Gennaio 8th, 2019 Riccardo Fucile
L’AIUTO ALLA BANCA DIFFICILE DA FAR DIGERIRE NON SOLO AGLI ELETTORI, MA PERSINO AI PARLAMENTARI GRILLINI
Perchè i gilet gialli non vanno in banca, se non per appiccare il fuoco, come accaduto a Parigi a inizio dicembre. E comunque non le “salvano” per decreto, utilizzando le risorse inutilizzate dal “fondo salva-banche” varato dal governo Gentiloni.
Come dice Gianluigi Paragone: “Questo caso di Carige non può finire come tutti i casi trattati dai governi precedenti, con una soluzione abbastanza simile. I gilet grigi delle banche non diventino i nostri amici”.
Parole che rivelano un inceppo “sistemico”. Più complicato da affrontare rispetto ai vari “tradimenti” inflitti dall’M5s al proprio elettorato, in particolare nel sud, dal Tap alle trivelle nello Ionio, gestiti con l’arma della spesa pubblica sul reddito di cittadinanza, almeno questo l’auspicio, e con quella della narrazione, altro auspicio, che recuperi lo spirito di lotta evocando, appunto, il modello francese, sia pur con la maldestra superficialità di un vicepremier che espunge dal suo ragionamento il tema della violenza politica e delle pratiche illegali.
È il software stesso del grillismo ad incepparsi sulla vicenda del “salva-Carige”, quel meccanismo politico, ideologico, culturale, per cui ogni provvedimento in materia di banche è un “regalo”, chiunque lo vari è un “amico” di banche e banchieri e per cui la necessità politica rivela sempre una certa opacità morale e una “connivenza” del Sistema, politico e finanziario, come è stato detto in questi anni sui salvataggi di Mps e delle Venete.
Basta leggere il profluvio di commenti al post di Luigi Di Maio, sulla sua pagina facebook, o le dichiarazioni di Lannutti o toccare con mano il disagio dei parlamentari per avere un esempio adamantino di una politica vittima delle proprie macchinazioni. E di un meccanismo infernale.
Perchè l’intervento del governo Conte è sacrosanto, imposto da un “principio di realtà ” di cui avrebbe tenuto conto qualunque governo “responsabile”: predisporre un ombrello più ampio di quello ipotizzato per evitare il collasso, proprio come fu fatto per Mps e le Venete, e prevenire una emergenza sistemica.
Non è un regalo ora, come non era un regalo allora il decreto “Salva-risparmio”‘ che nel dicembre 2016 creò lo scudo da 20 miliardi di euro per gestire le crisi bancarie nazionali come questa.
Entrambi rappresentano atti dovuti per la stabilità del sistema creditizio.
Il problema è che il provvedimento di ora entra in cortocircuito con l’impostazione e i proclami di allora, quando sulle banche veniva fatta di tutt’erba un fascio, senza distinzioni tra Mps ed Etruria, su cui non c’era questa procedura di salvataggio ma, in compenso, aleggiava il sospetto del conflitto di interessi.
E non è un caso che proprio la foto di Renzi e della Boschi, con alle spalle banca Etruria campeggi sulla pagina facebook contrapposta al caso Carige, nel tentativo di coprire nel “fascio di allora”, anche l’erba di oggi, perchè “loro salvano le banche, noi tuteliamo in risparmiatori”, ignorando che la procedura di burden sharing utilizzata dal governo Conte è la stessa di Mps, ma non si può dire.
E, al tempo stesso, annacquare l’accusa, sollevata dal Pd, di un conflitto di interessi dell’attuale premier, tutto da dimostrare, con quello su Etruria, scolpito nell’immaginario collettivo.
Tutto il post di Luigi Di Maio, molto difensivo, rivela il primo vero inciampo di governo su una questione, diciamo così, esistenziale, con un linguaggio sopra le righe che a stento compre l’imbarazzo su un provvedimento varato in modo quasi clandestino, in un consiglio dei ministri notturno di pochi minuti.
Perchè una svolta realistica sul tema non è stata adeguatamente preparata e, semmai, l’ultima trovata sui gilet gialli ha contribuito ad allontanarla.
Tracce di una critica, in questo senso, sia pur criptica e prudente, compaiono in un post di Stefano Buffagni, la cui fedeltà all’attuale leadership pentastellata non è in discussione, ma nemmeno il suo pragmatismo nella gestione dei dossier di governo: “Un po’ amareggiato — scrive Buffagni — ma sempre carico e con un concetto in testa. Va combattuto l’azzardo morale di cui copio a seguire la definizione della Treccani… Condizione in cui un soggetto, esentato dalle eventuali conseguenze economiche negative di un rischio, si comporta in modo diverso da come farebbe se invece dovesse subirle”.
Insomma, va evitata l’improvvisazione che può diventare un “azzardo morale”, sennò le conseguenze le paghi.
Sarebbe stato prudente immaginare, con uno spread stabile attorno a quota 250 da mesi, una sofferenza del sistema della banche, i cui bilanci sono zeppi di titoli pubblici. E, di conseguenza, preparare “politicamente” un provvedimento che i più avveduti consideravano annunciato.
Perchè è dura dire oggi che il governo ha indossato i gilet gialli o tenere una linea di coerenza con le parole d’ordine di allora, quando si denunciavano i regali alle banche. C’è un inceppo nel software.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 8th, 2019 Riccardo Fucile
AUMENTO DI CAPITALE E GARANZIE SULLE OBBLIGAZIONI PER UN TOTALE DI QUASI 5 MILIARDI
Il governo mette a punto i paracadute per Carige. Secondo una prima bozza del decreto,
lo stato mette in conto due miliardi di euro per ‘salvare’ la banca sotto forma di capitali e altri tre miliardi come garanzie.
In tutto un intervento monstre di 5 miliardi di euro, pari quasi ai 7 miliardi che il governo ha stanziato per il reddito di cittadinanza.
Il testo non è altro che un copia e incolla del Dl 237/2016, che il governo Gentiloni pubblicò per salvare Monte dei Paschi e le venete, PopVicenza e Veneto Banca, il testo è identico dalle regole sulle garanzie fino ai meccanismi, con burden sharing, per la nazionalizzazione.
“Nello stato di previsione del ministero dell’Economia è istituito un fondo con una dotazione di 2 miliardi per l’anno 2019, destinato alla copertura degli oneri derivanti dalle operazioni di sottoscrizione e acquisto di azioni effettuate per il rafforzamento patrimoniale e dalle garanzie concesse dallo stato su passività di nuova emissione e sull’erogazione di liquidità di emergenza a favore di banca Carige”, si legge nel decreto. Il testo di 23 articoli, ancora da limare, sarà trasmesso alla Camera. La ricapitalizzazone stimata è però di “solo” un miliardo.
Quanto alle garanzie, “Al fine di Evitare o porre rimedio a una grave perturbazione dell’economia e preservare la stabilità finanziaria il ministero dell’Economia è autorizzato, fino al 30 giugno 2019, a concedere la garanzia dello stato su passività di nuova emissione di Banca Carige, nel rispetto della disciplina europea in materia di aiuti di stato, fino a un valore nominale di 3.000 milioni”. Si legge al primo articolo del decreto legge per il ‘salvataggio’ di Carige approvato ieri, ma ancora in fase di ultimazione.
Saranno i tagli ai fondi multilaterali di sviluppo e al fondo globale per l’ambiente a ‘pagare’ il salvataggio. Secondo il testo del decreto legge, infatti, un miliardo dei due accantonati per le operazioni previste a sostegno della banca verrà dalla riduzione dell’autorizzazione di spesa relativa a queste due voci, mentre il resto sarà prelevato dal fondo per le garanzie concesse dallo stato. Le risorse del fondo non più necessarie sono versate al bilancio dello stato e riassegnate ai capitoli di provenienza.
Per chiedere l’intervento dello Stato, Banca Carige dovrà presentare a Bce e Bankitalia un piano di rafforzamento patrimoniale.
Il “programma” dovrà indicare l’entità del fabbisogno di capitale necessario, le misure che la banca intende intraprendere per conseguire il rafforzamento, nonchè il termine per la realizzazione del programma.
Lo Stato dal canto suo, tramite il Mef, è autorizzato a sottoscrivere o acquistare, sempre entro sei mesi, “anche in deroga alle norme di contabilità di stato”, nel limite massimo di un miliardo, azioni emesse da Carige. Il decreto tuttavia prevede un ‘paracadute’: qualora il programma non fosse ritenuto sufficiente dalle autorità competenti, l’istituto può ripresentare la richiesta.
Le richieste dei commissari
All’indomani dell’intervento del governo a sostegno dell’istituto ligure i commissari della banca hanno fatto sapere che “sono in procinto di chiedere l’attivazione della garanzia statale sulla emissione di obbligazioni”. L’obiettivo di questa misura è di “garantire la stabilità della raccolta a medio termine nella presente fase di transizione traendo beneficio dal decreto legge approvato ieri dal Consiglio dei Ministri”. Allo stesso tempo però, assicurano i commissari, quella di una ricapitalizzazione precauzionale di Carige, ovvero di un intervento dello Stato a supporto del capitale della banca, sarebbe una misura “a tutela dei clienti, da attivarsi come ipotesi del tutto residuale”.
Dalla Commissione europea la situazione è monitorata “in contatto con l’Italia”.
Un portavoce ha fatto sapere che l’esecutivo comunitario ha “preso nota dell’adozione del decreto” legge su Carige e che la Commissione è “pronta a discutere con le autorità italiane sulla disponibilità e sulle condizioni degli strumenti all’interno del quadro legale dell’Ue”.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 8th, 2019 Riccardo Fucile
I RAPPORTI DEL PREMIER CON ALPA, CONSULENTE DI CARIGE, E CON IL BANCHIERE MINGIONE, SOCIO DI CARIGE
Tutto nasce da un tweet pubblicato stamattina da Emiliano Fittipaldi de l’Espresso: «Carige è stata salvata con i soldi pubblici dal governo grilloleghista guidato da Conte. Sapete chi era il consulente di Carige? Ma Alpa, maestro e consigliere di Conte. Sapete chi era consigliere di uno dei soci della banca? Conte in persona! Roba che “neanche il Pd”, nevvero?».
Il socio della banca di cui Conte è stato consigliere è Raffaele Mingione, banchiere. La legge Frattini sul conflitto d’interesse attualmente in vigore in Italia prevede che il ministro che abbia un interesse particolare per uno dei provvedimenti di cui si sta discutendo per andare al voto esca dal CdM e non partecipi in quell’occasione.
Così fece Maria Elena Boschi all’epoca del varo dei provvedimenti del governo Renzi su Banca Etruria.
Per questo il Partito Democratico annuncia un’interrogazione: “Il presidente del Consiglio ieri era in Consiglio dei ministri? Si è allontanato prima della decisione sulla banca Carige? Esiste un evidente conflitto di interesse tra il giro stretto delle amicizie professionali di Conte e i provvedimenti del governo?”, si chiedono i 25 senatori del Pd
“In particolare il professor Guido Alpa è stato presente nella commissione esaminatrice del concorso svolto nel 2002 per l’assegnazione della cattedra di Diritto privato, vinto dall’attuale presidente del Consiglio Conte — ricordano nella nota comune — e ha condiviso con lo stesso uno studio legale. Il professor Alpa è stata una figura di primo piano nella storia recente dell’istituto ligure. Dal 2009 al 2013 è stato membro del consiglio di amministrazione di Carige, mentre dal dicembre 2013 al febbraio 2014 di quello della Fondazione Carige, azionista di riferimento della banca. Da aprile 2013 a dicembre 2013 è stato invece presidente di Carige assicurazioni e Carige Vita nuova“.
“Lo stesso presidente del Consiglio — si legge nell’interrogazione — ha svolto nel recente passato, a lungo, il ruolo di consulente e legale di Raffaele Mincione, socio di Banca Carige”.
Da qui “i motivi che evidenziano un chiaro conflitto di interesse del presidente Conte che ci spingono a chiedere formalmente come si è comportato ieri in Consiglio dei ministri”.
E la mente torna subito al 2002. Nella commissione che giudica e promuove all’unanimità Conte, insieme con altri quattro importanti docenti universitari italiani, c’è Guido Alpa che di Conte è maestro, amico, collega e, a credere al curriculum del premier, anche socio.
Si era parlato di lui già all’epoca del concorso a La Sapienza che Conte voleva svolgere pur essendo presidente del Consiglio: Conte prima rinviò la data del colloquio e poi effettivamente rinunciò ufficialmente al concorso.
Ora Repubblica porta alla luce un’altra storia: secondo il suo curriculum, nel 2002 l’attuale Presidente del Consiglio collaborava professionalmente con Guido Alpa, suo maestro all’Università . E proprio in quell’anno Conte diventa professore ordinario superando, all’università di Caserta, un concorso nella cui commissione c’era proprio Alpa. Ma secondo l’articolo 51 del codice di procedura civile la collaborazione professionale è un elemento che causa l’incompatibilità tra chi esamina e chi è esaminato.
Il concorso si tiene e a settembre del 2002 vengono firmati gli atti: gli idonei sono due, il professor Carlo Venditti, assunto alla Vanvitelli, e Conte che a ottobre del 2005 sarà chiamato a Firenze.
Fin qui, tutto bene. Se non fosse per un particolare: l’articolo 51 del codice di procedura civile. «In tema di concorsi — dice in un recente parere l’Autorità Anticorruzione di Cantone — per assurgere a causa di incompatibilità deve esserci una collaborazione professionale con una comunione di interessi economici». Esempio: uno studio professionale in comune.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 8th, 2019 Riccardo Fucile
SU SEA WACHT SCONTRO NEL GOVERNO, SOLUZIONE VICINA A LIVELLO EUROPEO: FRANCIA, GERMANIA, OLANDA, PORTOGALLO E ROMANIA NE ACCOGLIEREBBERO UNA BUONA PARTE
Scontro nel governo sul caso Sea watch e Sea eye. Il premier dice: “Accogliamoli”, Salvini
frena: “Non si cede” e Conte ribatte: “Se non li faremo sbarcare, li prenderò con l’aereo e li riporterò”.
Per il presidente del Consiglio, ospite di Porta a Porta, quello della Sea Watch e della Sea Eye “è un caso eccezionale” con “donne e bambini da oltre due settimane in mare: io non volendo tradire la linea di coerenza del governo, penso che il sistema Italia possa sopportare poche donne e pochi bambini”.
E “Salvini esprime una linea condivisa dal governo ma se marchiamo nel segno dell’eccezionalità un intervento di questo tipo, la linea del governo non può essere tacciata di incoerenza”, ragiona Conte.
Ma il ministro dell’Interno lo blocca: “Non cambio e non cambierò mai idea – dice durante una diretta Facebook
Dunque nessuno “arriverà mai con il consenso mio e della Lega – assicura – E se qualcuno, anche all’interno del governo, accetterà di cedere alle imposizioni di scafisti, trafficanti e Ong, non farà un buon servizio a quelle persone e se ne assumerà la responsabilità politica”.
Il presidente del Consiglio non ci sta. E sfida il vicepremier: “Se non li faremo sbarcare, li prenderò sull’aereo e li riporterò”.
Continua, dunque, l’odissea dei migranti bloccati da 17 giorni sulle navi delle ong Sea Eye e Sea Watch mentre vanno avanti le trattative a livello europeo per sbloccare finalmente la situazione. Già prima delle parole del premier italiano, si sono mosse Parigi e Berlino che hanno infatti aumentato l’impegno, pronte a ricevere 50 persone ognuna, secondo quanto affermano fonti diplomatiche europee all’Ansa. I posti offerti non bastano però a soddisfare la richiesta di Malta di trasferire anche i 249 arrivati a dicembre, per questo la Commissione Ue ipotizza di trasferire solo chi ha possibilità di ottenere asilo.
La svolta viene infatti anche dalla Germania, pronta a ricevere 50 migranti arrivati con le navi, secondo quanto ha detto il ministro dell’Interno tedesco Horst Seehofer. “Trovo che questa sia una sana valutazione tra la gestione della migrazione e l’atto umanitario”, ha detto infatti Seehofer. Un portavoce del ministro ha detto che in tutto sono 298 attualmente i migranti da redistribuire, 249 dei quali si trovano già a Malta e gli altri sulle due navi delle ong.
Oltre a Francia e Germania, il Portogallo ha dato disponibilità ad accogliere 10 richiedenti asilo, Lussemburgo e Olanda 6 ognuno. Anche la Romania, in qualità di presidenza di turno del Consiglio dell’Ue è pronta a fare sforzi e riceverne alcuni.
Per l’Italia invece le fonti preferiscono non pronunciarsi, vista la costante evoluzione della politica interna del Paese, spiegano.
(da agenzie)
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Gennaio 8th, 2019 Riccardo Fucile
SI PAGHERA’ TRA IL 16% E IL 35% DEI DEBITI IN CARTELLA, ZERO INTERESSI E ZERO SANZIONI, ALLA FACCIA DEGLI ONESTI CHE HANNO GIA’ PAGATO
Parte il Saldo e Stralcio. L’Agenzia delle entrate-Riscossione ha pubblicato sul proprio sito internet il modulo della domanda di adesione alla sanatoria.
La norma, contenuta nella Legge di Bilancio, consente alle persone in sedicente situazione di difficoltà economica, di mettersi in regola pagando tra il 16 e il 35% delle cartelle esattoriali relative a debiti fiscali e contributivi, scontando anche sanzioni e interessi di mora. L’Isee deve essere sotto i 20.000 euro.
Il modello “SA-ST” (“saldo e stralcio”) deve essere presentato entro il 30 aprile 2019 ed è disponibile, oltre che su sito dell’Agenzia, anche in tutti gli sportelli di Agenzia delle entrate-Riscossione.
CHI PUà’ ADERIRE
Le persone fisiche che abbiano un Isee inferiore a 20.000 euro per i debiti affidati all’agente della riscossione tra il 1° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2017.
REDDITI, CONTRIBUTI E ROTTAMAZIONI
E’ possibile regolarizzare l’omesso di imposte relative alle dichiarazioni di redditi e o relativi ai contributi dovuti dagli iscritti alle casse previdenziali. Possibile anche rientrare in questa sanatoria — se si hanno i requisiti Isee — se non si è perfezionato completamente o fuori tempo i pagamenti dovuti alle passate ‘Rottamazioni’.
SI PAGA TRA IL 16 E IL 35%
Niente sanzioni e nessun interesse di mora: sarà possibile regolarizzare la cartella con ‘saldo e stralcio’ pagando il 16% a titolo di capitale e interessi se si ha un Isee familiare sotto gli 8.500 euro, il 20% se l’Isee è tra 8.500 e 12.500 euro, il 35% se si è tra 12.500 e 20.000 euro.
Va ricordato che la Guardia di Finanza ha dichiarato che il 60% delle dichiarazioni Isee sono fasulle, tanto per capire come andrà a finire, ovvero che tutti pagheranno il 16%
LA DOMANDA E I VERSAMENTI
Il modello SA-ST va presentato entro il 30 aprile ed entro il 31 ottobre l’Agenzia delle Entrate-Riscossione comunicherà le somme dovute o la mancanza di requisiti.
Il modulo deve essere compilato indicando i dati personali e quelli della cartella. Bisogna poi riportare gli estremi della Dichiarazione Sostituiva Unica (Dsu) ai fini Isee, segnalando l’Isee del proprio nucleo familiare.
Va indicato anche se si paga in un’unica soluzione il 30 novembre, o in cinque rate.
Il condono è servito
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 8th, 2019 Riccardo Fucile
“GLI UNICI SICURI DI TROVARE UN LAVORO SARANNO I 4.000 NAVIGATOR, QUESTE STRANE FIGURE PER LE QUALI SI E’ TROVATO UN NOME CHE SOLO UN IGNORANTE POTEVA SCEGLIERE”
Chiara Saraceno, sociologa del lavoro e studiosa dei problemi connessi alla povertà ,
boccia il reddito di cittadinanza del governo definendolo un provvedimento ambiguo e impraticabile.
E ricorda che “le politiche attive e il contrasto alla povertà non sono la stessa cosa”. Lo ha fatto in un’intervista al Foglio parlando di “un percorso farraginoso e iperburocraticizzato”.
“Non ho nulla – ha detto Saraceno – contro l’assistenza ai più deboli. Il problema, però, è che se oltre al versamento mensile non c’è nulla, dall’assistenza si passa all’assistenzialismo, e questo non va più bene. Gli unici che avranno davvero la certezza di trovare un posto di lavoro sicuro, grazie a questo ambiguo provvedimento, saranno i quattromila navigator, queste strane figure professionali per le quali si è adottato un nome che solo un pazzo o un ignorante poteva scegliere”
Secondo Saraceno il patto per l’inclusione sociale non è altro che la prosecuzione del Rei sotto altra “denominazione”.
“Si allarga la platea dei beneficiari – ha sottolineato – ma non si aumentano le risorse agli enti locali. E ai beneficiari vengono richiesti degli oneri puramente formali, come quello di sostenere ‘colloqui psicoattitudinali’, corsi di ‘auto-imprenditorialità ‘, o come quello di ‘consultare quotidianamente l’apposita piattaforma digitale’ per la ricerca del lavoro”
“Fuffa, certo. Non mi pare – ha aggiunto Saraceno – si trovi così un lavoro. E del resto, se mai funzionerà , questo reddito, funzionerà non certo per ‘gli ultimi’, di cui pure tanto si riempiono la bocca nel governo, ma soltanto per quelli con un piede già dentro il mercato del lavoro. §Anche gli sgravi alle imprese che assumono sono più consistenti per coloro che sono immediatamente occupabili”
“Quanto alle offerte di lavoro – ha concluso Saraceno – ci sarebbe da indignarsi per il fatto che impongono formalmente una mobilità su tutto il territorio nazionale, loro che hanno urlato contro le presunte ‘deportazioni’ della Buona Scuola, che pure riguardavano persone a cui si garantiva un posto fisso e duraturo”.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 8th, 2019 Riccardo Fucile
IL TIRA E MOLLA SULLE OPERE PUBBLICHE HA DATO IL COLPO DI GRAZIA AL SETTORE
Si fa presto a dire «fermiamo tutto e rifacciamo i conti», ma anche i ripensamenti hanno un costo: il tira e molla sulle opere in corso ha dato il colpo di grazia ad un intero settore.
Giugno 2018, s’insedia il nuovo governo e il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli decide di stoppare i finanziamenti a tutte le grandi opere già in corso o programmate: dal tunnel del Brennero (appalti per un valore di 5,9 miliardi), alla pedemontana veneta (2,3 miliardi), dall’alta velocità Brescia-Padova (7,7miliardi), al Terzo Valico tra Genova e Milano (6,6 miliardi), oltre alla Torino-Lione.
Il ministro vuole rivedere il rapporto costo-benefici.
Dopo sei mesi di conti, il 17 dicembre, ha scoperto che con il Terzo Valico (opera urgente, con cantieri aperti da anni) è meglio andare avanti.
Le altre opere, a parte la discussa Torino-Lione, dove in ballo ci sono i finanziamenti europei, ad oggi sono ancora bloccate.
Nel frattempo le imprese di costruzioni, che stavano già sul lastrico, sono a rischio fallimento
Le imprese in pre-fallimento
Da luglio a dicembre hanno fatto richiesta di concordato Astaldi, Grandi Lavori Fincosit di Roma, la Tecnis di Catania e, da ultimo, la più grande cooperativa italiana, la Cmc di Ravenna.
Per Condotte è andata peggio: è finita in amministrazione straordinaria per evitare la liquidazione degli asset. Operai, manovali, carpentieri, ingegneri, geometri: zero.
Al lavoro non c’è più nessuno, perchè nessuno viene più pagato. Quindici delle prime 20 imprese sono in stato pre-fallimentare o in forte stress finanziario perchè le entrate previste sono bloccate, mentre le uscite nei confronti dei fornitori che continuano ad accumularsi stanno costringendo molti piccoli imprenditori a chiudere.
Anas con l’acqua alla gola
Parliamo di aziende il cui destino dipende da quanto «strette» sono le relazioni politiche, quasi tutte con guai giudiziari, indebolite dai tempi ingiustificabili della burocrazia e dalle modalità delle gare, dove spesso vince chi fa il prezzo più basso, obbligando poi le imprese in sub-appalto a tirarsi il collo.
L’esito complessivo è che nessuno rispetta le scadenze, i rimpalli di responsabilità finiscono nei tribunali in contenziosi senza fine con enormi richieste di risarcimento alle stazioni appaltanti pubbliche.
La più grande, Anas, che proprio a causa dei ritardi ha cancellato solo nel 2018 circa 600 milioni di euro di lavori, deve ora affrontare le rivalse economiche delle imprese, che a loro volta sono esposte con banche e fornitori.
Alla fine le richieste vengono soddisfatte al 10-15% con ritardi mostruosi che uccidono le aziende dell’indotto.
Mentre il fondo rischi da contenzioso di Anas di circa 9 miliardi serve a gestire i contraccolpi giudiziari, i costi di ri-cantierizzazione da parte di altri contractor sono quantificabili in un 20% secco in più del prezzo pattuito.
Il corollario è quello del crollo dei bandi di gara pubblici (meno 67% nell’ultimo anno e mezzo), per cui oggi Anas si trova priva di autonomia finanziaria e rischia di uscire dal perimetro di Ferrovie dello Stato. La sua sopravvivenza è appesa agli iter lunghissimi dei finanziamenti pubblici che partono dai consigli dei ministri e transitano mesi nelle commissioni parlamentari.
Il peso della burocrazia
Alla difficoltà di realizzare progetti approvati (300 sono le opere incompiute), si aggiungono i 21 miliardi bloccati sulle grandi opere in corso, e il fatto che negli ultimi 3 anni oltre 10 miliardi di investimenti in infrastrutture, messi nero su bianco, non sono partiti.
Tutto questo trascina inquantificabili costi occulti e il risultato è che le grosse imprese del settore stanno andando fuori mercato, 418mila potenziali posti di lavoro sono saltati, mentre 120 mila aziende sono fallite.
L’agenzia di rating Standard&Poor’s l’ha appena definito «l’anno nero delle costruzioni». La causa principale è nel mostro a cinque teste della burocrazia, e qualcuno punta il dito sul nuovo codice degli appalti che ha introdotto ulteriori controlli sulle imprese sottoponendole al visto preventivo dell’autorità anti-corruzione.
La patente di legalità però è inevitabile perchè le infiltrazioni malavitose sono talmente ramificate da toccare decine di sub-fornitori. Sarebbe invece il caso di accendere un faro sul ruolo del Cipe.
Il comitato interministeriale per la programmazione economica alle dirette dipendenze di Palazzo Chigi, che dovrebbe fungere da distributore delle risorse, viene interpellato per ogni modifica progettuale anche quando il costo dell’opera resta immutato. Ogni passaggio «costa» 6-8 mesi.
Mancano i soldi?
Il governo ha trovato in cassa 150 miliardi disponibili già stanziati, di cui è stato speso meno del 4%. Soldi immediatamente utilizzabili grazie ad un accordo con la Banca europea degli investimenti.
Ci sono 60 miliardi destinati al Fondo Investimenti e sviluppo infrastrutturale; 27 miliardi del Fondo sviluppo e coesione; 15 miliardi di fondi strutturali europei; 9,3 miliardi di investimenti a carico di Ferrovie dello Stato che controlla l’altra grande stazione appaltante del Paese, Rfi, Rete ferroviaria italiana; 8 miliardi di misure per il rilancio degli enti territoriali; 8 miliardi per il terremoto; 6,6 miliardi nel contratto di programma dell’Anas. Ma il governo ha preferito fermare tutto, e attingere da lì i fondi per la riforma delle pensioni, il reddito di cittadinanza, la flat tax per le partite Iva.
Sacrificati gli investimenti
Nel negoziato con la Commissione Ue sono stati proprio gli investimenti ad essere sacrificati. L’impostazione complessiva prevede ancora 15 miliardi nei prossimi tre anni per le grandi opere, ma al 2019 è stato sottratto un miliardo per destinarlo come copertura di altre misure, togliendo solo a Ferrovie dello Stato circa 600 milioni.
I costruttori per stare a galla hanno iniziato la corsa disperata a vincere maxi commesse all’estero, per arricchire i portafogli-lavori e godere di maggiore credibilità verso le banche, il mercato, le agenzie di rating
Spesso propositi di lungo termine che finiscono per appesantire i conti (già in rosso) quando c’è da anticipare il costo di alcune opere. Alla fine il rischio è quello di spianare la strada all’ingresso in Italia dei grandi general contractor europei e cinesi che hanno le spalle finanziarie più larghe per assorbire cambi di programma e ripensamenti, con la conseguenza però di creare minore occupazione.
Dalla francese Vinci (40 miliardi di fatturato) al colosso China State Construction Engineering. Basti pensare che la nostra più grande impresa di costruzioni, la Salini Impregilo ha un fatturato di 6,3 miliardi (dato 2016).
(da “il Corriere della Sera”)
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Gennaio 8th, 2019 Riccardo Fucile
CELESTE D’ARRANDO, UN’ALTRA MIRACOLATA: PRIMA COMMESSA, POI BADANTE, NESSUN IMPIEGO IN STRUTTURE MEDICHE
La storia degli scienziati schedati da Giulia Grillo, che ieri la ministra ha gentilmente
confermato mettendo però la pecetta “Fake News” sull’articolo di Repubblica che la raccontava (Wow, gliele hai cantate!!11), ha messo in luce anche una nuova figura politica: l’onorevole Celeste D’Arrando.
Eletta in Piemonte e capogruppo grillina in Commissione Sanità alla Camera, è lei l’autrice degli “appuntini” accanto ai nomi di alcuni degli scienziati del Consiglio Superiore di Sanità che indicavano i loro peccati come aver operato Silvio Berlusconi o aver conseguito il patentino di pubblicista.
Ma chi è Celeste D’Arrando? Il Giornale oggi ci racconta qualche dettaglio biografico sull’indagatrice degli incubi della ministra Grillo:
Sarebbe lei la nuova ideologa della scienza grillina? Un’eccellente medico?Una famosa ricercatrice universitaria? Per carità . Un’ex badante che vuole eliminare lo zucchero nelle bevande e che ipotizza un mondo senza lavoro. A schedare i componenti del Consiglio Superiore di Sanità è stata un’altra miracolata delle ultime politiche
Eletta nel collegio uninominale di Collegno, in Piemonte, la D’Arrando ha un curriculum mediocre: non c’è traccia di una laurea. Diploma all’Istituto tecnico e una qualifica come operatrice socio sanitaria. Nessuna esperienza lavorativa in strutture mediche di eccellenza. Per tre anni, dal 2012 al 2015, è stata una badante. Chissà se avrà avuto un regolare contratto di lavoro. Ma non c’è motivo per dubitarne. La castigatrice degli scienziati si è occupata anche di formazione in call center. Tra il 2001 e il 2007 è stata commessa in un negozio di abbigliamento.
Nelle stanze di Montecitorio si è fatta notare, raccontano fonti grilline, per un carattere irascibile e solitario. Un po’ maestrina. Un po’ zarina. Pronta a bacchettare e richiamare i colleghi. Un atteggiamento che scatenò uno scontro durissimo con Dalila Nesci, altra parlamentare dei Cinquestelle, considerata una dissidente. (in realtà non risulta che Nesci sia dissidente, ndr)
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 8th, 2019 Riccardo Fucile
LA TEPPAGLIA CHE HA AGGREDITO GLI AGENTI SONO GLI INTERLOCUTORI A CUI DI MAIO HA FATTO APPELLO PER UN’ALLEANZA ALLE’ ELEZIONI EUROPEE.. EVVIVA IL GOVERNO DELLA LEGALITA’
Una colletta lanciata online domenica a favore di Christophe Dettinger, il pugile immortalato mentre prende a calci e pugni due agenti di polizia durante la manifestazione dei gilet gialli di sabato a Parigi, ha raggiunto martedì mattina la cifra di 117mila euro.
La piattaforma francese online di crowdfunfing, Leetchi, ha poco dopo chiuso la pagina di raccolta fondi «Dato l’importo raggiunto finora, non si accettano più contributi – ha fatto sapere – la piattaforma, sottolineando «che i fondi raccolti (…) servono solo per finanziare le spese legali».
Leetchi era finita indirettamente nel mirino delle polemiche per l’iniziativa di sostegno al pugile, definita indegna da una parte del pubblico.
Prima ricercato, l’ex campione francese di boxe colpevole d’aggressione a due gendarmi nei tumulti (345 fermi, 281 arresti in tutta la Francia) si è costituito lunedì, postando un video in cui si diceva pentito dell’accesso di violenza ma invitava i gilet gialli a continuare la lotta. Rischia fino a sette anni di prigione e 100mila euro di multa.
All’iniziativa, lanciata da un gruppo di «gilet gialli» e fan di Dettinger, hanno partecipato finora più di 7mila persone, con una donazione media di 17 euro oltre a 3mila messaggi di ringraziamento e sostegno.
Fra i sottoscrittori, anche Eric Drouet, uno dei leader del movimento. «Un grazie enorme a Christophe, mi dà coraggio per continuare la lotta», si legge in uno dei commenti.
«Bravo per il tuo coraggio Christophe, sei un uomo di grande valore e lo hai dimostrato», scrive un altro. «Ho donato 5 euro, questo è quello che posso dare – è il contenuto di un altro messaggio – ma con tutto il cuore sono al tuo fianco».
Sull’iniziativa piovono però le critiche: il sottosegretario al Digitale, Mounir Mahjoubi, ha denunciato la «colletta indegna», esprimendo «disgusto» per «il desiderio di guadagnarci che si aggiunge all’odio».
Alcuni esponenti di movimenti sindacali di polizia scrivono suggerendo un sequestro legale della somma.
Martedì mattina, in un tweet, la ministra per gli Affari Europei, Nathalie Loiseau, ha polemizzato: «Non sarebbe molto più appropriata una colletta per gli esponenti delle forze dell’ordine feriti da irresponsabili?».
L’agente preso a calci da Dettinger è stato ingessato al braccio e alla spalla e ha una prognosi di 15 giorni.
(da agenzie)
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