Novembre 15th, 2017 Riccardo Fucile
LA VISITA PER ACCREDITARSI NEGLI USA COME FORZA MODERATA
Il cittadino-portavoce-leader del M5S Luigi Di Maio a Washington prova a spiegare il MoVimento 5 Stelle agli americani.
Il nuovo viaggio negli USA del Vicepresidente della Camera ha lo scopo di fare chiarezza su alcune “dicerie” nei confronti del M5S.
Come ad esempio quella secondo la quale il MoVimento vorrebbe che l’Italia uscisse dalla NATO.
Certo, il fatto che a inizio d’anno l’esperto di politica estera del M5S Manlio Di Stefano abbia scritto sul Blog di Grillo che la NATO “mette a rischio l’Europa” è evidentemente una diceria.
Come lo è la proposta di Di Stefano di chiedere «che la partecipazione italiana all’Alleanza Atlantica sia ridiscussa nei termini e sottoposta al giudizio degli italiani» perchè — spiegava — «il nostro territorio, le nostre basi, i nostri soldati e la salute dei nostri connazionali non possono essere ostaggio di giochi di potere e degli umori del presidente americano di turno».
A leggere queste parole non ci sono molti dubbi, se l’Italia è oggi parte della NATO ridiscuterne la partecipazione significa uscirne, tanto più se si parla della concessione delle basi in territorio italiano e dell’invio di soldati italiani.
Nel programma esteri del M5S si parla invece di “superamento della NATO“. Un’espressione che oltre al ritiro dei nostri soldati impegnati all’estero non si sa bene cosa voglia dire (e che fa pensare al superamento dei campi Rom della Raggi)
Erano però altri tempi, all’epoca il 5 Stelle festeggiava l’elezione di Trump il quale a sua volta aveva duramente criticato l’utilità della NATO e sembrava essere sul punto di smantellarla.
I 5 Stelle come sempre seguivano gli umori dell’uomo forte del momento.
E se ora a Trump la NATO non sta poi così antipatica che ragioni hanno i pentastellati per non fare altrettanto? Nessuna.
Ed ecco infatti che mentre Di Maio fa l’americano Di Stefano rassicura gli statunitensi spiegando che l’Italia non uscirà mai dalla NATO e che gli USA rimangono il principale partner strategico per il nostro Paese.
Sarà da vedere come faranno i 5 Stelle a conciliare la presenza nell’Alleanza Atlantica con la volontà di non finanziare le spese militari?
Dalla semplice analisi del mutamento di posizioni del M5S sulla NATO emerge una cosa interessante.
Il partito di Beppe Grillo non è mai stato contro gli USA. Certo, gli elettori possono anche aver pensato che il M5S era contro le lobby, i grandi potentati economici e finanziari e l’imperialismo americano. Ma non è così.
Molto più semplicemente il M5S si muove (in maniera post-ideologica direbbero loro) sulla scorta delle evoluzioni del Trump-pensiero, l’uomo antisistema che ha fatto «un VAFFANCULO generale» e «un VDay pazzesco» al momento della sua elezione e che poi si è circondato di uomini di JP Morgan.
Di Maio negli USA è andato per dire che il M5S «non mette in discussione la nostra permanenza nella Nato» ma vuole «che la nostra voce venga ascoltata perchè le cose che non ci vanno bene sono molte e si possono cambiare».
Eppure una cosa è chiedere che la voce dell’Italia venga ascoltata all’interno degli organismi della NATO un’altra — e ben diversa — è voler presentare una proposta di legge al Parlamento italiano (e un referendum popolare) per ridiscutere i termini della partecipazione dell’Italia alla NATO.
Ma la brillante strategia pentastellata sull’Alleanza Atlantica è simile a quella sull’Euro. Il MoVimento 5 Stelle è passato dal raccogliere le firme per un referendum per uscire dall’Euro a volerlo utilizzare come arma per “ridiscutere la posizione dell’Italia e i trattati europei”.
Non sono i giornali e i media ad essersi inventati le capriole ideologiche del MoVimento 5 Stelle. Perchè, soprattutto in politica estera, il M5S ce la fa benissimo anche da solo.
Ad esempio nel recente passato il M5S, sotto l’abile guida di DI Stefano e Di Maio, è riuscito a raccontarci che i Carabinieri avrebbero rivelato che l’80% dei conflitti in Palestina sarebbe colpa dei coloni israeliani.
Salvo poi essere smentito proprio dai Carabinieri.
In Siria i 5 Stelle stanno dalla parte di Assad, nascondendosi dietro al “deve essere il popolo siriano a decidere se Assad è un dittatore” di Alessandro Di Battista.
Quello stesso Di Battista ad una domanda sulle violazioni dei diritti umani in Russia ha risposto “non ci sono forse diritti violati nel quartiere Tamburi di Taranto?”.
Per Di Maio e DI Stefano però il M5S non è assolutamente filo-russo.
Ed è alla luce di questa continua girandola di posizioni — dove il M5S sostiene Chavez in Venezuela ed è contro le sanzioni alla Russia ma al tempo stesso non ha niente da dire quando Trump minaccia di imporre dazi punitivi sui prodotti europei — che si può comprendere come molti nella base pentastellata non abbiano gradito quella che viene vista come “un’operazione di accreditamento” di Di Maio negli USA.
In fondo nei suoi spettacolo Grillo ha sempre parlato in modo molto critico degli States, soprattutto per quanto riguarda l’imperialismo statunitense ma anche del modello economico basato sull’indebitamento.
Ai più smaliziati invece è chiaro che il fatto che Di Maio sia andato in America non significa che è disposto ad avallare tutte le scelte politiche di Trump.
Il problema è che al MoVimento fino ad ora è mancata una visione davvero post-ideologica della politica estera.
Ha cercato di essere equidistante da Russia e Stati Uniti (e pure dall’Unione Eurpea) senza comprendere che invece è necessario fare delle scelte.
Non di campo (o con loro contro di loro) ma di realpolitik.
Di Maio in America sta cercando di fare proprio questo, ed in fondo è quello che fanno tutti i politici italiani quando vanno in visita all’estero.
Il problema è che i duri e puri del M5S sembrano non averlo capito. Ed allora ecco che c’è la necessità di spiegare che “è colpa della stampa” che ha travisato le posizioni del M5S. I fatti dimostrano che però non è così.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 15th, 2017 Riccardo Fucile
COALIZIONE IN PROGRESS, RINASCE LA DC DI ROTONDI E CESA (E MASTELLA)… E UN’ALTRA LISTA CON QUAGLIARIELLO E ZANETTI
Croce su croce, come si diceva una volta. Gianfranco Rotondi dice all’HuffPost: “La
Dc, alle prossime elezioni, sarà in campo con una propria lista, senza nessun rischio di contenziosi sul simbolo, perchè agiremo in base al pre-uso elettorale del nome da parte mia e del simbolo da parte di Lorenzo Cesa”.
È la quarta gamba del centrodestra, di cinque (ma su questo torneremo tra un po’). Gianfranco Rotondi, che si schierò con Berlusconi già nel lontano 1995, con Rocco Buttiglione, è forse il più fedele dei suoi alleati.
Il suo movimento, Rivoluzione Cristiana, nacque sempre col consenso del Cavaliere per raccogliere un po’ presenza cattolica extra-Forza Italia nel centrodestra.
Lorenzo Cesa, che detiene il simbolo dell’Udc, ha tenuto la collocazione a destra, dopo la rottura con Casini, ed ora è tornato in auge nel centrodestra, col successo in Sicilia, dove la sua lista, zeppa di “impresentabili” (ma questo è un altro discorso) ha raccolto un bel po’ di voti.
A cena, alla trattoria del Cavaliere, era attovagliato assieme a Berlusconi, Salvini e Meloni. Assieme a Cesa e Rotondi, ci sarà Clemente Mastella, sindaco di Benevento, nel 1994 con Casini e Cesa assieme a Berlusconi, nel 2008 con Prodi, ora nove anni dopo torna, con tanto di assoluzione sull’inchiesta che causò la caduta del governo Prodi.
E questa è la quarta gamba, nell’ambito di uno schema consolidato, nel 1994 e nel 2001: imbarcare tutti, perchè nei collegi vince chi arriva primo, senza andare tanto per il sottile.
In tal senso, sono utili anche le sigle storiche, come la Dc, così come nel 2001 fu ri-suscitato il garofano socialista.
Basta fare un po’ di conto, anche a spanne: Forza Italia attorno al 15 (e Berlusconi non è ancora in campo), la Lega sempre attorno al 15, Fratelli d’Italia tra il 5 e il 6 (sono i dati della Ghisleri).
Il centrodestra è tra il 35 e il 36.
Le altre gambe servono per raggiungere quella quota 38, con la quale ad Arcore si considera una vittoria alla portata. Due o tre punti che valgono oro. E che costano oro. Ecco perchè: una lista come la Dc difficilmente prende il tre per cento, eleggendo col proporzionale; il che significa che porta voti alla coalizione (anche se non elegge), ma in cambio reclama posti garantiti nel maggioritario, a scapito di Forza Italia.
E non a caso, sull’operazione, circolano già parecchi malumori tra le truppe parlamentari azzurre
Nelle intenzioni iniziale degli scherpa attorno a Berlusconi sarebbe dovuta nascere una sola quarta gamba, una sorta di “bad company” di ex di vari partiti.
L’avvocato Niccolò Ghedini voleva che il federatore fosse Costa, che si dimise come ministro del governo Renzi per tornare nel centrodestra. Anche Parisi ha sempre sognato di essere leader.
Uno schema saltato, per mille motivi: assenza di uno straccio di logica che li tenesse assieme, rivalità personali, insofferenza tra i sempre fedeli a Berlusconi e i vari lassie tornati a casa dopo avventure altrove.
Dunque ci sarà una quarta gamba, cattolica.
E una quinta, laico-liberale. Che comprende il movimento Idea di Gaetano Quagliariello, ciò che resta di Scelta civica di Enrico Zanetti, le sigle Pri e Pli e qualche movimento civico.
Poichè grazie a scelta civica non si dovranno raccogliere le firme, Zanetti otterrà nel simbolo qualcosa che evochi quello di Scelta civica, almeno così pare.
Più complessa la posizione di Raffaele Fitto e del suo movimento Direzione Italia, che giovedì 16 novembre riunirà la direzione a Roma.
È il movimento più strutturato: per intenderci, senza Fitto in Puglia non vinci un collegio. Hanno aderito i Riformatori Sardi (circa il dieci in Sardegna), i cinque consiglieri di Tondo in Friuli, le truppe di Michele Iorio in Molise.
Con questa legge elettorale che premia i partiti fortemente radicati nelle regioni, è chiaro che Fitto è il terminale di una interlocuzione diretta con Salvini, Meloni e da qualche tempo è stato cercato anche dagli uomini del Cavaliere.
Un discorso a parte riguarda Ncd, dove alla direzione di sabato si verificherà uno strappo, tra chi vuole tornare nel centrodestra e chi cercherà di andare a costruire la gamba di centro del centrosinistra con Pier Ferdinando Casini.
Con un dettaglio: e cioè che su alcuni nomi c’è il veto di Salvini.
Il leader della Lega lo ha già esercitato sull’ex sindaco di Verona Flavio Tosi, che non farà parte della lista laica del centrodestra.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 15th, 2017 Riccardo Fucile
SALVINI AL CENTROSUD CERCA DI METTERE IL CAPPELLO SUL LAZIO SENZA AVERE I VOTI… GLI ALTRI NON SONO FESSI: “ALLORA RITIRI MARONI E CI DIA LA LOMBARDIA”
Dopo la Sicilia e insieme alle politiche, è la partita sulle prossime regionali a tenere col fiato sospeso i big della politica nazionale.
Consapevoli che una sempre piu probabile accoppiata con le legislative di primavera potrà essere determinante per il successo nelle urne.
Ad andare al voto, infatti, saranno le due principali regioni italiane: la Lombardia e il Lazio. Ma se per la prima i giochi sembrano pressochè fatti – con il leghista Maroni a caccia di riconferma, il pd Gori a cercare di scalzarlo, mentre i 5Stelle terranno a breve le loro primarie online – sulla seconda sfida pesa l’impasse del centrodestra, paralizzato dal gioco dei veti incrociati fra i leader di una coalizione al momento solo sulla carta.
Perchè se in linea di principio Berlusconi, Meloni e Salvini dicono di voler correre uniti, in realtà – specie nel Lazio – sono piu divisi che mai.
Colpa, anche, della fuga in avanti di Sergio Pirozzi, il sindaco di Amatrice che la settimana scorsa ha deciso di gettare il cuore oltre l’ostacolo e di candidarsi alla presidenza della Regione governata da Nicola Zingaretti, che si propone per il bis, insidiato dalla grillina Roberta Lombardi.
“Non mi candido per bramosia di potere, non per fare gli interessi di qualcuno, ma penso che sia giusto dare voci ai territori, ai sindaci, al mondo delle associazioni e del volontariato, ai professionisti che hanno lasciato un’impronta”.
“Non sono piu’ iscritto a Fratelli d’Italia” ha aggiunto.
E a chi lo accusa di sfruttare la visibilità avuta per il terremoto risponde: “Allora dovremmo dire la stessa cosa di Zingaretti che ha sfruttato la visibilità avuta alla Provincia, e di Lombardi che ha sfruttato il fattore mediatico di stare in Parlamento”.
Così Pirozzi, che ha spiegato le ragioni della sua corsa, ha spiazzato la coalizione uscita vincente dall’agone siciliano, nella speranza di riproporre il modello Musumeci. Se infatti all’annuncio Giorgia Meloni è rimasta tiepida (“Sergio fa parte del nostro partito, è un buon amministratore, ma dovremo valutare con gli alleati”) e Salvini ha esultato (“Ottima scelta, lo conosco, lo stimo, è una persona per bene”), i colonnelli di Forza Italia si sono messi di traverso. “Non subiremo imposizioni altrui, abbiamo le nostre proposte”, hanno tagliato corto in varie occasioni i parlamentari azzurri. Seguendo la strategia disegnata da Berlusconi in persona, deciso a non farsi scegliere il candidato dai compagni di viaggio, come accaduto sull’isola, ma al tempo stesso attento ad evitare rotture . “Pirozzi? Non posso dare un giudizio, non conosco lui e non conosco i suoi programmi” ha detto oggi l’ex cavaliere in una intervista al Messaggero
Quel che è certo è che la discussione fra i tre leader si aprirà solo dopo il ballottaggio di Ostia, altra prova importante per testare la forza del centrodestra unito e pesare gli equilibri interni.
Se domenica la fdi Monica Picca dovesse prevalere sulla pentastellata Giliana Di Pillo, conquistando una delle roccaforti del Movimento, dividersi risulterebbe più difficile.
Fermo restando che Berlusconi ha già stilato una sua lista di favoriti, in cima alla quale ci sarebbe ora Paolo Liguori, il direttore di Tgcom24, un uomo di esperienza e sicura notorietà , nel solco dei tanti mezzibusti che in passato hanno governato il Lazio: da Piero Badaloni a Piero Marrazzo.
In alternativa, Antonio Tajani ha pronta la carta di riserva: il presidente della Federazione italiana nuoto Paolo Barelli, che però preferirebbe un seggio in Parlamento.
Contro Pirozzi, che dice di non voler “fare litigare nessuno” e perciò correrà da solo con una sua lista civica, ha giocato la sponsorizzazione di Salvini, che lo ha subito messo sotto la sua ala protettrice. “La Lega vuole farne il suo runner del Centro-Sud, l’uomo in grado di far sfondare il Carroccio sotto l’Arno. E questo è un regalo che non possiamo fargli”, spiegano allarmati i forzisti.
“Salvini lo vuole a tutti i costi? Allora tolga Maroni e dia a noi il candidato in Lombardia”, la proposta che, si dice, Berlusconi porterà al tavolo della trattativa con gli alleati.
Una partita ancora apertissima. E piena di incognite.
(da agenzie)
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Novembre 15th, 2017 Riccardo Fucile
“LA MAFIA C’E’, BEN RADICATA E PRESENTE”
Rita dalla Chiesa è una collana di perle, capelli biondissimi dalla messa in piega
sempre ordinata e uno spirito battagliero che non ti aspetti.
Dietro il suo stile fuori dal tempo (“sono sempre molto sobria, molto milanese dico io”), c’è un passato che si snoda attraverso la perdita del padre generale in un agguato mafioso di trentacinque anni fa, una giovinezza ribelle trascorsa da mamma single (“divorziai e decisi di crescere mia figlia da sola, i miei non la presero bene”), l’amore con Fabrizio Frizzi (“di lui non parlo, ma per fortuna sta meglio”) e una carriera in divenire (“a novembre, proprio io che ho due divorzi alle spalle, condurrò su TeleNorba un nuovo programma: Oggi Sposi. Sono contenta, perchè io credo nei matrimoni degli altri”).
Dietro il suo sorriso di Signora Forum — veniva chiamata così negli anni Novanta, in virtù del programma su Canale5 condotto dal 1988 al 1997 — c’è la determinazione di un’animalista che da vent’anni si batte contro le pellicce e che ha deciso di boicottare le aziende che ne fanno uso (“Non vado nè da Prada, nè da Fendi nè da Moncler. Non entro in nessun negozio che proponga pellicce, anche nei dettagli. Dall’anno prossimo sarò vestita solo Gucci, perchè ha scelto di rinunciarvi”).
C’è una donna che difende le sue idee (“adesso penso spesso all’eutanasia, ci vuole una legge perchè tutti dovrebbero andarsene nella dignità “), e che ha resistito alle sferzate della vita, nella carriera e negli affetti “grazie al DNA. O, meglio, grazie ai miei genitori che mi hanno insegnato come il rispetto sia un valore assoluto. Sopra ogni cosa. E poi vivere fino a vent’anni nelle caserme ti forgia. Ricordo ancora quando uscivo con un vestito al ginocchio e sotto portavo la minigonna. In quel modo diventavo una ragazza come tutte le altre”.
Ed era possibile dimenticarsi con un orlo più corto di essere la figlia di Carlo Alberto dalla Chiesa?
All’epoca mio padre era Colonnello. Quando lui diventò Generale, io avevo trent’anni e una bambina di sette. Quando morì ebbi chiara l’idea che chiunque sarebbe arrivato dopo di lui, non avrebbe fatto le stesse cose. Sapevo che, se non ci fosse stato lui, il terrorismo non sarebbe stato colpito nello stesso modo.
Chi ha preso il posto di suo padre secondo lei era all’altezza?
La mafia è una mentalità . E quelli che, allora come adesso, la combattono da soli, non possono riuscire a sconfiggerla. La mafia va combattuta ogni giorno. Che facciano una manifestazione all’anno non me ne frega niente.
Anche la manifestazione che viene organizzata ogni anno a Palermo per ricordare suo padre il 3 settembre?
Sì. Non ha molto senso. Le dico solo che hanno rubato perfino la bandiera che avevamo deposto sulla tomba. La mafia c’è, e ben radicata e presente. E adesso noi italiani siamo diventati razzisti, respingenti, nazisti.
Nazisti?
Sì. Sento la gente che dice “Quando c’era Mussolini…” e inneggiano alla sua memoria con il saluto fascista. Io Mussolini non lo metterei più neanche sui libri di scuola, quello è un periodo da cancellare.
George Santayana ammoniva “coloro che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo”.
Se ricordare vuol dire avere nostalgia per un periodo che ha portato morte e distruzione, tanto dolore in tanta gente, forse allora meglio dimenticarlo, questo passato. Ormai stiamo dando il peggio di noi stessi. E la giustizia non aiuta. Chi viene tutelato da questa giustizia?
Lei non si sente tutelata?
Io no.
E dalla politica si sente rappresentata?
Il cittadino è abbandonato a se stesso. Seguo molto la politica, ma nei talk politici si parla di tutto tranne che dei cittadini.
Non ha mai pensato di considerare seriamente una carriera politica?
Mi è stato chiesto tante volte. L’ultima è stata Giorgia Meloni che mi voleva candidare sindaco di Roma. Prima ci aveva provato Claudio Martelli con i socialisti. Ho sempre rifiutato, e mi sono salvata la vita.
Perchè?
Non sarei stata in grado.
Gli eletti secondo lei sono in grado?
No. Ma almeno io ho avuto il coraggio di farmi da parte. Chi ha accettato senza competenze ha sbagliato. I risultati su Roma ne sono l’esempio.
Com’è Roma adesso?
Una città devastata, allucinata, che non ha più nulla di quello che possedeva fino a un paio di anni fa. I problemi ci sono sempre stati, gravi e pesanti, ma mai come adesso.
Secondo lei di chi è la responsabilità ?
Della politica, naturalmente. Ma anche dei cittadini. Il romano è sempre stato menefreghista e adesso se ne approfitta. Se fosse per me, io metterei Roma in mano ai carabinieri, alla polizia e a tutte le forze dell’ordine per ripristinare la sicurezza. La politica non fa niente. La politica non ha morale.
Lei lavora in televisione dal 1983. La televisione ha morale?
La mia televisione era educata e gentile, di intrattenimento puro e famigliare. Oggi la televisione è maleducata. Entra nelle case della gente e manda dei messaggi a sproposito. Quando viene a trovarmi mio nipote, la spengo. Non voglio sentire urla, parolacce, non voglio situazioni equivoche. La TV dovrebbe tornare a insegnare, educare, e custodire il buon comportamento.
Quanto sesso c’è in televisione, una volta che la telecamera si spegne?
Tanto, è la normalità . Ma basta saper rispondere. Le donne sanno quando le cose stanno per prendere una brutta piega. Io ho imparato a non mettermi in situazioni che non vanno. E non perchè mi chiamo dalla Chiesa, ma perchè ho una profonda stima di me stessa. Però ci sono anche donne che si offrono, altre che non parlano perchè hanno paura dei casini e hanno subito, altre che parlano per avere pubblicità .
Come chi?
Asia Argento aveva in mano tutte le chiavi per poter dire no. Vorrei dirle: avevi tuo padre, avevi tua madre, avevi una serie di amicizie di tuo padre, che bisogno avevi?
Lei non ha mai ricevuto una proposta indecente?
Mai per fini lavorativi. A volte mi hanno fatto delle avances, ma se non mi interessava facevo finta di non capire e me ne andavo. Una sera ero al Bagaglino, stavo guardando uno spettacolo, poi venne una persona a dirmi che un determinato politico mi avrebbe voluto portare subito dopo a cena. Lo guardai e chiesi, sconcertata: “Prego?”. Finì lì.
Chi era il politico di cui parla?
Un democristiano molto famoso, ma ora non c’è più e il nome non lo faccio.
Suo padre sarebbe orgoglioso.
Non lo so, non sono mai stata quello che desiderava. Ero una ribelle, lo sono ancora. Ho imparato presto a muovermi nelle regole vere che servono nella vita, evitando le ipocrisie. Mio padre, quando mi sposai, pensò che avrei dovuto fare solo la moglie e la madre.
E invece?
E invece presi un quotidiano locale e controllai gli annunci di lavoro. Mi presentai da Ferragamo, e mi presero come direttrice del negozio fiorentino. Mio padre si infuriò. Voleva che stessi vicino a mia figlia. Forse era quella la paura più grande che aveva: che mi ribellassi alla famiglia.
In fondo aveva ragione: è accaduto.
Sì, mi sono ribellata al matrimonio, ma mai all’affetto nei confronti dei famigliari. E poi, lo sa, se un uomo ci prova la cosa migliore è dirgli: attento, avverto tua moglie. Li stende più di una denuncia.
Lei lo ha mai usato?
No.
Dica la verità
Sì, lo ammetto. La maggior parte degli uomini ha più paura delle mogli che della legge. Però, attenzione: lo stupro è un’altra cosa, e forse bisogna ricominciare a imparare l’uso corretto delle parole.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 15th, 2017 Riccardo Fucile
SEI SU DIECI SONO TAGLIATI FUORI DALLE ATTIVITA’ CULTURALI… NELLE AREE DISAGIATE UN 15ENNE SU 4 E’ RIPETENTE, IN QUELLE BENESTANTI APPENA UNO SU 23
La povertà crescente entra nelle classi e rende visibili le distanze, le ingiustizie.
Dice l’Atlante dell’infanzia a rischio di Save the children, presentato oggi e, pubblicato da Treccani, dal 23 novembre nelle librerie del Paese: negli istituti con un indice socio-economico-culturale più basso un quindicenne su quattro (il 27,4 per cento) è ripetente. Negli istituti migliori — che ospitano i figli delle famiglie di fascia altolocata – la quota bocciati scende a uno su ventitrè (il 4,4 per cento).
Uno studente di 15 anni su due nato al Sud e proveniente da un contesto svantaggiato non raggiunge il livello minimo di competenza in lettura. Uno su due, nato povero, sì, legge male. Al Nord la cifra si dimezza. Sono numeri significativi e crescenti, otto volte più alti di quelli delle classi agiate.
In Italia i minori in povertà assoluta sono un milione e 292 mila, uno su otto (12,5 per cento). Il 14 per cento in più del 2015. Le famiglie povere sono 669mila, cifra cinque volte maggiore rispetto a dieci anni fa.
I minorenni in povertà relativa sono il 22,3 per cento (erano il 20,2).
A cinquant’anni dalla scomparsa di Don Lorenzo Milani, l’organizzazione umanitaria Save the chidren scrive la sua “Lettera alla scuola”, il luogo strategico dell’infanzia, e non può non osservare come le disuguaglianze sociali continuino a riflettersi sul rendimento degli alunni.
INDIGENZA E RENDIMENTO SCOLASTICO
Le famiglie povere, si diceva. Una volta sostenuti i costi per la casa e per la spesa alimentare possono spendere, ogni mese, solo 40 euro per la cultura e 7,60 euro per l’istruzione. È un fenomeno che investe tutto il Paese, senza differenze in questo caso: il 12 per cento di nuclei disagiati è al Nord, l’11,6 al Centro, il 13,7 al Sud. L’inasprimento delle condizioni di povertà ha colpito soprattutto le famiglie numerose, con genitori giovani e di recente immigrazione.
Tra i nuclei familiari di origine straniera e con bambini, uno su tre vive in povertà assoluta. Sono cresciuti anche i minorenni in povertà relativa: nel 2016 hanno raggiunto il 22,3 per cento. Qui le differenze sono forti: un bambino-adolescente su dieci nel Nord-Est, uno su due in Calabria e in Sicilia.
La correlazione tra la condizione socio-economica e il successo (o l’insuccesso) scolastico in Italia è più forte che altrove: nelle scuole low l’incidenza di ripetenze è di 23 punti percentuali superiore alle scuole top. La differenza media nei Paesi Ocse è solo del 14,3 per cento. Le percentuali crescono in Italia, poi, per i maschi e i figli di migranti.
DISCONNESSI CULTURAL
La contemporaneità ha creato nuove povertà educative: molti bambini e adolescenti non hanno accesso a attività culturali. Il 59,9 per cento tra i 6 e i 17 anni non arriva a svolgere, in un anno, quattro delle sette attività culturali che seguono: lettura di almeno un libro, sport continuativo, concerti, spettacoli teatrali, visite a monumenti e siti archeologici, visite a mostre e musei, accesso a internet.
I bambini in condizioni svantaggiate non accedono mai, in un anno, al web, mentre c’è una folta schiera di ultraconnessi: in Italia quasi il 23,3 per cento risulta collegato a internet più di sei ore al giorno, al di sopra della media Ocse (16,2 per cento). L’età in cui un bambino riceve il primo smartphone è scesa a 11 anni e mezzo (erano 12 e mezzo nel 2015). L’87 per cento dei 12-17enni ha almeno un profilo social e uno su tre vi trascorre cinque o più ore al giorno.
Con solo il 4 per cento del Pil speso nel settore dell’istruzione, contro una media europea del 4,9, il 41 per cento delle scuole secondarie di primo grado lamenta una scarsa dotazione di laboratori e ambienti adatti a sperimentare nuove prassi didattiche. Quattro scuole su dieci non arrivano a un laboratorio ogni cento studenti. Solo il 17,4 per cento degli istituti scolastici è dotato di almeno una palestra in ogni sede. Quasi tutte hanno una biblioteca, ma meno di un terzo del patrimonio librario risulta utilizzato.
DENATALITà€ E SPOPOLAMENTO
In cinquant’anni gli under 15 sono passati da 12 a 8 milioni. L’Italia conta 165 anziani ogni 100 bambini sotto i 14 anni, in diverse province il numero degli over 65 doppia quello dei giovanissimi. Nonostante la tendenza fosse stata invertita dall’ingresso di molti bambini di origine straniera, dal 2015-2016 al 2017-2018 si è registrata un’ulteriore contrazione di 100mila alunni.
Nelle aree interne, avamposti di possibili scenari futuri, le scuole secondarie di primo grado sono presenti solo nel 60 per cento dei comuni e quelle di secondo grado nel 20 per cento. In questo contesto una scuola su cinque è composta da pluriclassi, che riuniscono bambini di diverse età , contro una media nazionale del 2,1 per cento. Il numero totale degli alunni diminuisce, aumenta quello dei bambini di origine straniera, oggi il 9,2 per cento degli studenti. Tra coloro che non hanno la cittadinanza italiana, tuttavia, il 58,7 per cento è nato in Italia.
CAMPIONI DI ANSI
La scuola italiana è vissuta con preoccupazione da molti alunni: il 56 per cento studia con grande tensione, il 70 prova ansia prima di un test anche se si è preparato, il 77 s’innervosisce se non riesce a eseguire un compito a scuola, l’85 teme di prendere brutti voti. Sentimenti, questi, che pongono il Paese al primo posto, insieme al Portogallo, nell’indice elaborato dall’Ocse sull’ansia scolastica. L’ansia degli insegnanti è piuttosto una frustrazione: il 43 per cento non riceve alcuna valutazione sul suo lavoro, nessuna risposta.
A fianco di troppe realtà di analfabetismo didattico, precarietà organizzativa, carenze strutturali, deserti relazionali, vere e proprie discriminazioni e ingiustizie “che fanno pagare un prezzo enorme ai bambini più svantaggiati”, l’Atlante Save-Treccani racconta anche una scuola fatta di innovazione, dedizione, emozioni positive.
Si legge: “Vi sono realtà che hanno svolto e svolgono un ruolo anticipatore, con un artigianato intelligente, un pensiero pratico”, scrive Raffaella Milano, direttrice programmi Italia Europa di Save the Children. “Bisogna investire nella trasformazione delle zone più a rischio in comunità educanti, andare a lavorare in frontiera”.
Per contrastare la dispersione scolastica, Save the Children ha presentato Fuoriclasse in Movimento: 150 istituti in tutta Italia, di primo e secondo grado, 20mila minori coinvolti, duemila insegnanti, mille genitori. L’obiettivo è cambiare le politiche scolastiche partendo dal dialogo tra docenti, studenti e famiglie: attraverso i “Consigli fuoriclasse” si cerca un tavolo per definire soluzioni e azioni di cambiamento nel campo della didattica, delle relazioni, della riqualificazione degli spazi scolastici.
Il programma ha raggiunto nel primo biennio questi risultati: nelle scuole secondarie aderenti, il numero di assenze medio è passato da 12 a 6, i ritardatari cronici sono stati ridotti dell’8,6 per cento, il 5 per cento degli studenti ha migliorato il rendimento in due materie fondamentali, le famiglie disinteressate all’andamento scolastico dei figli sono diminuite dell’8,1 per cento.
Valerio Neri, direttore generale di Save the Children: “Oggi continuiamo a trovarci di fronte a una scuola che, a volte, alimenta le disparità . Deve essere riconosciuto il diritto di tutti i bambini a un’eguale istruzione, a prescindere dal contesto sociale e economico in cui vivono. Ogni bambino ha il diritto di essere protagonista ed essere ascoltato”.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 15th, 2017 Riccardo Fucile
“ANCHE A DESTRA PERSONE COLTE E INTELLIGENTI” PROTESTA LA CONSIGLIERA PADAGNA CORSO…. FORSE PER EVIDENZIARE L’INTELLIGENZA HA QUESTA FOTO COME PROFILO FB
Primi segni di insofferenza nella maggioranza di Marco Bucci. Segno ancora più
importante perchè il primo attacco interno al sindaco di Genova arriva proprio dal suo partito di riferimento, la Lega Nord
A criticare apertamente una delle scelte strategiche di Tursi non è un big della Lega ma Francesca Corso, giovane consigliera comunale.
Ma pare strano che la velenosa frecciata al sindaco non sia stata in qualche modo “autorizzata” dai big genovesi del partito di Salvini.
Tutto ruota attorno alla nomina a presidente del collegio sindacale di Giovanni Battista Raggi in Fsu, la Finanziaria attraverso cui il Comune di Genova controlla le sue quote in Iren. Raggi è stato a lungo tesoriere provinciale del Pd ma gode della stima dell’assessore al bilancio Pietro Picciocchi che lo ha fortemente voluto. E Bucci, che con Picciocchi ha un ottimo rapporto (a differenza che con altri assessori) lo ha assecondato
Bucci ha sempre voluto sottolineare di essere un manager prestato alla politica e quindi anche la sua libertà di scelta, rispetto ai partiti, in fatto di uomini
Ma qualcuno avrebbe preferito la fedeltà al centro destra come primo criterio
E così ecco che Francesca Corso sulla sua pagina Facebook scrive: “Sarebbe carino se a sfatare il mito che fra le fila del centro destra non esistano persone dotate di cultura e intelligenza, fosse il centro destra stesso. Si torni al confronto, siamo certi ci siano persone valide e meritevoli di nomine che hanno appoggiato ed appoggiano le nostre battaglie”
Come dire: “Sindaco, prima guarda a destra”
Il suo attacco a Bucci raccoglie consensi. I commenti sono di questa natura: ”Avrà dovuto pagare una marchetta”; oppure “Tocca a noi dare le carte e invece ci facciamo rubare il mazzo….la lega è maggioranza relativa in comune mi pare..e allora si metta di traverso in maniera compatta”
Un litigio momentaneo o un matrimonio che inizia a mostrare pericolosi segni di cedimento?
Logico supporre che Bucci e Picciocchi ritengano poco più che una puntura di spillo la critica della Corso, ma i Garassino e i Rixi non sembrano al momento aver difeso il “loro” sindaco e tantomeno aver redarguito la consigliera.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 15th, 2017 Riccardo Fucile
PEGGIO DELLA MEDIA NAZIONALE NELL’ANALISI DI BANKITALIA… NEL NORD-OVEST AUMENTO DELLO 0,8%, LE BALLE DI TOTI VENGONO A GALLA
La situazione dell’occupazione in Liguria resta assai preoccupante.
Lo dice la Banca d’Italia nella sua analisi sull’andamento dei primi 9 mesi del 2017 in Liguria.
Nei primi sei mesi del 2017 gli occupati in Liguria sono calati dell’1,8%, sotto le 600 mila unità , mentre sia il Nord Ovest che l’Italia hanno segnato un +0,8%.
Il tasso di occupazione è sceso dal 62,7% al 61,9% a causa della riduzione dei lavoratori autonomi (diminuiti anche a livello nazionale), mentre è rimasto stabile il numero dei dipendenti
Il tasso di disoccupazione è salito al 10% dal 9,7% del 2016.
«Continuano a calare i prestiti alle imprese mentre aumentano quelli alle famiglie, sia per il prestito al consumo che per i mutui» conclude Marina Avallone.
Dati che provocano immediate reazioni sul fronte politico.
Salvatore (M5S): smontate le favole di Toti
«Il report di Bankitalia smonta – dati alla mano – la favola propinata da Toti ai liguri. Quel -1,8% di occupazione in Liguria mette a nudo ciò che è ormai sotto gli occhi di tutti anche senza bisogno di cifre: un mondo del lavoro asfittico e senza prospettive, lo smantellamento sistematico del settore industriale senza nessuna regia da parte della Regione per ricollocare i lavoratori o riconvertire gli impianti, micro e piccole imprese che chiudono a ripetizione, investimenti ai minimi storici su ricerca e occupazione, i nostri giovani che fuggono fuori regione. Se questo è il modello ligure di centrodestra che ha in mente Toti a livello nazionale, c’è davvero poco da stare sereni».
Paita (Pd): «Ecco il modello Toti: più tasse e più disoccupati»
«Stiamo precipitando in un baratro economico mentre ci fanno ballare come sul Titanic sopra i tappeti rossi. Perchè il governatore ligure Giovanni Toti non va sulle tv nazionali a spiegare davvero il modello Liguria? La formula che potrebbe utilizzare per spiegare la sua strategia è: più tasse e più disoccupati».
Più tasse e più disoccupati, scrive Paita «è il vero primato nazionale del centrodestra, che potrebbe essere anche un’anticipazione del modello nazionale. D’altronde – conclude la nota – ci si dovrebbe ricordare come hanno lasciato il Paese all’epoca dello spread di Berlusconi. Ed è esattamente quello che stanno facendo in Liguria».
(da agenzie)
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Novembre 15th, 2017 Riccardo Fucile
NON ERA UN “NEGHER”, MA UN ITALIANO 51ENNE, NESSUN POST SOVRANISTA PER DENUNCIARE LA RISORSA ARIANA
Ha perseguitato e violentato sul luogo di lavoro una dottoressa di cui si era
invaghito, arrivando a minacciare la donna di morte e costringendola a cambiare tre volte la sede di lavoro.
Le violenze – secondo l’accusa – sono avvenute in un ambulatorio della guardia medica, dove la donna prestava servizio. Per i reati di stalking e violenza sessuale, i carabinieri hanno arrestato Maurizio Zecca, 51enne campano residente ad Acquaviva delle Fonti, che a causa di alcune sue patologie si rivolgeva alla guardia medica.
«Lenta e crescente persecuzione»
I fatti contestati riguardano l’arco temporale di un anno e l’ultima minaccia risale allo scorso 5 novembre, quando il 51enne ha telefonato alla dottoressa minacciandola: «Se non mi ascolti faccio saltare il palazzo, faccio scoppiare la bombola del gas».
Stando alla denuncia della vittima, in servizio come guardia medica, e alle indagini coordinate dal pm di Bari Simona Filoni, le condotte persecutorie sarebbero iniziate nell’ottobre 2016 con continui messaggi, telefonate e minacce.
«Un’opera di lenta e crescente persecuzione, – si legge nell’imputazione – arrivando a maturare una vera e propria ossessione». Dopo un primo trasferimento della dottoressa, l’uomo avrebbe continuato a perseguitarla con le stesse modalità e in una occasione, recatosi sul suo nuovo posto di lavoro, avrebbe abusato di lei costringendola a subire atti sessuali.
Il trasferimento in un’altra città
Lo stalking sarebbe proseguito anche dopo il secondo trasferimento della dottoressa in un’altra provincia, arrivando a minacciare anche il marito e inviando telefonicamente, sempre durante le ore notturne, tracce audio contenenti suoni simili a quelli realizzati dal grilletto di una pistola o riproducenti scatti metallici o il rumore di una sparatoria con mitragliatrice. Dopo l’ultima minaccia di morte risalente al 5 novembre, la Procura ha chiesto l’arresto in carcere, disposto in pochi giorni dal gip ed eseguito dai carabinieri.
(da agenzie)
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Novembre 15th, 2017 Riccardo Fucile
IL LEGALE RAPPRESENTANTE FINO A POCHI MESI FA ERA TONY RIZZOTTO, L’UNICO ELETTO LEGHISTA A PALAZZO DEI NORMANNI
Un’indagine per peculato su un ente guidato fino a luglio scorso dal primo deputato eletto dalla Lega in Sicilia.
Stipendi mai pagati e Tfr sparito nel nulla. L’ennesima bufera giudiziaria sulla Formazione professionale siciliana travolge l’Isfordd, l’ente gestito fino a pochi mesi fa dal neo deputato regionale Tony Rizzotto, il primo leghista a sedere all’Assemblea regionale siciliana. Alle elezioni del 5 novembre scorso era candidato con la lista di Noi con Salvini e Fratelli d’Italia.
A dieci giorni dalle elezioni regionali, continuano le inchieste giudiziarie che proiettano, in un modo o nell’altro, le loro ombre sull’Assemblea regionale siciliana.
L’ultima la racconta il quotidiano livesicilia.it: la procura di Palermo indaga sulla gestione dell’ente di formazione Isfordd.
Fino al luglio scorso, il rappresentante legale dell’ente era Tony Rizzotto, appena eletto a Palazzo dei Normanni con la lista unica di Fratelli d’Italia e Noi con Salvini, la costola meridionale della Lega.
“Sì, ho ricevuto una telefonata, mi hanno informato. Ma non so nulla, non sono più il presidente dell’ente. Arrivederci”, è il commento rilasciato all’agenzia Ansa dal neo consigliere regionale.
Dopo Rizzotto a guidare l’Irsfordd è arrivata Salvina Profita. Si tratta della stessa persona che era stata nominata al suo posto al vertice della società regionale Italia Lavoro Sicilia.
Era il 2012 e l’allora governatore Raffaele Lombardo aveva scelto l’attuale deputato della Lega — all’epoca nel Movimento per l’Autonomia — per quell’incarico. Rizzotto, però, essendo un dipendente del comune di Palermo era incompatibile: e al suo posto era stata scelta Profita, indicata in quei giorni come la sua ex fidanzata.
L’inchiesta sull’ente di formazione è stata avviata lo scorso febbraio ed è alle battute iniziali.
Il quotidiano online siciliano racconta che fino allo scorso settembre l’indagine risultava iscritta ancora a carico di ignoti, ma con specifica contestazione: il peculato.
Un reato che secondo il codice viene commesso dal “pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio la disponibilità di danaro altrui se ne appropria”.
Tutto parte dagli esposti di cinque dipendenti dell’Isfordd – Istituto formativo per disabili e disadattati sociali – di cui Rizzotto fino allo scorso luglio era legale rappresentante. Ed è proprio sul nome del neo deputato che i lavoratori puntano il dito. L’indagine penale si incrocia con la procedura amministrativa. L’assessorato regionale alla Formazione professionale ha avviato l’iter per revocare i finanziamenti all’ente di formazione con sede a Palermo, in via Val di Mazara, a cui è stato chiesto, più volte, il rendiconto delle spese. Una richiesta caduta nel vuoto. E così nel marzo scorso si è attivata la Regione.
E la vicenda relativa alla gestione dell’ente è ricavabile anche dalle carte della Regione. A marzo, infatti, il dipartimento Formazione e Istruzione avvia il procedimento di revoca di finanziamenti dell’Avviso 20.
Il motivo? È tutto in una sfilza di anomalie segnalate dall’assessorato. Una su tutte: l’ente al quale spetta l’obbligo di rendicontare le spese per ottenere il finanziamento dell’Unione europea aveva “dichiarato” zero euro.
Nessuna somma rendicontata, insomma.
E l’approfondimento della Regione ha fatto emergere, come rintracciabile in una nota del 20 marzo scorso, “criticità non sanate”. Tra queste, il fatto che le attività formative sarebbero state “realizzate da docenti con esperienza didattica e professionale inferiore a quella prevista dal progetto approvato”; anomalie sulla sede scelta per le seconde annualità delle lezioni. Dubbi anche sulle attività di stage: “Le convenzioni — scriveva in marzo l’assessorato – non riportano la data di stipula e non si evidenziano le coperture assicurative Inail agli allievi; i registri di stage non sono completi in ogni sua parte; l’assenza di tutor aziendali, sostituiti da personale interno all’ente”. E ancora “non si evidenzia — scrive l’assessorato — l’adozione di una contabilità separata o di un sistema di codificazione contabile adeguato per tutte le transazioni relative all’operazione”.
Da lì è partito come detto il procedimento di revoca dei finanziamenti per due progetti dell’Avviso 20, per un totale di oltre un milione e mezzo di euro, di cui più di un milione già erogato all’ente. L’ente infatti ha risposto solo in parte ai rilievi mossi dalla Regione. Il procedimento dovrebbe concludersi nelle prossime settimane. Secondo fonti dell’assessorato, l’ente non avrebbe rispettato a molte prescrizione del vademecum relativo ai corsi finanziati dall’Ue.
Nel frattempo. Rizzotto ha formalmente lasciato la presidenza dell’ente. Da fine luglio, infatti, a guidare l’Irsfordd è Salvina Profita. Un binomio non del tutto inedito. È il 2012 infatti quando l’allora governatore Raffaele Lombardo sceglie proprio Rizzotto, che si era candidato senza successo nel 2008 alle Regionali tra le fila del Pdl, per guidare la società regionale “Italia Lavoro Sicilia”.
Nomina che “salta” a causa di una incompatibilità : Rizzotto è infatti un dirigente del Comune di Palermo, ruolo che gli impediva di ricoprire quello di presidente dell’ente regionale. Poco male, Lombardo allora decise di nominare, al suo posto, proprio Salvina Profita, la “nuova” presidente di Irsfordd.
E in effetti, la storia politica del “primo leghista all’Ars” è segnata dalla presenza di Raffaele Lombardo. Nel 2006, infatti, Rizzotto centra l’ingresso all’Assemblea regionale nella lista dell’ancora giovane Movimento per l’autonomia: riceverà oltre 8 mila voti di preferenza. Sarà quello, per molti anni, l’ultimo “sorriso” elettorale del politico: andranno male, infatti, i nuovi tentativi per l’Ars nel 2008 (col Pdl) e nel 2012 (di nuovo con l’Mpa) oltre alla corsa per le politiche, sempre con gli autonomisti, nel 2013. Fino al successo del 5 novembre. Che ha portato dentro Palazzo dei Normanni il primo leghista alla siciliana.
(da “LiveSicilia”)
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