Febbraio 28th, 2019 Riccardo Fucile
IL SENATORE ATTACCA: “PERDEREMMO IL NOSTRO POPOLO”
Sulla Tav “non ci sono spazi di contrattazione. O il M5S dice no oppure sarò io a dire ciao al Movimento”. Lo dice in un’intervista il senatore grillino Alberto Airola.
Il parlamentare piemontese ha fatto della battaglia contro l’alta velocità Torino-Lione una delle stelle polari della sua azione politica e non le manda a dire alla Lega, che sul tema cerca una mediazione con il Movimento 5 Stelle.
“Non so quanto questa vicenda possa essere legata alle elezioni – osserva. Credo che il Carroccio su questo tema voglia fare campagna elettorale, in modo un po’ becero a mio avviso”.
Il ministro M5S delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, oggi ha annunciato che “entro la prossima settimana” il governo prenderà una decisione per sciogliere definitivamente il nodo Tav.
Il sottosegretario leghista Armando Siri ostenta fiducia e assicura: “Stiamo ragionando e stiamo trovando le sintesi giuste per fare il bene del Paese. Non vedo gamberi nel governo, gente che torna indietro”.
Airola però non vuole sentire ragioni: “Toninelli è sicuramente in difficoltà perchè la Lega insiste” ma “è giusto porre un punto fisso perchè, come ho detto milioni di volte, il Tav è una cosa che abbiamo sempre osteggiato: non si fa e basta, spazi di manovra non ce ne sono”.
Ma se il M5S dovesse aprire una trattativa, lei come si comporterebbe? “In quel caso me ne vado dal Movimento. E sono convinto che me ne vado col simbolo. Sarò più meritevole di loro di portare il simbolo del M5S se si apre una trattativa”, risponde Airola.
Se il Movimento 5 Stelle dovesse lasciare spiragli per un dialogo, dice Airola, “si schianterebbe definitivamente. Non sarebbe più 5 Stelle, perderebbe la fiducia del popolo, la sua identità “.
“Noi – insiste il senatore torinese – siamo entrati nelle istituzioni grazie ai valsusini: uno dei primi eletti del M5S è stato Davide Bono nel 2010, col 3% alle regionali, grazie ai voti della Valsusa. Beppe Grillo si è preso anche una denuncia per quella battaglia. Per me non si transige”.
Oggi la commissione coordinata dal professor Marco Ponti ha effettuato, su richiesta del premier Conte, un supplemento di analisi sulla Torino-Lione.
Lo ha reso noto lo stesso professor Ponti, a margine di un incontro al Collegio Carlo Alberto di Torino. “Credo sia in corso, addirittura già finita” ha detto Ponti rispondendo alle domande dei giornalisti. Top secret il suo contenuto: “lo scoprirete quando il ministero deciderà di pubblicarlo”, ha aggiunto Francesco Ramella, che ha fatto parte della commissione analisi costi-benefici.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 28th, 2019 Riccardo Fucile
TONINELLI APRE ALLA PUBBLICAZIONE DEI BANDI, ENTRO SEI MESI SI POSSONO ANNULLARE…UN MODO PER SUPERARE LE EUROPEE E LA CONSULTAZIONE PIEMONTESE
Sul tavolo del Viminale ancora non è arrivato ma potrebbe essere questione di giorni. 
La spada di Damocle che pende sulla testa del governo l’ha sguainata Sergio Chiamparino. Se entro l’11 marzo non saranno pubblicati i bandi delle gare d’appalto per sbloccare l’Alta velocità Torino-Lione, il presidente del Piemonte è pronto a inviare una lettera a Matteo Salvini per chiedere l’autorizzazione alla consultazione popolare.
Non si tratta di un referendum, dal momento che su un tema che riguarda un accordo internazionale non è possibile celebrarlo, ma appunto di una consultazione regionale che potrebbe coincidere con il voto del Piemonte nonchè con le elezioni Europee.
Fumo negli occhi per gli M5s e infatti la strada che sta per essere tracciata è proprio quella della pubblicazione dei bandi: “Se partissero non mi preoccuperei”, ha ammesso il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli: “Si possono annullare entro sei mesi”.
Per il Movimento 5 Stelle, storicamente contrario all’opera, sarebbe un dramma arrivare a una sorta di election day.
La Lega farebbe una campagna elettorale tutta incentrata sull’Alta velocità Torino-Lione su un territorio dove a novembre scorso sono scese in piazza 40mila persone a favore della grande opera.
Il sì alla Tav diventerebbe un catalizzatore di voti. E i pentastellati invece, per quanto possano dire di essere favorevoli sempre e comunque a ogni tipo di consultazione, verrebbero totalmente scavalcati dai fatti.
Tuttavia, stando alle parole del ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, una decisione sarà presa entro la prossima settimana e già nelle prossime ore o nei prossimi giorni ci sarà un incontro con il premier Giuseppe Conte e i due vice Salvini e Di Maio per trovare un accordo pur partendo “da posizioni molto distanti”.
L’accordo in realtà ha già un obiettivo: superare le elezioni Europee ed evitare la consultazione popolare.
L’idea è quella di pubblicare i bandi di gara entro marzo, come chiede l’Unione europea. Dalla pubblicazione dei bandi, il governo ha cinque o massimo sei mesi per poterli annullarsi senza che le aziende abbiano la possibilità di presentare ricorso perchè così prevede il diritto francese a cui risponde Telt, la società metà italiana e metà francese, che si occupa della realizzazione dell’opera e quindi della pubblicazione dei bandi di gara
L’avvio dei bandi della Telt sul TAV?
“Se partissero non mi preoccuperei. Nel diritto francese c’è la clausola di senza seguito, i bandi se dovessero partire rappresentano in realtà una ricognizione di 6 mesi, non partono i bandi ma parte una ricognizione”.
Al di là della forma i bandi saranno pubblicati e le aziende potranno procedere con le manifestazioni interesse. A settembre questi bandi possono essere annullati, senza incorrere in una penale.
Nel frattempo però le elezioni Europee ci sono state e — come spiega una fonte leghista vicina al dossier — “se tutto va come ci aspettiamo, gli equilibri di forza all’interno del governo saranno diversi”.
Che tradotto significa che Luigi Di Maio difficilmente potrà minacciare Salvini di far cadere il governo sulla Tav se il Movimento 5 Stelle vivrà un crollo dei consensi.
Intanto però, in campagna elettorale per Europee, il capo politico grillino potrà dire che una decisione sulla Tav ancora non è stata presa e promettere di annullare i bandi.
Anche se, al di là della propoganda elettorale, il passo decisivo in realtà sarebbe ormai compiuto.
(da agenzie)
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Febbraio 28th, 2019 Riccardo Fucile
DECISIVA LA MEDIAZIONE DELLE NAZIONI UNITE PER UNA PACIFICAZIONE DEL PAESE
Il presidente del “Governo di accordo nazionale” della Libia, Fayez al Serraj, e il maresciallo Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito nazionale libico, “hanno raggiunto un accordo ad Abu Dhabi per indire elezioni generali in Libia e preservare l’unità del Paese”. Lo ha confermato l’inviato speciale delle Nazioni unite, Ghassan Salamè, in un tweet: secondo l’ex ministro libanese i due leader si sono accordati “sulla necessità di terminare la transizione nel Paese attraverso elezioni generali e sulle modalità per mantenere la stabilità della Libia e unificare le sue istituzioni”.
Il capo del governo di Tripoli era volato negli Emirati direttamene dall’Egitto, dopo il vertice di Sharm El Sheik.
Da giorni giravano voci sul possibile vertice.
Salamè ha lavorato duramente per tenere questa riunione, a cui hanno partecipato anche alcuni inviati diplomatici come l’americano Peter Bodde: l’Onu in Libia vorrebbe organizzare una “conferenza generale nazionale” per far ripartire il dialogo politico, ma senza l’accordo dei due leader ogni passo sarebbe difficile. Un incontro fra Serraj ed Haftar era stato ipotizzato anche a Parigi, ma alla fine gli Emirati Arabi sono risultati essere il luogo migliore per il vertice.
Il vertice è stato chiesto soprattutto da Salamè, per accelerare il processo che dovrebbe portare a convocare la “grande assemblea” libica. Non è chiaro ancora se nell’accordo fra i due c’è anche questa “grande assemblea”. Sarebbe il passaggio con cui l’Onu voleva avviare il processo per arrivare a una nuova Costituzione, a una nuova legge elettorale e poi alle elezioni legislative e presidenziali.
Haftar nei giorni scorsi aveva fatto uscire su siti di informazioni libici la notizia secondo cui “il generale non è interessato a incontrare Serraj, perchè lui non è in grado di esercitare un vero potere a Tripoli”. Il che può anche essere vero: il presidente è limitato nei suoi poteri innanzitutto dal fatto che la capitale libica è controllata da milizie che il potere politico non riesce a governare.
Ma Serraj è anche il rappresentante di una istituzione, il Consiglio Presidenziale, designato con una procedura benedetta dalle Nazioni Unite e sostenuta da tutti gli Stati e dalle istituzioni internazionali coinvolte nel tentativo di stabilizzazione della Libia. E infatti non a caso Haftar si è poi convinto a partecipare al summit, che avrebbe avuto risultati positivi.
Ad Abu Dhabi in questi giorni sono arrivati altri leader libici, fa cui il capo della Noc, la compagnia petrolifera nazionale, Mustafa Senalla che ha tenuto riunioni per negoziare la riapertura dei campi petroliferi di Sharara.
Le installazioni petrolifere nelle settimane scorse erano passate sotto il controllo di milizie alleate ad Haftar.
La Noc aveva chiesto la chiusura di Sharara già a dicembre scorso la per “cause di forza maggiore” dopo le prostese di molti lavoratori sostenuti da gruppi armati che avanzavano richieste economiche alla compagnia petrolifera.
Negli Emirati la Noc avrebbe raggiunto un accordo di massima per revocare lo stato di forza maggiore. Non è chiaro quando i campi saranno riaperti e quando potranno rientrare in produzione.
(da agenzie)
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Febbraio 28th, 2019 Riccardo Fucile
A DIFFERENZA DELL’ITALIA, IN ISRAELE CHI GOVERNA NON GODE DI IMPUNITA’ SE COMMETTE UN REATO
Benjamin Netanyahu sarà incriminato per tre casi di corruzione e frode. 
Lo ha anticipato la tv israeliana confermando che questa sarà la decisione del procuratore generale Avichai Mandelblit.
Ma l’udienza in cui l’incriminazione sarà formalizzata dovrebbe tenersi dopo il voto, permettendo quindi al primo ministro di superare il periodo elettorale senza essere costretto a presentari in tribunale da incriminato.
Mandelblit ha deciso quindi di chiedere l’incriminazione per 3 inchieste su casi di corruzione, una richiesta che avrà sicuramente un impatto diretto sulla compagna elettorale. in Israele si vota il 9 aprile, e per la prima volta da mesi un nuovo leader politico (l’ex capo di Stato maggiore Benny Gantz) e la sua coalizione di partiti potrebbero mettere in difficoltà il “regno” incontrastato di Bibi.
Il premier si difende, da mesi dice di essere innocente anche negli altri casi per i quali viene indagato, e ha lanciato una campagna di delegittimazione prima della polizia, poi della procura e parallelamente della stampa che si sta occupando delle sue vicende giudiziarie.
Il premier è stato accusato nei mesi scorsi di aver fatto pressioni su Mandelblit perchè l’incriminazione fosse rimandata a dopo il voto.
Il caso più serio è il “caso 4000”, quello in cui Netanyahu è accusato di aver varato regolamenti favorevoli alla compagnia di telecomunicazioni “Bezeq” anche nel suo ruolo di ministro delle Telecomunicazioni ad interim.
In cambio, il premier avrebbe chiesto una copertura favorevole da parte del sito intenet “Walla”, di proprietà del milionario Shaul Elovitch che è anche il maggiore azionista della Bezeq.
Altra inchiesta è il “caso 1000”: Netanyahu è accusato di aver ricevuto regali (sigari, champagne, vini) per un valore di circa 280 mila dollari da parte di amici milionari in cambio di favori politici.
Ancora accuse di corruzione nel “caso 2000”, quello in cui il premier avrebbe chiesto una copertura giornalistica favorevole dal quotidiano “Yedioth Ahronoth” in cambio di un vero e proprio sabotaggio di un giornale rivale.
Il quotidiano danneggiato è “Israel Hayom”, una free press che è il quotidiano più diffuso di Israele e che era un convinto sostenitore dello stesso primo ministro: Netanyahu in questo caso è anche accusato di aver “tradito” una compagnia editoriale che liberamente lo aveva sostenuto, tramando in segreto per favorire i rivali.
Quando gli avvocati di Netanyahu nelle scorse settimane hanno chiesto a Mandelblit di rinviare le incriminazioni a dopo il voto, il procuratore ha risposto che “bisogna rispettare il principio di uguaglianza di fronte alla legge e anche il diritto dell’opinione pubblica di essere a conoscenza di fatti così importanti”.
(da agenzie)
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Febbraio 28th, 2019 Riccardo Fucile
INIZIATIVA DEI MODERATI PER CACCIARE IL PREMIER SOVRANISTA… DOMANI SONDAGGI IN ARRIVO
A tre mesi dalle Europee 2019, riscoppia il caso Orban nel Ppe. Anzi: sarebbe più corretto dire in tutto l’Europarlamento.
Perchè è lui, il premier ungherese sovranista eppure membro dei Popolari, già condannato dal Parlamento europeo per violazione dello stato di diritto, è ancora lui il problema nel suo schieramento politico e per una futura maggioranza europeista (con Pse, Alde e chi ci starà ) dopo il voto di maggio.
Nel Ppe è di nuovo in azione la fronda che lo vuole fuori dal gruppo, capitanata dai paesi del nord, dai belgi, dai lussemburghesi.
Il 20 marzo se ne parlerà all’assemblea dei Popolari che di prassi si tiene a Bruxelles alla vigilia di ogni consiglio europeo. La decisione però molto probabilmente verrà presa solo dopo il voto.
Ma gli animi nei Popolari sono a dir poco agitati. Ormai il limite di sopportazione per il ‘collega’ Orban è stato abbondantemente superato tra i moderati del Partito Popolare europeo.
O meglio: tra i moderati che nei loro paesi d’origine non vivono sotto la minaccia e la concorrenza dei partiti di destra nazionalisti.
Per questo contro Orban oggi si è mossa la svedese Anna Maria Corazza Bildt: “Per quasi dieci anni c’è stato un dialogo per portare Orban in linea con i nostri valori e principi, ma il risultato in Ungheria è che la situazione dei diritti fondamentali e dello stato di diritto, si sta deteriorando. Ha voltato le spalle ai valori del Ppe, è ora di considerare se appartiene o meno alla nostra famiglia”.
E con lei anche i belgi e i lussemburghesi: hanno scritto una lettera al presidente del Ppe Joseph Daul per formalizzare la richiesta di espulsione di Orban, il leader di Fidesz, inserito nel gruppo del Ppe ma interlocutore più di Matteo Salvini che di Jean Claude Juncker, per dire.
Proprio contro il presidente della Commissione europea, Orban ha di recente lanciato una campagna ufficiale del governo ungherese che associa Juncker a Soros, spietata contro la Commissione accusata di aprire i confini dell’Europa ai migranti.
Dei manifesti della campagna sono tappezzate le strade delle città ungheresi.
Dunque, per i nordici del Ppe ormai la pazienza è finita.
Non per i Popolari del sud, però, a cominciare da Forza Italia che invece insegue il suo ‘Orban’ nostrano, Salvini, alla ricerca di un centrodestra unito al governo del Belpaese e anche in Europa.
Trapela infatti imbarazzo dalle file del partito di Silvio Berlusconi. Dallo staff del presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani seguono con preoccupazione la fronda che si agita nel Ppe e sperano non vada a avanti.
Se davvero si dovesse arrivare ad un’espulsione all’assemblea di marzo, prima del voto di maggio, sarebbe un problema: come verrebbe infatti giustificata un’alleanza con Salvini agli occhi dei moderati europei che considerano il leader leghista alla stregua del premier ungherese?
Ma anche se Orban non verrà espulso il 20 marzo, questa storia già divide il Ppe.
Che, secondo le ultime rilevazioni, è sempre primo partito ma perde seggi. E soprattutto dovrà prendere una decisione.
I socialisti, anche loro in difficoltà nei sondaggi, hanno infatti inviato il chiaro messaggio ai Popolari: “Un’alleanza europeista non lo facciamo solo con un Ppe liberato da Orban”, è il mantra dello Spitzenkandidat socialista Frans Timmermans che ha naturalmente un veto anche contro Salvini, proprio mentre invece Forza Italia tenta di tirarlo dentro al gruppo dei Conservatori e Riformisti che insieme all’Alde hanno dato i voti a Tajani alla presidenza del Parlamento europeo nel 2017.
Non è un caso che Giorgia Meloni, anche lei nell’Ecr con Fratelli d’Italia se supereranno la soglia del 4 per cento alle europee, esulti: “Se Viktor Orban e il suo partito Fidesz dovessero essere espulsi dal Ppe, Fratelli d’Italia proporrà all’Acre di accoglierlo a braccia aperte nella grande famiglia dei conservatori e sovranisti europei. Siamo fermamente convinti che questa sarebbe la sua casa ideale”.
Il risiko delle alleanze post-voto dipende tutto dal Ppe, dalla sua capacità di risolvere il problema Orban e allontanare Salvini.
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 28th, 2019 Riccardo Fucile
SALVINI SI E’ SCORDATO DELLE PROMESSE FATTE E NEL QUARTIERE CI SONO SOLTANTO LE ASSOCIAZIONI DEL TERRITORIO, LASCIATE SPESSO SOLE
È il 28 febbraio del 2018, le ultime battute di una campagna elettorale che vedrà la Lega di
Matteo Salvini affermarsi nelle urne con un risultato clamoroso.
Il leader del Carroccio ancora non è solito indossare la divisa della Polizia di Stato e si presenta per il suo tour elettorale nelle strade di Tor Bella Monaca, quartiere alla periferia Sud-Est della capitale che è anche una delle principali piazze di spaccio della città , spesso sinonimo di marginalità e vendita di cocaina.
Solo qualche giorno fa, dopo che un agente aveva estratto un’arma al termine di un inseguimento venendo accerchiato da decine di persone, il ministro dell’Interno ha dichiarato: “Andremo fino in fondo perchè non esistono zone franche a Roma. Andrò personalmente a Tor Bella Monaca”. Ma Salvini sembra essersi dimenticato di quella visita e delle promesse fatte in quella occasione.
Oggi un anno dopo, Fanpage.it ha ripercorso il cammino dell’allora futuro ministro e vicepremier, constatando che nulla è cambiato, se non che oggi non c’è la neve ma un caldo primaverile.
Le carcasse di auto bruciate sono ancora al loro posto, lo spaccio ricomincia appena se ne vanno telecamere e visite ufficiali e le vedette danno il segnale di via libera.
I sottoscala sono ancora ripieni di immondizia e i garage abbandonati.
Assieme a Barbara Mannucci, candidata alla Camera nel collegio di Torre Angela per la Lega, Salvini incontra una coppia di cittadini che vive in macchina.
“Questa signora dovrebbe avere un bagno e una stanza”, chiosa, promettendo assieme alla sua candidata di intervenire al più presto per sostenere gli italianissimi senza casa. L’epilogo è ben diverso: Fanpage.it ha rintracciato la coppia che viveva in macchina, che ci spiega come “due mesi dopo ignoti danno fuoco alla vettura dove dormivano e sono stati costretti a lasciare anche quel loro rifugio. Dormono ancora in strada “e nessuno ci è venuto ad aiutare”.
Nella Converti, 28 anni, è presidente dell’associazione Bella Vera, che in via dell’Archeologia ci sta tutti i giorni.
È lei che ci accompagna nel nostro tour: “Salvini è passato e non è più tornato, qua il Movimento 5 stelle ha preso una valanga di voti nel 2016 promettendo una rivoluzione che però non c’è mai stato. Siamo all’immobilismo, chi qua ci lavora e ci vive non ha visto cambiare niente negli ultimi anni”
Chi ha preso a venire spesso da queste parti è il presidente dei dem Matteo Orfini, scegliendo di prendere sul serio il suo ruolo di deputato del territorio.
Un’attività minuta, per scelta lontano dai riflettori, di relazione con i cittadini e le realtà di base che sono tante.
Ci sta Bella Vera, ma anche il Cubo Libro, lo storico Che Ntro Sociale e l’ex Fienile, il nuovo arrivato nella fitta rete di associazioni e presenze.
Si tratta di un polo culturale animato in prima istanza dall’Associazione 21 luglio, e che ad esempio in questi mesi sta animando la Scuola di politica ‘Confini al centro’. Il prossimo 7 marzo ci sarà Emma Bonino a parlare d’Europa.
Ma le associazioni e i partiti, l’attivismo di base, da solo non ce la può fare.
A Tor Bella Monaca serve una risposta concreta ai pensionati e i disoccupati che per campare fanno la “retta”, insospettabili cittadini messi al lavoro dai clan per nascondere la droga in casa.
Serve una risposta ai ragazzini tenuti a stipendio per fare le vedette e i pusher.
Serve prima di tutto welfare, poi una rinnovata attenzione ai servizi sul territorio e alla vivibilità del paesaggio urbano: vivere in un luogo brutto, degradato, con i marciapiedi sconnessi e l’arredo urbano distrutto, tra le auto bruciate e i cumuli d’immondizia, non può che aumentare l’emarginazione di questo territorio.
(da “Fanpage”)
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Febbraio 28th, 2019 Riccardo Fucile
ESPULSE DUE CONSIGLIERE REGIONALI DELLA LEGA CHE VOLEVANO LE DIMISSIONI DELL’ASSESSORE DEL CARROCCIO CHE E’ ANCHE COORDINATORE DEL PARTITO DI SALVINI IN MOLISE… FINISCE 10 A 10 IN REGIONE, GRAZIE ALL’ASSENZA DI UN ALTRO OPPOSITORE, LA MAGGIORANZA NON C’E’ PIU’
Si chiamano Filomena Calenda e Aida Romagnuolo, sono due consigliere regionali elette con la Lega in Molise e ieri sono state espulse dal partito per aver chiesto ripetutamente la testa dell’assessore alla famiglia e al lavoro Luigi Mazzuto.
Romagnuolo e Calenda la scorsa settimana, durante una conferenza stampa, avevano chiesto le dimissioni dell’assessore regionale “esterno” (nel senso di non eletto in consiglio) Luigi Mazzuto, coordinatore regionale della Lega in Molise.
La storia però è molto misteriosa.
In primo luogo perchè Mazzuto è diventato assessore quasi un anno fa, ma le consigliere, che prima si scattavano tranquillamente foto con lui, gli sono diventate improvvisamente ostili soltanto negli ultimi quindici giorni.
L’altroieri una mozione di sfiducia presentata dal Partito Democratico (due consiglieri), sottoscritta dal MoVimento 5 Stelle (sei consiglieri) e votata anche dalle due consigliere (10 voti su 20 consiglieri) è stata bocciata.
In Aula è mancato Massimiliano Scarabeo, eletto con Forza Italia ma iscritto al gruppo misto (e quindi fuori dalla maggioranza), che avrebbe potuto dare l’ok alla sfiducia e chiudere la partita di Mazzuto.
Ieri sera è arrivata la punizione.
“Le consigliere Romagnuolo e Calenda non fanno più parte della Lega”, ha annunciato Alessandro Panza per conto della segreteria federale del partito.
La decisione, aggiunge Panza, “è l’inevitabile conseguenza di quanto fatto e dichiarato dalle due consigliere negli ultimi giorni”.
Attenzione, però: la decisione del partito in Molise è stata ufficialmente benedetta da Roma, ovvero da Matteo Salvini, che si è nettamente schierato con Mazzuto e contro le due consigliere.
Ieri in Consiglio Romagnuolo ha criticato il governatore Donato Toma, che ha vinto le elezioni nell’aprile scorso, perchè avrebbe mancato la promessa di assegnare deleghe ai consiglieri regionali, e poi ha attaccato Mazzuto perchè “non ha espresso il candidato sindaco per Campobasso e Termoli, dove la Lega è primo partito” mentre la Calenda ha affermato che Mazzuto ha organizzato “riunioni carbonare”: “circa 3mila molisani hanno scritto il nostro nome e cognome sulla scheda elettorale. Quanti voti ha preso Mazzuto? Zero, non si è candidato”.
Dunque, “se ricopre quel posto in giunta è anche grazie a noi”.
Infine, c’è l’accusa di non aver trovato una soluzione per le vertenze ex Gam, ex Ittierre, ex Zuccherificio, in crisi aziendale.
«1230 preferenze, eletta dal POPOLO, non nominata dal partito , lavoro a testa china per i molisani e lo farò fino alla fine del mio mandato. Ho sfiduciato l’Assessore Mazzuto e lo rifarei senza paura, non rappresenta i molisani perchè non eletto dal Popolo. Grazie per tutto l’ affetto che mi state dimostrando.posso parlare anche senza simbolo!!!», ha aggiunto Romagnuolo su Facebook nei giorni scorsi.
“Come assessore esterno, Mazzuto grava sulle tasche dei cittadini molisani per circa 150 mila euro all’anno. Ovvero 750 mila euro per l’intera legislatura. Ma così non sarà e presto dovrà andare a casa. Una spesa enorme inaccettabile per i tanti disoccupati molisani e, un’offesa per i tanti giovani che lasciano il Molise per andare all’estero”, ha detto Calenda sempre sul social network.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 28th, 2019 Riccardo Fucile
CI HANNO PROVATO DI NUOVO: LA PROPOSTA DI LEGGE DEL SEN. URRARO … DOPO LA DENUNCIA DE “IL MATTINO” LA RETROMARCIA
I paladini dell’onestà e della legalità ad ogni costo ci provano di nuovo. 
Dopo il condono per Ischia inserito nel Decreto Genova assieme al mini-condono per gli abusi edilizi nelle aree colpite dal terremoto del 2016 in Italia centrale ecco che arriva una nuova proposta di sanatoria targata M5S.
A firmarla è il senatore del MoVimento 5 Stelle Francesco Urraro che ha depositato in Commissione Ambiente a Palazzo Madama una proposta di legge recante «modifica all’articolo 36 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380».
La proposta di legge è stata avanzata a novembre 2018 e non è ancora stata calendarizzata la sua discussione in Commissione.
Il DDL consta di un solo articolo nel quale si chiede la soppressione di un passaggio (che contiene le parole «sia al momento della realizzazione dello stesso, sia» ) del primo comma dell’articolo 36 del testo unico in materia di edilizia.
Questo piccolo intervento normativo può avere risultati enormi.
La normativa vigente stabilisce il principio della doppia conformità .
In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività o in difformità da essa — vale a dire in caso di abusi edilizi — «il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda».
Quel “sia, sia” è una condizione fondamentale perchè stabilisce che si possa chiedere una sanatoria solo se l’intervento abusivo è conforme ai regolamenti edilizi dell’epoca in cui è stato commesso l’abuso e a quelli in cui viene presentata la domanda.
Cosa succederebbe se venisse approvato il DDL del M5S sugli abusi edilizi?
Allo stato attuale quindi se ad esempio l’intervento abusivo è conforme alla sola disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione dell’istanza di conformità urbanistica, il permesso di costruire in sanatoria deve essere rigettato e si dovrà procedere all’abbattimento dell’immobile.
Una situazione che andrebbe a mutare con l’approvazione del DDL Urraro.
Il Mattino riporta il parere dell’ex avvocato generale dello Stato e procuratore aggiunto di Napoli Aldo De Chiara «Dire che bisogna sanare certi abusi perchè i comuni hanno difficoltà ad abbatterli è una linea che incoraggia la gente a violare la normativa in materia, come già accaduto con i condoni precedenti».
Inoltre abbandonare il principio della doppia conformità «potrebbe provocare qualche modifica ad personam allo strumento urbanistico vigente poco trasparente». Insorge anche Italia Nostra che spiega che in questo modo diventerebbero sanabili tutti gli abusi commessi dal 94 (anno del Condono varato dal governo Berlusconi) ad oggi.
Intervistato dal Mattino per un commento il senatore pentastellato si difende spiegando che «è soltanto una proposta che abbiamo lanciato su Rousseau il provvedimento sarà oggetto di successive valutazioni, non c’è niente di definito».
In una nota diffusa oggi il senatore M5S fa sapere di aver ritirato il DDL (il sito del Senato non ha ancora aggiornato il dato) e precisa: «Quindi nessuno può permettersi di montare polemiche, accuse e speculazioni contro il Movimento 5 Stelle. L’ho ritirato proprio per evitare queste conseguenze. Si trattava semplicemente di una proposta aperta al dibattito pubblico sulla nostra piattaforma Rousseau, un contributo personale che poteva eventualmente essere utile al confronto sui temi urbanistici. Peraltro male interpretato dal titolo del quotidiano campano, perchè definirlo un ‘maxi condono’ è semplicemente una falsità , per nulla corrispondente al testo della legge».
Non si capisce quindi se si tratta di un contributo personale o di una proposta aperta al dibattito su Rousseau.
Nel secondo caso non è chiaro come una semplice proposta sul “sistema operativo” del M5S sia finita per diventare un DDL presentato al Senato.
Sul fatto che non sia un maxi condono basti leggere queste poche righe della relazione di presentazione del DDL:
Si ritiene pertanto più equo prevedere l’ipotesi della conformità dell’intervento abusivo realizzato alla sola disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda applicando una diversa e più onerosa sanzione. Se l’intervento risulta conforme solo alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda, il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento dell’oblazione.
Insomma basta pagare e se l’abuso è conforme alla disciplina urbanistica vigente — che ha il “difetto” di poter essere modificata da chi è in carica in quel momento secondo convenienza — allora l’immobile, sia ad uso di edilizia privata sia ad uso commerciabile è sanabile.
Ma la memoria non può non tornare a quando Luigi Di Maio spiegava la vicenda degli abusi edilizi nella casa di famiglia a Pomigliano d’Arco dicendo che tutto era stato fatto in conformità ad una legge del 1942 in vigore quando venne costruita la prima parte della casa e sorvolando sul fatto che poi nel 1985 la casa risultasse abusiva e a tutte le altre vicende che hanno visto coinvolta la famiglia del vicepremier.
Trasparenza e onestà vorrebbero che per evitare sospetti e insinuazioni si evitasse di andare a toccare la normativa sugli abusi edilizi.
Poi ci sarebbe anche una valutazione più prettamente politica: perchè su Rousseau è stata lanciata una proposta per rendere più facili i condoni e le sanatorie?
Non bisogna dimenticare che se una casa è considerata abusiva lo è anche in virtù del fatto che magari è costruita in un posto dove è fatto divieto a costruire, con tutti i rischi del caso.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 28th, 2019 Riccardo Fucile
IL SENSO DEI GRILLINI PER IL RISPETTO DELLE LORO STESSE REGOLE
Giulia Sarti si è autosospesa dal MoVimento 5 Stelle. Lo ha fatto per la seconda volta in relazione alla vicenda Rimborsopoli e ai poco meno di 20mila euro di “restituzioni” mancanti. Soldi che — in nome della trasparenza e dell’onestà — non ha ancora saputo spiegare dove siano finiti.
La decisione di autosospendersi è stata presa per tutelare il M5S perchè, come diceva in una chat all’epoca dello scandalo sui rimborsi «Il Movimento viene prima di qualsiasi altra cosa per me. Ditemi se devo fare un post o un video per sospendermi o per autoaccusarmi di coglioneria».
Ma cosa ne pensano gli elettori grillini? Sono tutti a chiedere l’espulsione o magari addirittura le dimissioni da parlamentare per aver tradito la fiducia degli italiani?
Come al solito gli elettori e i simpatizzanti del M5S quando si tratta di vicende che riguardano i “loro” si scoprono improvvisamente garantisti.
Non è infatti possibile mettere sotto accusa chi ha scelto di candidare la Sarti, e chi ne ha accettato il rientro nel gruppo pentastellato una volta eletta. Non si può fare perchè quelle persone sono i leader del MoVimento.
Qualcuno che se la prende con la Sarti c’è.
Ma più che altro per il “danno d’immagine” e per aver consentito ai giornaloni di attaccare il M5S. Il problema dell’onestà — reale o percepita — non entra nemmeno a far parte del dibattito.
Anche perchè qualche altro duro e puro fa notare subito come la deputata riminese non abbia rubato soldi ai cittadini, non sia stata arrestata, non vada a cena con mafiosi e non abbia nemmeno qualche villona.
Insomma il fatto di aver mentito agli elettori e ai vertici del MoVimento non è poi così grave. Non è nemmeno grave il fatto che grazie a questo comportamento sia stata rieletta. Perchè tanto ci penseranno i probiviri a risolvere la questione e il partito di Grillo&Casaleggio potrà andare avanti fino al prossimo scandalo.
Anzi, la vicenda diventa un pretesto per ribadire l’onestà del M5S.
Al contrario di come fanno a destra e a sinistra nel M5S persone così vengono espulse. Poco importa che al momento la Sarti si sia autosospesa (quindi lo abbia fatto di sua spontanea volontà e non per un’azione da parte dei vertici) e che fino ad oggi nel MoVimento degli onesti e dei trasparenti nessuno avesse messo in dubbio la sua versione dei fatti accettando pacificamente le sue giustificazioni.
Un doppio standard di trattamento rispetto a quello imposto agli altri parlamentari della Rimborsopoli pentastellata.
Se sull’onestà della Sarti non ci si pronuncia perchè ormai la questione è risolta (ma avrebbe dovuto essere già risolta) e quella del M5S non può essere assolutamente messa in discussione allora cosa resta?
La pacifica accettazione del fatto che i vertici sanno sempre e meglio di tutti agire per il bene del MoVimento. In barba al principio fondante dell’uno vale uno e del controllo degli elettori sugli eletti. L’attivista ha ormai abdicato al suo ruolo di sorvegliante. Troppo faticoso. Troppo doloroso.
Non resta che prendersela con gli altri. Mai come ora è il momento di far sentire alto e chiaro il liberatorio grido e allora il piddìì e fare quadrato attorno al M5S.
C’è chi se la prende con Myrta Merlino “colpevole” di parlare di rimborsopoli quando tutti sanno che si tratta di versamenti volontari e che quindi dopotutto non c’è nulla di male se uno volontariamente decide di non farli più.
E non manca quello che ci spiega che Cairo (l’editore de La 7) da tempo punta ad entrare in politica ed invita all’ennesimo boicottaggio.
Dal boicottaggio all’ipotesi di complotto contro il M5S il passo è breve, ma la spiegazione ahinoi è lunghissima.
Un utente del gruppo dei sostenitori della Raggi la affida ad una lunga lettera al vicepremier Di Maio dove mette in chiaro fin da subito che la Sarti è una donna “di cui è difficile immaginare qualcosa di riprovevole”. Anzi: è una vittima.
Segue poi una straordinaria lista di tutti i poteri forti e fortissimi che da quando hanno ricevuto la dichiarazione di guerra del M5S hanno deciso di aggredire il MoVimento 5 Stelle “trasformando artatamente anche i più futili motivi in crimini contro lo Stato”.
Nel lungo elenco non mancano tutti i politici degli ultimi vent’anni e potentissimi come i Rothschild e le èlite massoniche che hanno in progetto di imporre un nuovo ordine mondiale. Cosa può fare la povera Sarti contro questo genere di potentati? Ovviamente nulla.
E poi, in fondo, non ha mica rubato nulla a nessuno!
(da “NextQuotidiano”)
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