Destra di Popolo.net

LE BASI DELL’ACCORDO DI GOVERNO IN GERMANIA

Gennaio 12th, 2018 Riccardo Fucile

SANITA’, PENSIONI, RIFUGIATI, EUROPA E AMBIENTE… E L’EURO SALE AL MASSIMO DOPO TRE ANNI

Ventotto: è il numero delle pagine del programma su cui l’Union di Angela Merkel e i socialdemocratici di Martin Schulz si sono accordati per dare vita ad una riedizione della GroàŸ e Koalition.
Ci sono voluti tre giorni per trovarsi d’accordo su tutti i punti. Adesso la parola passerà  ai congressi dei vari partiti coinvolti: Cdu e Csu (ovvero i due che compongono l’Union) e Spd.
L’ipotesi di un ritorno alle urne ha spinto i vertici dell’Union ad accontentare il più possibile i desideri di quell’Spd che subito dopo l’esito del voto aveva escluso nella maniera più assoluta una nuova alleanza.
Per Schulz si tratta al momento di una vittoria politica abbastanza importante. Vediamo perchè nel dettaglio.
I cambi di direzione più evidenti da parte dell’Union, soprattutto se confrontati a quanto si era prospettato quando era ancora in piedi la possibilità  di un governo Jamaika (ovvero con Liberali e Verdi), riguardano assicurazione sanitaria, pensioni, Europa, rifugiati e politica ambientale.
Datori di lavoro e dipendenti pagheranno in egual misura tutto ciò che riguarda l’assicurazione sanitaria. Una “vittoria” per l’Spd che è estesa anche al discorso pensioni: il rapporto fra contributi previdenziali e stipendi dovrà  infatti essere stabilizzato entro il 2025 sulla percentuale del 48%, un modo per garantire anche ai più poveri di ricevere una pensione sufficiente a vivere dignitosamente.
Di contro, e su questo si può parlare di “vittoria” dell’Union, non ci sarà  nessun rialzo dell’aliquota massima per i ricchi (l’Spd voleva che passasse dal 42 al 45%).
“Maggiore europeismo” invocava Martin Schulz al congresso dell’Spd del dicembre scorso. Così sarà  anche per l’Union che ha accettato di spingere per una riforma dell’Unione Europa che parta da un suo rafforzamento finanziario con la Germania pronta a maggiori contributi per coprire l’assenza della Gran Bretagna”.
La sensazione, ma al momento non è uscito nulla di ufficiale a proposito, è che – come già  sottolineato da Schulz – Berlino sia pronta a fare un po’ di mea culpa e a farsi garante di una crescita organica di tutta l’area euro senza avvantaggiarsi della propria posizione di forza e creare le premesse per la dissoluzione dell’Unione.
La Cancelliera ha accettato a fissare un limite più alto al numero di richiedenti asilo accoglibili annualmente rispetto a quando parlava con Liberali e Verdi: dai 200mila si passa ad una forbice potenzialmente più alta: tra i 180 e i 220 mila.
Potrebbe sembrare un passo indietro per la Csu, che sulla diminuzione dell’afflusso dei richiedenti asilo in Baviera si era a lungo battuta, ma l’ufficializzazione di un limite (mai esistito prima e che la stessa Merkel aveva escluso in campagna elettorale), risulta comunque una vittoria.
Sul ricongiungimento familiare dei rifugiati, voluto da Schulz, è stato fissato il limite di mille persone al mese. Su richiedenti asilo che sono rimasti in Germania senza ottenere lo status, ma che comunque non può essere rimpatriato perchè rischierebbe la vita (i cosiddetti “sospesi”), si è deciso di non esprimersi, lasciando di fatto lo status quo delle cose.
Sulla politica ambientale, ovvero uno degli scogli su cui si era arenata la possibile coalizione con liberali e verdi, l’Union ha accettato di ridurre l’utilizzo di glifosato negli erbicidi, contraddicendo la scelta del Ministro dell’Agricoltura Christian Schmidt di votare sì lo scorso novembre quando la questione è stata affrontata dall’Unione Europea.
La parola passa ora ai congressi dei tre partiti.
Riuscirà  Schulz a convincere l’Spd che è meglio un nuovo governo di minoranza che il ritorno alle elezioni? Da qui passa il futuro della Merkel. Qualsiasi sia la risposta, certo è che per la Merkel quello appena concluso è stato l’ultimo tentativo di formazione di governo tedesco della sua carriera.
E l’euro è salito ai massimi dopo tre anni: la moneta unica ha superato la soglia 1,21 dollari spingendosi fino a un massimo di seduta di 1,2137 dollari.

(da agenzie)

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IL M5S POTREBBE PERDERE SIMBOLO E NOME PRIMA DELLE ELEZIONI

Gennaio 12th, 2018 Riccardo Fucile

HANNO CREATO UNA NUOVA ASSOCIAZIONE E UN NUOVO REGOLAMENTO “DIMENTICANDOSI” DI CONSULTARE L’ASSEMBLEA DEGLI ISCRITTI CUI APPARTIENE IL SIMBOLO DEL M5S… E QUALCUNO IN QUESTE ORE STA RAGIONANDO SULLA POSSIBILITA’ DI AGIRE LEGALMENTE

Nei giorni scorsi un gran viavai di almeno una quarantina di persone davanti allo studio dell’avvocato Lorenzo Borrè a Roma. Il motivo è che in questi giorni qualcosa bolle in pentola riguardo lo statuto del MoVimento 5 Stelle.
Borrè è infatti noto per essere l’avvocato dei numerosi attivisti che in questi anni hanno fatto ricorso contro le decisioni di Beppe Grillo e contro le sanzioni di espulsione dal partito.
Già  cinque iscritti, assistiti proprio da Borrè, impugneranno Statuto e Regolamento davanti ad un giudice dove sarà  chiamato a rispondere Beppe Grillo in qualità  di rappresentante legale dell’associazione M5S.
Non si sa ancora cosa sta per succedere ma gli indizi sono chiari.
Nei giorni scorsi, subito dopo la decisione dei vertici del M5S di dare vita ad una nuova associazione dotata di nuove regole votate da nessuno, in un’intervista alla Stampa Borrè delineava i profili di debolezza dal punto di vista giuridico del nuovo regolamento.
A partire ad esempio dal fatto che nel 2016 gli iscritti del M5S avevano già  votato un nuovo regolamento e un nuovo statuto mentre questa volta tutto è stato fatto senza consultare l’assemblea degli iscritti che — fino a qualche giorno prima — aveva formalmente pieni poteri.
C’è aria di ricorso quindi e la posta in gioco potrebbe essere più alta del reintegro degli iscritti.
La mossa di Grillo, Casaleggio e Di Maio è chiaramente dettata dalla volontà  di dare vita ad un’associazione diversa da quella fondata nel 2009 e sulla quale non pesano i numerosi procedimenti aperti nei tribunali di mezza italia (tra cui anche quello che contesta l’esito delle Primarie che hanno incoronato Luigi Di Maio).
Come tutti sappiamo fino all’anno scorso il M5S aveva due associazioni: la prima — denominata MoVimento 5 Stelle — è stata fondata nel 2009 ed è quella alla quale appartengono tutti gli iscritti.
Ce n’è una seconda, fondata nel 2012 e chiamata “Movimento 5 Stelle” della quale fanno parte Grillo, suo nipote Enrico e il commercialista Enrico Maria Nadasi (e fino alla sua morte Gianroberto Casaleggio).
Della terza invece, al di là  di statuto, regolamento e codice etico si ignora chi l’abbia costituita perchè non è stato mostrato — in nome del principio della trasparenza a targhe alterne — l’atto costitutivo.
La nuova associazione (quella del 2017) presuppone la rottamazione della vecchia (del 2009) ma questa “rottamazione” non può essere calata dall’alto, per altro senza avere la titolarità  al trattamento dei dati personali degli iscritti che spetta, per legge, a quella del 2009.
A decidere di abbandonare l’associazione primigenia a favore della nuova deve infatti essere, a norma di legge, l’assemblea degli iscritti.
Tanto più che il nuovo statuto in alcuni punti — ad esempio la candidabilità  per coloro che sono inquisiti è in netto contrasto con il precedente.
Inoltre non si capisce a che titolo solo gli iscritti che transitano nella nuova associazione siano candidabili, mentre coloro che rimangono nella vecchia perdano di colpo ogni diritto.
C’è di più: la neonata associazione potrebbe perdere l’utilizzo del simbolo e del nome il tutto a pochi mesi dalle elezioni.
I più attenti alle questioni interne del MoVimento ricorderanno infatti che il simbolo è da qualche anno in uso dell’associazione MoVimento 5 Stelle (prima era di Grillo e successivamente la proprietà  è stata trasferita all’associazione del 2012).
Il nuovo regolamento prevede che — oltre alla deportazione degli iscritti nella nuova associazione — anche il simbolo (assieme al sito ufficiale) debba passare da quella del 2009 a quella del 2017.
Cosa succederebbe se gli iscritti dell’associazione facessero ricorso contro la nuova associazione rivendicando il diritto e la titolarità  del nome e del simbolo del M5S?
A quanto sembra di capire se la faccenda finisse in tribunale il nuovo M5S avrebbe non poche difficoltà  a spuntarla e potrebbe vedersi inibita l’uso del nome e del simbolo che per legge non sono equiparabili ad un marchio commerciale.
Anche senza possibilità  di utilizzare simbolo e nome però il M5S non dovrà  raccogliere firme per potersi presentare alle prossime politiche.
Ad aver presentato la lista infatti è stata — proprio a causa delle carenze del famoso “non statuto” — l’associazione creata nel 2012 e di proprietà  dei due Grillo e di Nadasi la cui funzione sembra essersi a questo punto esaurita.
Mentre già  ci sono iscritti alla prima associazione che hanno deciso di dichiarare pubblicamente di abbandonare il M5S, pur precisando di non voler ricorrere al giudice ci potrebbe esserci qualcuno disposto a farlo.
A questo punto tutto dipenderà  dall’esistenza o meno di un ricorso, l’avvocato Lorenzo Borrè, raggiunto telefonicamente, ha preferito non commentare.

(da “NextQuotidiano”)

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LA DIREZIONE DELLE DEROGHE: IL ROTTAMATORE RENZI FORZA LO STATUTO PER RICANDIDARE I VECCHI TROMBONI

Gennaio 12th, 2018 Riccardo Fucile

LA DIREZIONE DEM DARA’ LICENZA DI CORRERE A CHI HA TRE O PIU’ LEGISLATURE ALLE SPALLE

I tempi della rottamazione sono lontani ormai, si sa. Ma certo fa specie che, dopo aver debuttato sulla scena politica come rottamatore, Matteo Renzi si prepari a stabilire deroghe per ricandidare pezzi di vecchia classe dirigente Pd con alle spalle più di 15 anni in Parlamento.
Ebbene sì: martedì prossimo si riunisce la direzione Dem sul programma per la campagna elettorale ma anche per approvare le deroghe per i pezzi forti della corsa verso le politiche di marzo: da Paolo Gentiloni a Marco Minniti più una lunga lista tra big e peones.
Tra coloro che hanno bisogno di deroga per correre, anche Piero Fassino, sul cui nome si agita il Pd piemontese.
Lo statuto del Pd vieta la ricandidatura a chi ha alle spalle 3 mandati. Per la precisione: a chi abbia prestato servizio come deputato o senatore per 15 anni, tre legislature piene.
Gentiloni, premier uscente e carta preziosa per il governo che verrà , ha quattro legislature alle spalle.
Minniti, il ministro più popolare del governo, pure ne ha 4, (3 da deputato, una da senatore).
Ma la lista di coloro che hanno bisogno di una deroga per correre è lunga. C’è il ministro Roberta Pinotti, Roberto Giachetti, Nicola Latorre, Ermete Realacci (tutti con quattro legislature fatte) e tanti altri.
Mentre hanno già  annunciato di non ricandidarsi personalità  come Anna Finocchiaro o Rosi Bindi.
Deroga anche per Piero Fassino, 5 legislature da deputato alle spalle, ex sindaco di Torino sconfitto all’ultimo giro di boa dalla pentastellata Chiara Appendino, l’uomo cui quest’autunno Renzi aveva affidato il mandato di costruire il centrosinistra per le politiche. Non è andata bene, con il Pd restano rimasugli di alleati, ma Fassino sarà  candidato.
L’intenzione del segretario è di farlo correre per il Senato a Torino, città  dove oggi comincia la due-giorni Democratica con gli amministratori locali.
Il partito piemontese è in agitazione rispetto all’idea di dover far spazio in lista a Fassino, vecchia guardia Pd risultata utile anche a Renzi. Ma “si dovranno rassegnare”, dicono fonti Pd a Roma.
In Piemonte sarà  certamente candidato anche il segretario regionale Davide Gariglio. Ma in lista ci sarà  pure Fassino.

(da “Huffingtonpost”)

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L’ENNESIMA CAFONATA DI DI MAIO: PRIMA CHIEDE UN INCONTRO CON I FAMILIARI DELLE VITTIME DELL’AMIANTO POI NON SI PRESENTA

Gennaio 12th, 2018 Riccardo Fucile

IERI A CASALE DOPO UN’ORA DI ATTESA I FAMILIARI SE NE SONO ANDATI, LUI E’ ARRIVATO CON UN’ORA E MEZZA DI RITARDO E NON HA TROVATO NESSUNO

Luigi Di Maio aveva fatto arrivare, nei giorni scorsi, all’Afeva un invito perchè avrebbe voluto incontrare esponenti dell’Associazione famigliari e vittime dell’amianto nella tappa a Casale Monferrato del suo tour elettorale.
Una delegazione, nel pomeriggio, all’ora indicata — le 17 – si è presentata puntuale alla sede del Parco del Po, ma dopo oltre un’ora di attesa, visto il ritardo di un’ora e mezza del candidato premier del M5S (impegnato prima, in provincia, in una visita privata allo stabilimento della Elah Dufour di Novi Ligure), alla fine se n’è andata.
In ogni caso, quello al Parco del Po era stato organizzato come appuntamento pubblico, con i sostenitori del Movimento 5 Stelle e l’Afeva come dimostrato in più occasioni, e ribadito anche stasera, «non fa politica».
La battaglia di oltre trent’anni «è per stare vicino alle vittime dell’amianto: ascoltiamo tutti e ci confrontiamo con tutti coloro che ci invitano — hanno detto gli esponenti della delegazione – ma, appunto, se ci invitano».
E purchè poi si presentino.

(da “La Stampa”)

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CONTRO LA FECCIA DEL WEB HA VINTO IL CORAGGIO DELLA BOLDRINI

Gennaio 12th, 2018 Riccardo Fucile

QUELLO CHE AVREBBE DOVUTO FARE UNA DESTRA DELLA LEGALITA’: DENUNCIARE I DELINQUENTI INVECE CHE ISTIGARLI

Recentemente sul profilo ufficiale di Laura Boldrini c’è stata una diretta Facebook, durante la quale la presidente ha annunciato la propria candidatura per le imminenti elezioni. Chi la stimava ne è stato felice, ma in molti hanno detto anche che forse era impazzita a pensare di candidarsi al servizio di un popolo così barbaro quali ci siamo dimostrati, in particolare con lei, e un po’ anche ad annunciarlo dal vivo proprio tramite il mezzo che tanta violenza ha portato alla sua persona. Ma lei, donna di fede sia nell’umanità  che nelle istituzioni, naturalmente ha fatto a modo suo.
Mentre faceva il suo discorso in diretta, sono arrivati molti cuori. Poi pollici alzati, sorrisi, fiori virtuali, vicinanza, gratitudine, riconoscenza e riconoscimento. Tanti uomini e donne le hanno mostrato affetto e sostegno, cosa che peraltro avevano sempre fatto ma si sa, fa più audience una donna minacciata di una donna sostenuta, o almeno così piace intenderla a molti media che privilegiano lo scandalo alla notizia. Naturalmente sono arrivate anche molte critiche, severe, aspre, addirittura feroci, che la politica è politica, ma sempre nella gamma della legalità , perchè ormai quel confine è stato segnato e in quest’occasione si è visto benissimo.
La “maestrina”, come continuano a chiamarla (sempre più a bassa voce) i suoi hater, che mi piace immaginare sul divano di casa loro a guardare la diretta da casa schiumando di rabbia, sorrideva dal palco a questa nuova era che iniziava e alle persone che erano lì per lei.
Immagino si sia sentita soddisfatta, alla fine del suo mandato ha lasciato un mondo un po’ più civile e un po’ più libero per tutti, e ripristinando il rispetto delle regole ha compiuto il proprio lavoro istituzionale.
E anche sul ruolo di prof non ha difettato, dicono a bassa voce e con un po’ di ironia i suoi sostenitori più stretti: una lezione alla fine l’ha data a tutti, e che lezione!
Ma cos’è successo, come siamo passati dalla presidente più bersagliata dalla storia a questo ritorno all’ordine, al rispetto, alla civiltà ?
All’inizio era il Far web. La rete, annunciata ai suoi albori come la rivoluzione epocale delle comunicazioni e dei rapporti umani, lo spazio virtuale grazie al quale cultura e conoscenza avrebbero finalmente avuto molti meno limiti, il mondo in cui i database avrebbero dialogato per risolvere rapidamente problemi di criminalità , salute e lavoro, si era rivelata presto una discreta delusione.
Non del tutto ovviamente, tante buone risorse erano state attivate e molte persone godevano dei benefici del web: le relazioni a distanza diventavano più facili, trovare ricette di cucina o articoli di botanica era questione di un click, si poteva far conoscere velocemente le proprie idee e progetti al mondo intero, i giornali costavano molto meno e su Youtube c’erano tutorial per tutto. Insomma tante belle possibilità  accessibili comodamente da casa.
Però, come tutti gli spazi potenzialmente meravigliosi affidati all’essere umano senza controlli rigidi (si veda il precedente del caso Pianeta Terra), presto l’ambiente ha cominciato a deteriorarsi, diventando un luogo sempre meno ospitale e sempre più pericoloso.
Non appena la tecnologia è diventata accessibile alle masse, una specie di selvaggi particolarmente violenti chiamati hater ha cominciato a imperversare in tutti gli spazi virtuali, portando scompiglio e terrore ovunque.
Gli hater agivano come un gruppo di affiliati, seguendo un sistema di regole fatto di codici chiari e condivisi.
Si muovevano spesso soli e non avevano necessariamente l’aria pericolosa, ma individuarli era semplice, soprattutto quando decidevano di palesarsi iniziando un conflitto, generalmente attraverso parole d’odio, minacce o meccanismi di bullismo di gruppo.
Il loro obiettivo era distruggere tutto ciò che non somigliava loro e, per la regola del clan, la battaglia di ogni hater rappresentava quella di tutti. Perciò, quando uno di loro sferrava un attacco, gli altri si accodavano immediatamente e a priori per combattere al suo fianco.
Piano piano è diventato evidente che la violenza non risparmiava nessuno e aveva molti modi per esprimersi: incitamento all’odio nei confronti di tutti i portatori di quelle che venivano ritenute diversità  dal modello (per colore della pelle, fede religiosa, preferenze sessuali, disabilità ), tormentoni che prendevano di mira adolescenti e che diventavano virali perseguitando ragazzini e ragazzine nelle loro comunità  di riferimento, furti di foto o video intimi, soprattutto di donne, riprodotti, messi in rete e rimpallati all’infinito che hanno trasformato la vita delle protagoniste in un inferno, così pesante e così buio che per uscirne alcune di loro — come Carolina Picchio, 14 anni, o Tiziana Cantone, 33 — alla fine hanno deciso di uccidersi, ritenendo la morte preferibile a quella vita da bersagli.
I telegiornali hanno cominciato a occuparsene sempre più spesso e con servizi sempre più allarmanti, in rete piovevano articoli quotidianamente (molto, molto meno cliccati dai video di cui sopra), la comunità  europea stanziava fondi per la lotta al cyberbullismo, soprattutto nelle scuole, mentre dalle istituzioni qualcuno faceva orecchie da mercante e altri invocavano l’intervento di Google o Zuckerberg.
Nel frattempo la gente aveva sempre più paura, e l’unica soluzione che in molti avevano trovato era di farsi notare il meno possibile e di rifugiarsi in casa in silenzio ogni volta che all’orizzonte compariva un hater, chiudendo tutte le finestre e sperando che se ne andasse presto per tornare alle proprie chiacchiere online.
Questo ha prodotto una presa di potere sempre maggiore di questi barbari, che ormai agivano alla luce del sole e non avevano paura di nessuno.
La situazione era così grave che colpivano indistintamente persone comuni, cariche pubbliche e vip del mondo dello spettacolo, e anche alcuni uomini politici e direttori di quotidiani nazionali (entrambi rappresentanti di realtà  sovvenzionate da fondi pubblici) si unirono al clan, lanciando ciclicamente vere e proprie bombe impregnate di carburante dai rispettivi siti web, per poi guardare l’incendio prodotto, dicendo con compiacimento: “è la gente che si esprime, è questa la democrazia”.
Si arrivò al punto in cui nessuno credeva che fosse più possibile fermarli in alcun modo, tranne una donna delle istituzioni, la presidente della Camera, che nella sua vita aveva visto tante forme di violenza e i loro effetti declinati in mille modi e che, sapendo che abbassare la testa era il primo passo per farsela schiacciare, decise di non farsi intimidire.
Inutile dire che lei stessa era fra i bersagli favoriti dagli hater di tutti i livelli: “Le leggi ci sono” diceva “dobbiamo farle rispettare”, ma aveva scarsissima collaborazione dai colleghi, poco interessati a combattere quella battaglia, chi perchè pensava che un esercito di mercenari online a piede libero può sempre far comodo, chi perchè non vedeva l’utilità  di esporsi senza un diretto tornaconto personale.
La “maestrina”, come la chiamavano i suoi detrattori perchè parlava di regole e legalità  e aveva la pretesa di far rispettare entrambe, non si scusava certo di andare per la sua strada e proseguì da sola la sua lotta.
Si guadagnò così, sfidando gli odiatori, una sfilza di titoli che la incoronavano come la più odiata dagli italiani, “tornasse a fare il lavoro per cui è pagata, invece che venirci a dire come dobbiamo comportarci” tuonavano detrattori e opposizione politica, senza mai definire quale fosse — secondo loro – il lavoro che avrebbe dovuto fare lei, che imperterrita continuava la sua battaglia di civiltà  senza lamentarsi.
La situazione era ormai fuori controllo, gli attacchi colpivano tutti e le reazioni anche fra le persone più note erano molto diverse: chi come Bebe Vio giovanissima atleta bersagliata ha scelto di riderci su, usando gli attacchi contro di lei per dimostrare ancora di più la sua determinazione, chi come Alessandro Gassman uno degli uomini più amati e desiderati della nazione non ha retto tanta violenza e ha scelto di autosospendersi dai social pur di non dover subire ancora gli attacchi, chi come Emma Marrone cantante e pasionaria televisiva ha deciso di incontrare uno dei suoi hater davanti alle telecamere di un programma tv, chi come Selvaggia Lucarelli ha deciso di rispondere colpo su colpo a tutti, mettendoli davanti alle loro azioni e rivelandosi una vera lottatrice mediatica, mandandone a casa ben più di uno con la coda fra le gambe.
Ma la gente comune continuava a morire, virtualmente e non, i titoli dei giornali erano sempre più aspri e le vittime sempre più vittime, e un bel giorno la presidente (più che mai bersagliata da insulti, minacce di torture e di morte e finte notizie tese a screditarla agli occhi del popolo) decise di affrontarli direttamente, e di affrontarli alla luce del sole.
Per prima cosa pubblicò nomi e cognomi di coloro che la minacciavano e insultavano: il primo risultato fu che fra le vittime si sparse la voce che era possibile farlo, se lo faceva la presidente!
Così sempre meno persone si sentirono impotenti davanti a quei bulli e sempre di più cominciarono a pubblicarne nomi e volti.
Essi provarono per la prima volta come si sta dall’altra parte, con il popolo del web che ti si ritorce contro, e i meno rabbiosi smisero a quel punto di fare gli odiatori, per paura.
A seguire, pochi mesi dopo la presidente dichiarò che questi registri non sarebbero più stati tollerati e che aveva deciso di adire vie legali contro tutti coloro che, per toni o contenuti, avevano incitato all’odio e avevano superato il confine della legalità .
L’effetto fu immediato – come si può vedere sui profili social, ufficiali e non, della presidente -: un silenzio assordante si levò dalla rete, che per qualche ora rimase col fiato sospeso: incredule le vittime, attoniti gli aggressori.
Passati i primi giorni e passato lo sconvolgimento, lentamente un nuovo clima prese a spargersi nel mondo digitale, il velo era caduto: i prepotenti si erano sgonfiati come palloncini al sole ed erano pronti a scusarsi di qualsiasi cosa per evitare non solo le vie legali, ma anche di essere messi pubblicamente di fronte alle azioni commesse soprattutto agli occhi di datori di lavoro, madri, fidanzate e mogli, molte delle quali improvvisamente destate dal torpore, avevano dichiarato che un simile comportamento non l’avrebbero più tollerato.
Le persone minacciate trovarono, nel nuovo clima, il coraggio di raccontare i loro vissuti.
Parlavano del malessere per quel periodo di odio, della paura che avevano avuto per loro stessi o per figli e nipoti, più giovani e meno in grado di difendersi.
Parlando si alleggerivano di un peso e confrontandosi incontravano tante altre persone che li potevano sostenere e capire, scoprendo così che la solitudine che avevano sperimentato era soprattutto frutto del silenzio e della paura.
Lentamente, giorno dopo giorno, le vittime aiutavano altre vittime diventando sostenitori, i paurosi diventavano coraggiosi, chi si era sentito l’unico al mondo scopriva che le persone che lo potevano comprendere erano tante di più di quante avrebbe mai immaginato e che il web era davvero un luogo come avevano detto all’inizio, dove poter fare rete e risolvere problemi.
Naturalmente gli hater non si sono estinti in quel momento, quelli sopravvivono sempre, ma come per molti prepotenti è bastato loro sentirsi guardati senza paura per cambiare immediatamente registro e trasformare un “devi morire male e lentamente” in un “suvvia stavo scherzando, sono un padre di famiglia, non vorrete rovinarmi la vita”.
Da leoni da tastiera a conigli in fuga il passo è breve, a volte brevissimo.
Magari, aldilà  della perdita di identità , dato che la rabbia avvelena prima di tutto chi la produce, alla fine staranno meglio anche loro. Noi di sicuro.

(da “Huffingtonpost”)

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L’AMERICA RAZZISTA

Gennaio 12th, 2018 Riccardo Fucile

QUELLO DI TRUMP E DEI SUOI SUPPORTER E’ PURO DISTILLATO RAZZISMO, ATTIZZATO DAL RANCORE CONTRO QUELL’AFRICANO USURPATORE DA CUI SONO OSSESSIONATI, DIMENTICANDO IL “MERDAIO” DI RAZZE BIANCHE DA CUI PROVENGONO (COMPRESI GLI AVI DI TRUMP)

In una piazza di Savannah, la storica e bella città  della Georgia sull’Atlantico, si erge, da dieci anni, un monumento del quale il Presidente Donald Trump non deve avere mai sentito parlare: è il momento che commemora il contributo e il sacrifico dei Chasseurs-Volontaires de Saint-Domingue, i fucilieri volontari che nel 1779 parteciparono alla Rivoluzione Americana combattendo al fianco dei ribelli di George Washington contro le truppe coloniali inglesi.
Erano neri di pelle, africani di origine o di nascita, soggetti di una terra che allora era colonia francese e oggi è diventata Haiti, anche grazie a quella rivoluzione che i reduci dalla Guerra d’Indipendenza americana videro e imitarono.
Provenivano da quella nazione che oggi il leader degli Stati Uniti d’America ha definito uno “shit hole”, un’espressione che l’Agenzia Ansa ha tradotto eufemisticamente in “cesso” ma che all’orecchio di qualsiasi americano suona molto, molto più volgare. Uno “shit hole” è un “buco del culo”. Nella più benevola delle traduzioni, un “merdaio”.
Un merdaio, secondo l’uomo che neppure si rende conto del ruolo di simbolo vivente e pontefice laico della “religione americana” che le sfortune della storia gli hanno assegnato, come è tutta l’Africa, continente fatto di 54 nazioni e di una vertiginosa varietà  di etnie, di diversi colori di pelle, storia, cultura, religione, grado di sviluppo industriale, urbanizzazione, come un “merdaio” sono l’Honduras, la più povera della nazioni del Centro America o il Salvador, la più violenta, come sono tutte le terre dalle quali adulti, bambini, vecchi tentano di fuggire precisamente perchè sono “buchi del culo”.
Nessuno fugge dalla Norvegia di oggi, la nazione che Trump ha citato come esempio di paese dal quale vorrebbe immigrati, forse perchè poche ore prima aveva incontrato la Presidente del Governo di Oslo Erna Olsberg e come tutti i bambini, o i più deboli di mente, anche lui tende a ricordare e a conservare l’impressione dell’ultima persona con la quale ha parlato, fino alla successiva che lo distrarrà .
Dopo avere notato che la Casa Bianca e i cortigiani, compresi quei generaloni che dovrebbero essere gli adulti nell’asilo infantile e contenere i capricci del bambinone, tacciono come marmittoni intimiditi quando il Boss ne spara una delle sue, non hanno smentito quelle sue espressioni, non ci sono commenti adeguati per un Capo dello Stato americano che considera “merdai” l’intera Africa e nazioni vicine e sventurate come Haiti.
La sola spiegazione che viene data dai suoi sostenitori in Parlamento e dai leccapiedi della Fox News Network è che queste cose sono dette per massaggiare “la base”, i caproni più razzisti e zotici fra i suoi elettori ancora aggrappati a lui ed è una spiegazione che ancora più terrorizzante della frase.
Il suo e quello dei suoi supporter è puro, distillato razzismo, attizzato dal rancore e dall’ansia di vendetta contro quell’ “africano”, quell’usurpatore con la pelle nera che ossessiona questa base e Trump, intento a demolire ogni tesserina del Lego faticosamente costruita dal predecessore.
àŠ disprezzo per chiunque non appartenga all’immaginaria tribù dei “bianchi puri”, formata in realtà  da un mosaico di popoli fuggiti in America da altri “buchi del culo” del mondo, i ghetti della Polonia, dell’Ukraina, della Bielorussa, la miseria più divorante del Sud d’Europa, Italia inclusa, dalla Germania che gli antenati di Trump, quando ancora si chiamavano Drumpf lasciarono per mangiare, dall’Irlanda devastata dalla carestia delle patate.
Siamo oltre alla vergogna di un anziano signore che crede di vivere ancora in uno studio televisivo dove conta soltanto la capacità  di raccogliere audience e marcare ratings, dunque ricorre ai trucchi dello “shock” per attirare pubblico.
Siamo alla minaccia diretta al cuore di ciò che gli Stati Uniti d’America sono e decisero di diventare 240 anni or sono, anche con il sacrificio dei fucilieri haitiani.
Trump si sta rivelando il peggior amico che gli americani possano avere.
Una minaccia diretta a ciò che il mondo ha sempre creduto fossero gli Usa, rischiando la vita pur di raggiungerli.
Quest’uomo che trabocca di odio per tutti coloro che non sono come lui, che sta ogni giorni ferendo l’immagine, il prestigio, l’onore di quella nazione che proclama di amare, non sapendo che cosa significhi diventare americani, essendo lui nato a New York già  con il “cucchiaio d’argento in bocca”, milionario prima di imparare a camminare, è il migliore alleato di chi odia l’America.
Una parte dell’America ha firmato un patto con il diavolo quando lo ha eletto grazie alla bizzarria del sistema elettorale presidenziale.
In cambio di un apparente favore fiscale che beneficerà  principalmente chi non ne ha bisogno, ancora tutto da dimostrare, di una Borsa che contnua a gonfiarsi verso l’inevitabile scoppio, della retorica di una grandezza perduta che ha sempre significato soltanto il ritorno alla supremazia bianca, ha venduto la propria anima di “nazione di nazione”, di città  sulla collina che richiama gli stanchi, gli affranti, i poveri, i perseguitati come recita il poema alla base della Statua della Libertà .
Poche ore dopo i suoi commenti sull’Africa, Haiti, il Centro America come “merdai” del mondo, Trump aveva registrato per la tv il messaggio di saluto e di commemorazione per la Festa di Martin Luther King, che sarà  commemorato lunedì prossimo, in un orgasmo di ipocrisia che offende quella memoria che a parole vorrebbe onorare. King fu ucciso 50 anni or sono, nel 1968.
Se il “trumpismo” dovesse infettare la nazione intera, sarebbe morto invano.

(da “La Repubblica”)

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SONDAGGI: NEL LAZIO ZINGARETTI 36-37%, LOMBARDI 29%, GASPARRI 22%, PIROZZI 10%

Gennaio 12th, 2018 Riccardo Fucile

IN LOMBARDIA GORI RIDUCE LE DISTANZE SU FONTANA, ORA E’ A 7 PUNTI

I primi sondaggi sulle regionali nel Lazio premiano l’esperienza di governo di Nicola Zingaretti alla guida della Regione Lazio e indicano che c’è una solida base per la sua riconferma.
Dopo il sondaggio di Winpoll, che pochi giorni fa dava Zingaretti ampiamente in testa al 37,6%, con Roberta Lombardi al 29,3% e Maurizio Gasparri al 21,5%, un’ulteriore conferma è arrivata ieri dalla trasmissione televisiva Piazzapulita: il sondaggio di Index Research sulle elezioni regionali del Lazio conferma infatti Zingaretti in testa con un buon margine di vantaggio sugli altri candidati.
A Zingaretti va il 36% delle preferenze; distanziata a 7 punti Roberta Lombardi, al 29%; mentre Maurizio Gasparri viene stimato al 22%, distante 14 punti.
Neanche la somma dei voti dei due candidati attualmente in campo per il centrodestra raggiungerebbe la percentuale di Zingaretti, dal momento che Sergio Pirozzi è fermo al 10%.
Positivo anche il sondaggio dell’Istituto Piepoli diffuso oggi sul quotidiano La Stampa, che dà  un testa a testa tra Zingaretti e la candidata M5S persino in una simulazione di ballottaggio, dove i M5S sono storicamente più forti, ma che — occorre ricordare — non esiste nelle elezioni regionali, in cui si vota con turno unico.
In Lombardia si riduce il distacco tra il candidato del centrodestra destra Fontana e quello del centrosinistra Gori: rispetto ai 10 punti che lo dividevano da Maroni, Gori ora è a sette lunghezze da Fontana, una partita tutta da giocare.

(da agenzie)

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LAVORATORI DI ROMA MULTISERVIZI CONTRO LA RAGGI: “HA CANCELLATO DAL VERBALE L’IMPEGNO AD ASSUMERE I DIPENDENTI”

Gennaio 12th, 2018 Riccardo Fucile

I SINDACALISTI VOGLIONO DENUNCIARE PER FALSO I CONSIGLIERI DELLA COMMISSIONE AMBIENTE… LA MURARO CONFERMA: “PREDICAVANO ONESTA’ E TRASPARENZA E POI CAMBIANO I VERBALI”

I sindacalisti di Roma Multiservizi vogliono portare in procura una denuncia per falso a carico del MoVimento 5 Stelle Roma per un verbale della commissione Ambiente, presieduta dal consigliere 5S Daniele Diaco.
Ne parla oggi Repubblica Roma riferendosi all’ottobre del 2016, quando assessora all’ambiente era Paola Muraro: all’epoca, come abbiamo ricordato ieri, il M5S ha intenzione di rispettare l’impegno preso in campagna elettorale nei confronti dei lavoratori di RM.
E allora no alla gara a doppio oggetto che era stata messa su dall’amministrazione Marino e addirittura promessa di assunzione in Comune per i dipendenti di Roma Multiservizi, grande serbatoio elettorale del M5S Roma, o in alternativa promessa di trasformarla in azienda di primo livello con l’acquisto delle quote in capo ad AMA.
Il 4 ottobre 2016 in commissione ambiente Paola Muraro dice che questa è l’intenzione del Campidoglio: «Vogliamo trasformare l’azienda, stiamo approfondendo il tema». Parole che, però, sono state cancellate dal verbale poi protocollato il 21 febbraio 2017. Con il cambio di linea del M5S è scomparsa anche la promessa.
Racconta Lorenzo D’Albergo:
Ecco, dunque, la denuncia. I sindacalisti, l’ex candidata sindaca degli Amici di Beppe Grillo (il simbolo dei 5S prima della genesi del Movimento) Serenetta Monti in testa, sono sul piede di guerra. Sventolano il verbale “tarocco” e lo illustrano nel dettaglio. A referto rimane la dichiarazione di Andrea De Priamo, consigliere di Fratelli d’Italia. Ricorda che «l’assessora Muraro si è espressa in modo più chiaro sulla trasformazione della Multiservizi in azienda di primo livello».
Il presidente della commissione Ambiente, il pentastellato Daniele Diaco, mette nero su bianco di essere stato «lui stesso ad evidenziare l’indirizzo politico» nella seduta che rischia di finire in procura. Roberto Di Palma, altro 5S, gli fa eco: «Le frasi (quelle finite sul verbale contestato, ndr) sono state riportate in modo corretto».
Certezze che si sgretolano davanti ai ricordi della diretta interessata e alle registrazioni della seduta.
Paola Muraro, contattata al telefono, non ci pensa su troppo: «Sì, ho detto quelle parole. Poi ho letto il verbale. Sono sparite. Mi dispiace molto, per me è una vicenda dolorosa considerando che i M5S professavano onestà  e trasparenza. Se poi cambiano i verbali…».
Anche Paola Muraro conferma: «La trasformazione di Multiservizi in società  di primo livello era stata concordata con la sindaca, almeno con quella che avevamo votato, e l’assessore Minenna.
Virginia Raggi mi ci fece lavorare ancor prima di nominarmi in giunta. Era tutto concordato con lei e a quella commissione partecipò anche Romeo. I grillini? Se non capiscono l’importanza di una verbalizzazione, di un atto pubblico, sono degli ingenui». Ora però secondo l’accusa quel verbale è stato modificato e approvato con il voto dei consiglieri 5 Stelle in Commissione, dove si sono astenuti i consiglieri del PD.
Piccolo riassunto delle puntate precedenti: il MoVimento 5 Stelle ha promesso ai lavoratori di Roma Multiservizi, partecipata di AMA, di risolvere l’annosa questione della stabilità  del loro rapporto di lavoro.
Dopo le elezioni l’allora assessora Paola Muraro annunciò che il Comune avrebbe assunto i lavoratori dell’azienda. Ovviamente era una balla e qualche tempo dopo il M5S fece marcia indietro   dicendo che per i servizi che finora erano stati erogati dall’azienda si sarebbe invece fatta una gara a cui Roma Multiservizi poteva partecipare.
I lavoratori vennero a protestare in Aula e per tutta risposta ricevettero un Daspo.   La giunta Raggi ha fatto il bando a cui Roma Multiservizi poteva partecipare e poi lo ha ritirato perchè era stato sonoramente bocciato dall’Antitrust e rischiava di perdere i ricorsi al TAR già  pronti. Risultato: quel bando al quale l’amministrazione capitolina aveva lavorato “per bene” per oltre otto mesi è stato sospeso “a data da destinarsi”.

(da “NextQuotidiano”)

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CLAMOROSO A TORINO, I REVISORI DEI CONTI DEL COMUNE SI DIMETTONO IN POLEMICA CON LA APPENDINO: “SUBIAMO PRESSIONI E DISAGI”

Gennaio 12th, 2018 Riccardo Fucile

L’ULTIMO BRACCIO DI FERRO NELLE SCORSE SETTIMANE

Il Collegio dei Revisori dei Conti del Comune di Torino ha rassegnato le proprie dimissioni.
Nel motivare la decisione, gli esperti contabili parlano di “difficoltà  nello scambio di comunicazioni e ostacoli nell’attività  di raccordo” tra l’Ente e il Collegio e tra questo e il Consiglio comunale.
“L’assenza di collaborazione e le pressioni ricevute – si legge nella lettera di dimissioni – sono state fonte anche di disagi operativi e di incomprensioni”. Le dimissioni sono irrevocabili.
Le dimissioni dei revisori dei conti arrivano, dopo settimane di divergenze e di polemiche sui conti dell’amministrazione comunale, “nell’interesse dell’Ente” e “al mero fine di agevolare la necessaria ricreazione di un clima di collaborazione reciproca”.
Nelle scorse settimane l’organo di revisione, presieduto da Herri Fenoglio, aveva ingaggiato con l’amministrazione pentastellata un vero e proprio braccio di ferro sul debito Ream, la caparra di 5 milioni di euro che la Città  di Torino deve restituire alla società  nell’ambito del progetto Westinghouse.
I revisori hanno inoltre bocciato il bilancio di previsione finanziario 2017-2019 e il bilancio consolidato 2016.
“Revisori poco credibili, non ci fidiamo più”, avevano sostenuto i consiglieri pentastellati, che si erano detti “rammaricati” del parere dei revisori, mentre l’assessore al Bilancio Sergio Rolando ha sempre sostenuto “l’applicazione della legge” da parte dell’amministrazione.
Di qui le dimissioni dell’Organo di Controllo che, ricordano i revisori, “è per definizione estraneo alle dinamiche politiche interne dell’Ente e deve essere dotato del supporto adeguato per lo svolgimento della sua attività  di vigilanza e collaborazione alle funzioni di controllo e di indirizzo dell’Organo Consiliare”.

(da agenzie)

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