Marzo 4th, 2019 Riccardo Fucile
IL PROGRAMMA PER UN NUOVO RINASCIMENTO DELL’EUROPA CONTRO CHI LA VUOLE DISTRUGGERE
Il presidente francese, Emmanuel Macron, è tornato a invocare una riforma dell’attuale assetto
europeo per far fronte alla ventata di nazionalismi che lo minacciano.
In una lettera aperta agli europei pubblicata sui quotidiani del Vecchio Continente, l’inquilino dell’Eliseo ha delineato la sua “roadmap per un Rinascimento europeo”, esortando a mettere mano all’area Schengen, al fine di ristabilire “la libertà in sicurezza”.
“L’Europa non è mai stata così necessaria dalla Seconda Guerra Mondiale e non è mai stata così in pericolo”, ha sottolineato.
Macron ha sostenuto la creazione di “una polizia di frontiera comune e un ufficio europeo per l’asilo, obblighi rigorosi di controllo, una solidarietà europea alla quale ogni Paese contribuisce sotto l’autorità di un Consiglio europeo di sicurezza interna”.
“Il confine è libertà in sicurezza”, ha sottolineato il presidente francese, esortando a “rivedere lo spazio Schengen: tutti coloro che vogliono partecipare devono adempiere agli obblighi di responsabilità (rigoroso controllo delle frontiere) e solidarietà (la stessa politica di asilo, con le stesse regole di accoglienza e respingimento)”.
Tra le proposte avanzate, il presidente francese si è anche espresso a favore di una “protezione sociale” che garantisca “per i lavoratori, dell’Est e dell’Ovest, del Nord come del Sud” una “stessa remunerazione sullo stesso luogo di lavoro e un salario minimo europeo, adattato a ciascun Paese”.
Macron ha anche esortato l’Ue a mettersi in prima fila nella lotta al cambiamento climatico, proponendo la creazione di “una banca europea del clima” per finanziare la transizione ecologica, e di una forza sanitaria comune per “rafforzare i controlli” sugli alimenti.
Infine, in vista delle elezioni europee di maggio, Macron ha suggerito la realizzazione di “un’agenzia europea per la protezione delle democrazie” che “fornirà esperti Ue a ciascuno Stato membro per proteggere il proprio processo elettorale contro cyber-attacchi e menipolazioni”.
(da agenzie)
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Marzo 4th, 2019 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA DI MILENA GABANELLI: IN UN ANNO 3851 RIMPATRI, CONTRO I 3969 DI MINNITI
Facile fare propaganda elettorale, promettendo di riempire gli aerei. Passare però ai fatti e molto più complicato, per motivi che gran parte degli elettori di Salvini non immagina nemmeno e che il Capitano ovviamente si guarda bene dal divulgare.
Milena Gabanelli, nell’ultimo articolo sulla rubrica del Corriere della Sera Dataroom, spiega bene come funziona il rimpatrio secondo la legge italiana e, soprattutto, svela un dato che potrebbe non piacere ai fan del Capitano: da quando è al governo, Salvini ha rimpatriato 3.851 irregolari. Nello stesso periodo di tempo, Marco Minniti ne aveva rimpatriato 3.968.
Non solo è un numero maggiore, anche se di poco.
Il punto è che è difficile discostarsi da questi numeri, per due ragioni:
La prima è che per rimpatriare un immigrato è fondamentale che il paese d’origine lo riconosca come cittadino. Servono quindi degli accordi con gli Stati che dovrebbero riammettere questi irregolari in Italia.
Il nostro Paese ha accordi con Marocco (non c’è un accordo, ma un’intesa di collaborazione tra i consolati), Nigeria (attivo però solo dal 2011), Egitto e Tunisia.
Ma il grosso degli immigrati proviene dall’Africa subsahariana (Algeria, Senegal, Sudan e Gambia), e con quei paesi l’Italia non ha accordi di alcun tipo.
Per questo è impossibile rimpatriare queste persone, perchè non sanno fisicamente dove andare.
C’è tra l’altro un secondo problema: le cosiddette ‘rimesse’ sui soldi che gli immigrati, anche irregolari, mandano a casa dalle loro famiglie.
Le rimesse compongono, per alcuni di questi paesi africani, una parte importante del Pil nazionale.
Quindi, non solo l’Italia (e anche Francia e Germania) non ha accordi con questi paesi, ma sono loro che non hanno alcun interesse a riprendersi queste persone come cittadini, perchè sarebbe una perdita economica ingente.
(da Globalist)
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Marzo 4th, 2019 Riccardo Fucile
EFFETTO ZINGARETTI : IL CROLLO NEI SONDAGGI, L’OFFENSIVA SULLA TAV , IL PLEBISCITO… IL NUOVO LEADER PD PASSA LA SUA PRIMA GIORNATA LONTANO DAI RITUALI ROMANI
La reazione è tipica di chi ha accusato il colpo. 
Luigi Di Maio, neanche ventiquattr’ore dopo il “risveglio democratico” del popolo del centrosinistra, reagisce, cerca una mossa, perchè la “botta” c’è, ed è innegabile.
Solo un cieco non riuscirebbe a vedere che, in quei gazebo, sono andati anche tanti delusi dei Cinque Stelle, e la portata della reazione al governo gialloverde, diventato in questi mesi più verde che giallo.
Esattamente un anno fa, il 4 marzo, lo tsunami nelle urne aveva alimentato la suggestione di un nuovo bipolarismo, tra Lega e Cinque Stelle, con la sinistra condannata all’estinzione o a un ruolo gregario.
E, per un anno, è stato solo un gioco a due, complice l’afonia del Pd e le sue contorsioni politiciste.
Gioco a due, anche se con un ribaltamento dei rapporti di forza tra i due partiti di maggioranza: la marcia trionfale di Salvini, la rapida agonia, politica e numerica, di Di Maio.
Oggi il leader dei Cinque Stelle, dopo il plebiscito di Nicola Zingaretti, si affretta a formulare una proposta, chiedendo a quel partito dato per morto, e trattato sprezzantemente come tale, di votare per il “salario minimo”, legge che proprio il Pd aveva depositato a luglio dell’anno scorso, prima ancora dei Cinque Stelle. E fa anche sapere che metterà mano, a un altro tema sociale, i “riders”.
È un modo per uscire dall’angolo, annusare l’avversario, tentare un recupero a sinistra, di fronte a un cambio di pagina e una ripresa dell’iniziativa politica.
Col segretario del Pd che sceglie, per la sua prima uscita, il tema che più di ogni altro rappresenta una ferita per il governo.
Recupero, questa la parola chiave, con i sondaggi che, per la prima volta, attestano che il Pd è attorno al 20 per cento, a soli due punti dai Cinque Stelle.
Si spiega così il gioco politico attorno al salario minimo, per poi dire, di fronte a un no che alcuni nel Pd si sono già affrettati a comunicare, “ci hanno detto no perchè i gruppi li controlla ancora Renzi”, un cognome che finora è stato una assicurazione sulla vita, il nemico di sempre, già battuto, e provare a oscurare la novità .
È evidente che c’è un “effetto Zingaretti”. Dopo un anno di gioco a due è tornato un gioco a tre, col Pd nuovamente attore grazie a una poderosa spinta popolare.
Salvini che finora lo aveva ignorato, ora lo attacca grossolanamente, minimizzando il dato della partecipazione e piombando alla Camera di lunedì per una conferenza stampa.
Di Maio propone una “apertura tattica” su un tema di sinistra che non scalda i cuori della Lega, chiedendo consenso su una legge uguale a quella depositata dal Pd.
È chiaro l’intento: dire, di fronte a un no che, in fondo, il Pd è il Pd di sempre, e non è cambiato nulla ma, al tempo stesso, inviare un messaggio a Salvini, in termini di recupero di spazi a sinistra, che certo non mette in discussione nè il mitico “contratto” nè gli equilibri di governo.
Al fondo c’è la consapevolezza di chi sa che, dentro il suo Movimento, in parecchi vedono nel risultato del congresso, se non ora, potenzialmente l’apertura di un altro forno e di un’altra prospettiva.
Non è sfuggito il tweet con cui il presidente della Camera Roberto Fico, già nella serata di ieri, augurava buon lavoro al nuovo segretario, interpretato come un segnale politico e non solo come “galateo” istituzionale.
Ecco, questo day after non descrive una strategia compiuta nè un disegno consapevole, anzi semmai descrive da parte dei Cinque Stelle l’opposto: l’affannosa ricerca di una nuova “connessione sentimentale” con un pezzo del loro popolo che vive con disagio la mutazione genetica in “costola della Lega”.
E torna a guardare a sinistra.
La risposta, quella di Zingaretti, è da manuale: “I processi politici non si fanno con le furbizie”. Sarebbe stato stupefacente il contrario, dopo un voto che rappresenta la manifestazione di un rifiuto di questo governo e il bisogno di una alternativa radicale.
Non esiste per il neo-segretario del Pd nessuna scorciatoia parlamentare verso il dialogo con i Cinque Stelle che non passi per il fallimento di questo governo e per il ritorno al voto.
In modo caricaturale proprio Zingaretti è stato descritto, durante la campagna congressuale, come l’uomo del dialogo con i Cinque Stelle, pronto a trasformare il Pd in una stampella di Di Maio.
La verità è che il segretario del Pd, se sente un’urgenza, è quella di preparare un nuovo assetto e tornare al voto quanto prima.
Anche la sua prima giornata, lontana da Roma, dai suoi rituali, dal suo “teatrino della politica”, dalle sue conferenze stampa, dalle sue foto di rito al partito, racconta di una proiezione tutta sul paese reale.
Nel suo primo giorno ha scelto di parlare all’esterno, sulla Tav, e non ai dirigenti del suo partito, su un tema sentito dal paese.
Lo ha fatto anche con una certa forza comunicativa, con quell’aggettivo, “criminale”, associato all’atteggiamento di chi rischia di “buttare soldi” che è benzina sulle divisioni del governo.
In questo 4 marzo quello di un anno fa pare lontano un secolo.
La politica italiana ha di nuovo cambiato clima e schema.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 4th, 2019 Riccardo Fucile
IL GIOCO DEL M5S: RINVIARE TUTTO A DOPO LE ELEZIONI EUROPEE CON LA SCUSA CHE POI I BANDI POSSONO ESSERE RITIRATI… MA LA BASE GRILLINA NON E’ FESSA
A Torino, sul piazzale d’ingresso delle Officine grandi riparazioni, un treno a vapore e una locomotiva dell’Alta velocità , il vecchio e il progresso, ricordano che c’è una decisione da prendere.
Martedì mattina durante il vertice tra il premier Conte, i vice Di Maio e Salvini e il ministro Toninelli se ne inizierà a discutere ma il tempo ormai è davvero poco.
Entrando in questo enorme edificio, dove un tempo veniva riparati i treni, è sufficiente osservare la prima fila della sala del Duomo delle Ogr, dove uno stile rustico si mescola con il moderno, per capire che qui, mentre si parla di innovazione e start up, il convitato di pietra è la Tav.
La pubblicazione dei bandi di gara entro marzo appare ormai un punto fermo, anche se i 5Stelle continuano a sostenere che saranno annullati e i soldi dirottati altrove.
Una contraddizione che nella confusione generale serve a prendere tempo e a superare le elezioni Europee. Sta di fatto però che i consiglieri grillini di Torino così come il senatore Alberto Airola si ribellano a questa ipotesi minacciando di lasciare il Movimento. Ed è per questo che, in una città che ribolle, di Tav non se ne deve parlare, ma aver confermato l’evento di oggi a Torino è un segnale per rassicurare gli M5s locali.
Di fronte al palco siede Luigi Di Maio, il ministro che ha organizzato questo evento per discutere del miliardo di euro stanziato dal suo dicastero per l’innovazione e lo sviluppo: “Oggi non parliamo di Tav, parliamo di sviluppo”.
Accanto a lui il sindaco di Torino Chiara Appendino: “Con Di Maio non abbiamo parlato di Tav”. A seguire il sottosegretario Stefano Buffagni, che sin dall’inizio va ripetendo che “oggi si parla di futuro” e infine il viceministro all’Economia Laura Castelli, torinese, un tempo ‘no-Tav’ per eccellenza, adesso in rigoroso silenzio. Davide Casaleggio in piedi: “Parlo solo di innovazione”.
Il tenore è questo nella città guidata dall’M5s Chiara Appendino. “Noi siamo nati No-Tav e tali resteremo. Non siamo noi a dover rinunciare al simbolo M5s perchè casomai sono i vertici che hanno tradito”, dice la capogruppo pentastellata in consiglio comunale Valentina Sganga contattata al telefono e che da queste parti non si è vista.
“Guardate che noi non siamo contrari all’Alta velocità , siamo contrari alla Torino-Lione”: il deputato M5s Luca Carabetta, piemontese che conosce bene il dossier, tra i primi ad arrivare a quest’evento sull’innovazione, si affanna a precisare il concetto nel giorno in cui però è vietato parlare di Tav. L’ordine di scuderia è tenere basso l’argomento per valorizzazione i contenuti della presentazione del Fondo nazionale per l’innovazione da un miliardo di euro in tre anni che, sotto la garanzia della Cassa depositi e prestiti, servirà a incentivare tecnologia e start up in Italia.
Di Maio si è soffermato il meno possibile a parlare di Tav, piuttosto ha parlato di start up con gli invitati, circa cento persone tra cui dirigenti di Fincantieri, Enel, Ibm, Enea, Intesa San Paolo e Unicredit. Poi con il sindaco Appendino è salito su un’auto elettrica a guida automatica ed è fuggito via.
Nessun incontro con i consiglieri perchè in fondo – viene spiegato da fondi locali – non c’è bisogno di ribadire una posizione già nota.
E il primo cittadino appare piuttosto ferma e decisa nel passare la palla all’esecutivo: “Ora sulla Tav è il tempo delle scelte, su questo non c’è dubbio. Il governo deve decidere, il mio auspicio è che questa decisione venga presa, in modo che sia fatta chiarezza. Bisogna rispettare il percorso che stanno facendo le due forze di maggioranza. È una scelta politica nazionale e internazionale”.
Il dossier viene quindi lasciato nella mani dell’esecutivo e domani si dovrebbe chiudere il cerchio. Soprattutto ora è necessario far digerire ai consiglieri M5s di Torino la decisione della pubblicazione dei bandi che appare ormai un fatto assodato.
“Stiamo discutendo con loro e li convinciamo”, spiega una fonte ben informata. In sostanza è stata chiesta una tregua di due o tre mesi, il tempo di superare la campagna elettorale delle Europee.
Campagna elettorale che gli M5s, se dovessero parlare di Tav, porteranno avanti sostenendo che i soldi europei, che grazie alla pubblicazione dei bandi non andranno persi, saranno destinati alla seconda canna del Frejus, quindi a un’altra opera e non alla Tav.
Ipotesi quanto mai improbabile ma che serve a tenere buona la basa.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 4th, 2019 Riccardo Fucile
COSA I POLITICI NASCONDONO DIETRO LO SPECCHIETTO DELL’AUTONOMIA: DEPREDARE IL SUD
“I primi nemici del Sud sono i meridionali che si oppongono all’autonomia…”. Come regione
vogliamo solamente gestire le risorse che oggi lo Stato gestisce in Lombardia. Questo il senso delle parole del presidente lombardo Attilio Fontana su Rai Tre nella trasmissione Mezz’ora in più.
Poco prima la direttrice Lucia Annunziata sosteneva di non essere persuasa sul regionalismo differenziato.
I meridionali fanno bene a non essere persuasi: lo dimostrano chiaramente il Professor Adriano Giannola, Presidente della Svimez, e il Professor Gaetano Stornaiuolo nel saggio “Un’analisi delle proposte avanzate sul “federalismo differenziato” pubblicato sull’ultimo numero della Rivista Economica del Mezzogiorno.
Oggi il governo nazionale gestisce 751,9 miliardi di imposte e contributi sociali pagati dai cittadini italiani.
Quei 751 miliardi si ridurrebbero di 190 miliardi.
Il 25% di riduzione delle casse del governo nazionale quindi dello Stato. E 190 miliardi in più nelle casse di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna.
Questo accadrebbe se passasse l’ipotesi di regionalismo differenziato sostenuta dalla regione Veneto, ovvero se ogni regione a statuto ordinario trattenesse sul proprio territorio il 90% del gettito riscosso nel proprio territorio delle imposte erariali (IRPEF, IRES e IVA).
In tabella è bene evidenziato come si arriva al valore di 190 miliardi in meno per la casse dello Stato. Come ricordato dal Professor Carlo Iannello sul sito Economia e Politica, la regione Veneto, dopo l’approvazione del referendum del 22 ottobre 2017, ha adottato una deliberazione il 15 novembre del 2017 che contiene una proposta di legge statale: ebbene secondo tale proposta il 90 per cento delle principali imposte erariali riscosse entro i confini amministrativi del Veneto dovrebbero restare alla regione.
Bene, qualora si applicasse tale proposta a ogni regione a statuto ordinario, per i cittadini delle tre regioni più ricche, veneti, emiliani e lombardi, ci sarebbero 190 miliardi in più.
E ci sarebbero 190 miliardi in meno per i cittadini delle altre Regioni. Sarebbe la fine della scuola statale, della sanità statale e di qualunque politica del Governo su infrastrutture e sviluppo con una regia nazionale.
Considerata l’entità dell’ammanco che si verificherebbe nella casse dello Stato si pongono una serie di questioni politiche:
1) Perchè nessun Presidente di Regione del Sud ha proposto un ricorso alla Corte Costituzionale contro ognuno dei tre accordi raggiunti con il Governo dalle Regioni Veneto, Emilia Romagna e Lombardia?
Lo ha spiegato bene il professor Massimo Villone nella tavola rotonda organizzata da Articolo Uno alla quale ho partecipato con il direttore della Svimez Luca Bianchi e l’On. Federico Conte il 16 febbraio a Roma: secondo Villone, i Presidenti meridionali non si opporranno al regionalismo differenziato perchè avranno più risorse da gestire direttamente tramite i governi regionali malgrado le risorse complessive sui territori delle regioni meridionali diminuiranno; concretamente meno risorse complessive gestite da Governo nazionale e regioni per i cittadini meridionali sui territori regionali del sud, ma più risorse gestite direttamente dalle regioni meridionali, ergo più potere diretto per i Presidenti, ergo nessuna opposizione dei Presidenti meridionali al regionalismo differenziato.
2) Come mai nessuno dei tre candidati (Nicola Zingaretti, Maurizio Martina e Roberto Giachetti) alle primarie del PD ha dichiarato di opporsi al regionalismo differenziato?
Perchè la trattativa sui tre accordi con le tre regioni ricche l’ha iniziata il Governo Gentiloni, perchè il PD emiliano con il presidente dell’Emilia Romagna Bonaccini guida la “secessione dei ricchi” con il presidente veneto Zaia e il presidente lombardo Fontana e perchè il PD lombardo, con l’eccezione del sindaco di Milano Sala, concorda con la Lega.
3) Come mai solo nelle ultime settimane i Ministri M5S hanno mostrato contrarietà al regionalismo differenziato? Perchè la secessione del ricco Nord, è l’unico vero obiettivo che ha consentito la sottoscrizione del contratto di Governo da parte di Lega e M5S e la nascita dell’esecutivo Conte. Lo ha spiegato bene Adriano Giannola.
Inoltre, poichè i due contraenti hanno asimmetriche capacità di analisi, poichè il ministro Erika Stefani è stata tecnicamente molto abile, solo nelle ultime settimane esponenti M5S al Governo hanno mostrato contrarietà al regionalismo differenziato.
Vediamo come si arriva al valore dei 190 miliardi in meno per il Governo nazionale analizzando la tabella elaborata da Giannola e Stornaiuolo nel loro saggio. La Svimez ha elaborato i dati del 2015 dell’Agenzia per la Coesione Territoriale riportati dai CPT (Conti Pubblici Territoriali).
Nelle colonne numero 1, 2, e 3 è rappresentata la situazione vigente, nelle colonne 4, 5 e 6 la situazione ex post proposta dalla Regione Veneto, e, nella penultima colonna la conseguente riduzione di 190 miliardi delle risorse amministrate dallo Stato nell’ipotesi proposta dal Veneto.
Vediamo analiticamente:
1) per la Lombardia nella situazione vigente la quota di risorse delle imposte e dei contributi sociali gestita dalle Amministrazioni Centrali è pari a 166,3 Miliardi; scenderebbe ex post nella situazione proposta dal Veneto a 59,97 miliardi, calando quindi di 106 miliardi; simmetricamente le risorse gestite dalla Regione Lombardia passerebbero da 10,27 a 116,6 miliardi: 106,3 miliardi in più!
2) per il Veneto nella situazione vigente la quota di risorse delle imposte e dei contributi sociali gestita dalle Amministrazioni Centrali è pari a 67,29 miliardi; scenderebbe ex post nella situazione proposta a 26,12 miliardi, calando quindi di 41,17 miliardi; simmetricamente le risorse gestite dalla Regione Veneto passerebbero da 6,37 miliardi a 47,54 miliardi: 41,1 miliardi in più!
3) per l’Emilia Romagna nella situazione vigente la quota di risorse delle imposte e dei contributi sociali gestita dalle Amministrazioni Centrali è pari a 69,36 miliardi; scenderebbe ex post nella situazione proposta dal Veneto a 26,32 miliardi, calando quindi di 43,03 miliardi; simmetricamente le risorse gestite dalla Regione Emilia passerebbero da 4,86 a 47,89 miliardi: 43,03 miliardi in più! Vediamo ora il senso politico di redistribuzione dai ricchi ai poveri contenuto nella proposta veneta.
Oggi i cittadini delle regioni ricche ricevono risorse e servizi pari ad un valore molto inferiore alle imposte e ai contributi sociali pagati nei loro territori poichè gran parte di quelle risorse finanziano il fondo perequativo erogato per le Regioni più povere.
Al contrario, nella situazione ex post proposta dal Veneto, la Lombardia avrebbe 106,32 miliardi in più, il Veneto 41,17 miliardi in più e l’Emilia Romagna 43 miliardi in più: in tutto 190 miliardi per veneti, emiliani e lombardi. Nel contempo mancherebbero 190 miliardi al governo nazionale: come potrà il Governo finanziare il fondo perequativo per le regioni più povere mancando 190 miliardi?
Per Giannola e Stornaiuolo, non potendo fare deficit, lo Stato ridurrà necessariamente le risorse per i servizi sanitari, sociali, culturali e le infrastrutture delle regioni più povere. Parliamo di una riduzione di 190 miliardi di imposte e contributi sociali a disposizione dello Governo nazionale su un valore complessivo attuale di 751 miliardi. Il 25% in meno. Rozzamente significa chiudere un’università , un ospedale o una scuola su 4 al Sud.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 4th, 2019 Riccardo Fucile
L’OLIMPIONICO DI NUOTO, QUASI MINISTRO GRILLINO: “NON COLLABORO A NULLA, A TONINELLI CONSIGLIEREI UN PO’ DI UMILTA'”
Il Movimento 5 stelle lo aveva chiamato nelle sue fila e indicato come possibile ministro dello Sport, con tanto di presentazione sul palco prima delle elezioni.
Da allora tanto tempo è passato, è nato il Governo gialloverde ma non c’era spazio per lui, il suo progetto per lo sport di base è stato accantonato e lui non nasconde il malumore per l’andazzo.
Domenico Fioravanti, medaglia d’oro alle Olimpiadi nel nuoto, non lesina critiche alle politiche sullo sport, affidate al sottosegretario alla Presidenza Giancarlo Giorgetti, la cui riforma, spiega, “ha il solo intento di ridurre il potere del Coni”.
“Quando mi sono relazionato ai vertici dei Cinque Stelle ho espresso, da uomo di sport, il mio pensiero. C’era in ballo un progetto molto interessante legato allo sport di base, alle scuole primarie, ai più piccoli, dedicando l’attenzione ai docenti e ai laureati in scienze motorie. Sta di fatto che adesso non collaboro a nessun progetto”.
Fioravanti si dice “favorevole” al reddito di cittadinanza “ma solo se non comporta fregature per chi è più onesto o spese supplementari per lo Stato”.
E alcune cose, come il boom di cambi di residenze, non lo convincono. È anzi scettico sull’esito di molte promesse politiche, che non sarà semplice mantenere: “Difficile, difficile. Se riescono a mantenerne un paio sarebbe un risultato importante. Io spero di sbagliarmi”.
Tutto questo sta pesando sul Movimento 5 stelle.
“I cittadini hanno votato noi dei Cinque stelle perchè stufi della vecchia politica. Se però non portiamo a casa i risultati sperati e commettiamo gli stessi errori, alle Europee c’è il rischio di prendere una bella batosta”.
Tra gli errori, alcune gaffe dei ministri, in primis Danilo Toninelli.
“Da cittadino alcune esternazioni mi hanno lasciato perplesso. Un po’ di umiltà non guasterebbe. A me hanno insegnato che quando non si è sicuri al 100% di una cosa, meglio tacere e sembrare stupidi che aprir bocca e togliere ogni dubbio”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 4th, 2019 Riccardo Fucile
“DI MAIO NON HA MANTENUTO LE PROMESSE, SI STA DIFFONDENDO LA CULTURA DELL’ODIO”
Lui è Lorenzo Battista, triestino, ex senatore del M5s tra i primi ad essere espulsi dal MoVimento
perchè aveva più volte manifestato il suo dissenso e la sua critica verso atteggiamenti settari e di poca democrazia interna. Successivamente aveva sostenuto la maggioranza della passata legislatura. §
Battista, come ex militante ed ex parlamentare ‘grillino’ conosceva molti meccanismi della vita interna ed è stato lui, con il collega Fabrizio Bocchino, a dare le indicazioni alle Iene per l’inchiesta sulle false restituzioni che è nuovamente riesplosa dopo le dimissioni e la possibile espulsione di Giulia Sarti.
Vede una differenza tra M5s della scorsa legislatura all’opposizione e quello di adesso al governo?
Un elemento di continuità c’è? Dicono una cosa e ne fanno un’altra
Tipo?
Mi ricordo una riunione nella quale Orellana (Luis Orellana, senatore M5s poi espulso dal gruppo) diceva che le alleanze non dovevano essere più un tabù. Poco dopo il predecessore di Rocco Casalino, ossia Messora, fece un post nel blog di Grillo nel quale si parlava dei nuovi Scilipoti. Poi si è visto quello che è successo con l’alleanza con Salvini e il dibattito che si è aperto dopo le ultime votazioni.
A proposito dell’alleanza con Salvini, molti elettori del MoVimento avevano una sensibilità di sinistra. E’ possibile che questi provvedimenti dal sapore xenofobo possano portare via consensi?
Chiariamo subito una cosa: sui migranti e sugli aiuti ai migranti il M5s non ha mai avuto un’idea propria. Sa come facevano?
Come?
Seguivano i trend su Facebook e gli altri social. Quando hanno capito che il sentiment era negativo si sono accodati. E quindi si sono schierati contro i migranti. Basti ricordare che la teoria secondo la quale le Ong erano i taxi del mare Di Maio la tirò fuori quando stava ancora all’opposizione.
Quindi aver appoggiato Salvini sulla vicenda della Diciotti non è stato difficile…
Quella vicenda è anche figlia del fatto che questo governo è incapace di gestire i rapporti internazionali. Il ministro degli esteri è Moavero ma che può fare se non ha potere politico? Lui deve rispondere a Salvini e Di Maio. Arriviamo così al paradosso che il governo attacca i paesi che potrebbero darci una mano e poi incensa Orban e quelli del gruppo di Visegrad che sostengono che i migranti non sono affar loro, danno solidarietà zero. Non sono in grado. Salvini, oltre a dichiarazioni a effetto, quanti rimpatri ha fatto rispetto a quelli che aveva promesso? Praticamente nulla. Questi sono i risultati quando si è incapaci di avere relazioni internazionali.
Quindi lei nota un’incapacità di fondo?
Parlando dei 5 stelle quando erano all’opposizione era tutto facile. Era facile urlare, era facile attaccare tutto e tutti. Ma poi le cose cambiano. Io mi ricordo quando gli altri governi mettevano la fiducia gli strepiti, i bavagli, le denunce politiche. E adesso loro che fanno se non lo stesso o anche peggio?
Qualcuno imputa al calo di consensi del ‘grillini’ anche il fatto che avevano promesso di portare al governo grandi personalità autorevoli e competenti e poi ci sono Di Maio, Toninelli e Laura Castelli. Può essere un problema?
Può essere. La figura di Toninelli non la capisco: nella precedente legislatura, pur combinando pasticci e in forma discutibile, si era occupato di affari costituzionali. Gli hanno dato un dicastero importante di cui non sa nulla. Lo ritengo un ingenuo ad aver accettato e che non ha messo a frutto l’esperienza che aveva maturato. Quanto a Laura Castelli è ancora peggio perchè ha l’aggravante di essere stata 5 anni in commissione bilancio.
E Di Maio?
Il suo lo ritengo un caso politico. In passato non è stato in grado di controllare cosa accadesse dentro al Movimento, come il caso delle false rendicontazioni ha ampiamente dimostrato. Poi è un accentratore. Oltre ad essere il capo politico si è preso due ministeri ed in uno non ha lai minima esperienza non avendo mai lavorato.
Salva nulla del governo M5s-Lega?
Non mi piace. Non mi piace questa cultura dell’odio. Non mi piace l’approccio propagandistico di dare risposte facili a problemi complessi.
E per il futuro cosa di augura?
Sarebbe bello un fronte progressista ma con posizioni diverse e persone nuove rispetto a prima. Al momento io sono tornato al mio lavoro e mi considero un potenziale astenuto anche se spero in qualche novità ,
Passiamo allo scoop delle Iene sulle false restituzioni, di cui è stato uno degli artefici. Cosa l’ha spinta?
Diciamo un’operazione verità di cui abbiamo discusso con Fabrizio Bocchino (ex senatore M5s espulso la scorsa legislatura con Battista, ndr) e che ci sembrava utile per far crollare questo muro di ipocrisia che c’è intorno al M5s.
Che avete fatto?
Ci siamo fatti delle domande, eravamo a conoscenza di alcune voci, con pazienza e con un lungo lavoro siamo riusciti ad avere la lista dei movimenti (solo gli importi e la data operazione) del conto sul Mef e li abbiamo incrociati con quelli caricati su tirendiconto.it. E lì solo saltati fuori gli altarini.
Anche se qualche grillino ha parlato di complotto ordito dai servizi segreti, Di Maio ha ringraziato le Iene. Come considera la risposta data dai vertici a questo scandalo?
Deludente
E perchè?
Alla fin fine hanno cacciato chi volevano cacciare, tipo Cecconi, Buccarella e altri e salvato chi volevano salvare, come Barbara Lezzi e Giulia Sarti. Lo penso perchè la giustificazione della Lezzi non sta in piedi: lei sostiene di aver fatto il bonifico che poi sarebbe stato revocato dalla banca. Ma tutti sanno che una banca non revoca un bonifico fatto allo sportello. Al limite, se non ci sono i soldi a copertura, non lo fa partire. Per carità , si tratta solo di 3.500 euro e non di cifre ben più consistenti. Ma M5s poteva verificare meglio, non lo ha fatto. Non solo hanno preso per buona la giustificazione della Lezzi ma l’hanno nominata ministra. Idem Giulia Sarti. Era evidente che ci fosse un pasticcio. Ma le hanno creduto e addirittura l’hanno fatta eleggere presidente della commissione Giustizia della Camera. Ora si è visto….
Per questo considera Di Maio deludente?
Se lo ricorda Di Maio quando scoppiò il caso? Disse che i responsabili una volta eletti avrebbero dovuto dimettersi da parlamentari o li avrebbe trascinati in tribunale per il danno all’immagine. Ma stanno tutti lì e al momento nessuno ha notizia di cause intentate dal M5s nei loro confronti. Perchè Di Maio non dice se le ha fatte? Le elezioni ci sono state un anno fa. Però lo capisco: andare da Barbara d’Urso a fare dichiarazioni roboanti è facile. Poi passa il tempo, non succede nulla e la gente dimentica. Dimentica facilmente. Io penso che molti si terranno questo governo senza avere più entusiasmo, almeno fino a quando non sarà costretto a mettere le mani nelle tasche degli italiani. Se dovesse aumentare l’Iva o la benzina allora tutto potrebbe cambiare.
(da Globalist)
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Marzo 4th, 2019 Riccardo Fucile
CHE FINE HA FATTO LA POLITICA FRANCESCANA? A DI MAIO & CO. RESTANO IN TASCA 10.000 EURO AL MESE
Cinque anni fa Luigi Di Maio e compagni entravano in Parlamento con la ferma intenzione di aprirlo come una scatoletta di tonno.
Non è successo, anzi lo scandalo Rimborsopoli, tornato di recente alla ribalta delle cronache a causa della vicende riguardanti la deputata M5S (autosospesa) Giulia Sarti ha dimostrato che la trasparenza non esiste.
In teoria la questione delle spese dei parlamentari del MoVimento dovrebbe essere l’esempio del funzionamento del panopticon pentastellato: i portavoce che dimostrano come utilizzano i soldi pubblici. Non è così. Non lo è stato durante la scorsa legislatura e non lo è nemmeno ora.
Tirendiconto, il sito ufficiale dei rendiconti a 5 Stelle è tornato online con il nuovo sistema di rendicontazione.
La principale novità è, incredibile a dirsi, la pressochè totale assenza di trasparenza. Mentre durante la scorsa legislatura era possibile sapere come deputati e senatori del M5S spendevano i soldi della diaria (ad esempio quanto finiva per le spese dell’affitto o del telefono e quanto per pranzi e cene) ora la musica è cambiata.
A giugno infatti il MoVimento ha emanato un nuovo regolamento per il calcolo di rimborsi e restituzioni che ha lo scopo di “offuscare” i dati dei famosi scontrini a favore di un meccanismo semplificato dove sappiamo quanto spendono i parlamentari pentastellati ma non per cosa spendono.
Tra le poche eccezioni ci sono i contributi, obbligatori, per il mantenimento di quel colabrodo che è Rousseau e le spese per i portavoce degli eletti.
In base al nuovo regolamento infatti i 5 Stelle potranno portarsi a casa uno stipendio di 3.250,00 euro netti mensili (i parlamentari prendono un’indennità pari a 4.800 euro netti). Al fondo per il microcredito e alle “restituzioni” da regolamento deputati e senatori dovranno versare un importo pari a duemila euro al mese.
Per quanto riguarda le spese telefoniche, affitto, trasporti e quant’altro non è più necessaria una rendicontazione puntuale ma è sufficiente non superare la quota “forfettaria”.
Che per i parlamentari residenti a Roma e provincia è pari a 2.000 euro al mese, per quelli da fuori Roma invece è pari a 3.000 euro al mese.
Non è quindi più possibile sapere come vengono spesi quei soldi.
E basta scorrere i dati delle rendicontazioni per scoprire come i parlamentari a 5 Stelle generalmente riescano a spendere tutta la quota forfettaria spettante.
Altra novità : non è più possibile prendere visione delle distinte di versamento delle restituzioni, i famosi bonifici con le date cambiate, cancellate quando non fatti annullare successivamente alla stampata.
Sappiamo solo a che mese si fermano le restituzioni. Per la quasi totalità dei deputati del M5S ad oggi (marzo 2019) le rendicontazioni sono ferme a settembre 2018.
Mancano quindi cinque mesi (su dodici) di legislatura.
E per il periodo da marzo a giugno del 2018 è presente solo la voce relativa all’ammontare della restituzione complessiva, senza una distinta per quanto riguarda spese, indennità e rimborsi.
Di fatto ad oggi su Tirendiconto sono presenti solo tre mesi “rendicontati”.
Se prendiamo ad esempio il Capo Politico (e vicepremier e bisministro) del MoVimento 5 Stelle leggiamo come Di Maio abbia incassato a settembre — tra indennità e rimborsi spese forfettarie — 6.171,21 euro.
A questi vanno aggiunti anche gli oltre quattromila euro di spese “rendicontate” (di cui milletrecento euro per i collaboratori, che non sono uno stipendio eccezionale, ma Di Maio con gli incarichi governativi ha uno staff di tutto rispetto).
In totale quindi a fronte di un totale ricevuto nel mese pari a dodicimila euro Di Maio ha trattenuto per sè (tra indennità e spese) poco più di diecimila e cinquecento euro.
Come fa quindi il vicepremier a restituire duemila euro?
Lo fa grazie ad un trucchetto contabile. Il regolamento prevede infatti che una volta tolte dallo stipendio le spese e le indennità e “restituiti” i duemila euro quello che avanza finisca in un fondo accantonamenti (non si sa bene dove sia il fondo, se su un conto a parte o sul conto corrente del singolo parlamentare).
In caso in un mese le spese superino la soglia che consente di arrivare ai fatidici duemila euro di restituzione il parlamentare potrà attingere agli accantonamenti per compensare ciò che manca.
Ci sono alcuni parlamentari molto virtuosi — è il caso del Presidente della Camera Fico — ed altri che ogni mese sono costretti ad attingere agli accantonamenti. Al punto che il saldo accantonamenti va in negativo.
Ad esempio è il caso della senatrice Marinella Pacifico, che a luglio 2018 non aveva alcun accantonamento, ad agosto aveva un saldo negativo negli accantonamenti di un centinaio di euro e a settembre di quasi cinquecento.
Eppure è sempre riuscita a centrare l’obiettivo dei duemila euro di restituzioni. Anche quello delle spese forfettarie “ridotte” per i romani non impedisce certo di spendere cifre da capogiro.
I duemila euro di spese forfettarie per la senatrice Taverna infatti hanno come contraltare spese per oltre settemila euro (nel mese di settembre). In totale quindi tra indennità , rimborsi spese e spese forfettarie la senatrice del Quarticciolo ci costa dodicimila euro al mese.
E non c’è nulla di illegale, immorale o sbagliato se si ritiene che la politica sia un lavoro e come tale debba essere pagato e svolto.
Ma che non ci si venga a dire che il MoVimento 5 Stelle è il partito francescano della trasparenza che fa politica a costo zero.
Perchè non è affatto così, e il nuovo sistema “tirendiconto” lo dimostra. E sempre a proposito di trasparenza: sono scomparsi i dati relativi alla scorsa legislatura con tutte le rendicontazioni puntuali e i bonifici. Perchè?
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 4th, 2019 Riccardo Fucile
L’IDEOLOGIA DELL’ISIS RESTA UNA MINACCIA DA NON SOTTOVALUTARE
Dopo cinque anni di guerra le forze curdo-arabe delle SDF (Forze democratiche siriane) hanno
ripreso il controllo della provincia di Deir el Zor, nel sud-est della Siria, e si apprestano a riconquistare gli ultimi chilometri quadrati ancora in mano all’Isis.
I jihadisti, dopo essere stati cacciati dalla roccaforte di Hajin, si sono rifugiati nei villaggi circostanti radunandosi a Baghouz, diventato teatro dell’ultima battaglia contro lo Stato Islamico.
Per sapere come procede lo scontro finale e cosa significa la sconfitta dell’Isis in Siria TPI ha contattato telefonicamente Lorenzo Dellatullo, combattente italiano nelle fila delle SDF.
Come procede la battaglia per riconquistare Baghouz?
Io adesso mi trovo ad Al Hasaka (nel Rojava, ndr), sono appena tornato da Baghouz. In battaglia non hai la possibilità di riposare nè di lavarti, per cui le squadre al fronte si danno il cambio ogni 15 giorni. La riconquista della zona di Deir el Zor è stata dura. Sembrava una striscia di terreno così piccola e facile da riconquistare, invece riprenderla è costato caro. Quando arrivai qui in Siria un anno e mezzo fa non pensavo che avrei combattuto l’Isis in quella particolare regione. Raqqa stava cadendo, io ero ancora in addestramento e tutti mi dicevano che in un paio di mesi avrebbero preso Deir el Zor, ma così non è stato. Ho preso parte alla riconquista della provincia fin dall’inizio: l’offensiva è partita dal deserto di Hajin e sta per terminare a Baghouz. All’inizio è stata davvero dura. Hajin era la roccaforte dell’Isis e ogni volta che noi attaccavamo loro rispondevano con contrattacchi in cui molti dei nostri morivano. Ricordo che tutti mi sconsigliavano di andare a Deir el Zor: una volta in un attacco dell’Isis sono morti 40 combattenti e anche la prima volta che sono andato nel deserto (di Hajin, ndr) hanno spazzato via la linea del fronte in un sol colpo. Hajin è stata la battaglia più dura, poi è andato tutto un po’ meglio.
Ad Al Susah ci sono stati parecchi scontri e alla fine era rimasta solo Baghouz da riconquistare. Parliamo di una zona grande quanto un quartiere chiusa tra noi combattenti e l’Eufrate. I miliziani dell’Isis sono intrappolati in poche case, saranno a stento due chilometri, sono asserragliati lì senza cibo nè munizioni, non hanno neanche armi buone. Un tempo non era così: i miliziani avevano le armi della Turchia, adesso hanno solo esplosivi e armamenti di poco conto. Non hanno più le forze per un vero contrattacco: in pochi giorni dovrebbe finire tutto.
Quindi anche l’Isis è finito?
L’Isis come Stato islamico è finito, anche se i miliziani più importanti sono già scappati in Turchia o a Idlib.La versione statuale dell’Isis è stata sconfitta ed è un grande risultato, ma l’ideologia sopravvive. La stessa Idlib è piena di jihadisti di diverso orientamento che alle volte si combattono, ma la mentalità rimane ed è sempre la stessa, patriarcale e fondamentalista. L’ideologia dell’Isis sopravviverà anche dopo che Baghouz sarà presa. Sarà una battaglia che ci porteremo avanti per anni.
Qual è la strategia dell’Isis nel compiere i suoi attacchi?
I miliziani dell’Isis sono molto ingegnosi, hanno ingegneri militari addestrati in Occidente che riescono a fare tanto con poco. I loro droni sono da pochi soldi, non sono certo come quelli della Turchia, ma li hanno modificati per lanciare bombe. In quest’ultima fase hanno usato anche tunnel e mine per cercare di rallentarci ed attaccarci.L’Isis poi usa i civili come scudo umano, a differenza nostra. Per entrare a Baghouz abbiamo usato gli air strike degli americani, ma nell’ultima fascia di case non potevamo farlo perchè c’erano troppe persone che abbiamo prima dovuto evacuare.
Cosa pensi del ritiro degli Usa dalla Siria?
In molti ci hanno criticato per aver accettato il supporto Usa, soprattutto i filo-Assad (il presidente siriano, ndr), ma gli Stati Uniti erano l’unico alleato possibile per il Rojava. La regione autonoma è circondata da nemici e ha bisogno di sostegno, ma le condizioni imposte dalla Russia per proteggere gli abitanti della regione erano eccessive. Mosca voleva che tutto il Rojava fosse riassorbito dalla Siria, non voleva più che usassimo le bandiere nè altri simboli della regione, rinunciando a tutto quello che abbiamo costruito fino ad oggi.
Il ritiro Usa però è stato inaspettato, gli americani avevano speso molte risorse nel supportare i curdi. Magari è solo un’uscita di Trump.
So che vogliono tenere in Siria un piccolo contingente, ma tutto dipende da dove vogliono stanziarlo: lasciarlo a Deir el Zor è inutile, se invece decidessero di posizionarlo al confine con la Turchia potrebbe essere un deterrente per Ankara.
La Turchia pensi attaccherà ?
La Turchia ha sempre detto di volerci attaccare: è contraria alla rivoluzione del Rojava, per questo siamo sotto una minaccia costante e ci stiamo organizzando per resistere come meglio potremo, anche se non è facile. Ankara ha un vero esercito, non è come l’Isis. Inoltre la Turchia sotto Erdogan è diventata uno Stato ultra-nazionalista e religioso e il presidente ogni volta che attacca i curdi guadagna voti, soprattutto in vista delle elezioni amministrative del 31 marzo. La guerra però costa e la Turchia al momento sta vivendo una forte crisi economica. Nei mesi passati Erdogan ha provato ad ammassare le truppe al confine per costringere i curdi a tornare sotto Assad ma non ha funzionato, per cui potrebbe compiere un attacco lampo di penetrazione per minacciarci ancora. Questa rivoluzione con tutti i suoi difetti è un piccolo gioiello per il Medio Oriente, soprattutto a livello umano, e per questo va difesa.
Sei in Siria da un anno e mezzo. C’è un evento che ti ha colpito particolarmente?
La battaglia con la Turchia, che è stata la mia prima esperienza di guerra. Di soldati ne abbiamo visti pochi, c’erano per lo più aerei e droni. Ho visto tanti compagni cadere, tanti civili morti nel peggiore dei modi, corpi carbonizzati…Le esperienze più belle che ho avuto sono quelle a livello umano con i miei compagni e i civili. Con la morte hai a che fare ogni giorno, ma è la guerra.
Perchè hai deciso di andare in Siria?
Volevo vedere la rivoluzione con i miei occhi, capire come si fa, cosa riesce e cosa no. Inoltre mi sembrava la cosa giusta: c’erano diversi ideali che mi attraevano e nei quali mi riconosco, come quelli di autogoverno e organizzazione dal basso.
Cosa pensi dei 5 ragazzi che rischiano di diventare Sorvegliati speciali?
Per ora non voglio tornare in Italia, ma è assurdo quello che è successo a qui ragazzi. È una situazione assurda e ingiusta, probabilmente li colpiscono perchè sono impegnati politicamente. Sono tanti i combattenti tornati in Italia e a cui non è stato fatto niente. Io mi trovo molto bene in Siria: qui mi sento utile e credo di star facendo qualcosa di profondamente giusto. Voglio continuare il mio lavoro in questa regione: ci sono tanti programmi a livello civile e progetti da portare avanti. I curdi adesso avrebbero bisogno di periodo di pace duraturo per usare i fondi che riceviamo solo per progetti civili.
(da TPI)
argomento: radici e valori | Commenta »