Novembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
PERSA UNA GRANDE OCCASIONE SIA IN TERMINI DI OCCUPAZIONE CHE DI PRESTIGIO
COSA È L’EMA
Con il suo staff di 775 persone, ma con altre 5 mila che ‘gravitano’ attorno all’agenzia e un budget di 325 milioni di euro che genera un volume d’affari stimato di 1,5 miliardi di euro, l’Agenzia europea del farmaco Ema è responsabile della valutazione scientifica, della supervisione e della vigilanza su tutti i farmaci, umani o veterinari, commercializzati all’interno dell’Unione Europea.
COME È COMPOSTA
La fondazione dell’Ema risale al 1995. Le sue commissioni scientifiche sono sette, ognuna su un settore specifico dell’attività . La supervisione è affidata a un ‘management board’ di 35 persone indipendente da governi, aziende o altre istituzioni. A capo dell’agenzia c’è un direttore generale, che al momento è l’italiano Guido Rasi.
APPROVAZIONE DEI FARMACI
I vari comitati dell’Ema valutano i dossier di richiesta di autorizzazione dei farmaci da parte delle aziende, anche coordinando ispezioni nei siti di produzione. Il loro parere è poi accolto dalla Commissione Europea, che materialmente concede l’autorizzazione, che è valida per tutti gli Stati membri. E’ possibile comunque chiedere l’autorizzazione anche ai singoli stati, anche se quella centralizzata è obbligatoria per una serie di patologie, per i farmaci orfani e per quelli biotech.
FARMACOVIGILANZA
L’Ema coordina la farmacovigilanza sul territorio europeo, ed è responsabile di diversi progetti di monitoraggio degli effetti avversi, come EudraVigilance. Su questo argomento è responsabile anche della produzione di linee guida e regolamenti, oltre che della comunicazione con il pubblico e della collaborazione con i pazienti.
ALTRE ATTIVITà€
Fra le altre missioni dell’Ema c’è lo sviluppo di procedure per l’accesso rapido ai farmaci, soprattutto per malattie che non hanno terapia; la supervisione dello sviluppo dei farmaci pediatrici; l’attribuzione dello status di ‘orfani’ ai farmaci; lo sviluppo di linee guida sulla qualità , sicurezza ed efficacia dei farmaci, la cui osservanza da parte delle aziende deve essere riportata nei dossier che vengono sottoposti all’approvazione.
(da agenzie)
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Novembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
LA GIUNTA FORZA-LEGHISTA CANCELLA LE LEZIONI GRATUITE DI INFORMATICA NELLE CIRCOSCRIZIONI, 500 PERSONE A CASA … SE VOGLIONO POSSONO RECARSI ALTROVE A PAGAMENTO: MA CHE BEL CENTRODESTRA VICINO AI MENO ABBIENTI
Fine dei corsi, nel Municipio Medio Levante. E, almeno, 500 persone, per lo più anziani
– il quartiere della Foce è uno dei più “anziani” della città – rimarranno a casa, anzichè entusiasmarsi (e incontrarsi) al corso di Cinese o di Informatica
Il nuovo presidente del Municipio, Francesco Vesco, non ha rinnovato la rete dei corsi offerti gratuitamente alla cittadinanza nel quartiere, così come accadeva nel precedente ciclo amministrativo.
Sono stati in molti a rivolgersi, invano, alle sede del Municipio, in via Mascherpa: i corsi non sono stati rifinanziati, è stato comunicato alla cittadinanza, “non ci sono più fondi”, ha pure spiegato in consiglio municipale lo stesso presidente Vesco, centrodestra, rispondendo alle interrogazioni delle opposizioni
E così dalla nuova amministrazione municipale è stato proposto agli aficionados dei corsi gratuiti e svolti nel Municipio, invece, un “pacchetto” che prevede, oltre al costo di 70 euro, la partecipazione a cinque sezioni di studio, la cui sede è però presso un’associazione a Sampierdarena. Molto distante, però, se l’utenza è anziana. In più, con un nuovo costo
«Al di là delle scelte politiche, per cui si decide di destinare quei fondi ad altro, il rischio e la gravità di questa scelta è che si perdano punti di riferimento fondamentali per la popolazione – denuncia l’ex presidente del Municipio, Alessandro Morgante, e ora consigliere di opposizione, che quei corsi aveva faticosamente costruito e moltiplicato, negli ultimi anni aveva pure dovuto organizzare le “liste d’attesa” – la risposta deve essere sul territorio, sotto casa e gratuita», ribadisce
Nell’anno scolastico 2016-2017 i corsi erano tanti: quattro di Inglese, due base e due avanzati, due di Francese, due di Spagnolo, due di Tedesco, uno di Cinese, che aveva suscitato un grandissimo successo, e quattro per imparare a usare il tablet, due base e due avanzati, amatissimi dagli anziani che riuscivano finalmente a comunicare con i nipoti. «La nostra amministrazione investiva parecchio su questa offerta in cui credevamo come presidio sociale e territoriale – sottolinea Morgante -: diecimila euro ogni due anni. Il nuovo presidente ha spiegato che soldi non ce ne sono: ma noi glieli abbiamo lasciati. Il capitolo di spesa cui afferiscono questi corsi però è lo stesso che finanzia le manifestazioni sul territorio. Dove investirà i soldi con cui non ha finanziato i corsi, Vesco?»
«Quello che ci aveva stupito – indica Morgante – è che non soltanto le nostre iniziative davano risposte agli anziani del quartiere, ma pure le richieste erano cresciute tra i giovani, che coglievano la chance della gratuità dei corsi per migliorare il proprio curriculum, tanto che avevamo iniziato a tenere pure corsi serali, per questo tipo di utenza».
E anche il “portiere di comunità ”, in piazza Palermo, è destinato a scadere il 31 dicembre: «Esaurito il finanziamento della Compagnia di San Paolo – dice Morgante – non si starebbe organizzando il futuro, in autogestione, di questa nuova ed apprezzata figura di presidio territoriale, che peraltro rappresenta pure un’opportunità lavorativa per due persone».
(da “La Repubblica”)
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Novembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
IL MILIARDARIO LIBANESE CHE FINANZIA LA FONDAZIONE DI ALFANO, IL SOCIO IN AFFARI DI TREMONTI E LO YACHT ALLE BERMUDA DI BERLUSCONI
Il parlamentare di Forza Italia passato alla Lega. Il socio fondatore dello studio Tremonti, insieme al tesoriere lussemburghese dell’ex ministro. Un miliardario libanese, già sotto accusa per tangenti eccellenti in Francia e Gran Bretagna, che è anche il primo sostenitore straniero del nostro ministro Angelino Alfano, attraverso una fondazione all’italiana che può tenere segreti i nomi dei finanziatori.
Il fratello di Bettino Craxi, Antonio (morto pochi mesi fa) registrato con uno strano imprenditore sparito dall’Italia e con un fiduciario estero degli anni più neri di Silvio Berlusconi. E altri uomini d’affari, industrie o banche con forti agganci nei partiti.
Storie di affari e relazioni politiche riservate. I Paradise Papers ora svelano per la prima volta molti intrecci occulti tra boss dell’economia e big delle istituzioni.
I 382 giornalisti associati al consorzio Icij hanno finora trovato, nella montagna di carte dei paradisi fiscali, i nomi di 120 capi di Stato, parlamentari, ministri e dittatori di tutto mondo.
Tutti beneficiari di ricchezze nascoste in società offshore. In Italia, dopo le oltre mille condanne di Tangentopoli, i politici hanno imparato a non lasciare tracce: dal 1994 ad oggi, quasi nessuno si è intestato una offshore con annesso conto estero. Anche perchè le banche sono obbligate dalle leggi anticorruzione a segnalare tutte le «Persone esposte politicamente» (in gergo, Pep). Nei Paradise Papers però spuntano vari personaggi collegati a politici italiani attraverso società o fondazioni.
IL RE DELLE TANGENTI TIFOSO DI ANGELINO
Fouad Makhzoumi è un miliardario nato in Libano, dove ha fondato anche un partito di centro. Controlla il gruppo Future Pipe Industries, colosso mondiale delle tubazioni per oleodotti, fornitore da decenni delle monarchie arabe. In questi mesi Makhzoumi, che vive tra Beirut, Dubai e Londra, si è trovato al centro di uno scandalo politico che ha segnato la campagna per le presidenziali in Francia.
Il settimanale Le Canard Enchaà®nè ha rivelato che il magnate ha versato 50 mila dollari, in due rate tra il 2015 e il 2016, al candidato dei repubblicani, Franà§ois Fillon, ex capo del governo, attraverso un contratto segreto.
Un accordo non dichiarato, intestato alla società di consulenza privata del politico francese, per esercitare il suo «potere d’influenza» a favore del politico libanese. E favorire un incontro tra lo stesso Makhzoumi, il presidente russo Vladimir Putin e il numero uno della Total, il gigante francese del petrolio, molto legato a Fillon dai tempi dell’università . Su quella presunta tangente indagano i magistrati di Parigi.
Dopo quelle rivelazioni, i più autorevoli giornali francesi si sono messi a scavare nel patrimonio di Makhzoumi. Un’inchiesta di Le Monde, che fa parte del consorzio Icij, ha trovato decine di offshore da lui aperte negli ultimi vent’anni tra Dubai, Panama e le Isole Vergini Britanniche. Alcune società anonime con la targa dei Caraibi risultano ancora attive.
Ora L’Espresso, nei documenti esaminati con Report, ha scoperto altre tesorerie di Makhzoumi: la struttura di vertice dell’azienda-madre libanese, quella da cui è nato l’impero; e al piano superiore, una holding lussemburghese che controlla una società -cassaforte di Malta, paradiso offshore all’interno dell’Europea.
Makhzoumi coltiva da anni forti relazioni politiche anche in Italia. È stato invitato al meeting ciellino di Rimini e al Senato.
Ed è entrato addirittura nel consiglio d’amministrazione della Fondazione De Gasperi: una prestigiosa istituzione politica costituita nel 1982 con 400 milioni di lire totalmente versati dalla Dc.
L’ente intitolato allo statista democristiano, di cui è presidente onorario la figlia Maria Romana De Gasperi, ha seguito l’esodo dei centristi passati dalla corrente di Andreotti a Forza Italia, per arrivare ad Alfano. L’attuale ministro degli Esteri (e prima dell’Interno) è da anni il presidente operativo della fondazione, che sostiene la sua attività politica ed è gestita dal tesoriere Lorenzo Malagola. I quindici membri del consiglio sono tutti ex democristiani italiani, tranne Makhzoumi. Come ha fatto un miliardario straniero a entrare in questo santuario politico romano?
L’ipotesi più logica è che abbia finanziato la fondazione. Ma i documenti in grado di sciogliere il dubbio sono segreti. Alfano e il suo tesoriere si sono infatti rifiutati di dichiarare alla prefettura di Roma, a cui si era rivolto L’Espresso già mesi fa, i nomi dei loro finanziatori e perfino di pubblicare i bilanci con la cifra totale delle donazioni private. Gli industriali che versano soldi alla fondazione di un ministro, in Italia, possono restare anonimi.
Dopo (e nonostante) “l’affaire Fillon”, il miliardario libanese continua a comparire tra gli eredi di De Gasperi. Nel 2012, quando è stato accolto nel consiglio, era già reduce da un altro scandalo clamoroso. Una storia di armi, politica e offshore. A Londra, nel 1995, si scopre che Makhzoumi ha fatto da intermediario segreto in una vendita di fucili militari dalla Gran Bretagna al Libano.
Il re degli oleodotti aveva anche inserito un big del partito conservatore, l’ex ministro per gli appalti della difesa Jonathan Aitken, nel consiglio d’amministrazione (con stipendio) di una sua società estera, mai dichiarata dal politico inglese.
Aitken è stato condannato nel 1999 per aver mentito sotto giuramento nel tentativo di nascondere i suoi rapporti con Makhzoumi, querelando The Guardian che li aveva svelati. Lo stesso giornale inglese, che fa parte del consorzio Icij, ha poi scoperto che May Makhzoumi, la moglie del miliardario, che vive a Londra ma resta al vertice del gruppo libanese, ha continuato a finanziare i conservatori con almeno un milione di sterline, di cui 500 mila versate nel 2013.
Il miliardario che ama le offshore e la politica è molto vicino anche al regime siriano degli Assad (padre e figlio, entrambi dittatori sanguinari). Nelle carte segrete dei paradisi fiscali compaiono, tra molte altre, due società panamensi, attive dal 1990 al 1998 (Oil Services, Suppliers Inc), con tre direttori: Makhzoumi e due uomini forti del potere di Damasco, Salim Hassan e Khaled Hboubati.
UN LEGALE E I CONTI SEGRETI
I Paradise Papers svelano per la prima volta una società di Malta, la Gepar Limited, registrata a La Valletta come «offshore company». È una società finora ignota, che si inserisce in una successione di tesorerie estere, con sede in paradisi fiscali, attivate l’una dopo l’altra, dal 1991 fino al 2006: tutte collegate allo studio professionale di Giulio Tremonti, che oggi è senatore. E che, come ministro dell’Economia in tutti i governi di Berlusconi, è stato per anni il massimo responsabile politico della lotta all’evasione ed elusione fiscale internazionale.
L’offshore rimasta segreta per vent’anni risulta costituita il 13 settembre 1991, quando Tremonti non faceva ancora politica: era un docente universitario, capo di uno studio di commercialisti di Milano, che firmava duri editoriali contro i condoni fiscali.
La società maltese resta attiva per anni e continua a operare dopo il 1994, quando il professore diventa ministro. Gli amministratori sono due professionisti molto legati a lui: Gaetano Terrin, uno dei due soci fondatori della “Tremonti e associati srl”, la società italiana che dal luglio 1990 gestisce lo studio di Milano; e Alex Schmitt, che è tra i più famosi avvocati del Lussemburgo.
Terrin è stato il primo azionista, con il 50 per cento, della Tremonti srl: ha versato 10 dei 20 milioni di lire del capitale iniziale. Schmitt era invece l’amministratore della “Tremonti International Sa” del Lussemburgo. Una cassaforte estera, con un patrimonio di circa un milione di euro, guidata da tre persone: Schmitt, una sua dipendente e Giulio Tremonti.
La società lussemburghese viene sciolta il 17 marzo 1994, dieci giorni prima delle elezioni. La Gepar di Malta invece resta attiva anche dopo la nascita del primo governo Berlusconi: a gestirla sono sempre Terrin e Schmitt, che vengono sostituiti solo il 5 dicembre 1994. I proprietari della offshore sono anonimi: si nascondono dietro una fiduciaria maltese, controllata dal gruppo Deloitte.
Solo dal 3 gennaio 1995, quando la offshore sembra aver cambiato proprietario, i nuovi amministratori registrano come titolare la Castelvetro Finanziaria spa, cioè la tesoreria italiana del gruppo Cremonini (carni).
Terrin, un fiscalista stimato che oggi ha un suo studio a Padova, ha risposto a tutte le domande dell’Espresso, ma non ha potuto chiarire molto: «La società di Malta non era di Tremonti o dello studio. Era sicuramente di un nostro cliente, ma dopo 25 anni non ne ricordo il nome. Però non era il gruppo Cremonini. Le offshore a Malta si facevano perchè non pagavano le tasse, chiaramente, ma erano autorizzate dalla legge».
Dopo la Gepar, c’è un black out: basta offshore, ma solo per due anni e mezzo. Le date potrebbero essere tutte coincidenze, ma sono notevoli.
Tra novembre e dicembre 1994, mentre la società maltese cambia padroni, il ministro Tremonti finisce sotto indagine, a Roma e poi a Milano, per i rapporti tra il suo studio, la società italiana e quella lussemburghese.
Terrin è uno dei due testimoni chiave. Il pm Sandro Raimondi indaga per due anni ma non trova nessuna prova di evasioni o elusioni, nè in Italia nè in Lussemburgo, e chiede di prosciogliere Tremonti. Il gip Clementina Forleo non è d’accordo e nel gennaio 1997 impone altri sei mesi d’indagini sulla lussemburghese, ma alla fine si arrende e archivia tutto. E proprio quando si chiude l’inchiesta sulla Tremonti International, Terrin si mette a gestire un’altra offshore.
È il Claudius Trust, con sede nelle impenetrabili isole Cook, che non riconoscono nemmeno le sentenze straniere. Come domicilio, Terrin indica lo studio Tremonti: via Crocefisso 12. E di chi era questa nuova tesoreria offshore, chiusa solo nel 2006? «Era anche questa di un cliente, un uomo d’affari americano che ha sposato un’italiana», risponde Terrin. «Io ero solo il protector, che ha poteri di veto sul gestore per evitare che faccia investimenti sbagliati».
Sempre nel 2006 lo studio dell’ex ministro torna nella bufera perchè un altro socio, Dario Romagnoli, ha ricevuto 5 milioni di euro per difendere la Bell: la società lussemburghese che nel 2001 ha incassato due miliardi di euro di profitti della scalata a Telecom, mai accusata di evasione nell’era di Tremonti.
Quando tornano al governo Prodi e Visco, il fisco si risveglia e i soci della Bell, tutti italiani, devono sborsare 156 milioni di euro. A quel punto il manovratore del tesoro di Telecom, il finanziere Emilio Gnutti, patteggia la stessa condanna (sei mesi) del presidente lussemburghese della Bell: l’immancabile Alex Schmitt.
ANTONIO IN TRASFERTA E I SUOI SEGRETI
Nell’isola europea delle offshore, spunta un’altra società con illustri parentele politiche. Si chiama Golden Age International Limited, è nata nell’aprile 2013 e risulta ancora attiva: l’ultima modifica dello statuto è datata febbraio 2015.
Come amministratori sono registrati Antonio Craxi, fratello dell’ex premier socialista, e Sebastiano Romito, piccolo imprenditore dell’elettronica. Gli azionisti invece sono segreti: nei registri di Malta c’è solo il nome del loro fiduciario.
Si chiama Tonio Fenech e firmava a Malta anche i contratti per i film venduti da Frank Agrama, il protagonista americano della frode fiscale internazionale che nell’agosto 2013 è costata al leader di Forza Italia la condanna definitiva.
Antonio Craxi era stato coinvolto nel precedente processo per le tangenti versate dalle offshore di Berlusconi sui conti svizzeri di Bettino: 11 milioni di euro. Il leader del Psi ne ha girato una parte, 250 mila euro, al fratello Antonio, poi assolto per mancanza di dolo: ha preso i soldi, si è comprato una casa a New York, ma poteva non sapere che provenivano dalle mazzette internazionali di Silvio.
L’Espresso non potuto ottenere chiarimenti dagli interessati: Antonio Craxi è morto nel gennaio scorso, portando con sè i suoi segreti maltesi. In Italia ha lasciato solo una quota (8 per cento) di una piccola ditta di medicina ayurvedica.
Al telefono della società di Romito, in viale Jenner a Milano, risponde la segretaria di un curatore fallimentare: «Qui abbiamo solo debiti. Il titolare non è rintracciabile da mesi: pare che sia scappato all’estero».
LA DESTRA IN PARADISO
Nelle carte dello studio Appleby è registrata la Alba Servizi Aerotrasporti, controllata al 100 per cento dalla Fininvest, che gestisce yacht e aerei aziendali della famiglia Berlusconi.
Alla società italiana è collegata una offshore delle Bermuda, Morning Glory Yachting Limited, intestataria dell’omonimo veliero da 50 metri che Berlusconi comprò dal re dei media Rupert Murdoch. Dai Paradise Papers risulta però che fu il tycoon australiano a registrarla nel paradiso fiscale dei Caraibi. Mentre il gruppo Fininvest l’ha regolarmente dichiarata nei bilanci italiani.
A fornire invece a Berlusconi le sue 64 offshore segretissime, quelle che secondo le sentenze hanno nascosto cifre enormi nei paradisi fiscali (oltre un miliardo di euro), non era Appleby, ma un famoso avvocato di Londra: David Mills, marito di una ministra.
Nei Paradise Papers compare solo un parlamentare in carica: Guglielmo Picchi, eletto nel 2006, 2008 e 2013 con Forza Italia all’estero, nella circoscrizione Europa, e passato nel 2016 con la Lega di Salvini.
§L’onorevole viene registrato nel 2005 come azionista di un fondo offshore dell’isola di Jersey, gestito da Appleby Trust per conto della banca Barclays. Il deputato ha mantenuto le sue quote, stando alle carte, almeno fino al 2009, quando era già parlamentare.
A L’Espresso ora Picchi spiega: «Ho lavorato per anni per la Barclays di Londra. Guadagnavo 300 mila sterline. Quel fondo gestiva solo i bonus assegnati dalla banca ai propri manager, che ho regolarmente dichiarato al fisco inglese». Resta solo un problema, politico. La legge italiana impone tasse micidiali sugli stipendi dei normali cittadini.
(da “L’Espresso”)
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Novembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
ANGELO MALERBA ERA STATO ARRESTATO PER AVER RUBATO BANCONOTE IN UNA PALESTRA DELLA CITTA’
Angelo Malerba, ex consigliere comunale del M5S di Alessandria, si avvia a chiudere la
vicenda dei furti in palestra in cui era stato coinvolto nel 2016 e che aveva avuto un lungo strascico processuale.
Poco dopo la mezza di oggi, in tribunale, presente il pm Andrea Zito, l’imputato, affiancato dal nuovo difensore Fabio Bellora, si è alzato e al giudice Giorgia De Palma ha fatto alcune dichiarazioni spontanee: «Oggi sono qui per ammettere quanto è accaduto in palestra (Pianeta Sport, ndr). Mi scuso di tutto quello che è successo. Una parte è dovuta alla mia responsabilità , ma una parte, relativamente alla linea difensiva, l’ho avallata ma fu il mio legale di allora a indicare come fare».
Malerba ha ammesso con pacatezza tutti i fatti contestati nel capo d’accusa. L’avvocato Bellora, che ha consigliato e accompagnato l’imputato in questa nuova, lineare strategia difensiva, discuterà la causa il 5 dicembre, dopo la requisitoria del pm Zito. Poi la sentenza.
Entro quella data, Malerba si è impegnato a risarcire tutti quelli che avevano presentato querele per sparizione di soldi alla Pianeta Sport.
(da “La Stampa”)
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Novembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
TESTA A TESTA TRA MILANO E BRATISLAVA
La decisione di Bruxelles alle 17. Le città in corsa per ospitare l’Agenzia in fuga da Londra sono 16. La più ambita tra le agenzie europee porta con sè 900 dipendenti (con famiglie) i cui consumi potrebbero superare i 40 milioni di euro l’anno. Oltre a 325 milioni di budget annuo e l’indotto degli almeno 500 eventi organizzati ogni an
Sarà Milano la prescelta per la nuova sede dell’Agenzia europea del farmaco?
I ministri per gli affari europei dei 27 Paesi dell’Unione si riuniscono a Bruxelles per decidere in quale città dal marzo 2019 dovrà traslocare l’Ema, costretta a lasciare Londra dopo la Brexit.
Per la più ambita tra le agenzie europee in fuga dal Regno Unito si preannuncia una sfida all’ultimo voto: la decisione sarà presa a margine del Consiglio Affari generali dell’Ue e a rappresentare il nostro Paese c’è il sottosegretario Sandro Gozi.
Le città che si erano candidate ad accogliere l’Agenzia erano 19 ma, in mattinata, prima La Valletta e Zagabria e poi anche Dublino hanno ritirato la propria candidatura.
Oltre a Milano, restano ora in corsa Amsterdam, Atene, Barcellona, Bonn, Bratislava, Bruxelles, Bucarest, Copenhagen, Helsinki, Lille, Porto, Sofia, Stoccolma, Vienna e Varsavia.
Il capoluogo lombardo è dato tra i favoriti e può contare anche sull’appoggio dei dipendenti dell’Authority: il 69%, in un questionario, l’ha indicato come meta preferita.
Ma, a poche ore dal verdetto, la principale insidia per Milano è rappresentata da Bratislava. La capitale della Slovacchia era stata rilanciata dal Consiglio europeo dello scorso giugno ed è tornata il pole position nelle ultime ore grazie anche al supporto che avrebbe acquisito da parte dei Paesi baltici. Ma dalle urne potrebbero uscire altre sorprese, come Amsterdam, Copenaghen, Stoccolma.
Il bagaglio che porta con sè Ema è consistente: uno studio condotto dall’università Bocconi parla di un indotto di 1,7 miliardi di euro.
Una stima per eccesso che tiene conto di diversi fattori. Innanzitutto il budget annuale di 325 milioni di euro destinato dall’Agenzia alla gestione ordinaria della struttura, dagli stipendi ai servizi.I consumi dei 900 dipendenti che arriverebbero a Milano con le loro famiglie potrebbero raggiungere un valore complessivo di quasi 40 milioni di euro l’anno.
A questi dati si sommano le ricadute dirette sulle imprese che intratterranno rapporti di lavoro con Ema, che potrebbero superare i 30 milioni l’anno.
Nello studio, si è tenuto conto poi del fatto che l’Agenzia ogni anno organizza almeno 500 eventi, che porterebbero a Milano circa 60mila visitatori professionali, con un giro d’affari superiore ai 25 milioni di euro.
Il grosso dovrebbe arrivare dai laboratori e siti di produzione — con relativi posti di lavoro — che le multinazionali già presenti sul territorio potrebbero decidere di creare grazie alla presenza di Ema. Senza contare il prestigio e la visibilità a livello internazionale che questo darebbe a Milano
Come sede Milano ha offerto il Pirellone, il palazzo che ospitava la Regione Lombardia: un grattacielo di 32 piani e oltre 24mila metri quadri a pochi passi dalla Stazione Centrale. Il capoluogo lombardo ha poi ottimi collegamenti ferroviari e aerei con le principali capitali europee e scuole d’eccellenza per le famiglie dei dipendenti. Sullo slancio di Expo 2015, la città della Madonnina vive un nuovo rinascimento, sia in termini di consumi che di turismo e prestigio internazionale.
Ma Milano punta ora a diventare un punto di riferimento europeo anche nel settore della salute e della ricerca: l’area espositiva di Expo si sta trasformando in un polo di ricerca, con un progetto di riconversione che prevede la creazione di un ‘Parco della Scienza’, con il nuovo campus dell’Università Statale, Human Technopole e l’ospedale Galeazzi.
In cantiere c’è poi anche la Città della Salute e della Ricerca, un progetto di valenza internazionale che sorgerà nelle aree ex Falck di Sesto San Giovanni, dove si trasferiranno l’Istituto Nazionale Neurologico Carlo Besta e l’Istituto Nazionale dei Tumori.
A ciò si aggiunge il fatto che il settore farmaceutico in Italia dà lavoro a oltre 60mila persone, di cui 28mila proprio in Lombardia. L’arrivo dell’Agenzia del Farmaco sarebbe quindi un completamento di questo percorso, che permetterebbe alle aziende farmaceutiche lombarde di avere contatti diretti con Ema.
Le votazioni si apriranno alle 17 e si svolgeranno in tre turni di voto.
Tra uno scrutino e l’altro i singoli rappresentanti potranno consultarsi fra loro e far convergere i voti su una città candidata.
Al primo turno ciascun Paese avrà sei punti da distribuire: 3 per la sede ritenuta più adatta, 2 per la seconda scelta e uno per la terza. Per assicurarsi la vittoria al primo scrutinio sarà necessario raccogliere 3 voti da almeno 14 Paesi.
In caso contrario, le prime tre classificate (o più nel caso di punteggi uguali) passeranno al secondo turno, dove ogni Paese avrà un solo voto da assegnare.
Per vincere, in questa fase, sarà necessario raccogliere almeno 14 punti. Se così non fosse, le prime due classificate (o più in caso di parità ) andranno allo spareggio finale, dove ogni Paese avrà sempre solo punto da assegnare.
Chi raccoglierà più consensi, vincerà . In caso di parità , la vittoria sarà assegnata con un’estrazione a sorte.
(da agenzie)
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Novembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
LA STUDIO YOUTREND: CON MDP FUORI DALLA COALIZIONE 18 SEGGI PASSANO SICURAMENTE DI MANO, ALTRI 21 DIVENTANO IN BILICO… PD HA 50 ELETTI SICURI E 35 PROBABILI
Dove la forbice tra il centrosinistra e la destra è ampia, non c’è partita e amen. 
In Veneto ad esempio, i sondaggi fotografano una destra che ha il doppio dei consensi del Pd, con o senza alleati.
Ma quanti collegi rischia di perdere alle prossime elezioni una sinistra che si presenta divisa nei collegi del Rosatellum?
I partiti, anche se non vogliono scoprire le carte – soprattutto nel giorno della separazione ufficiale tra demoprogressisti e Pd – hanno a disposizione alcune proiezioni fatte sui 232 collegi uninominali, quelli cioè in cui viene eletto il candidato che prende anche solo un voto in più dell’avversario.
Un numero certo, ovviamente, non può esserci. Ma sono almeno 40 i collegi che rischiano di passare dal centrosinistra agli altri due poli, cioè centrodestra e M5S.
Una proiezione elaborata da YouTrend nel dossier per Reti mostra una situazione assai diversa, a seconda che il centrosinistra proceda diviso o unito.
In sintesi, un terzo circa dei 232 seggi assegnati nell’uninominale è in gioco, ovvero “molto contendibile” tra centrodestra, centrosinistra e 5stelle.
Nel centrosinistra la divisione in due tronconi però si abbatte come una mannaia.
Una lista a sinistra alternativa al Pd, come quella che intendono mettere in campo Mdp, Sinistra Italiana e Possibile, può rappresentare l’ago della bilancia, soprattutto in alcune regioni “rosse”: Toscana, Umbria, Emilia Romagna e nel centro Italia.
Ci sono alcune avvertenze.
Va premesso che per ora i collegi non sono stati disegnati, lo saranno entro il 30 novembre, costituiti ciascuno da 230 mila elettori per la Camera e di circa 500 mila per il Senato con una oscillazione (che ha mandato sulle barricate i 5Stelle) di più o meno 20% per numero di cittadini.
Ma più di tutto la variabile sarà la qualità dei candidati e la nuova offerta politica che i partiti sapranno mettere in campo.
Sempre secondo la proiezione YouTrend, per esempio, nel collegio di Foligno, in Umbria, se il Pd corresse con Ap e Mdp sarebbe favorito, viceversa la vittoria passerebbe con certezza al centrodestra.
Nel collegio Roma-Tuscolano,sorpasso dei 5Stelle se Renzi si presenta alleato solo ai centristi.
Sesto San Giovanni, roccaforte un tempo rossa (ora il Comune è passato al centrodestra), sarebbe senza ombra di dubbio terra di conquista di Forza Italia e Lega. Senza Mdp, insomma, la proiezione conteggia 18 collegi che certamente passano agli avversari del Pd.
E sono 21 (in Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, Basilicata, Marche e Lazio), quelli che da sicuri diventano in bilico.
Al Nazareno i renziani sciorinano cifre diverse ma non lontane dalla stima Youtrend. Nonostante la diaspora, i dem ritengono che tra i 50 e i 60 collegi uninominali siano comunque assicurati.
E di quelli “a rischio”, circa 70, contano di conquistarne più o meno la metà . Renzi non crede alla dèbacle dem in Lombardia, Piemonte, Veneto, Liguria e Sicilia e pensa che il Pd possa puntare a ottenere 85 seggi solo con l’uninominale.
È evidente però che stime e sondaggi andranno poi combinati con il peso delle candidature reali.
Se per esempio la sinistra alternativa ai dem candidasse Pietro Grasso in un collegio di Roma, o Vasco Errani a Ravenna, o ancora Pierluigi Bersani in un collegio emiliano e Massimo D’Alema in Puglia, ebbene questi big forse non vincerebbero il seggio, ma di certo la loro performance potrebbe pregiudicare l’elezione del candidato Pd anche in territori sulla carta sicuri.
Difficile pensare infatti che questi big si fermerebbero al 6/7 per cento che i sondaggi attuali attribuiscono a livello nazionale al cartello della sinistra.
Pippo Civati, leader di Possibile, maneggia con cura e discrezione alcune proiezioni che vedono il Pd traballare in un totale di 100 collegi, oltre a quelli sicuramente persi. Però Federico Fornaro, che con numeri e proiezioni ha accompagnato tutta la discussione sulle nuove regole del voto, bersaniano di ferro, è di un’altra opinione, e cioè che “gli elettorati del Pd e della sinistra non sono più sovrapponibili: Renzi ha provocato una frattura. E poi le avanzate del centrodestra ci sono già state, il quadro è incrinato. Il Pd è dato al 23%, meno del risultato di Bersani nel 2013”.
La partita è all’inizio. E, per la sinistra nel suo complesso, non sarà certo facile.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
TOMASO MONTANARI RITIENE GRASSO LEADER COME SCELTA DI PALAZZO
Il presidente di Libertà e Giustizia Tomaso Montanari rilascia oggi un’intervista a Repubblica per certificare una rottura anche a sinistra della sinistra, con i leader del Brancaccio che non hanno nessuna voglia di partecipare alla Cosa Rossa anche se questa non si alleerà con il Partito Democratico.
«Potremmo tornare sui nostri passi solo se si rinvia l’assemblea del 3 dicembre, convocata dai tre leader a sinistra del Pd Roberto Speranza, Giuseppe Civati e Nicola Fratoianni. L’altra strada è mantenere quella data e trasformare l’assemblea da una riunione per delegati a un evento realmente democratico, aperto a tutto il popolo della sinistra e senza decisioni prese a tavolino. Ma nutro forti dubbi che questo accadrà ».
Partiamo dall’inizio. Che cosa voleva essere il Brancaccio?
«L’idea nasce dal vivaio del comitato del No al referendum costituzionale, in cui c’era anche un mondo di sinistra fatto di associazioni e comitati che non ha rappresentanza politica. Abbiamo pensato che la via per rifondare la sinistra fosse far dialogare i partiti con pezzi della società civile».
Quello di raccordare il mondo dei civici alla politica non è lo stesso sforzo di Pisapia?
«Sì, ma nel suo caso con l’idea di stare con il Pd. Una contraddizione macroscopica per noi inaccettabile».
Perchè il Brancaccio è fallito?
«Non volevamo programmi e leader designati dai partiti».
Si riferisce a Pietro Grasso?
«È evidente, non ho apprezzato questa scelta di palazzo».
E poi che cosa è successo?
«Arrivati al dunque è stato chiaro che i partiti avevano in mente il modello tradizionale di una lista arcobaleno con una spruzzata di società civile. Hanno lanciato l’assemblea del 3, costruendola come una spartizione di posti tra partiti, con quote predeterminate. Ma il Brancaccio non è una componente, non ha tessere, è un metodo di fare politica».
(da agenzie)
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Novembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
DA RENZI A BERSANI, DA PISAPIA A FRATOIANNI IL RISIKO DELE LISTE E DEI PARTITI
Tentativi di dialogo, passi avanti e secchi rifiuti. 
La trattativa nel campo del centrosinistra in vista delle prossime elezioni si è rimessa in moto vorticosamente. Ecco, in questa sintesi, lo stato delle possibili coalizioni.
LA COALIZIONE DEL PD
La prima gamba è appunto il Pd renziano. La seconda sono i centristi: Pier Ferdinando Casini sta cercando di compattare un gruppo composto da Idv, ex Scelta civica e probabilmente anche da Angelino Alfano.
La terza è una lista frutto dell’unione dei prodiani con Campo Progressista di Giuliano Pisapia. La quarta gamba, per l’appunto, dovrebbe essere rappresentata dai Radicali italiani di Emma Bonino e Riccardo Magi e gli europeisti di Benedetto Della Vedova, che potrebbero fondersi in un unico cartello anche con Verdi e socialisti.
Una lista che, secondo il coordinatore nazionale dei Verdi Angelo Bonelli, potrebbe chiamarsi “Europa, ecologia e diritti”. Ma Bonino ai microfoni di Radio Capital per ora sconfessa l’esistenza di accordi con il Pd: “Siamo distanti su molti temi, dalla giustizia ai migranti”.
LA SINISTRA
Roberto Speranza, Pippo Civati e Nicola Fratoianni, leader rispettivamente di Mdp, Possibile e Sinistra italiana, hanno convocato per il 3 dicembre la grande assemblea dei delegati con lo scopo di definire la lista unitaria e il simbolo con cui correre alle elezioni a sinistra del Pd.
Dalla coalizione, per il momento, si tirano fuori i civici del Brancaccio, il movimento di Tomaso Montanari e Anna Falcone in disaccordo con i metodi di spartizione delle quote nelle liste.
I tentativi di dialogo del “pontiere” dem Piero Fassino sono stati respinti dai demoprogressisti. Ieri a “in mezz’ora in più”, Pier Luigi Bersani ha ribadito il no degli scissionisti all’offerta di un’alleanza larga di centrosinistra: “Con il Pd si parla dopo il voto”. E l’assemblea di Mdp si è conclusa con l’approvazione all’unanimità della relazione del coordinatore Speranza, con cui si chiede di continuare il percorso con Si e Possibile.
I RISCHI DELLA DIVISIONE
Il centrosinistra si presenterà così diviso alle elezioni, come accadde già nel 2001 (Ulivo da un lato e Rifondazione dall’altra) e nel 2008 (Pd e sinistra arcobaleno), rischiando di regalare a destra e M5s ben 40 collegi uninominali, corrispondenti ad altrettanti seggi, secondo la simulazione di Youtrend.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 20th, 2017 Riccardo Fucile
LA DONNA AGGREDITA DUE MESI FA DURANTE IL TURNO DI GUARDIA MEDICA: “SOLO LAURA BOLDRINI MI HA CHIAMATA, PER IL RESTO UN SILENZIO ASSORDANTE”
«Un silenzio assordante». Così Serafina Strano, la dottoressa violentata due mesi fa durante il turno di notte nella guardia medica di Trecastagni, in provincia di Catania, racconta quello che è successo dopo quella sera.
In un’intervista a «La Nazione» denuncia il silenzio delle istituzioni davanti alla violenza subita.
«La guardia medica è una zona franca, servono guardie armate, vigilantes, le mie colleghe sono terrorizzate perchè le aggressioni continuano» racconta Serafina, violentata per tre ore da un paziente, il 26enne Alfio Cardillo, durante il turno di notte. «Nulla è cambiato – aggiunge ancora – settimane fa ho detto di essere stata violentata anche dalle istituzioni. L’unica che si è rivolta a me in maniera umana e sincera è stata Laura Boldrini».
Dalla politica «un silenzio assordante» dice la donna, a cominciare al ministro della Salute Beatrice Lorenzin: «Ha fatto delle dichiarazioni formali subito dopo la vicenda e non si è degnata neppure di telefonarmi» dice, definendo poi l’invio degli ispettori «una buffonata».
«Hanno ripulito in poche ore un posto schifoso, questa ispezione annunciata l’ho vissuta come un’altra violenza».
La donna se la prende anche con Maria Elena Boschi, che pochi giorni fa era a Taormina per il G7 delle Pari Opportunità : «Un’inutile passerella – così la definisce – Come crede che mi sia sentita quando vedevo lei e le sue colleghe passeggiare e sorridere accanto al mare?».
Serafina Strano racconta di aver chiesto di essere ricollocata altrove: «Sto facendo un percorso di recupero psicologico, non posso più andare a lavorare in un posto come quello».
(da agenzie)
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