Febbraio 11th, 2018 Riccardo Fucile
E AMMETTE: “I RISULTATI DELLE ANALISI DEVONO ANCORA PERVENIRE, NO A GIUSTIZIA SOMMARIA”… E ALLORA, PRIMA DI ACCUSARE QUALCUNO DI OMICIDIO, NON SAREBBE MEGLIO ASPETTARE GLI ESITI DEGLI ESAMI?
Non c’è ancora chiarezza e le certezze sono troppo poche per dire che le indagini sono chiuse. Ma, soprattutto, bisogna evitare di fare ‘giustizia sommaria’ intorno a un caso così complesso come quello della morte di Pamela Mastropietro , la ragazza romana di 18 anni il cui corpo è stato trovato fatto a pezzi all’interno di due trolley.
A mettere in guardia dal trarre conclusioni affrettate e quindi attribuire responsabilità è il procuratore Giovanni Giorgio che, in una nota, chiarisce che la Procura di Macerata non intende “seguire o acconsentire di fatto a procedure di giustizia sommaria più che mai in una vicenda così delicata”.
Un chiaro passo indietro da parte dello stesso magistrato che ieri, dopo la notizia che oltre a Innocent Oseghale erano stati fermati altri due uomini, Lucky Desmond, 22enne e Awelima Lucky, 27enne (entrambi “regolari e richiedenti asilo”), con l’ipotesi di reato di omicidio, vilipendio, distruzione, soppressione e occultamento di cadavere e concorso in spaccio di stupefacenti, eroina e marijuana, aveva dichiarato che “l’indagine è chiusa”.
In effetti, le due autopsie svolte sul corpo della giovane non hanno individuato con certezza le cause della morte.
Dunque, precisa Giorgio, l’attività investigativa sinora svolta ha raggiunto “risultati da ritenersi ancora provvisori”, dato che “gli accertamenti di natura scientifica hanno tempi fisiologicamente non brevissimi”.
Il procuratore della Repubblica precisa, quindi, che le indagini “non possono ritenersi affatto concluse”.
La Procura di Macerata – si legge nella nota – è “ancora in attesa di conoscere l’esito di numerosi accertamenti di laboratorio, effettuati e ancora da effettuare, da parte del Ris dei carabinieri di Roma”.
Gli accertamenti, nello specifico, riguardano le “impronte rilevate e i prelievi biologici acquisiti” nell’appartamento di via Spalato 124, dove “ragionevolmente si sono svolti i fatti” (e cioè l’omicidio e lo smembramento del corpo della 18enne), e alla “comparazione dei dati acquisiti e da acquisire ancora nei prossimi giorni con i profili dattiloscopici e biologici di tutti gli indagati”.
Si attendono anche “le risultanze definitive delle indagini in corso ad opera dei medici legali e dell’esperto in materia di tossicologia e degli esperti in materia di indagini telefoniche ed informatiche in materia di telecomunicazioni”
Inoltre gli inquirenti intendono ascoltare “anche altri testimoni” che potrebbero fornire elementi utili alle indagini.
(da agenzie)
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Febbraio 11th, 2018 Riccardo Fucile
FOTOMONTAGGIO DEL PORTAVOCE DEI SENTINELLI LUCA PALADINI CON IL VOLTO TUMEFATTO…OPERA DEL SOLITO DELINQUENTE RAZZISTA
Con i sentinelli di Milano di cui è portavoce aveva denunciato il fotomontaggio shock contro la
presidente della Camera, Laura Boldrini e ora denuncia.di aver ricevuto lui stesso via social pesanti minacce.
Sulla pagina Facebook di Luca Paladini, è comparso un post con la foto del suo volto tumefatto, come se fosse stato percosso.
L’immagine è accompagnata da un testo in cui l’autore sostiene che il pestaggio è “ciò che si meriterebbero” gli “italiani traditori” e “frociosessuali che adescano minorenni nonchè spie”.
Il messaggio minatorio, fa notare lo stesso Paladini è firmato Gianfranco Corsi, nome del 58enne di Cosenza, lo stesso che pubblicò il fotomontaggio di minacce a Laura Boldrini, con la testa mozzata “da un nigeriano inferocito”.
Da quando I Sentinelli hanno diffuso il post di Corsi, poco più di una settimana fa, “abbiamo ricevuto minacce e insulti di ogni tipo – racconta Paladini -. Sono apparsi diversi profili fake con il mio nome e la mia foto, che restano in rete anche solo 20 minuti, il tempo di pubblicare appunto minacce e insulti”.
Per questo Paladini, che tiene a sottolineare di non essere un singolo attivista ma il portavoce del Movimento dei Sentinelli, ha denunciato tutto alla Digos, che sta seguendo la vicenda.
(da agenzie)
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Febbraio 11th, 2018 Riccardo Fucile
“LO DIFFIDIAMO DALL’USO DEL SIMBOLO”… “NON RINUNCIO ALLA CANDIDATURA”
Braccio di ferro tra il Movimento 5 Stelle e uno dei candidati alla Camera, l’avvocato Catello Vitiello, in corsa nel collegio uninominale di Campania 3 e risultato in passato, come riportato dal quotidiano Il Mattino, iscritto a una loggia massonica.
I vertici dell’M5S lo hanno invitato a ritirare la candidatura, ma il professionista, in un lungo comunicato, ha spiegato che la sua esperienza nella loggia “appartiene al passato, si è conclusa in tempi non sospetti e non per ragioni di opportunismo politico.
Quando ho firmato la mia candidatura con il Movimento 5 Stelle ero in regola con il codice etico”, afferma e per questo fa sapere di non voler rinunciare alla corsa per un seggio in Parlamento: “Vado avanti per la mia strada nella certezza di essere compreso da chi davvero mi conosce e crede in me”.
In serata, il M5S ha diffuso una nota nella quale lo diffida dall’utilizzo del simbolo: “Essendosi rifiutato di rinunciare spontaneamente alla candidatura e all’elezione con il M5S, Lello Vitiello viene diffidato dall’utilizzo del simbolo del M5S. Vitiello non può essere eletto con il M5S a causa della sua adesione in passato al Grande Oriente d’Italia e per non averlo comunicato al MoVimento 5 Stelle all’atto della candidatura dichiarando quindi il falso”.
Vitiello replica: “Come candidato in un collegio uninominale io rappresento la società civile e non comprenderò alcuna esclusione aprioristica e immotivata. Non remerò contro il MoVimento ma non ho intenzione di ritirare la mia candidatura e vado avanti per la mia strada nella certezza di essere compreso da chi davvero mi conosce e crede in me”.
(da agenzie)
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Febbraio 11th, 2018 Riccardo Fucile
E’ STATO IL TEMPIO DEL VARIETA’ E DELLA SATIRA ALL’ITALIANA ED E’ UN GIOIELLO DEL LIBERTY
Un gioiello dello stile Liberty europeo, il tempio del varietà e della satira italiana, uno dei pochi teatri
romani in piena attività rischia di essere chiuso, lasciato andare in rovina e poi sostituito da un centro commerciale di lusso.
E’ questo il destino che aspetta, quasi certamente, il Salone Margherita, a Roma (dietro Piazza di Spagna), noto in tutta Italia grazie alla televisione.
Da poco è stato messo in vendita dalla Banca d’Italia, in sua difesa si levano le voci di Philippe Daverio, Vittorio Sgarbi, Pierfrancesco Pingitore e Vittorio Emiliani.
Il passato glorioso
Il teatro ha appena compiuto 120 anni: fu realizzato nel 1898 dai fratelli Marino come principale cafè chantant della Capitale. Sulle tavole del suo palcoscenico si sono esibiti Ettore Petrolini, Lina Cavalieri, la bella Otero, Filippo Tommaso Marinetti (con le sue folli serate futuriste) e ancora Totò, Aldo Fabrizi e Oreste Lionello.
Nel 1972 il teatro, in declino, venne rilevato dalla compagnia di Castellacci e Pingitore e da allora ha ospitato per decenni gli spettacoli satirici del Bagaglino, poi ripresi in tv da Rai e Mediaset, raggiungendo punte di 14 milioni di spettatori.
Il presente: 30 mila spettatori
Da circa tre anni, il teatro è stato rilevato – con importanti investimenti – dall’imprenditore teatrale Nevio Schiavone recuperando in buona parte l’antica programmazione. Attualmente, propone 320 serate l’anno offrendo spettacoli di varietà , cabaret, opera lirica, concerti – anche durante i tre mesi estivi – intercettando circa 30 mila spettatori l’anno.
Senza abbandonare nulla della tradizione, per due mesi il Salone Margherita continua ad ospitare il Bagaglino. Con zero finanziamenti pubblici, il teatro offre quindi agli stranieri spettacoli della tradizione teatrale e musicale italiana anche in un periodo “morto” come quello estivo. Eppure, tutto finirà a dicembre 2018.
La vendita
Questa estate, la Banca d’Italia, proprietaria del Salone Margherita, lo ha messo in vendita all’asta e non ha rinnovato il contratto all’impresario. Solo un colosso finanziario potrà comprare il teatro per una cifra intorno ai 10 milioni di euro.
Spiega l’impresario Nevio Schiavone: «La vendita, in linea con le direttive della Bce sulla possibilità per le banche nazionali di alienare i propri immobili, non ci pare giustificata da oneri economici: l’affitto viene pagato regolarmente e i costi di manutenzione sono a carico della nostra impresa».
Dato che la Banca d’Italia non potrebbe vendere il teatro direttamente a un privato, il passaggio avverrà , con ogni probabilità , prima attraverso un altro istituto finanziario.
Un destino segnato
Alcuni si illudono circa il fatto che il prossimo acquirente possa continuare con gli spettacoli del Salone Margherita, ma è una pia illusione.
Gli introiti dell’attività teatrale non potrebbero mai coprire l’investimento essendo inimmaginabilmente inferiori a quelli che si potrebbero realizzare facendone un grande negozio del lusso.
Se è vero che il Salone Margherita è attualmente vincolato da una destinazione d’uso come teatro, al futuro acquirente basterà chiuderlo per una decina d’anni, lasciarlo andare in rovina e, una volta dimenticato da tutti, la Giunta comunale di Roma potrà – a buon diritto – consentirne il cambio di destinazione d’uso.
Il Salone Margherita sarà allora oggetto di una magnifica ristrutturazione, ma servirà ad ospitare non più musicisti, attori e soprani, ma un centro commerciale di lusso. Questo sistema è già stato adottato con il cinema Etoile, ex-teatro del 1917, nella centralissima Piazza San Lorenzo in Lucina, oggi boutique di un grande marchio francese.
Denuncia il giornalista e scrittore Vittorio Emiliani: «Siamo di fronte ad una vera e propria aggressione alle città storiche a livello nazionale, allo snaturamento dei loro servizi culturali. Ciò incoraggia a Roma l’espulsione degli ultimi residenti, di botteghe e artigiani storici con la fine di ogni vita vissuta e di ogni positivo controllo sociale. Ne nasce una città completamente finta».
La petizione
*Il blogger indipendente Stefano Molini ha aperto su Change una petizione che ha ricevuto quasi 5000 firme. Il movimento in difesa del teatro è partito autonomamente e ha ricevuto l’adesione di tanti artisti e semplici cittadini.
§I firmatari chiedono al Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, al Ministro della Cultura Franceschini e al Sindaco Raggi di impegnarsi affinchè il Salone Margherita non sia venduto.
«Oltre alla storia, all’arte e alla cultura che racchiude — spiega Pierfrancesco Pingitore — questo teatro è un simbolo di libertà di pensiero. Quando la satira viene bandita, la democrazia comincia sempre a zoppicare». Fortemente critico con l’amministrazione comunale Vittorio Sgarbi: «Già con la vicenda del villino anni ’30 in stile Liberty da poco abbattuto, il sindaco Raggi e il soprintendente Prosperetti stanno permettendo che Roma venga messa a sacco come la Palermo di Ciancimino. La Capitale merita una Soprintendenza e un sindaco molto più reattivi di fronte a queste aggressioni, con orgoglio e capacità di difesa commisurati. L’interesse che dimostrano le multinazionali straniere verso questi immobili storici deve ancor più spingere l’amministrazione a una loro rivalutazione morale, spirituale e culturale».
La proposta di Daverio
Se la Banca d’Italia non rinuncerà a vendere l’immobile, una soluzione è che il Salone Margherita sia messo all’asta con un contratto attivo per almeno 18 anni con una qualsiasi impresa teatrale. In tal modo, il prossimo acquirente saprà che il teatro dovrà continuare con la sua attività e non potrà chiuderlo.
«Dato che il Comune di Roma ha evidenziato spesso delle fragilità — spiega Philippe Daverio – consiglierei di rivolgersi direttamente al Mibact e al Ministro affinchè tutelino il teatro come oggetto storico, dalla struttura agli arredi. Da quel momento sarà difficile realizzarvi un’altra cosa rispetto a un teatro. Se, una volta ricevuta la notifica, il ministero non si occupasse di un caso simile, anche dopo il risalto avuto sui media, si profilerebbero gli estremi di una denuncia per omissione d’atti d’ufficio. Mi colpisce come la Banca d’Italia abbia riservato all’alienazione del teatro una logica puramente econometrica, senza tener da conto il suo valore storico-culturale. Eppure, per le proprie sedi sceglie e conserva splendidi palazzi antichi in centro storico, ben consapevole del loro prestigio. A maggior ragione dovrebbe rispettare un luogo che è patrimonio della cultura del Paese».
(da “La Stampa”)
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Febbraio 11th, 2018 Riccardo Fucile
SI ACCONTENTI DELL’OLIO DI RICINO, IL MUSEO EGIZIO E’ UN MUSEO PRIVATO, IL DIRETTORE LO SCEGLIE LA FONDAZIONE… MA QUESTA, SOLO FIGURE DI MERDA RIESCE A RIMEDIARE?
Fratelli d’Italia annuncia che in caso di vittoria elettorale caccerà il direttore del Museo Egizio di Torino, Christian Greco, colpevole di aver compreso, tra le tante iniziative promozionali, anche una agevolazione per tre mesi ai torinesi che parlano arabo. Secondo Fratelli d’Italia la campagna del museo “è il sintomo del pensiero debole dell’Occidente” e addirittura “una iniziativa ideologica e anti-italiana”.
A far infuriare gli eredi di Alleanza nazionale anche l’appello dei Comitati tecnici del Mibact, il ministero dei beni culturali, che in un documento hanno espresso “solidarietà all’iniziativa del direttore Greco” condannando “le strumentalizzazioni e gli attacchi politici”.
Venerdì Giorgia Meloni e i militanti del partito di destra avevano inscenato una manifestazione di fronte al Museo.
Il direttore Greco era sceso in strada e aveva ribattuto alle teorie dei politici che tenevano il comizio. La Meloni, a detta di tutti, ne era uscita male, dimostrando una grande ignoranza in materia.
Ora arriva la minaccia del responsabile della comunicazione di Fratelli d’Italia, Federico Mollicone: “Una volta al governo Fratelli d’Italia realizzerà uno spoil system automatico di tutti i ruoli di nomina del ministero della Cultura”.
Neanche sa che il museo Egizio di Torino non è un museo statale, ma è retto da una Fondazione che nomina il direttore in base a un bando.
Quindi il ministero non c’entra una mazza, come peraltro aveva cercato già di spiegare Greco alla smemorata Meloni.
Non contenta della prima, oggi seconda figura di merda.
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Febbraio 11th, 2018 Riccardo Fucile
SE ARRIVA AL 2% POTREBBE DETERMINARE LA SCONFITTA DEL CENTRODESTRA… IL PRECEDENTE DEL 1996 QUANDO IL MOVIMENTO SOCIALE DI RAUTI FECE PERDERE AL CENTRODESTRA 45 DEPUTATI E 25 SENATORI
Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’ Italia, ostenta indifferenza: «Non sono preoccupata, Casa Pound
non sta aumentando i consensi, semmai è vero che i mass media hanno interesse a sovradimensionarli».
Sta di fatto che, attraverso i Social, i Fratelli stanno già imbastendo una campagna per il voto utile a favore della destra sedicente «istituzionale».
E anche nella Lega c’è il timore che qualcuno li scavalchi a destra nella corsa a chi è più xenofobo.
Ma a CasaPound, scrive la Stampa, sono pronti a controbattere: «Gli elettori hanno già capito tutto – dice Di Stefano – la legge elettorale è stata scritta per pareggiare, ma chi vuole osteggiare un governo Monti al quadrato e vuole politiche durissime sulla migrazione, sa per chi votare».
Per la prima volta da anni la coalizione di centrodestra ha alla sua destra un concorrente di fatto: CasaPound non è più quello delle origini, qualcuno della vecchia guardia è entrato nei partiti tradizionali, si è scelto (qualcuno dice per opportunismo) di spostare la barra sul terreno dove sguazzano in tanti, quello della lotta alla immigrazione, ma contando su una struttura organizzata sul territorio.
Sono nate strutture economiche che finanziano l’attività e si sono aperte le porte dei media, premesse ottimali per presentarsi a una competizione politica.
Attualmente Casa Pound oscilla, secondo i sondaggisti intorno all’1,5%, qualcuno azzarda un 1,9%, mentre Forza Nuova è ferma a uno 0,3%.
Casa Pound nella versione attuale xenofoba fa chiaramente concorrenza a Lega e Fdi, non a caso i partiti in calo nel centrodestra (che hanno perso almeno un 4% totale negli ultimi mesi).
Ma CasaPound non fa parte della coalizione, quindi se non raggiunge il 3%, la percentuale che potrebbe ottenere non va in dono agli altri partiti della coalizione.
Quindi di fatto li sottrae, ammesso che i voti provengano tutti da quegli ambienti.
E dato che molti collegi uninominali sono contesi sul filo di percentuali irrisorie, è evidente che se CasaPound arriva o supera il 2% un danno al centrodestra lo crea.
Non entriamo nel merito della coerenza di chi si pone come alternativa al sistema e poi annuncia che darebbe un appoggio esterno a un governo presieduto da Salvini (proposta che farebbe inorridire CasaPound delle origini), ci limitiamo a dire che il ricordo di molti va al 1996 quando il Movimento sociale di Pino Rauti raccolse l’ 1,67% alle elezioni politiche e , grazie a questo pur modesto risultato, saltarono al centrodestra di allora ben 45 deputati e 25 senatori (per la cronaca aprendo al governo dell’ Ulivo di Romano Prodi).
Circostanza e incubo ben presente a Salvini e alla Meloni che non avevano calcolato che nella gara a chi starnazza di più contro i poveri del mondo (quelli che poi qualcuno, in evidente contraddizione, gratifica di un pacco alimentare a domicilio per spot elettorale) c’e’ sempre il rischio di trovare qualcuno che urla più forte di te.
Salvo poi ritrovarsi uniti nello spartirsi le poltrone.
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Febbraio 11th, 2018 Riccardo Fucile
SECONDO IPSOS ZINGARETTI 33%, LOMBARDI 29%, PARISI 22%, PIROZZI 12%
Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera di oggi riepiloga i risultati di un sondaggio IPSOS sulla Regione Lazio che segnala un vantaggio di Nicola Zingaretti rispetto agli altri partecipanti alla corsa per via della Pisana.
Il governatore uscente è al 33% mentre la sua sfidante più vicina nella rilevazione è Roberta Lombardi che porta a casa il 29%; Stefano Parisi raggiunge in pochi giorni il 22% dei consensi per il centrodestra ma il suo risultato va diviso, nella stessa area culturale di riferimento, con Sergio Pirozzi che conquista il 12%.
Un computo di voti che certo non arriverebbe tutto a Parisi visto che Pirozzi ha una certa attrattiva anche nei confronti di chi voterebbe 5 Stelle.
Il sondaggio dà in vantaggio Zingaretti ma con risultati finali molto inferiori rispetto alle altre rilevazioni uscite in questi giorni, come tradizione nella Regione: ricorda Pagnoncelli che con l’eccezione del presidente uscente, che nel 2013 si affermò su Storace con oltre 10 punti di vantaggio, nelle restanti sfide il vincitore ebbe la meglio per pochi punti, a conferma di un grande equilibrio e di un’elevata incertezza. Emblematico in tal senso fu il confronto del 1995 tra Badaloni e Michelini che risultarono separati da poco più di 5.000 voti (0,17%) su oltre 3 milioni di votanti
Nel sondaggio di IPSOS riguardo all’amministrazione uscente prevalgono i giudizi negativi(53%) su quelli positivi (43%), mentre quelli sul presidente Zingaretti fanno registrare un perfetto equilibrio tra positivi e negativi (46%).
Zingaretti rimane comunque il candidato più gradito (43%) e prevale su Pirozzi (35%) e Lombardi (26%).
Le liste che sostengono Zingaretti oggi si attestano al 32,3%, il Movimento 5 Stelle al 30,9%, quelle che sostengono Parisi al 26,9% e la lista Pirozzi al 5,6%.
Ciò significa che probabilmente una parte di elettori delle liste di centrodestra propende per il voto a Pirozzi anzichè a Parisi.
Gli incerti e quelli che sono orientati a non votare sono addirittura il 32%. La strada per il 4 marzo è ancora molto lunga.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 11th, 2018 Riccardo Fucile
“SALUTI MONTIANI”…”TI SEI DIMESSO PER PROBLEMA DI COLLEGI”… “INCIUCIAVI CON GIORGETTI”
Lo scontro si è consumato due giorni fa. Ed è avvenuto tramite messaggi scambiati su WhatsApp.
Protagonisti sono due figure di spicco della storia di Alleanza nazionale: Francesco Storace e Gianni Alemanno.
Come ha riportato il Foglio, in una chat comune i due se le sono date di santa ragione. Tanto che alla fine l’ex governatore del Lazio ha cancellato Alemanno e tutti gli alemanniani.
La miccia che ha scatenato le ire di «Francesco» è stata la decisione di «Gianni» di sposare Stefano Parisi, candidato del centrodestra alla Pisana, e al contempo di abbandonare al suo destino Sergio Pirozzi.
A quel punto Storace ha aperto WhatsApp e si è sfogato con un messaggio al vetriolo indirizzato all’ex sindaco di Roma: «Le tue chiacchiere sono ciniche. Vai a incassare il nulla. Avrei dovuto lasciarti per strada».
Replica di Alemanno: «Sai solo offendere. Ti sei dimesso dal Movimento (per la sovranità , ndr) per problemi di collegio. Adesso che vuoi?».
I toni si alzano e Storace liquida così la vicenda: «Certo, racconta pure questa. Mi ero dimesso da presidente non dal Movimento. Saluti montiani».
Passa qualche minuto e l’ex leader della Destra depenna dalla chat riservata Alemanno e i suoi.
I due gemelli della destra sociale si separano dopo anni di sodalizio.
La loro storia finisce qui? «È stato un anno vissuto con molte difficoltà », spiega Storace. «No, credo e spero che sia solo un momento di litigio e non una rottura definitiva», si serve della diplomazia Alemanno.
«È solo l’elemento finale di una stagione iniziata male», controbatte l’ex governatore del Lazio. Il quale ritiene che la rottura sia dipesa più da ciò che si è consumato prima dell’affaire Pirozzi. E sia dunque legata alla fusione a freddo con la Lega di Salvini. «Mi ha infastidito il metodo con cui si è deciso di sciogliersi nella Lega», è la tesi di Storace.
Anche su quest’ultima vicenda, secondo la versione dell’ex ministro, galeotto fu WhatsApp: «Alemanno raccontava che l’accordo con il Carroccio è nato in una chat con Giorgetti. Il tutto senza consultarci».
Di parere avverso l’ex sindaco di Roma: «Ma no, Francesco non ha condiviso l’accordo perchè non è rimasto soddisfatto dalla selezione dei candidati. Avrebbe voluto altri nomi, i suoi».
(da “il Corriere della Sera”)
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Febbraio 11th, 2018 Riccardo Fucile
IN “POLVERE DI STELLE” L’EX ASSESSORE DELLA GIUNTA GLIELE CANTA
Il volume in uscita il 15 febbraio si intitola Roma, polvere di stelle (edizioni Alegre): con la sua fatica letteraria Paolo Berdini, dimenticabile assessore all’urbanistica che ci ha regalato la lungimiranza politica della Giunta Raggi, racconterà la sua versione dei fatti sull’esperienza politica che lo ha portato a prendere decisioni disastrose che si riverbereranno sulla pelle (e sul portafogli) dei romani o a cercare motivazioni psichedeliche per fermare lo stadio della Roma a Tor di Valle fino al disastro finale delle allusioni sessiste nei confronti della sindaca che lui ha cercato di coprire insultando il giornalista che le ha giustamente riportate. Matteo Pucciarelli su Repubblica anticipa i contenuti del tomo, che accusa la Raggi di far prendere le decisioni ad altri:
Più che vendetta, nelle parole di Berdini si percepisce delusione. Perchè secondo lui – urbanista con posizioni di sinistra, nemico dei costruttori-speculatori della Capitale – la sindaca ha più volte ceduto la sua sovranità rispetto a decisioni fondamentali per la città , che dovevano marcare la differenza con il passato. Raggi si è fatta scavalcare di volta in volta dal suo ex braccio destro Raffaele Marra e da Pieremilio Sammarco, legale con cui Raggi fece pratica da avvocato e che, prima di mettersi in proprio, aveva lavorato con Cesare Previti.
«Le questioni più importanti, come la scelta di colui che deve salvare Roma dal fallimento – annota Berdini – non avvengono solo dentro Palazzo Senatorio, cioè nella casa della democrazia, ma anche dentro uno studio professionale privato».
Gli altri che “scavalcano” la sindaca sono Beppe Grillo, la Casaleggio associati, Luigi Di Maio e Luca Lanzalone, l’avvocato arrivato da Genova per prendere in mano la questione del nuovo stadio della Roma.
Di Lanzalone l’ex assessore scrive che «ha legami con quel mondo finanziario globalizzato insofferente a ogni tentativo di regolare il governo urbano. Gli impegni presi davanti agli elettori sono stati stracciati utilizzando un grande esperto di banche».
Secondo Berdini a comandare Roma c’è «il mondo conservatore di cui è esponente Sammarco. Ci sono il Pd e la destra di Alemanno. Ci sono le grandi banche. Ci sono infine le grandi imprese multinazionali, come Suez-Gas de France. Un ircocervo inedito che rappresenta tutti i poteri».
Insomma, tutti i cattivoni con cui lui ha governato fino all’altroieri, e se non si fosse fatto registrare da un giornalista chissà quanto sarebbe rimasto ancora.
L’attività di Berdini – in carica da luglio 2016 a febbraio 2017 – fu commissariata dal M5S sin da subito: «Inizio ad aver chiaro che il capo della mia segreteria faceva da fonte informativa sulle mie attività ».
Un’altra volta fu chiesto a Berdini di accollare all’assessorato una consulenza da 80mila euro a un uomo vicino al Movimento.
Aggiunge l’urbanista: «A settembre 2016 mi chiama Stefano Vignaroli (deputato M5S, ndr) per chiedermi un incontro su Massimina, quartiere della periferia ovest. Si presenta all’appuntamento insieme all’imprenditore proprietario dei terreni oggetto di uno dei progetti di urbanistica contrattata».
Altra vicenda fin qui sconosciuta: «In una delle più umilianti giunte municipali cui ho partecipato, un giovanotto dello staff del sindaco, di cultura vicina allo zero, presentò tre paginette con le istruzioni per porre sotto esame – per poi applicare le sanzioni – dirigenti e personale tecnico e amministrativo. Fui l’unico a dichiarare che considerare il rapporto con il personale come una questione disciplinare era semplicistico e autolesionista».
(da “NextQuotidiano”)
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