arresto e la detenzione, senza condizionale, di altri otto ex componenti del governo regionale catalano: l’ex vicepresidente Oriol Junqueras, Jordi Turull (Presidenza), Josep Rull (Territorio), Carles Mundò (Giustizia), Raul Romeva (Esteri) e Joaquim Forn (Interno), Meritxell Borras (Governo) e Dolors Bassa (Lavoro).

(da agenzie)

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CASO TULLIANI: MA IL TRATTATO DI ESTRADIZIONE NON C’E’. IL PARLAMENTO NON L’HA MAI RATIFICATO

Novembre 5th, 2017 Riccardo Fucile

L’ACCORDO E’ DEL 2015, E’ SEMPRE A UN PASSO DALLA RATIFICA, MA IL TRAGUARDO RESTA UN MIRAGGIO… SONO 12 I LATITANTI ITALIANI A DUBAI, IN PRIMIS MATACENA

L’imbarazzo cresce perchè gli Emirati la loro parte l’hanno svolta e hanno concluso l’iter. L’Italia invece è alle prese con lo scivolosissimo tema della pena di morte.
«Di fatto – taglia corto il sottosegretario alla giustizia Cosimo Ferri – nella prima formulazione dell’accordo non era stata considerata la delicatissima questione». Eppure sembrava fatta.
A settembre 2015 il ministro Andrea Orlando vola ad Abu Dhabi e firma il pre accordo. I latitanti italiani, tutti alla luce del sole, cominciano a tremare.
Ma le procedure s’incagliano.
§«Nei mesi successivi – spiega il deputato Pd Davide Mattiello che sul punto ha presentato più di un’interrogazione – l’Italia ha recepito una direttiva della Ue che impone il massimo rigore sulla pena di morte. Questo vuol dire che l’Italia, qualora debba estradare una persona che laggiù rischia la pena capitale, può pretendere in forma scritta la commutazione in una pena detentiva».
Risultato: da più di un anno si aspettano novità  che però non arrivano.
Arriva invece, a complicare la situazione, l’arresto di Giancarlo Tulliani. «Attendiamo con pazienza la correzione del trattato – prosegue Mattiello – poi il testo dovrebbe tornare in consiglio dei ministri e lì dovrebbe essere vestito nella forma del disegno di legge da mandare alle Camere per la ratifica».
Semplice sulla carta, complicato nella realtà . «Abbiamo riavviato i negoziati tenendo conto delle indicazioni dell’Europa – replica Ferri – gli accordi si fanno in due».
Per ora, la pattuglia dei fuggitivi può dormire sonni relativamente tranquilli. «I latitanti sono almeno 12», sottolinea Mattiello.
Fra loro il più noto è Amedeo Matacena, ex parlamentare di Forza Italia, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.
Nell’elenco spicca poi il nome di Raffaele Imperiale, narcotrafficante di spessore legato alla camorra che, secondo le investigazioni della Guardia di finanza, vive nel lusso più sfrenato, a lungo ha occupato una suite nel costosissimo hotel Burj Al Arab, ed è arrivato a spendere fino a 400mila euro al mese.
Attenzione: l’assenza di un trattato non vuol dire che comunque gli emirati non possano rimandare in Italia i criminali scappati dal nostro Paese.
In effetti anche Matacena fu fermato nel 2013 e rimase in cella 40 giorni prima di riacquistare la libertà .
«Non so come andrà  a finire con Tulliani – ragiona Mattiello – ma noto un parallelismo fra le due vicende. Pure Matacena fu bloccato all’aeroporto e credo che le autorità  di quel Paese abbiano lanciato tutte e due le volte un messaggio assai chiaro: va bene stare rintanati negli sfarzosi grattacieli, ma i latitanti non devono esagerare». E invece in un modo o nell’altro, Tulliani come Matacena non ha rispettato le regole minime di prudenza.
L’aeroporto è terra di frontiera, di controlli, di polizia. «Se ti avventuri in quel contesto – conclude Mattiello – allora tutto può accadere».
Si attende la prossima puntata.

(da agenzie)

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TULLIANI, CONVALIDATO L’ARRESTO PER DUE MESI

Novembre 5th, 2017 Riccardo Fucile

LA MAGISTRATURA DI DUBAI DECIDERA’ ENTRO 60 GIORNI SULLA RICHIESTA DI ESTRADIZIONE DELLE AUTORITA’ ITALIANE

Sarebbe stato convalidato per due mesi l’arresto di Giancarlo Tulliani da parte dalle autorità  di Dubai, in esecuzione di un ordine di cattura internazionale della Procura di Roma, nell’ambito di un’inchiesta per riciclaggio dei fondi delle slot machine.
Tulliani era latitante dallo scorso marzo ed è stato arrestato in aeroporto, dove l’uomo stava accompagnando la fidanzata, ma infastidito dalla presenza di alcuni cronisti, si sarebbe rivolto agli agenti di polizia che però lo hanno riconosciuto e bloccato.
La decisione, stando alle prime indiscrezioni, è stata presa dalla magistratura del paese mediorientale in vista dell’esame della richiesta di estradizione in Italia del cognato di Gianfranco Fini, ex leader di Alleanza nazionale.
Tulliani è destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per riciclaggio nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Roma
Nessun commento da parte di Gianfranco Fini alla notizia dell’arresto del cognato Giancarlo Tulliani. Interpellato tramite uno dei suoi legali, l’avvocato Francesco Caroleo Grimaldi, l’ex vicepremier ha fatto sapere che non intende fare alcun tipo di commento.

(da agenzie)

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ANDAMENTO LENTO, AFFLUENZA BASSA IN SICILIA, ALLE 12 HA VOTATO SOLO IL 10,8% DEGLI ELETTORI

Novembre 5th, 2017 Riccardo Fucile

FIORELLO:   “QUI LA POLITICA NON HA MAI CAMBIATO NULLA, NEANCHE STAVOLTA LO FARA'”

Urne aperte dalle 8 alle 22 in Sicilia per le elezioni regionali.
Sono circa quattro milioni e mezzo i votanti chiamati alle urne.
Cinque i candidati alla presidenza: Giancarlo Cancelleri del M5S, Claudio Fava della sinistra, Roberto La Rosa dei Siciliani liberi, Fabrizio Micari del centrosinistra e Nello Musumeci del centrodestra.
Settanta i parlamentari da eleggere all’Assemblea regionale.
In base ai primi dati, affluenza in calo: a mezzogiorno ha votato il 10,8% degli elettori (503.537 su 4.661.111) con un lieve calo dello 0,43% rispetto alle regionali del 2012 quando aveva votato l’11,23%.
L’unica provincia dove l’affluenza è maggiore è quella di Ragusa: ha votato l’11,24% rispetto al 10,82% del 2012.
Lo scrutinio inizierà  domattina alle 8, come da previsione normativa di una legge regionale.
Anche nel 2012 si è votato con lo stesso sistema, ma a partire da Sinistra Italiana, fino a Rosario Crocetta – che avrebbe avuto tutto il tempo di cambiare questa legge – protestano per questa diversità  di azione rispetto al resto d’Italia, dove lo spoglio comincia subito.
Rischio brogli, si dice, e il ministro dell’Interno Marco Minniti ha inviato una nota ai prefetti perchè la vigilanza sul voto sia accurata.
Al voto, insieme ai 4,5 milioni di siciliani, anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il timore è quello di un astensionismo molto diffuso.
Ieri il candidato M5S Giancarlo Cancelleri ha fatto appello ai personaggi più noti dell’isola – da Ficarra e Picone a Fiorello – perchè si uniscano nell’appello per andare al voto.
Sulle pagine del Corriere della Sera, però, Rosario Fiorello esprime tutta la sua disillusione per quello che sarà  il futuro della Sicilia: “La politica non ha mai cambiato le cose in Sicilia. E non lo farà  neanche questa volta” dice lo showman, “mi fanno ridere tutto questi che promettono acqua frizzante dai rubinetti e treni superveloci fra Catania e Palermo … Per quanto mi riguarda, non credo a nessuno”.

(da “Huffingtonpost”)

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