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MACRON SCATENATO, “A’ LA GUERRE” CONTRO I POPULISTI: GRANDE RIMONTA NEI SONDAGGI, 11 PUNTI IN 30 GIORNI, E’ AL 34%

Febbraio 7th, 2019 Riccardo Fucile

IL LEADER EUROPEISTA RITROVA IL SUO POPOLO, CENTINAIA DI INCONTRI NEI PICCOLI CENTRI DELLA FRANCIA LO FANNO RITORNARE AI LIVELLI PRECEDENTI AL FENOMENO DEI GILET GIALLI… E ORA VUOLE REGOLARE I CONTI CON M5S E LEGA, MENTRE I GIORNALI FRANCESI ATTACCANO LE INGERENZE DEL GOVERNO SOVRANISTA ITALIANO

Un messaggio diplomatico forte, ma anche un chiaro segnale interno, lanciato in vista delle prossime elezioni europee.
Facendo richiamare l’ambasciatore di Francia a Roma, Christian Masset, il presidente Emmanuel Macron ha giocato su due fronti, aprendo una nuova strategia politica che potrebbe segnare un punto di svolta in questa fase del suo mandato.
Dinnanzi agli attacchi ricevuti dal governo gialloverde nelle ultime settimane, Parigi ha cercato inizialmente di mantenere un basso profilo, limitandosi a respingere le critiche nella speranza che ai cugini italiani passassero i bollenti spiriti.
Un atteggiamento quasi serafico quello della Francia, impegnata nel mentre a calmare le proteste dei gilet gialli che stavano bloccando il paese.
Così, i vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno continuato a sferrare i loro attacchi sulla Tav, il franco CFA e le politiche migratorie, aprendo ogni settimana un caso diplomatico.
La pazienza dall’altro lato delle Alpi sembra essersi esaurita nel momento in cui il Movimento 5 Stelle ha cominciato a tendere la mano ai gilet gialli, offrendo loro supporto e sostegno logistico.
Un’ingerenza inammissibile da parte di un paese alleato, che ha fatto scattare subito la convocazione al ministero degli Affari esteri francese dell’ambasciatrice italiana, Teresa Castaldo.
L’escalation di tensione tra i due paesi è poi continuata con l’incontro avvenuto questa settimana a Montargis, a sud di Parigi, tra Di Maio e un gruppo di gilet gialli apparentemente legati a una delle liste che si presenteranno alle elezioni europee. Una provocazione “inaccettabile” secondo il Quai d’Orsay, che ha sollevato seri dubbi sulle reali “intenzioni del governo italiano nei confronti della sua relazione con la Francia”.
“Nel linguaggio diplomatico richiamare il proprio ambasciatore significa far capire che si è arrabbiati, è uno dei codici solitamente utilizzati in casi simili”, spiega il politologo Olivier Costa all’HuffPost.
I gilet gialli   sono visti come   un movimento sociale relativamente violento e disordinato che tutti i sabati mette a ferro e fuoco alcune città .
Per questo – continua Costa – il fatto che un rappresentante politico possa incoraggiare una simile protesta con un incontro stupisce e viene considerato come un’ingerenza”.
Con un atto di forza, Macron ha voluto dimostrare al paese e ai gilet gialli che non verrà  ammessa nessuna intromissione esterna, soprattutto in vista delle prossime elezioni europee.
In queste ultime settimane il presidente Macron sta riguadagnando molto terreno nei sondaggi rafforzando la sua immagine dopo la crisi che lo ha colpito negli ultimi mesi.
Secondo l’ultima indagine, il capo di Stato ha guadagnato sei punti nell’opinione pubblica salendo al 34%.
La mossa diplomatica di oggi è un “chiaro segnale inviato a figure come il presidente russo Vladimir Putin o Steve Bannon, l’ex consigliere del presidente Donald Trump, che vedono positivamente i gilet gialli e sperano nell’indebolimento di un paese pro-europeo come la Francia”, afferma Costa. Proprio Macron durante la campagna delle presidenziali nel 2017 era stato vittima di alcune fake-news provenienti da Mosca.
Macron è velocemente risalito: un sondaggio Ifop diffuso oggi ha confermato e rafforzato la curva della rimonta del presidente francese Emmanuel Macron, che a dicembre era sprofondato al 23% di preferenze e che oggi – poco più di un mese dopo – è risalito al 34%.
La sua rimonta ha coinciso con l’inizio dell’offensiva del dialogo voluta dal presidente, il cosiddetto “Grande dibattito nazionale”. Al quale partecipano migliaia e migliaia di cittadini e politici locali ma anche ministri del governo e in alcuni casi anche il presidente in persona.
Già  a gennaio, in molti erano stati sorpresi dalla rimonta inattesa di 5 punti, adesso il passo è stato ancora più lungo: risalita di altri 6 punti rispetto a gennaio.
Per analisti e politologi, il presidente ha saputo riprendere in mano la situazione e dettare un nuovo calendario, dopo aver fatto importanti concessioni il 10 dicembre sul potere d’acquisto.
Andando incontro ad alcune richieste dei manifestanti ha attenuato l’immagine di inflessibilità  che accompagnava Macron, smorzando così la rabbia dei gilet gialli più moderati. Che, ora in un paesino di campagna, due giorni fa nella banlieue di Parigi, vedono materializzarsi il presidente della Repubblica che si mette a discutere sulle loro richieste in affollate assemblee cittadine.
Il Grande dibattito sembra aver coinvolto la gente comune al di là  delle aspettative e centinaia di dibattiti locali continuano ad essere programmati ogni giorno nelle palestre, nei municipi, nei capannoni industriali.

(da agenzie)

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IL SINDACO DI CUNEO APPENDE LA BANDIERA FRANCESE AL BALCONE DEL MUNICIPIO, SCHIAFFO AL GOVERNO ITALIANO

Febbraio 7th, 2019 Riccardo Fucile

“IN SEGNO DI AMICIZIA VERSO LA FRANCIA ALLL’INSEGNA DEI VALORI EUROPEI CONTRO LE STRUMENTALIZZAZIONI ELETTORALI”

Una bandiera francese è stata appesa al balcone del Municipio di Cuneo, in segno di “amicizia”, dopo l’annuncio di Parigi di avere richiamato l’ambasciatore di stanza a Roma. Il tricolore sventola accanto alle bandiere di Italia e Ue.
L’iniziativa – dice il sindaco Federico Borgna – è “gesto di amicizia verso i cugini francesi e all’insegna dei valori più profondi dell’Europa che non possono essere messi in discussione e strumentalizzati a fini elettorali”.
D’altronde Cuneo da sempre guarda alla Francia grazie anche ai due valichi internazionali del Tenda e della Maddalena e alla linea ferroviavia che, pur tra qualche polemica, collega ormai da trent’anni – dopo una lunga interruzione – Cuneo a Nizza.
E proprio in Costa Azzurra e più in generale nella zona della Provenza sono emigrati nel secolo scorso molti cuneesi.

(da agenzie)

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LANDINI SFIDA IL GOVERNO: SABATO NON PIU’ IN PIAZZA DEL POPOLO MA NELLA PIU’ CAPIENTE PIAZZA SAN GIOVANNI

Febbraio 7th, 2019 Riccardo Fucile

PRESENTI ANCHE CISL E UIL PER LA PRIMA USCITA DEL LEADER SINDACALE, TEMUTO DAI GIALLOVERDI PER IL SUO CARISMA

#Futuro al lavoro la parola d’ordine coniata per sabato, a Roma. A piazza San Giovanni, con Cgil, Cisl, Uil.
La sorpresa, se così si può dire, è proprio il luogo (location per essere à  la page), dalla scelta iniziale piazza del Popolo si è passati a San Giovanni, sede storica del movimento sindacale: «La decisione — si dice dalle tre confederazioni — è stata presa per la necessità  di trovare una piazza più capiente vista la grande adesione prevista».
Il termometro di Cgil, Cisl, Uil sta segnando alta temperatura, una febbre che prelude positivamente alla portata della manifestazione. Inoltre attraversata, innanzitutto in termini di feeling diretto con i lavoratori, dall’esordio di Maurizio Landini in quanto segretario generale della Cgil.
Ancora, altro motivo decisivo, il recuperato «spirito unitario» tra Cgil, Cisl, Uil. Che si ripropongano insieme, un fatto che nella memoria riporta al cd del 23 giugno del 2013. Tema al centro dell’impegno di sabato, lo stato della «merce lavoro» nel nostro Paese. Argomento desueto, tramontato, per ciò una sfida che traguarda San Giovanni e sulla quale i sindacati confederali stanno costruendo le fondamenta d’un divenire diverso, aderente alle mutate condizioni economiche, produttive e sociali
Condizioni nel Paese e sostanzialmente equivalenti nel nostro continente.
Stamattina, ad Agorà , su Raitre, Maurizio Landini ha anticipato l’appuntamento dei sindacati europei il 26 aprile a Bruxelles. Cambiare l’Europa e le politiche comunitarie si può. Non solo vincoli e restrizioni. Incompatibili con lo spirito dell’Unione sono anche le scelte dell’Ungheria di Viktor Orbà¡n, le 400 ore di straordinario obbligatorie retribuite quando fa comodo ai padroni
Si nota, nella traccia delle rivendicazioni indirizzate all’esecutivo della Comunità , l’intreccio tra i temi degli Stati nazionali con quelli continentali. Intanto, una politica fiscale comune e un bilancio pubblico europeo, finanziato appunto da risorse proprie e non da trasferimenti degli Stati.
Come per i redditi da lavoro, unici sottoposti a tassazione progressiva, l’Europa dovrebbe poter tassare gli altri redditi in misura coerente per garantire uno Stato sociale europeo, ripartito tra i membri dell’area euro.
Passando attraverso il contrasto dei 7 paradisi fiscali che ospita al proprio interno.
Altro capitolo, il lavoro. Non come e quale che sia. Ma legato a una politica sui prodotti e alla creatività .
L’Italia industriale vive una crisi nella crisi perchè è l’Europa a non passare un buon momento. Riverberando gli effetti sulle retribuzioni e sulle condizioni di vita. Tutto va rimesso in discussione.
«La legge di bilancio — scrivono i sindacati confederali nel documento che accompagna la manifestazione di Roma —, ha lasciato irrisolte molte questioni fondamentali per lo sviluppo del Paese a partire dai temi del lavoro, delle pensioni, del fisco, degli investimenti per le infrastrutture, delle politiche per i giovani, per le donne e per il Mezzogiorno. Temi sui quali Cgil, Cisl e Uil hanno avanzato indicazioni e proposte credibili e realizzabili che non hanno trovato riscontro nella legge di stabilità  avanzata dal governo.
«Centinaia le assemblee su tutto il territorio nazionale — precisano le confederazioni —, all’interno delle quali il consenso è stato pressochè unanime e ha rappresentato un primo importante momento di favore con i lavoratori e i pensionati italiani sul documento consegnato a dicembre al presidente del Consiglio che si era impegnato a dare continuità  al confronto, mai avvenuto, su alcuni capitoli indicati dal sindacato».
L’impegno auto-ignorato dal premier è stato accompagnato dal coretto augurante il fallimento dell’iniziativa della maggioranza.
In particolare, senza un perchè, da annotare l’irritazione del movimento 5stelle, di Luigi Di Maio in prima persona, contro Maurizio Landini, designato principale avversario. Vien da pensare che, nell’intimo, il vicepresidente voglia imputare al segretario della Cgil l’assenza di ambiguità  come si addice ai leader.
In realtà , sia M5s che Lega appaiono preoccupati per il probabile sold out di piazza San Giovanni, che le decine di migliaia di lavoratori, pensionati, disoccupati, studenti possano far scendere i sondaggi favorevoli alla pièce «Anno bellissimo» di Peppino Conte.
Sarebbe il primo colpo negativo e non previsto per la «recita» dei partiti di governo.

(da Globalist)

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CASO DICIOTTI, TUTTI I BUCHI DELLA MEMORIA DI SALVINI

Febbraio 7th, 2019 Riccardo Fucile

TRE “ATTI POLITICI” PER FUGGIRE DAL PROCESSO E CONSENTIRE UN VOTO PER SALVARSI DALLA GALERA… UNA SEQUELA DI BALLE CHE QUALSIASI COMMISSIONE SERIA ACCOGLIEREBBE CON UN PERNACCHIO

Non c’è nessuna argomentazione nuova, in grado di capovolgere le accuse del Tribunale del Ministri a Matteo Salvini, nella sua relazione una e trina depositata in giunta, con premier e vicepremier che, nei due allegati corrono in soccorso, per fornire al ministro dell’Interno uno scudo giudiziario.
Per fuggire dal “processo” e non “difendersi nel processo”.
Non c’è perchè la difesa sovranista è quanto di più vecchio si sia visto nelle Aule del Parlamento. Tutta politica, più che di merito.
Col ministro dell’Interno che chiama in correità  l’intero governo sulla vicenda della Diciotti e l’intero governo corre a dare copertura politica. Questa è l’impostazione.
Tesa a dimostrare non l’assenza del gesto, su cui pende l’accusa di sequestro di persona, ma che quel gesto è “coerente” con la politica del governo.
È questo il cuore della memoria depositata dal ministro dell’Interno alla Giunta per le autorizzazioni: “Emerge chiaramente come proprio sulla vicenda Diciotti si è in presenza di un’iniziativa del governo italiano”.
Una iniziativa “coerente con la politica dello Stato sui flussi migratori peraltro risultante anche dal contratto di governo che non può essere svilita come mera presa di posizione politica avulsa dal contesto generale delle strategie governative”.
Prova di questa coerenza sono, appunto, i due documenti, allegati alla memoria, firmati dal premier Giuseppe Conte (il primo), da Luigi Di Maio e dal ministro dei Trasporti Toninelli (il secondo), sulla cui ammissibilità  ci sarebbe molto da discutere.
Ma a chiudere il dibattito — anche questa è politica — ci ha pensato d’imperio il presidente della Giunta Maurizio Gasparri, fino a poco fa, per i Cinque Stelle, l’uomo nero che blindò per legge il conflitto di interesse di Berlusconi.
Adesso è utile pure il suo “garantismo” per salvare Salvini.
C’è un elemento che svela tutto, nei due allegati, peraltro molto poco brillanti nella scrittura e nell’argomentazione.
Ed è, non a caso, l’assenza della parola “collegiale”. Perchè un conto è una scelta collegiale, un conto è una scelta di un ministro, che in materia di immigrazione ha sempre rivendicato di essere l’unico titolare del dossier, scelta che poi viene “coperta” ex post perchè “in linea con la politica del governo”.
Non c’è la parola perchè quella decisione evidentemente non fu collegiale.
Cioè: in nessun consiglio dei ministri o in nessuna riunione formale del governo si è deliberato di impedire, per cinque giorni, lo sbarco dei migranti della Diciotti.
Non a caso l’avvocato del Popolo, nei panni dell’avvocato del Governo scrive che “le determinazioni assunte in quell’occasione dal ministro dell’Interno sono riconducibili ad una linea di politica sull’immigrazione che ho condiviso, in coerenza con il programma di governo”.
Non un atto formale, dunque, ma il richiamo (generico) al contratto, nell’ambito di un argomentazione, tutta politica, in cui viene citato come momento di svolta della politica sui migranti quel consiglio Europeo del 26 giugno che in verità  fu una Caporetto politica sul dossier immigrazione.
Perchè su input del gruppo di Visegrad il governo accettò che le re-location diventassero volontarie e non obbligatorie e, dunque, ogni volta va cercato un gruppo di volenterosi che li accettino.
Mentre restano obbligatori i rimpatri dai paesi europei verso i paesi di primo approdo. Una Caporetto che ha allentato il “vincolo di solidarietà  europea” perchè il paradosso del sovranismo è questo: onugno è sovranista a casa sua.
La questione di merito, dicevamo, è completamente bypassata, in nome di una condotta coerente con l’indirizzo politico del governo, che prevede un negoziato hard sulle re-location.
Ma pressochè nulla si dice sull’accusa di sequestro contestata dai magistrati perchè Salvini, per cinque giorni, ha “bloccato” la procedura di sbarco dei migranti determinando consapevolmente “l’illegittima privazione della libertà  personale dei migranti” costretti a rimanere a bordo.
Anzi, il paradosso è che Salvini conferma candidamente le tesi dell’accusa perchè ammette che “l’oggettiva necessità  di attendere la risoluzione della controversia internazionale ancora in atto ha comportato l’inevitabile dilatarsi del tempo e il prolungamento dello scalo tecnico, fino al 24.08.2018, allorquando si è tenuta la riunione in ambito europeo”.
È esattamente ciò che contesta il Tribunale dei ministri.
E cioè che i migranti sono stati tenuti come ostaggi, in attesa di una trattativa politica: “Le ragioni che hanno determinato il trattenimento a bordo dei migranti — si legge nella relazione del Tribunale dei ministri – esulano da valutazioni di tipo tecnico ed investono invece profili di indirizzo prettamente politico connessi al controllo dei flussi migratori attesa la volontà  del ministro di investire della problematica dei migranti sbarcati in Italia le istituzioni europee”. Salvini di fatto lo ammette, evitando di spiegare perchè in nome di un “auspicio” legato a una trattativa, ha disatteso le convenzioni internazionali ancora vigenti. Perchè la trattativa con l’Europa si poteva condurre anche dopo lo sbarco, con i migranti accolti in centro di accoglienza. A Catania tutto era pronto per far scendere gli extracomunitari e applicare le normali procedure, e questo particolare, scrivono i giudici, “manifesta il carattere illegittimo della conseguente condizione di coercizione a bordo patita dai migranti”.
Per coprire la grande rimozione del punto cruciale dell’accusa, la memoria si trasforma in un romanzo della guerra con Malta, una guerra che evidentemente mai è stata dichiarata e circoscritta all’episodio, perchè sia precedentemente sia successivamente ci sono stati episodi di collaborazione.
Con parole destinate ad aprire un contenzioso internazionale si parla di “violazioni degli obblighi da parte di Malta”, che ha “dirottato” la nave verso l’Italia.
Anche in questo caso l’epica della guerra con Malta che ha comportato la necessità  di “sottoporre alla sede sovranazionale la soluzione dei problemi nascenti da tali violazioni”, non si capisce in che modo giustifichi il divieto di sbarco, determinando consapevolmente “l’illegittima privazione della libertà  personale dei migranti” costretti a rimanere a bordo.
Per tentare di dimostrare il pericolo dello sbarco, il Viminale ha fatto riferimento, nelle scorse settimane, e dunque solo dopo mesi dopo la vicenda, al rischio di infiltrazioni terroristiche, affermando che sono stati “funzionari del Viminale a spiegarlo ai giudici” ma che i giudici “non ne hanno tenuto conto”.
Tesi in palese contraddizione con quanto scritto nella relazione inviata dal Parlamento al tribunale dei ministri, dove è scritto che “nessuno dei soggetti ascoltati dal Tribunale ha riferito della presenza di persone pericolose per la sicurezza e per l’ordine pubblico”.
Ebbene, il riferimento al terrorismo, e non è un dettaglio, scompare nella memoria.
Se non come minaccia generica ma mai legato allo specifico delle persone a bordo della Diciotti.
E si parla di generiche ragioni di ordine pubblico, non di una minaccia potenziale o imminente.
Perchè evidentemente l’avvocato Bongiorno ha suggerito di togliere il punto più rischioso, in grado di diventare un clamoroso boomerang.
Perchè è singolare che i terroristi siano stati scoperti diversi mesi dopo, perchè è difficile che salgano a bordo di una nave di un corpo militare dello Stato che, sotto questo punto di vista dà  più garanzie.
E perchè l’argomentazione posticcia contraddice ciò che è stato fatto: avremmo cioè chiesto all’Europa di prendersi i terroristi a loro insaputa, visto che il pericolo allora non fu sollevato.
Proprio nella memoria di Salvini c’è la candida ammissione che ciò che per giorni ha fatto filtrare il Viminale — il rischio di infiltrazioni terroristiche sulla Diciotti – è una clamorosa invenzione.
Si legge, nella memoria, che l’accoglienza dei migranti della nave non si è realizzata “attesa la fuga — una volta effettuato lo sbarco e prima dell’identificazione — di una parte dei migranti dall’hotspot di Messina”.
Delle due l’una: se c’erano terroristi, e dunque una situazione di pericolo imminente, il governo non si è curato della custodia, consentendo la fuga; se non c’erano, come si capisce nella relazione, le comunicazioni del Viminale dei giorni scorsi sono state smentite di fatto nel nuovo approccio difensivo, più prudente.
E generico: “L’azione attuativa dell’indirizzo governativo già  di per sè stessa costituisce perseguimento di un preminente interesse pubblico, peraltro rappresentato anche dalla salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica che sarebbero messe a repentaglio da un indiscriminato accesso nel territorio dello Stato”.
Affermazione che, anche, in questo caso si rimanda a un criterio generico e politico, non allo specifico dei 177 della Diciotti.
Impossibile per i Cinque Stelle votare no, contro questa relazione una e trina, in cui accettano la chiamata in correità , in nome della ragion di governo.

(da “Huffingtonpost”)

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FATIH, YOUSUF E LA PICCOLA SAMIRA, CACCIATI DAL CARA E ACCOLTI DALLA COMUNITA’ DI CACCURI: “LA SOLUZIONE E’ L’ACCOGLIENZA DIFFUSA”

Febbraio 7th, 2019 Riccardo Fucile

SONO OSPITATI DA MANUELITA E ADOTTATI DALL’INTERO PAESE DEL CROTONESE

Sono stati accolti dalla comunità , nel crotonese, dopo essere stati cacciati dalle strutture di accoglienza sulla base del Decreto Sicurezza voluto prima di tutto dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini.
Faith, Yousuf e la loro piccola Samila, erano diventati un simbolo delle conseguenze della legge.
Quando furono cacciati dal Cara di Isola Capo Rizzuto, Faith era incinta di tre mesi, e Yousuf spiegò: “Abbiamo protestato, ma non è servito a niente”. La loro storia rimbalzò per giorni tra giornali e televisioni. Di quel che è successo dopo si è detto e scritto poco, per lo più su testate locali.
Succede in terra di Crotone, che segna un primato rispetto a tutto ciò che negli ultimi tempi si sta muovendo sul fronte dell’accoglienza.
Sorta di laboratorio di spinte centrifughe e centripete, il 30 novembre ha visto i primi migranti – ventiquattro, in possesso di permesso di soggiorno umanitario abolito dal testo di Salvini – cacciati dal Cara di Isola Capo Rizzuto e adesso sta sperimentando l’accoglienza di tre di loro in una casa messa a disposizione da un’operatrice della Caritas diocesana.
Accoglienza diffusa, direttamente nelle case del territorio: se n’era parlato dopo la chiusura, il 31 gennaio, del Cara di Castelnuovo di Porto. Riccardo Travaglini, il sindaco della cittadina vicino Roma, ha presentato anche un piano operativo, ma per ora è tutto fermo. In provincia di Crotone, invece, l’esperimento è partito.
Oggi Faith, Yousuf e Samila vivono a Caccuri, mezz’ora da Crotone, mille e cinquecento anime, nella casa dove ha abitato la nonna paterna di Manuelita Scigliano, che lavora per la Caritas, sta ultimando un dottorato di ricerca per l’università  della Calabria e un ateneo tunisino ed è stata migrante anche lei.
“Ho vissuto per quindici anni a Tunisi – spiega ad HuffPost – sono italiana e da un paio di anni sono rientrata, con mio marito che è tunisino e nostro figlio di cinque anni, nel mio paese d’origine”. A Caccuri, per l’appunto, che dal 6 dicembre ha accolto Faith, Yousuf e Samila.
Sui vent’anni lei, nigeriana, ventiquattro lui, ghanese, si sono conosciuti in Libia dove Yousuf è stato quattro anni e Faith un anno e mezzo.
In Italia sono arrivati su un barcone attraccato sulle coste calabresi e subito sono stati indirizzati al Cara di Isola Capo Rizzuto, dove sono rimasti circa diciassette mesi.
“Il giorno in cui era prevista l’uscita con gli altri ventuno migranti – racconta Manuelita – loro tre sono stati tenuti nel cortile interno della struttura e a sera tardi ci è stato concesso di andarli a prendere con un’auto, nell’anonimato più assoluto. Il clamore dei primi giorni non ha aiutato, temevano di finire per strada con la loro bambina, di essere rimpatriati”. Erano scossi, disorientati, Faith e Yousuf: lei poco dopo si sente male, perde il bambino che aspettava.
Nel frattempo, la comunità  di Caccuri, tanti anche da Crotone, si mobilitano. I volontari della Caritas e dell’associazione “Sabir”, presieduta da Manuelita, ma anche il parroco, don Vincenzo Ambrosio, e la Chiesa evangelica.
C’è chi gli sta insegnando l’italiano, chi ogni tanto va a fargli visita. E Samila, che è nata a Crotone, è diventata la mascotte del paese. “Non piange mai, è sempre sorridente – spiega Manuelita – sono contenta che mio figlio possa crescere con lei. Mia nonna materna è diventata anche la loro”. Il bilancio dei primi due mesi è positivo, ma certo le difficoltà  non sono mancate. Diffidenze, soprattutto. Per la lingua, le abitudini, gli usi diversi.
“È la prima famiglia di colore arrivata a Caccuri – spiega Manuelita – per cui all’inizio qualche sguardo sospettoso era inevitabile. Faith e Yousuf stanno imparando adesso l’italiano, quindi non sempre la comunicazione con i paesani è semplice. Nei loro Paesi d’origine, ad esempio, non guardare negli occhi chi parla è segno di rispetto, a noi può sembrare indifferenza – spiega Manuelita – a scongiurare il rischio di equivoci spiacevoli ci sta aiutando il mediatore culturale, un ragazzo ghanese che lavora in Caritas”. E poi il cibo, ma “siamo riusciti a trovare un compromesso tra quello che mangiano loro e quello che si può comprare da noi”. Non passa pure da questo, viene da chiedere, l’integrazione?
Con il supporto dei volontari e di quanti stanno sostenendo il processo, necessariamente biunivoco, di ambientamento, in due mesi Faith, Yousuf e Samila, in possesso di un permesso di soggiorno valido fino al 2020, hanno ottenuto l’iscrizione anagrafica nel comune calabrese, la tessera sanitaria e presto potrebbero avere anche la carta d’identità . Yousuf e Faith chiedono di poter lavorare.
In Ghana lui era agricoltore, in Libia, per pagarsi il viaggio per l’Italia, ha fatto il muratore. “Da subito ci hanno chiesto di lavorare – va avanti Manuelita – vorremmo cercare di far seguire a Yousuf un tirocinio formativo o un corso professionalizzante, ma per ora pensiamo sia meglio che continuino a studiare l’italiano ancora per un po’”. La casa ce l’hanno – i proprietari, il padre e gli zii di Manuelita, non li manderanno mai via – e l’integrazione si sta rivelando più naturale di quanto potesse sembrare.
“Chiudersi non è la soluzione, chiunque abbia un po’ di buon senso si rende conto che i fenomeni migratori non si arresteranno. Credo che la strada da seguire sia l’accoglienza diffusa, come la stiamo realizzando noi a Caccuri”, dice Manuelita.
La pensa così anche il parroco che, a Natale, ha voluto nel presepe un Bambinello di colore “per dire che Gesù si è fatto uomo in tutti gli uomini, tutti fatti a sua immagine, senza distinzione di nazionalità  o colore della pelle”.
Faith, Yousuf e Samila fanno ormai parte della comunità , “e ci auguriamo possano vivere sempre meglio”. Caccuri ha aperto una strada nuova, pare di capire. “È giusto – conclude don Vincenzo – che i migranti che arrivano nel nostro Paese siano accolti bene, nelle comunità , che non messi in capannoni o fatti vivere per strada”.

(da agenzie)

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GILET GIALLI ITALIANI, SE NE SENTIVA LA MANCANZA NEL CIRCO BARNUM DELLA POLITICA

Febbraio 7th, 2019 Riccardo Fucile

TRA ULTRA’ SOVRANISTA ED EX FORZISTI, NEL SOLCO DEI VECCHI FORCONI

C’è sempre qualcuno più sovranista di te, e così mentre i 5 Stelle volano a Parigi per parlare con qualcuno dei gilet gialli — che lì sono nati — anche in Italia cominciano a proliferare gruppi col simbolo del giubbottino giallo.
Un po’ furba mossa di marketing sul solco dei vecchi forconi, così da racimolare qualche briciola di consenso che arriva d’Oltralpe; un po’ segnale di come basti poco per farsi scavalcare nella gara a chi sta di più con la “gente”.
Infatti il 9 febbraio a Roma in piazza della Repubblica è prevista la prima manifestazione dei gilet gialli all’amatriciana, sotto lo slogan “la rivolta dei popoli contro il mondialismo”. Questo raggruppamento ha un sito internet, un numero di telefono (al quale non risponde nessuno) e un programma di dieci punti.
Si chiede: l’Italexit, cioè l’uscita dalla Ue; sovranità  monetaria; “sovranità  diretta” attraverso i referendum popolari; taglio delle accise su gas, carburanti e luce (acqua no); rimpatrio degli immigrati irregolari; stop fatturazione elettronica (“basta dittatura fiscale”); diritto al lavoro con la chiusura delle agenzie interinali; prima casa impignorabile; no all’obbligo vaccinale e infine nazionalizzare tutto, banche, assicurazioni, autostrade, Alitalia e poi tre puntini a indicare che la lista sarebbe ancora lunga.
Il movimento in questione è contro l’Unione Europea ma anche contro il governo, considerato colpevole di tradimento (Salvini e Di Maio vengono definiti gli “Tsipras d’Italia”), ha in cima alla lista dei nemici le case farmaceutiche come Bayer e Monsanto, ma poi non si entra bene nello specifico perchè “i temi sono tanti, troppi”.
Si definisce un “un movimento che democraticamente sceglie di manifestare il proprio dissenso contro l’èlite finanziaria e i governi al servizio dei banchieri internazionali! Donne, uomini, artigiani, lavoratori, studenti, esclusi e delusi dalla politica e sfruttati da un capitalismo incontrollato e distorto. Nasce un movimento fatto di persone come noi che si vedono ormai rubare il futuro e che non possono formare o sostenere una famiglia! Oggi è in pericolo la nostra libertà  e quella dei nostri figli, è in gioco la nostra identità  e il nostro patrimonio culturale e artistico. Insomma, è arrivato il momento di ribellarsi”.
Ma chi c’è dietro?
Riferimenti nominali non ce ne sono, ma poi scavando si arriva al nome di Antonio Del Piano, giornalista e napoletano, già  in Forza Italia, presidente del “club Forza Silvio Napoli” e poi fondatore della lista “Ricomincio da 10” dove il 10 era il numero della maglia di Diego Maradona, la quale non venne ammessa alle elezioni comunali.
Fece relativamente clamore la sua idea, quando era in Fi, di appiccicare sui muri della città  i manifesti mortuari col nome del sindaco Luigi De Magistris.
Ma i gilet gialli sono tanti in rete, e ognuno rivendica di essere l’originale.
Sul cosiddetto “coordinamento gilet gialli italiano”, 12mila mi piace su Facebook — non si capisce bene se anche loro andranno a Roma, ma parrebbe di no – è apparso un post giorni fa: “Noi non abbiamo idea di cosa facciano gli altri, noi siamo stati chiari dall’inizio siamo andati alla ribalta anche per i nostri trascorsi e siamo il movimento al momento più grande, lo scopo è quello di essere una cassa di risonanza degli italiani verso le istituzioni con parametri decisi tutti insieme in primis siamo tutti d’accordo che il nostro paese debba uscire dall’Europa, lo siamo perchè la maggioranza su un sondaggio partecipato ha deciso così. Vedo che ci date dei comunisti, politici e altre cagate ma mi chiedo chi non è d’accordo perchè sta qua a insultarci, le critiche vanno bene se costruttive cercare di imporre o offendere no. Sono sicuro che se ci mettiamo di impegno tutti insieme noi diventeremo l’alternativa che sconfiggerà  gli ultimi sporchi rimasugli che impediscono il vero e totale cambiamento. Siamo noi i veri gialli di Italia”.
Dopo la lettura rimane solo una domanda: sì ma “noi” chi?

(da “La Repubblica”)

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ITALIA, MINIMO STORICO DELLE NASCITE

Febbraio 7th, 2019 Riccardo Fucile

IN AUMENTO I RESIDENTI STRANIERI

Continua il record negativo delle nascite in Italia.
Per il quarto anno consecutivo l’Istat segnala che il numero dei nuovi nati è al minimo storico. In aumento invece gli stranieri, che rappresentano l’8,7 per cento della popolazione.
La popolazione al 1 gennaio 2019 è pari a 60 milioni 391mila, oltre 90mila in meno sull’anno precedente (-1,5 per mille).
Il numero dei cittadini italiani scende a 55milioni e 157mila (-3,3 per mille), mentre il numero dei residenti stranieri sale a 5 milioni e 234mila (+ 17,4 per mille).
Il numero delle nascite del 2018 è sceso di 9mila unità  rispetto al 2017: nel corso dell’anno ci sono stati 449mila nuovi nati totali.
Le morti totali sono state 636mila, 13mila in meno del 2017.
Il rapporto delle morti sul numero di residenti è di 10,5 individui morti ogni mille abitanti, contro i 10,7 del 2017.
Il saldo naturale, ovvero la differenza tra il numero dei nati vivi e quello dei morti, nel 2018 è negativo (-187mila). Si tratta del secondo livello più basso nella storia dopo il 2017, che era stato di meno 191mila.
Nel 2018 sono aumentate sia le immigrazioni, 349mila, che le emigrazioni, 160mila. Il saldo migratorio è positivo per 190mila unità .
Il numero degli immigrati in arrivo ha toccato quota 302mila, il numero più alto degli ultimi sei anni.
Tra i cittadini italiani sono più numerose le partenze dei ritorni di chi già  vive fuori. Nel 2018 risultano, infatti, 47mila rimpatri e 120mila espatri.
I dati Istat si concentrano anche sul numero medio di figli per donna, che nel 2018, con una media di 1,32, è risultato invariato rispetto all’anno precedente.
L’età  media del parto continua a crescere, toccando per la prima volta la soglia dei 32 anni.
In calo anche la fecondità : le donne nate nel 1940 registrano una fecondità  di 2,16 figli, contro gli 1,53 delle donne nate nel 1968.
In aumento anche la speranza di vita alla nascita: per gli uomini la stima è di 80,8 anni (+0,2 sul 2017) mentre per le donne è di 85,2 anni (+0,3).

(da agenzie)

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ITALIANI ALL’ESTERO SONO ORMAI PIU’ DI 5 MILIONI: SE NE VANNO ANCHE FAMIGLIE E ANZIANI

Febbraio 7th, 2019 Riccardo Fucile

MENTRE I CAZZARI SI PREOCCUPANO DI POCHE DECINE DI MIGLIAIA DI IMMIGRATI IN ARRIVO, NEL 2018 123.193 ITALIANI SONO SCAPPATI ALL’ESTERO

Quello che oggi sta vivendo l’Italia è un esodo pari a quello del Secondo dopoguerra. Un’emorragia di connazionali che lasciano il Paese per cercare condizioni migliori.
Se ne vanno diplomati, laureati, famiglie con minorenni, anziani.
La Stampa traccia il quadro e spiega che i numeri dell’Aire (cioè dell’Anagrafe degli italiani all’estero) raccontano soltanto parte del fenomeno, perchè quei dati vanno incrociati con le “altre statistiche anagrafiche dei maggori Paesi europei”.
Già  i numeri in mano alla Farnesina, però, delineano un quadro chiaro: dai 3,1 milioni di italiani all’estero registrati nel 2006, si è passati a 5,1 milioni nel 2018.
Nell’ultimo anno sono 123.193 quelli che hanno deciso di trasferire la residenza all’estero. Un numero, sottolinea il quotidiano torinese, che equivale alla popolazione di Monza o Pescara.
Il 27,4% di chi se ne va ha tra i 18 e i 34 anni, ma “rispetto all’anno precedente c’è stato nel 2017 un aumento di quasi il 3 per cento di persone tra i 35 e i 49 anni”.
Nel complesso, il 56% degli expat ha tra i 18 e i 44 anni, mentre nel 19% dei casi si tratta di minorenni.
Un dato che indica come siano interi nuclei famigliari a espatriare.
E il grado di istruzione di chi se ne va è più alto rispetto al passato: “il 34,6% ha la licenza media, il 34,8% è diplomato e il 30% è laureato“.
E se pensiamo che sia soltanto chi emigra in Italia a mandare i soldi a casa, ci sbagliamo: i nostri expat nel 2016 hanno mandato a casa 7 miliardi, circa mezzo punto di Pil.
Soldi che non compensano l’investimento fatto dall’Italia per formarli e di cui beneficeranno altri Paesi.
“Ogni dottore di ricerca è costato allo Stato circa 230mila euro”, mentre “un laureato 170mila e un diplomato 90mila”.
Guardando le città , il maggior numero di partenze è da Milano, poi Roma, Genova, Torino e Napoli. Sul fronte delle regioni, invece, gli italiani partono soprattutto da Lombardia, Veneto, Sicilia, Emilia-Romagna e Liguria.
La prima destinazione è la Germania (20mila italiani arrivati a inizio 2018), poi Regno Unito (18.517) e Francia (12.870), anche se con la Brexit le presenze in Uk sono scese del 25,2%.
Da sottolineare anche gli aumenti nelle fasce d’età : crescono del 20,7% le partenze di chi ha tra i 50 e i 64 anni, +35,3 per chi ha tra i 65 e i 74 anni e +78,6% dagli 85 anni in su. Parliamo di “emigrati previdenziali”, quelli che over 60 decidono di trascorrere gli anni della pensione all’estero.
Un biglietto di sola andata per Portogallo, Brasile, Spagna e Irlanda.

(da agenzie)

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TRE TRENI PENDOLARI SU DIECI SONO IN RITARDO, MILANO MAGLIA NERA

Febbraio 7th, 2019 Riccardo Fucile

L’INDAGINE DI ALTROCONSUMO SU 2500 TRENI LOCALI IN ARRIVO A MILANO, ROMA E NAPOLI… E LA SITUAZIONE E’ PEGGIORATA RISPETTO AL 2015

Quasi il 40% dei treni pendolari che arrivano a Milano, Roma e Napoli è in ritardo di almeno cinque minuti.
Di questi, uno su cinque arriva oltre 10 minuti dopo l’orario previsto e il 10% accumula oltre un quarto d’ora.
Il 2% sono stati direttamente cancellati.
I dati sono quelli pubblicati sul magazine Inchieste dell’organizzazione di consumatori Altroconsumo.
Rispetto all’ultima rilevazione, che risale al 2015, la situazione è peggiorata: i treni in ritardo sono infatti aumentati del 6%. Aumentano anche i ritardi più gravi: i convogli arrivati oltre 10 minuti dopo l’orario previsto nel 2015 erano “solo” il 12%, oggi il 19%.
I tempi di arrivo di oltre 2500 treni locali sono stati rilevati direttamente in stazione da sedici collaboratori dell’associazione. Le stazioni sono quelle milanesi Centrale, Garibaldi e Garibaldi sotterranea, quelle romane Termini, Tiburtina e Tiburtina est e quelle napoletane Centrale e piazza Garibaldi. In queste tre città , secondo Altroconsumo, ogni giorno feriale si riversa il 55% dei pendolari del nostro Paese.
Milano.
Dall’inchiesta di Altroconsumo si può dedurre che i pendolari più sfortunati siano quelli lombardi. Nè Napoli nè Roma raggiungono infatti la percentuale di ritardi riscontrata nelle stazioni meneghine: oltre la metà  dei convogli (52%) arriva dopo il previsto. Di questi, il 25% dei treni è in ritardo di oltre 10 minuti e il 12% supera il quarto d’ora. Le tratte da incubo sono diverse. Sei volte su dieci la Como- Milano Centrale e la Como-Cantù-Milano Garibaldi arrivano oltre 10 minuti dopo. Da dimenticare anche la Brescia-Treviglio-Milano Centrale e la Varese-Gallarate-Milano Garibaldi. Queste due ultime due tratte – gestite da Trenord – detengono il record di ritardi oltre il quarto d’ora e, in ogni caso, non sono mai arrivate in orario.
Roma.
La capitale, che certo non brilla per l’efficienza del trasporto pubblico, è la città  che esce meglio dall’indagine. I convogli in ritardo di almeno 5 minuti sono il 16% (contro il 52% di Milano e il 46% di Napoli); solo il 5% è arrivato oltre 15 minuti dopo il previsto. Ci sono tratte che, almeno nei giorni presi in esame da Altroconsumo, rispettano una puntualità  “giapponese” come la Orte-Fara Sabina- Monterotondo-Roma, la Fiumicino-Roma o la Viterbo-Cesano-Roma. Ma anche nella capitale arrivano i “treni della speranza”. Quello che parte da Ancona passando per Orte arriva in lieve ritardo una volta su tre, mentre il 13% delle volte supera i 10 minuti. Ma quanto a inefficienza nessuno batte il Nettuno-Roma: 58% di ritardi oltre i 5 minuti, 45% oltre i 10 minuti e 25% dei convogli che arriva oltre un quarto d’ora dopo.
Napoli.
Molto delicata anche la situazione per i pendolari campani. Nelle stazioni partenopee Altroconsumo ha registrato il 46% di ritardi di almeno 5 minuti, il 24% oltre i dieci minuti ma soprattutto il record di ritardi oltre i 15 minuti (sono il 14%, contro il 12% delle stazioni milanesi). La palma del ritardo più gigantesco rilevato nel corso dell’indagine va alla Piedimonte Matese-Caserta-Napoli: oltre un’ora e quaranta. Esperienze allucinanti anche per i pendolari della Caserta-Acerra-Napoli (il 48% delle volte arriva almeno 10 minuti dopo, il 34% oltre un quarto d’ora dopo). Mentre la Castellammare-Torre Annunziata-Napoli è quasi una certezza: nel 78% dei casi non riesce ad arrivare in orario.
La situazione descritta da Altroconsumo è un elemento che si aggiunge al quadro fatto da Legambiente pochi giorni fa nel consueto rapporto Pendolaria.
In quell’occasione l’associazione ambientalista aveva lanciato l’allarme sul possibile taglio di 300 milioni alla mobilità  locale a causa di una clausola di salvaguardia nella legge di Bilancio che, sostiene Legambiente, ha buone probabilità  di scattare.

(da agenzie)

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