Maggio 18th, 2018 Riccardo Fucile
ANDATE IN MASSA PADAGNI A FARVI PRENDERE PER IL CULO…ECCO LA SCHEDA, NON C’E NEANCHE IL REDDITO DI CITTADINANZA… TAROCCANO PURE LA SCHEDA, FIGURATEVI IL RESTO
Nei gazebo della Lega chi vorrà votare sul contratto di governo con il Movimento 5 Stelle si troverà dieci punti, ma nessuno di quelli voluti dai 5 Stelle.
Un pacchetto di proposte su cui votare sbarrando la casella Sì o quella NO. Non si potrà approvare o bocciare i singoli temi.
Si chiede se si è d’accordo sulla sottoscrizione di un contratto «per perseguire e realizzare, tra gli altri, i seguenti punti».
Ecco, «tra gli altri», perchè il contratto scritto e concordato con i grillini prevedono molte altre questioni ed è logico che non potevano essere messe tutte e 30 in una scheda.
Ma la cosa che salta all’occhio è che in questi 10 punti sottoposti al voto dal Carroccio c’è una estrema sintesi della parte del programma voluto da Matteo Salvini. Nulla, ma proprio nulla di quanto chiesto dai 5 Stelle.
Non c’è alcun riferimento al reddito e pensione di cittadinanza, al conflitto di interessi, alla green economy, alla Banca degli investimenti, alle norme dal sapore più giustizialista sulla corruzione.
Il contributo grillino è evaporato.
Insomma, sembra che si tratti di un referendum fatto in casa leghista e che si voglia annacquare la presenza dei nuovi partner di governo.
(da “La Stampa”)
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Maggio 18th, 2018 Riccardo Fucile
IL CENTRODESTRA E’ SCOPPIATO, FORZA ITALIA CONVINTA CHE L’ACCORDO SIA L’EMBRIONE DI UNA ALLEANZA ORGANICA TRA SALVINI E DI MAIO
Erano giorni che Silvio Berlusconi covava una certa insofferenza, ben prima dello schiaffo di Aosta al suo
alleato, apostrofato come un novello Lassie da far tornare a casa, anzi nella casa del padre padrone perchè “il premier sono io”.
Insofferenza non solo verso un negoziato che non lo ha mai visto come protagonista, anzi come un partner debole costretto a un “via libera” al governo gialloverde per paura di tornare al voto anticipato.
Allibito dai contenuti delle prime bozze del programma, infastidito per rassicurazioni private da parte di Salvini che si infrangevano di fronte a pubblici “tradimenti”, già un paio di giorni fa, mentre era a Sofia per il vertice del Ppe il Cavaliere ha alzato la cornetta per scandire (urlare dice qualcuno) parole di fuoco verso Salvini reo di non rappresentare, al tavolo della trattativa, il programma del centrodestra nel suo insieme e di giocare solo con la casacca della Lega.
Ad Aosta, oggi, lo strappo perchè l’uomo, si sa, è così.
Quando pensa una cosa, alla fine, la dice. E più cova, più la reazione è incontrollabile. L’ultima versione del contratto ha avuto l’effetto di un amplificatore della rabbia: c’è il conflitto di interessi, c’è un capitolo sulla giustizia che recepisce ogni richiesta potrebbe essere titolato “più manette per tutti” . E c’è un’impostazione complessiva che ha davvero poco delle battaglie e dei principi del centrodestra, per come l’abbiamo conosciuto finora.
Anche sulla sicurezza, tema sul quale Berlusconi non ha mai cavalcato la deriva securitaria della caccia all’immigrato o delle ruspe sui campi rom.
Lo ha spiegato, nel corso di una telefonata assai concitata stamattina, a Salvini. Telefonata i cui toni accesi sono più forti delle smentite di circostanza affidate agli staff: “Caro Matteo — è sbottato Berlusconi – altro che vincolo di mandato. Il vincolo lo hai rotto tu, con gli elettori che hanno votato un programma di centrodestra che tu non hai rappresentato. Tradendolo”.
Ecco. Il re è nudo.
Con quella parole “tradimento” che diventa accusa reciproca per giustificare la rottura, anche da via Bellerio perchè “è lui che tradisce, noi non siamo dei Dudù”.
Il re, dicevamo, è nudo.
Si squarcia l’ipocrisia di una coalizione da separati in casa in campagna elettorale con tre leader che avevano, di fatto, tre programmi diversi; poi da separati in casa nel dopo voto perchè, diceva Berlusconi, “noi mai con chi a Mediaset non pulirebbe i cessi” e Salvini che li considerava gli unici interlocutori affidabili; da separati, nell’ultimo funambolico passaggio, con il Cavaliere che dà la “benevola astensione” a un governo dove il suo alleato entra col “nemico”.
Game over, perchè a questo punto Forza Italia è all’opposizione se nascerà il governo, come il Professor Brunetta aveva previsto sin dal primo minuto. “Se”, perchè per quanto il processo appaia ormai scontato, è chiaro che la mossa di Berlusconi rappresenta l’ultimo tentativo per far saltare l’operazione, mandando Salvini alla stretta finale della trattativa da leader solo del suo partito e non più di tutto il centrodestra. Non è poca cosa considerato che da quelle parti gira ancora il nome di Di Maio come possibile premier, perchè gli altri sono stati fatti cadere in questi giorni come birilli. E anche tra i parlamentari della Lega aleggia un certa inquietudine in materia: “Che cosa farà adesso Salvini — è la domanda — alla stretta finale sul nome ora che va a trattare come capo di un partito che vale la metà di Di Maio? Riuscirà a tenere il no?”.
Dalle parti di Arcore ormai è convinzione radicata che il processo che si è messo in modo è ineluttabile: sta nascendo, su un programma che rinnega e archivia il ventennio berlusconiano, una “Cosa penta-leghista”, “gialloverde”.
Le due forze sono unite non da un innamoramento passeggero ma da una solida cultura di fondo, profondamente anti-establishment: non è un fatto di questo o quel provvedimento, è linguaggio, mentalità , cultura della disintermediazione, nuovo populismo.
Magari le giunte del nord reggeranno ancora, ma sul governo “gialloverde” cambia la mappa della geografia italiana.
Governo e opposizione sono alternative e compito delle opposizioni è far cadere i governi, non sostenerli. E, a sua volta, il governo cementa le alleanze, come sa bene Berlusconi che dal governo fece il Pdl, con Forza Italia e An che, da dentro la stanza dei bottoni si fusero in nuovo partito.
È presto, troppo presto per cucinare ricette per l’osteria dell’avvenire.
Ma non è presto per decretare la fine del ’94, in ogni sua possibile declinazione e nel mutare dei rapporti di forza.
Quel modello di centrodestra non c’è più. C’è il suo fondatore, pezzo rilevante dell’establishment nazionale già ai tempi di Craxi, all’opposizione, diciamo così azzurra moderata.
C’è un alleato, la Meloni, all’opposizione, diciamo così, populista e tricolore.
E Salvini al governo gialloverde . La sua nascita è un punto di non ritorno.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 18th, 2018 Riccardo Fucile
DI MAIO NON MOLLA LA SUA CANDIDATURA A PREMIER
Il blog ha deciso. Il 94% dei votanti ha detto sì al contratto di governo M5s-Lega. Praticamente un plebiscito. Hanno votato 44.796 persone, meno di un terzo rispetto ai 130mila iscritti certificati, ma sta di fatto che 42.274 hanno votato sì e 2.522 no.
Luigi Di Maio ha quindi il pieno mandato del blog per portare il contratto di governo a Palazzo Chigi.
Che ci sarebbe stato un via libera praticamente unanime lo si era capito già di buon mattino. Bastava ascoltare la differenza di toni tra Di Maio e Salvini. Il primo alle dieci di mattina parla già su Facebook. Ci crede: “Non so se sarò io il premier, ma il nostro programma andrà al governo”.
Non c’è il passo di lato nelle sue parole. Almeno in quelle della mattina. Le ore passano, i malumori degli alleati leghisti attorno al big grillino a Palazzo Chigi aumentano, quindi il capo politico pentastellato smussa i toni: “Ho sempre detto che se il problema sono io, sono disponibile a non fare io il presidente del Consiglio”.
La vaghezza in questa fase è tanta, ma Di Maio, rispetto a Salvini, è sempre il leader più ottimista. Dice che è fatta: “La prossima settimana si parte. È un momento storico”.
Ecco invece Salvini, un altro iperattivo social, parla a Monza intorno a mezzogiorno. È ambiguo come spesso accade: “Faremo di tutto perchè un governo nasca, in ogni caso un governo nascerà . Lunedì sicuramente andremo dal presidente Mattarella per rispetto, perchè comunque si chiuda abbiamo fatto tutto il possibile”.
Parole che fanno diminuire il livello di certezza in questa trattativa che sembra infinita, salvo poi ufficializzare il via libera del consiglio federale al contratto e a trattare con i 5Stelle sulla squadra di governo.
Politicamente la dinamica è questa. Di Maio cerca di blindare il programma, lancia la votazione online sul contratto anticipando di un giorno i gazebo della Lega.
In serata è arrivato l’ok della base. La tempistica è perfetta, studiata al secondo: permetterà al capo politico grillino di dire che ha fatto il possibile per far nascere il nuovo governo e che anche gli attivisti pentastellati erano d’accordo.
Casomai dunque, se la trattativa dovesse fallire sulla figura del premier, la responsabilità sarà degli altri.
Per “altri” leggasi “Lega”, asserragliata nella sede di via Bellerio. L’aria che tira ha tutto il peso di una trattativa che va avanti da settanta giorni e ormai ha come termine fissato lunedì.
La mossa di Silvio Berlusconi, quando Di Maio posta il secondo video su Facebook nel giro di pochissime ore, è dietro l’angolo e infatti diventa dirompente dopo le parole del capo grillino.
L’ex premier invita Salvini a tornare a casa. Tra i pentastellati, che all’esterno continuano a dirsi sereni, inizia a circolare il sospetto che la frase del leader di Forza Italia possa essere per Salvini il pretesto per rompere con i 5Stelle proprio quando le voci di Di Maio premier si fanno più insistenti. Ma dall’alleato arrivano poche ore dopo rassicurazioni ufficiali.
Il contratto c’è ed è stato approvato dagli M5s, ma il grande assente resta il premier. Mentre Salvini si è auto proposto alla guida del Viminale dicendo che avrebbe fatto un passo di lato per quanto riguarda la premiership, Di Maio non è chiaro.
Sa che su di lui il veto da parte tanti leghisti è forte. Quindi non conferma e non smentisce. “Non so se io, Luigi Di Maio, andrò a fare il premier ma il nostro programma andrà al Governo”, dice lo stesso Di Maio. Un “non so” che apre una strada e potrebbe chiudere quella del premier terzo, salvo poi dirsi disponibile a non fare il presidente del Consiglio.
Anche i parlamentari più vicini al big pentastellato non nascondo quanto sarebbe bello conquistare Palazzo Chigi, ma sanno che per molti leghisti potrebbe essere indigeribile ed è per questo che le parole di Berlusconi fanno un po’ paura.
I contatti telefonici tra Salvini e Di Maio vanno avanti in modo “smart”, come spiega Di Maio.
E fonti leghiste fanno trapelare di non aver gradito le parole di Berlusconi e in questo modo prosegue la strada del Governo gialloverde.
Il segretario del Carroccio lancia al mondo messaggi talvolta contraddittori, da un lato si dice fiero del contratto: “C’è tanto centrodestra”, dice.
Poi a Monza aggiunge: “Da lunedì in poi spero di essere qui a parlare di che cosa fa il governo”. Ma nello stesso tempo non dà per scontato che l’esecutiva si farà , buttando lì un “comunque vada”.
L’esatto opposto dello storytelling di Di Maio, che nei suoi video postati su Facebook a favore dei fan ha creato la cornice perfetta per un leader. Luci giuste, sorriso fiero e soddisfatto. Con il dito indica l’obbiettivo, quindi chi lo ascolta e dice: “Nel contratto ci sei tu.”.
Attorno a lui c’è chi, come Berlusconi, fiuta la trappola per il centrodestra.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 18th, 2018 Riccardo Fucile
LA GIORNATA SI CONCLUDE DA DOVE ERA PARTITA, CON UN NULLA DI FATTO… IL “TERZO NOME” GRILLINO NON ESCE
Il grande gioco del governo si trasforma per l’ennesima volta nella più classica delle partite a Monopoli.
Si ritorna in prigione senza passare dal via.
Uno stallo determinato dall’insistenza del Movimento 5 stelle sul nome di Luigi Di Maio, e dalla Lega a dire ostinatamente di no.
Così ecco che si materializza di nuovo la formula fatidica: nome terzo. Che sia un 5 stelle, però, magari un nome pesante d’area. Ma non un tecnico.
Con Silvio Berlusconi che si inserisce come variabile impazzita nella battaglia, e attacca la Lega accusandola di aver rotto il centrodestra.
Indebolendo in un momento clou la forza contrattuale di Salvini nella trattativa.
Il leader del Carroccio si sente morso, e reagisce in due direzioni. Da un lato con una nota durissima taccia gli azzurri di tradimento.
Dall’altro porta il Consiglio federale a sbattere in faccia al futuro alleato un no secco sul suo nome e a farsi dare mandato a trattare su un premier che sia sì del Movimento 5 stelle, ma che non abbia il nome e il cognome del suo leader.
È una giornata spartiacque, fatta di una girandola di telefonate tra i tre leader (con il segretario delle camicie verdi come perno), incontri segreti, forse mai avvenuti, inseguimenti in macchina, depistaggi.
Che si conclude sostanzialmente da dove era partita. Con i 5 stelle che incassano sì l’ok a un loro esponente per Palazzo Chigi, a patto che non sia il leader.
A via Bellerio si riuniscono i vertici. Incontro chiusissimo, dal quale Salvini esce sgommando, seguito a ruota dai suoi, finestrini alzati e bocche cucite.
L’unico che accetta di fermarsi, alla domanda sul capo politico 5 stelle al timone del futuro esecutivo, risponde con un poco eufemistico “Col c…o”.
Dando il polso di una giornata dove le tensioni dei non detti hanno fagocitato l’apparente ottimismo delle dichiarazioni.
Più prudente il leghista, con una girandola di “qualunque governo ci sarà dovrà fare”, più ottimista lo stellato, con i suoi “il governo del cambiamento è a un passo”.
Di Maio ribadisce: “Se sono io il problema sono pronto a fare un passo indietro”. Le stesse parole di due settimane fa, che confermano indirettamente che il ragazzo di Pomigliano è stato, è, e continua a essere in pista. “A breve avrete notizie” sulla casella apicale del futuro esecutivo, spiega. I suoi spargono cautela, e traducono quel “a breve” con un “non prima di domenica”.
Il problema è che un profilo alternativo che abbia le skills per incarnare le caratteristiche di un primo ministro il Movimento non lo ha.
Quindi tornano a circolare all’impazzata i nomi di Emilio Carelli, Alfonso Bonafede, Vincenzo Spadafora e Vito Crimi.
Insieme a quello del professore amministrativista Giuseppe Conte, già nel governo ombra 5 stelle come ministro della Pa e candidato a Chigi per una manciata di ore appena una settimana fa.
Nessuno convince appieno. E nonostante le tante telefonate intercorse tra i due capi politici fin dalla mattinata di venerdì, probabilmente ci sarà bisogno di un nuovo incontro.
Filtra che potrebbe essere domenica tra la mattina e il primo pomeriggio, ma in agenda ancora nulla è stato confermato.
Su tutto incombe l’orologio del Quirinale, che continua a ticchettare minaccioso sui due trattativisti. Lunedì è il giorno entro cui si attende venga comunicato il prescelto e salga al Colle.
Le ore avanzano, i giorni passano, e la situazione non si sblocca.
Si apre un fine settimana ad alta tensione.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 18th, 2018 Riccardo Fucile
SOSPESA A TEMPO INDETERMINATO PER AVER DENUNCIATO LE CAUSE DEI BUS IN FIAMME A ROMA NELL’INTERVISTA A LE IENE
Il provvedimento, che la sindacalista ha condiviso sui social, le è stato recapitato nel pomeriggio.
Quel che l’azienda le contesta, per cominciare, è aver rilasciato un’intervista (andata in onda il 10 maggio) al programma Le Iene – in cui parlava delle cattive condizioni della flotta Atac – che “ledeva l’immagine e la reputazione dell’azienda”. E di averlo fatto, tra l’altro, “indossando la divisa aziendale”, durante l’orario lavorativo.
Entro e non oltre cinque giorni ora Quintavalle potrà presentare le sue giustificazioni. “Atac ha scelto di sospendermi dal servizio, esattamente come si sospendono dal servizio persone che fanno uso di sostanze stupefacenti: non c’è proprio differenza – dice arrabbiata la sindacalista in un video postato sui social – Tutto ciò nonostante il grande contributo che io ho cercato di dare all’azienda e le denunce per la sicurezza della cittadinanza”. E dire che “il Pd non s’era mai permesso – aggiunge la pasionaria – S’è permesso il Cinque Stelle” .
Quello per cui più volte, in campagna elettorale, aveva tra l’altro fatto endorsement pubblici.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 18th, 2018 Riccardo Fucile
IL SILENZIO VERGOGNOSO DEL M5S DI FRONTE ALLA SOSPENSIONE DI MICAELA QUINTAVALLE PER LA SUA INTERVISTA-DENUNCIA A LE IENE… MA QUANDO LA SINDACALISTA ACCUSAVA DELLE STESSE COSE MARINO IL M5S FACEVA ANCHE LE INTERROGAZIONI PARLAMENTARI
Il clima il giorno dopo la sospensione a tempo indeterminato di Micaela Quintavalle, autista e
sindacalista di Atac lo riassume bene Christian Rosso, l’autista che nel 2015 denunciò in un video i dirigenti dell’azienda e venne sospeso.
In un post su Facebook Rosso, poi reintegrato in servizio, mette il dito nella piaga: «Nel 2015 dopo la mia sospensione a tempo indeterminato Di Battista lasciò la seduta parlamentare per venire a sostenermi nella manifestazione al Campidoglio e mise a mia disposizione il suo studio legale, Paola Taverna presentò un’interrogazione in Senato, Marcello De Vito indossò la camicia Atac…».
In parole povere tutto lo stato maggiore del MoVimento 5 Stelle capitolino si era schierato in difesa dell’autista.
Ieri invece nessuno dei big del M5S ha preso pubblicamente le difese della Quintavalle. Rosso si chiede se all’epoca le cose siano andate così perchè il sindaco era Ignazio Marino e si era in campagna elettorale oppure se davvero il MoVimento crede realmente alla difesa dei lavoratori.
Una risposta Russo la potrebbe chiedere ai lavoratori di Roma Multiservizi licenziati a inizio anno. Ma non è questo il vero problema.
Perchè Atac è uno dei principali serbatoi di voti del MoVimento 5 Stelle e Micaela Quintavalle è una di quelli che aveva invitato i colleghi a votare per la Raggi.
La gara di solidarietà nei confronti della Quintavalle “ingiustamente sospesa” è partita e molti dipendenti di Atac ne chiedono il reintegro.
Il deputato ex M5S (ora FdI) Walter Rizzetto ha presentato un’interrogazione al Ministro del Lavoro Poletti dichiarando che «è ora di mettere e fine al comportamento inaudito di un’azienda di trasporto pubblico che non rispetta le norme sulla sicurezza sul lavoro e adesso infligge rappresaglie ai dipendenti che denunciano le gravi condizioni in cui sono costretti a lavorare».
Stefano Fassina annuncia un’interrogazione alla Sindaca Virginia Raggi e definisce la sospensione «un atto aziendale potenzialmente molto grave sul piano costituzionale». Il MoVimento 5 Stelle invece ha perso la parola, eppure basterebbe riciclare i post del 2015.
L’azienda da parte sua contesta alla sindacalista di Cambia-Menti (sindacato vicino ai pentastellati) di non aver rispettato il codice etico aziendale per non aver richiesto alla dirigenza “nessuna autorizzazione preventiva per il rilascio dell’intervista” concessa alle Iene dove venivano denunciate le gravi carenze manutentive dei mezzi pubblici della Capitale.
Ma soprattutto la Quintavalle è accusata di aver creato un forte danno d’immagine all’Azienda.
Ad esempio Atac contesta che «dalle immagini apparse nel servizio televisivo non emerge alcun riscontro oggettivo che faccia ricondurre le parti di vetture impresse nelle foto» mostrate dalla Quintavalle siano riconducibili a vetture di Atac. Insomma secondo l’azienda le foto dei guasti (che la Quintavalle mostra spesso su Facebook) potrebbero non essere dell’azienda dei trasporti della Capitale. Per Atac la Quintavalle avrebbe quindi falsificato le prove.
Ma non solo, Atac accusa la Quintavalle di aver dichiarato il falso ad esempio riguardo la definizione dell’anomalia freni sulla vettura sulla quale era in servizio come anomalia “grave” mentre quella è un’anomalia considerata “non grave” nel libretto d’uso della vettura e non è considerato indispensabile interrompere il servizio.
Un’altra affermazione della sindacalista, quella sul fatto che Atac prende i soldi “purchè l’autobus superi la sbarra [dell’officina]” secondo l’Azienda ingenera negli ascoltatori la convinzione che Atac «ponga in essere un comportamento artificioso al fine di percepire il corrispettivo economico da parte della proprietà ».
In un altro passaggio della lettera le accuse di Atac sono ancora più chiare.
Riguardo all’anomalia “sblocco sicurezza inserimento marce” l’Azienda scrive che “gli approfondimenti interni hanno evidenziato che tale avvertimento scaturisce necessariamente dal disinserimento volontario di una sicurezza presente di default sulla vettura”.
Disinserimento la cui possibilità “è lasciata al conducente” o da parte del personale specializzato. Ma, scrive Ataca nel foglio di vettura della giornata in cui è stato registrato il servizio “non risultano essersi verificati interventi” del genere. In poche parole l’Azienda sta accusando la Quintavalle di aver “creato” quell’anomalia a fini televisivi
E allora i Flambus?
D’altra parte è indubitabile che gli autobus vadano a fuoco, eppure Atac contesta a Micaela Quintavalle perfino di aver detto alle Iene «dieci autobus sono andati a fuoco nel 2018, 27 nel 2017, per noi non è una novità ».
I numeri sono proprio quelli dati dalla Quintavalle, nonostante l’Azienda il giorno del rogo del bus in via del Tritone abbia falsamente dichiarato che nel 2018 c’era stato un calo del 25% degli incendi.
Inoltre come ha spiegato MercurioPsi un paio di giorni fa su 44 autobus flambè dal 2016 ad oggi 11 (il 25%), non avevano più di 5 anni di servizio. Il più giovane aveva solo 3 anni. I più vecchi ne avevano 17: «la probabilità di un flambus è più alta per i bus più vecchi, ma non è legata solo all’età della vettura».
Devono entrare in gioco quindi altri fattori, e il deficit della manutenzione rimane uno dei principali sospettati.
Le possibilità quindi sono due: o è vero quello che dice (non solo alle Iene) Quintavalle e allora esiste un rischio reale per la sicurezza dei passeggeri e degli utenti della strada che incrociano un mezzo Atac oppure è vero quello che dice l’Azienda, che sostiene che la Quintavalle abbia detto il falso e quindi non è possibile ritirare la sospensione.
La posizione di Atac quindi è delicata, se ritirasse la sospensione alla sindacalista di Cambia-Menti la cosa sarebbe vista come una marcia indietro e una conferma delle accuse fatte dalla Quintavalle.
Se invece l’azienda continuerà con la linea dura rischia di mettere in rotta di collisione autisti e dipendenti con la proprietà , ovvero il Comune di Roma.
In entrambi i casi a farne le spese sarà il MoVimento 5 Stelle di Roma che rischia di essere accusato di non aver vigilato su Atac o, in alternativa, di non difendere i lavoratori che denunciano i problemi aziendali.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 18th, 2018 Riccardo Fucile
E DAL RISTORANTE DOVE ERA PARTITA LA CONSEGNA: “PERCHE’ TUTTO QUESTO CINEMA?”
Finisce qui la corsa di Massimiliano.
Nel reparto di Rianimazione del Policlinico dove si trova in terapia intensiva, ma non in pericolo di vita, il giovane rider di un ristorante al quale hanno amputato una gamba mentre stava facendo una consegna.
L’incidente è avvenuto giovedì pomeriggio alle 15 tra via Montegani e piazzale Abbiategrasso.
Il ragazzo ha cercato di superare un tram non accorgendosi che era in arrivo un altro mezzo. «Capitava spesso che ci facessero fretta. Mi hanno detto che mentre era ancora a terra sotto il tram dal ristorante lo bombardavano di messaggini sul telefonino. “Quando arrivi”. “Ci metti troppo tempo”. “Siamo nella merda con le consegne”. “Allora vuoi essere licenziato…”», racconta uno che ha lavorato con lui per qualche mese.
Lo stipendio è quello tipico della gig economy. 800 euro al mese per una giornata di lavoro dalle 19 alle 3 del mattino, sei giorni su sette che diventano quasi sempre sette su sette. «Massimiliano era un ex militare di carriera. Si era stufato e da Napoli aveva trovato questo lavoretto. Gli piaceva perchè gli dava un sacco di tempo libero». Massimiliano non aveva una fidanzata, non studiava più, per ora gli andava bene così. I pochi soldi tirati su facendo consegne con il suo scooter più le mance gli bastavano appena per pagare una stanza in condivisione con altri ragazzi.
Il ristorante in cui lavorava Massimiliano è legato alla app Just Eat ma non c’era alcun rapporto diretto con la piattaforma come fanno sapere con un comunicato: «Siamo sconvolti e nonostante il fattorino non sia un dipendente di Just Eat ci rendiamo disponibili per qualunque informazione possa rivelarsi utile e di supporto alla situazione».
La Procura di milano ha aperto un’inchiesta. I colleghi di Massimiliano e gli altri rider delle piattaforme di consegna hanno deciso di manifestare mercoledì pomeriggio davanti a Palazzo Marino.
Anche il sindacato vuole vederci chiaro come assicurano dalla Cgil: «Vogliamo capire quale contratto avesse il ragazzo e soprattutto se era assicurato. In questo campo ci sono molti settori al limite della legge».
Dal locale BE Frites di via Vetere angolo corso di Porta Ticinese fanno intanto muro. Al telefono uno dei responsabili è lapidario: «Non ho alcun interesse a rilasciare dichiarazioni. E poi cosa vi interessa fare tutto questo cinema?».
(da “La Stampa”)
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Maggio 18th, 2018 Riccardo Fucile
“L’UNIVERSITA’ NON SI PRESTA A STRUMENTALIZZAZIONI DI FORZE ESTERNE”, MA ALLE MINACCE SI RISPONDE DENUNCIANDO, NON NEGANDO LIBERTA’
Il convegno non s’ha da fare. 
“Troppe strumentalizzazioni”, ha deciso il rettore Nicola Sartor per la gioia dell’estrema destra e della Lega.
Dopo le proteste, dopo i volantini con la scritta “No rifugiati gay a Verona, stop ditattura gender”, il 25 maggio nel dipartimento di Scienze Giuridiche dell’università di Verona non ci sarà la prevista giornata di studio dal titolo “Lgbt: richiedenti asilo, orientamento sessuale e identità di genere”.
L’appuntamento era stato subito preso di mira dai partiti neofascisti, da Forza Nuova a CasaPound, che avevano definito l’università «ostaggio di potenti lobby lgbt» accusandola di fatto di essere collusa con i trafficanti di esseri umani.
Il sillogismo, tipico della narrazione dell’estrema destra e anche della Lega sovranista-nazionalista di Matteo Salvini, è questo: «Immigrazione e terrorismo sono collegati»
Dopo giorni di polemiche, con gli ultrà sedicenti neofascisti che minacciavano contro-iniziative per impedire il convegno, il rettore Nicola Sartor ha deciso di annullare la giornata di studio.
Le motivazioni sono spiegate in una nota ufficiale. «Ho dovuto disporre la sospensione della giornata, rinviando l’approfondimento dei suoi contenuti scientifici a data da destinarsi. L’evento è uscito dall’ambito scientifico per diventare terreno di contrasto e soprattutto di ricerca di visibilità per diversi attivisti di varia estrazione. L’Università non può prestarsi a strumentalizzazioni da parte di soggetti estranei al mondo scientifico».
Già , strumentalizzazioni, dice il responsabile dell’ateneo. Di fatto, congelando l’iniziativa, l’università ha ceduto alle pressioni dell’ultradestra veronese, storicamente molto attiva in città .
Il provvedimento del rettore ha suscitato ovviamente la disapprovazione di chi vedeva nel convegno un’importante occasione di riflessione sul tema dei diritti e dell’immigrazione.
Sconcerto e amarezza sono espresse da Laura Pesce, presidente Pianeta Milk ARCI/Arcigay Verona. “Siamo allibiti. Subito dopo la diffusione dell’iniziativa, aperta a studenti, operatori ed operatrici dell’ambito dell’accoglienza e alla cittadinanza tutta, gruppi di estrema destra hanno messo in scena un orribile spettacolo mediatico, rilasciando dichiarazioni gravemente omofobe e razziste, accusando l’università di Verona di essere “stata contaminata, in un colpo solo, dai virus della propaganda filoimmigrazionista e della propaganda gender in un mix culturalmente tossico, che rischia di comprometterne il buon nome” arrivando a minacciare di bloccare l’iniziativa con la forza.
Evidentemente – si legge in un comunicato di Arcigay Verona – queste intimidazioni hanno avuto l’esito sperato. Le motivazioni fornite dal rettore appaiono come un goffo tentativo di nascondere dietro alla strumentalizzazione la vera ragione dell’annullamento, e cioè la violenza della propaganda dell’estrema destra che a Verona dilaga, a quanto pare incontenibile. L’istituzione accademica che dovrebbe diffondere oltre alla conoscenza i valori universali della democrazia e dell’accoglienza, è stata invece piegata dall’oscurantismo da tempo imperante in questa città “.
Duro anche Pippo Civati, di Possibile: “In un Paese civile un rettore così si dimette”.
A Verona proprio in questi giorni è in pieno svolgimento un calendario di iniziative per ricordare Nicola Tommasoli, il giovane ucciso dieci anni fa in centro da un gruppo di naziskin. Ma tant’è, in città , dove le giunte di destra continuano a tenere sotto la loro ala protettrice i gruppi sedicenti neofascisti, succede anche che un rettore annulli un convegno perchè sgradito
(da agenzie)
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Maggio 18th, 2018 Riccardo Fucile
IL TITOLO DI MPS SOSPESO DUE VOLTE E ANCORA IN PERDITA DOPO LE IRRESPONSABILI PAROLE DEL LEGHISTA BORGHI
Non si arresta la corsa dello spread. In coda a una settimana che ha visto il differenziale Btp/Bund tornare alla ribalta dopo gli scossoni seguiti alla pubblicazione delle prime indiscrezioni sul programma condiviso da M5s e Lega, anche oggi il distacco tra il rendimento dei titoli decennali italiani e tedeschi si è ampliato ulteriormente, chiudendo a quota 164 punti, con il rendimento del Btp che si è attestato intorno al 2,2%, in crescita rispetto ai livelli visti ieri e ai massimi da quasi 10 mesi.
Le Borse europee hanno terminato gli scambi in calo. Milano ha perso l’1,48%, Londra lo 0,12%, Francoforte lo 0,28% e Parigi lo 0,13%.
APiazza Affari ancora in affanno Mps (-3,5%), in una giornata da dimenticare per tutto il comparto bancario
Dopo il capitombolo di ieri (-8,8%), Mps vive un’altra giornata di passione a Piazza Affari, dove il titolo è stato sospeso per ben due volte in un’ora.
Pesano le dichiarazioni del responsabile economico della Lega, Claudio Borghi, che ha parlato di una nuova mission per la banca (cambio dei vertici e nessuna vendita) nel contratto di governo del Carroccio e dei 5 Stelle.
Il titolo della banca senese è stato subito sospeso in apertura di Borsa. Riammesso alle contrattazioni è stato di nuovo sospeso, intorno alle 10, dopo che le perdite si erano avvicinate al 3 per cento. Poi di nuovo agli scambi e di nuovo perdite, con ribassi fino al 4 per cento.
(da agenzie)
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