Destra di Popolo.net

GOVERNO IN ANALISI, LA FOLLIA DI UN CONCLAVE SULLA TAV A 72 ORE DAI BANDI

Marzo 6th, 2019 Riccardo Fucile

NE’ LEGA NE’ M5S REGGONO UNA SCONFITTA E PALAZZO CHIGI SDOGANA LA PAROLA “CRISI”

Solo in Italia può accadere che, a pochi giorni dalla presentazione dei bandi di una grande opera, il Governo si chiude in conclave praticamente per 72 ore.
Da stasera, anche alla presenza di “tecnici”, per poi comunicare la decisione finale entro venerdì.
Un “conclave” a palazzo Chigi, avvolto da una nube di incertezza e tensione, dopo mesi di allegra spensieratezza dichiaratoria sulla Tav, in cui è in discussione non solo il “come”, ma il “se” realizzare l’opera prevista e avviata secondo un trattato internazionale, a suo tempo votato dal Parlamento.
Solo in Italia, dove le parole hanno una certa leggerezza, finchè non cozzano con la testardaggine dei dati di realtà , si poteva derubricare l’argomento a una questione “tecnica”, affidata a una serie di analisi costi-benefici, tenute misteriose come il Terzo mistero di Fatima, tranne poi essere accantonate perchè “la decisione è politica”.
Come politico è il drammatico irrigidimento di Luigi Di Maio delle ultime ore, che sull’opera vive un’irrinunciabile linea del Piave identitaria.
L’ultima, dopo mesi di cedimenti e di erosione di consensi. Basta la giornata di oggi per capire chi comanda davvero.
L’approvazione della legittima difesa, misura simbolo del Far West leghista, con tanti assenti e mugugni da parte dell’alleato. Poi le mani sulla Rai, con una riforma che prevede una mega-direzione che si occupa di tutti gli approfondimenti, riducendo i direttori di rete a meri gestori del palinsesto.
È il prezzo pagato alla Lega, in cambio del consolidamento dell’ad Salini.
Voi capite che ammainare la bandiera della Tav, per Di Maio sarebbe una Caporetto. Si spiega così, l’irrigidimento delle ultime ore.
Parlando con qualche collega dell’opposizione, il capogruppo della Lega Riccardo Molinari spiegava: “Noi ce la stiamo mettendo tutta, per trovare una soluzione. Ma il punto è che Di Maio non la regge, non regge i suoi”.
Ecco, non regge. È un qualcosa che va oltre la volontà  di tenere in piedi il governo, di mediare, di scavallare l’ostacolo.
Era illuminate fare un giro nei Palazzi oggi. E raccogliere gli umori tra i Cinque Stelle: “Luigi — dice un parlamentare del Nord — non si è reso conto che il malcontento è così ampio. Con un via libera all’opera e si dimettono decine di consiglieri del Nord in Piemonte e Lombardia”.
L’effetto sarebbe devastante anche in Senato, con Airola e altri tre o quattro senatori, pronti ad andarsene, portando con se la certezza di avere una maggioranza a Palazzo Madama, perchè a quel punto i numeri sarebbero ballerini. Francesco Silvestri, incrociando qualche collega, dice: “Siamo un bivio vero”.
Diciamo le cose come stanno. Nessuno vuole la crisi di governo, ma ci sono situazioni in cui le crisi sono il frutto non di una volontà  di rottura, ma di una incapacità  di gestione, perchè si crea una situazione in cui avanti non si riesce ad andare e indietro non si può tornare.
E chissà  se è un caso che, negli ultimi giorni, la parola “crisi di governo” è stata “sdoganata”.
Quel che è evidente, è che questa incertezza sulla Tav ha già  determinato un impatto negativo, perchè sono bloccati anche progetti relativi alle linee ferroviarie ad alta velocità , complementari al tratto Transalpino.
Proprio in questi giorni sarebbe dovuto uscire, l’analisi costi-benefici sulla Alta Velocità  Brescia-Verona-Padova, otto miliardi, affidata sempre a professor Ponti.
È il proseguimento naturale della Tav, nell’ambito dello stesso corridoio mediterraneo, anche se evidentemente non riguarda gli attuali bandi perchè è un’opera italiana.
Però è altrettanto evidente che la paralisi sulla Tav blocca anche il suo “proseguimento”, importante per la Lombardia e Veneto.
Si spiega così lo sconcerto che associazioni imprenditoriali hanno espresso a Salvini, o la crescente insofferenza dei governatori del Nord. È una situazione limite per la Lega. Perchè è chiaro che, per dirla con Giorgetti, “così non la reggiamo noi”.
L’ultimo capitolo di questo tunnel della politica è un’idea che pure gira tra i Cinque Stelle, affidata a qualche spiffero, secondo cui si potrebbe dare il via libera ai bandi sulla Tav, ma sarebbe vincolato al dirottamento dei soldi su un’altra opera, il traforo del Frejus. A bandi invariati.
E senza mettere nulla per iscritto, dal carattere vincolante. Cioè, come in un gioco delle tre carte, i bandi sulla Tav partirebbero, e Salvini potrebbe sbandierarli in campagna elettorale, ma l’escamotage retorico consentirebbe a Di Maio di dire che, nei prossimi sei mesi, partirà  una trattativa in Europa per destinarli a un’altra opera, visto che in teoria ci sono sei mesi per tornare indietro sulla Tav, anche se non c’entra nulla con il trattato in questione.
Insomma, un modo furbesco per scavallare le Europee, col premier che si impegna a “firmare” i bandi e a spiegare su quali elementi va avanti una istruttoria.
C’è poco da fare. Il punto è un sì o un no ai bandi. Se partono, ognuno può dire quel che vuole, ma la Tav si fa.
Le tre carte sarebbero un cedimento per Di Maio.
Davvero: solo in Italia.

(da “Huffingtonpost”)

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LA STRATEGIA DI ZINGARETTI PER LE EUROPEE: IN AGENDA TIMMERMANS, BONINO E PIZZAROTTI

Marzo 6th, 2019 Riccardo Fucile

SULLA SUA STRADA IL “NODO” MACRON CHE CON VERHOFSTADT COSTITUIRA’ UN NUOVO GRUPPO LIBERALE A STRASBURGO

Le elezioni europee di maggio sono in cima agli impegni di Nicola Zingaretti, neo-segretario Pd, indicato domenica scorsa con le primarie e in attesa della elezione ufficiale il 17 marzo all’assemblea nazionale dei Dem.
Il tempo stringe e allora il governatore del Lazio continua a riempire l’agenda di incontri: domani pomeriggio a Roma vedrà  il socialista Frans Timmermans, candidato del Pse alla presidenza della Commissione (Spitzenkandidat).
Al telefono ha sentito Federico Pizzarotti, il sindaco di Parma, ex del Movimento 5 stelle, che aveva avviato una interlocuzione con i Verdi.
La prossima settimana avrà  un secondo incontro con Emma Bonino, dopo quello di ieri andato male. Ma sulla sua strada c’è anche il ‘macigno Macron’.
Il presidente francese continua ad attirare la parte più renziana del Pd mentre non scalda affatto quella più vicina alla nuova segreteria.
Matteo Renzi, per dire, la prossima settimana sarà  in tv a Parigi per un confronto con Marine Le Pen. Il tutto a valle del manifesto per l’Europa firmato dall’inquilino dell’Eliseo ieri su tutti i quotidiani del continente: un testo che convince i renziani, ma non la nuova maggioranza zingarettiana che pure però dovrà  cercare anche con Macron il filo di un’alleanza europeista all’Europarlamento dopo le europee
L’obiettivo di Zingaretti è una lista allargata che però parta dal Pd e ne rechi il simbolo, anche se “non è un dogma”, continuano a ripetere i suoi.
Domani l’incontro con Timmermans che sarà  a Roma per un evento in mattinata al Centro Studi Americani. La prossima settimana all’incontro con Bonino ci sarà  anche Benedetto Della Vedova.
Ed è ancora da fissare l’incontro con Pizzarotti. Ma Zingaretti deve gestire anche il nuovo attivismo di Macron.
Il presidente francese ha diffuso ieri il suo manifesto per l’Europa, pubblicato su tutti i quotidiani del continente. Iniziativa che nel Pd è stata subito accolta da Sandro Gozi, che alle primarie ha sostenuto Roberto Giachetti (area Renzi).
E’ un manifesto che “dà  valore all’essere europei e, allo stesso tempo, sollecita a uscire dello status quo per rifondare l’Europa. E rompe un tabù, dicendo che si possono riformare i Trattati”, sottolinea Gozi, ex sottosegretario agli Affari europei e presidente dei Federalisti europei in un’intervista al Corriere della Sera.
Ecco, il Pd di Renzi avrebbe subito applaudito all’iniziativa del presidente francese. Non quello di Zingaretti.
La capo delegazione del Pd all’Europarlamento Patrizia Toia ha commentato così: “E’ positivo che in questo momento storico un presidente francese influente come Macron voglia far ripartire le riforme europee. Auspico però che anche dopo le elezioni Macron faccia prevalere l’ambizione europeista alleandosi con il Gruppo S&D, che questi temi li vuole portare avanti davvero, mettendo in secondo piano l’esigenza francese di rafforzare il legame con la Germania a guida conservatrice”.
Rari altri commenti, comunque non di giubilo. Perchè ora, sotto la nuova leadership, con Macron c’è un rapporto di competizione elettorale e di collaborazione dopo il voto: servirà  anche lui per costruire una maggioranza europeista e anti-sovranista all’Europarlamento, insieme al Ppe, sempre che riesca a risolvere il problema interno con il premier nazionalista ungherese Viktor Orban (i Popolari ne discutono in assemblea il 20 marzo, vigilia dell’ultimo consiglio europeo di questa legislatura). E sempre che ci siano i voti per fare l’alleanza.
Il punto è che Macron potrebbe fare da richiamo per quanti nel Pd non gradiranno la torsione socialista di Zingaretti. Certo, è presto per dirlo. E la schiacciante vittoria di Zingaretti alle primarie ha frenato le spinte di Gozi ad andare “oltre il Pd” in senso liberale, pur non avendo assorbito la sua convinzione che bisognerebbe andare oltre i socialisti, oltre le “famiglie europee nate nel secolo scorso”.
Pure Renzi — che nella sua ultima visita a Bruxelles a dicembre è stato accompagnato proprio da Gozi – ha messo da parte (per ora) l’idea di prendere “un’altra strada” politica. Ma intanto l’ex segretario continua con il tour di presentazioni del suo libro (‘Un’altra strada”, per l’appunto) e addirittura la prossima settimana sarà  lui a confrontarsi con Marine Le Pen in diretta tv a Parigi, prima serata su France 2 nel programma ‘L’emission politique’.
Nella stessa trasmissione ci sarà  anche un confronto fra Le Pen e Nathalie Loiseau, la ministra francese per gli Affari Europei che potrebbe diventare capolista alle europee per ‘La Republique en Marche’ di Macron.
Basti dire che l’ultimo leader italiano a confrontarsi con Le Pen è stato Pierluigi Bersani a Roma, su Rete 4, nell’ottobre scorso.
E’ per questo che Macron potrebbe diventare un problema da gestire per Zingaretti. Dal canto suo, l’inquilino dell’Eliseo riprende fiato dopo mesi e mesi di gogna mediatica per via delle proteste dei gilet gialli.
Ora i sondaggi gli danno ragione: nell’ultima rilevazione francese è al 23,5 per cento, in vantaggio sul Rassemblement National di Le Pen (19,4 per cento).
Insomma, Macron ha ritrovato la sua ambizione di leadership europea che in Italia ha presentato con l’intervista di domenica scorsa a Fabio Fazio su Raiuno e che oggi, su un giornale italiano ‘La Stampa’, gli viene riconosciuta ufficialmente da Guy Verhofstadt. “Macron è il leader della nuova Europa”, dice il liberale che il 12 febbraio scorso diede del “burattino” al premier Giuseppe Conte in audizione a Strasburgo, scatenando una lunga scia di polemiche naturalmente.
Ma c’è di più: con l’arrivo di Macron tra i liberali europei, il gruppo dell’Alde si scioglierà , annuncia Verhofstadt. Nascerà  un nuovo gruppo che evidentemente potrà  essere la ‘casa europea’ anche per i Dem italiani che magari si ritroveranno a non gradire le ricette socialiste di Zingaretti.
E’ presto per dirlo. Tutti aspettano le prossime mosse del nuovo segretario. Ed è per queste ragioni che le alleanze in vista delle europee sono in cima ai pensieri del governatore del Lazio.
L’obiettivo è costruire un campo largo, al centro e a sinistra in modo che tutti possano sentirsi coinvolti, così da evitare fughe insomma.

(da “Huffingtonpost”)

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LO SPEAKER DI RADIO PADANIA E LA PISTOLA DELL’OMICIDIO PECORELLI

Marzo 6th, 2019 Riccardo Fucile

CHI E’ DOMENICO MAGNETTA, L’EX ESTREMISTA DI DESTRA, FINITO PER QUATTRO ANNI IN CARCERE, CHE HA FATTO CARRIERA NELLA LEGA

Chi è Domenico Magnetta, l’ex estremista di destra diventato speaker di Radio Padania
Il 20 marzo 1979 veniva assassinato a Roma il direttore di OP Mino Pecorelli.
I colpevoli e i mandanti non sono mai stati identificati e nessuno ha mai pagato per quell’omicidio.
Ieri la Procura di Roma ha deciso di riaprire le indagini sulla morte di Pecorelli. Lo ha fatto in seguito alle richieste della sorella del giornalista, Rosita, che tramite il suo legale a gennaio aveva presentato un’istanza per la riapertura del caso in base ad una dichiarazione rilasciata nel 1992 dall’ex terrorista di Ordine Nuovo Vincenzo Vinciguerra.
Tutto ruota attorno all’arma usata per uccidere Pecorelli.
La pistola non venne mai ritrovata e le indagini si concentrarono su un aspetto particolare: i proiettili con cui venne assassinato il giornalista erano dei Gevelot calibro 7.65. Una marca difficile da reperire, anche sul mercato nero. Alcune munizioni di marca Gevelot dello stesso calibro utilizzato nell’agguato a Pecorelli furono ritrovati nell’arsenale della Banda della Magliana al Ministero della Salute.
Oltre agli esponenti della Banda a quel deposito avevano accesso, secondo il pentito Maurizio Abbatino, solo Danilo Abbruciati e il terrorista dei NAR Massimo Carminati. Abbatino poi esclude che quelle munizioni potessero appartenere alla Banda perchè «il nostro munizionamento, anche del tipo 7.65 (usato solo per scopo di difesa personale e mai per operazioni) era acquistato presso normali armerie e, quindi, di fabbricazione recente».
Abbruciati è morto nel 1982 mentre Carminati è stato assolto nel 2003 dall’accusa — basata sulle testimonianze di due pentiti poi ritenuti “non attendibili” — di aver ucciso Pecorelli.
Si arriva così alla testimonianza resa da Vinciguerra il 27 marzo 1992, all’epoca detenuto nel carcere di Parma.
Al magistrato Vinciguerra rivelò di aver saputo da un altro detenuto che «Magnetta [Domenico Magnetta, un estremista di destra NdR] si stava comportando male in quanto gli aveva fatto sapere che o veniva aiutato a uscire dal carcere o lui avrebbe consegnato le armi in suo possesso fra cui la pistola che era stata utilizzata per uccidere il giornalista Mino Pecorelli…».
Successivamente il 4 aprile del 1995, durante le indagini sulle testimonianze di Tommaso Buscetta, in seguito ad una perquisizione nella macchina di Magnetta (trasferitosi nel frattempo a Milano) gli inquirenti trovarono diverse armi tra cui una pistola Beretta calibro 7.65. Lo stesso tipo di arma da cui sono stati sparati i quattro colpi che hanno ucciso Pecorelli.
Ma che ha a che fare Magnetta con l’omicidio Pecorelli? Al momento nulla. Ma Magnetta era uno dei avanguardisti che il 20 aprile 1981 accompagnavano Massimo Carminati durante il suo tentativo di fuga in Svizzera che si concluse con l’arresto dei tre ad un posto di blocco a Gaggiolo (Varese).
Fu proprio in quell’occasione che Carminati venne ferito all’occhio sinistro da un colpo esploso dai poliziotti. E da quella menomazione viene il soprannome con cui il terrorista dei NAR è conosciuto: “Er Cecato”.
Magnetta sarà  condannato per favoreggiamento e, nel 1999, viene condannato a tre anni e dieci mesi dalla Corte di appello di Milano per detenzione abusiva di armi e ricettazione. Dopo essere passato ai domiciliari nel 2001 Magnetta tornerà  in libertà  nel 2003.
Ai microfoni di Radio Padania Libera — l’emittente radiofonica della Lega Nord di cui Matteo Salvini è stato direttore dal 1999 al 2013 — Domenico “Mimmo” Magnetta si presenta come “rappresentante sindacale del PIU”.
Il PIU, sigla che sta per Professionisti Imprenditori Uniti (da non confondere con il PIU fondato da Gaetano Balsamo), è un associazione che si occupa della difesa dei diritti del popolo delle Partite Iva.
Il PIU, spiega Magnetta che anche due giorni fa era in onda su Radio Padania all’interno del programma “spazio PIU”, ha sede nel palazzo di Via Bellerio dove ha sede la Lega. Niente di strano visto che il PIU è nato oltre vent’anni fa per iniziativa di Umberto Bossi e Roberto Maroni e Magnetta oggi ne è il Presidente.
Tra le battaglie del PIU ce n’è una che sta molto a cuore alla maggioranza Lega-M5S, quella contro la direttiva Bolkestein in difesa degli ambulanti.
L’amico di Carminati, l’uomo che aiutò il boss di Mafia Capitale a fuggire è oggi un uomo di 57 anni che si occupa di battaglie contro Equitalia o contro l’istituzione dell’Area B a Milano.
Non solo, Magnetta è amico dell’ex sindaco di Verona (ed ex leghista) Flavio Tosi al punto di averne sostenuto il tentativo — fallito — di scalata al partito. Ma è proprio grazie all’attività  del PIU e quindi alla Lega Nord che un personaggio controverso come Magnetta ha potuto trovare una nuova missione e farsi una nuova vita.
Chissà , forse è il modo che ha la Lega per garantire la sicurezza degli italiani.

(da “NextQuotidiano“)

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QUALCUNO INDAGA SULLA NAVE MILITARE ITALIANA CHE HA DICHIARATO “PROBLEMI TECNICI” PER EVITARE DI SOCCORRERE 87 NAUFRAGHI IN ACQUE TERRITORIALI ITALIANE, A SUD DI LAMPEDUSA?

Marzo 6th, 2019 Riccardo Fucile

DOPO ORE DI TRATTATIVE SU CHI DOVESSE RECUPERARLI E’ INTERVENUTA MALTA… E SE NEL FRATTEMPO FOSSERO AFFOGATI NE RISPONDEVA L’ITALIA… IL POST DI SALVINI CHE NON PARLA DI AVARIA MA RIVENDICA DI NON AVERLI SOCCORSI… MA IL REATO DI OMISSIONE DI SOCCORSO NON ESISTE PIU’ IN ITALIA?

Una nave militare italiana del dispositivo Frontex dichiara una avaria e a salvare un gruppo di 87 migranti, 30 miglia a sud di Lampedusa, va una nave militare di Malta.
Lo riferiscono resoconti giornalistici maltesi che citano fonti delle forze armate della Valletta. Secondo la ricostruzione, la forze armate della Valletta lunedì sera sarebbero state informate dall’Mrcc di Roma, la sala di coordinamento dei soccorsi in mare della nostra Guardia costiera, della presenza di una barca in legno con a bordo 87 migranti, 30 miglia a sud dell’isola di Lampedusa.
Ad intervenire avrebbe dovuto essere una nave italiana sotto il coordinamento di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne, ma Roma avrebbe comunicato a Malta che la nave non era in grado di intervenire a causa di problemi di natura tecnica.
Le trattative per chi dovesse andare a recuperare i migranti devono essere durate parecchie ore, visto che solo la notte scorsa una motovedetta delle forze armate maltesi ha finalmente soccorso il barcone e ha trasportato stamattina gli 87 migranti in un centro di accoglienza della Valletta.
Si tratta del primo salvataggio di migranti che Malta porta a termine da quando, il 31 dicembre scorso, in due operazioni salvò 180 persone.
Nei giorni successivi ci fu anche il braccio di ferro con l’Europa per accogliere 49 migranti salvati a metà  dicembre dalla nave Sea Watch 3 della omonima Ong tedesca, poi risolto con l’impegno di alcuni Paesi Ue al ricollocamento. Proprio ieri il primo ministro maltese Muscat ha annunciato che un gruppo di migranti ha da pochi giorni lasciato il Paese per essere accolto dalla Francia.
Attualmente nel Mediterraneo centrale non ci sono navi civili che si occupano del salvataggio di migranti. Quelle delle Ong sono di fatto bloccate nei porti perchè le autorità  locali devono compiere controlli: a Barcellona la Open Arms, a Marsiglia la Sea Watch 3 ma anche la Aquarius ormai in disarmo, a Palma di Maiorca la Alan Kurdi.
Inoltre, sono ancora sotto sequestro la Iuventa a Trapani e la Seefuchs a Malta.
Ciò che fa dire alle Ong che l’Europa è riuscita a togliere dal Mediterraneo centrale i testimoni di ciò che per le organizzazioni umanitarie continua ad accadere: i migranti, detenuti in condizioni disumane in Libia, continuano comunque a salire su gommoni e barconi e a sfidare il mare per raggiungere l’Europa.
Ma ecco la dichiarazione-autogol di Salvini:   «L’interesse nazionale è non far sbarcare i clandestini in Italia . Cosa che ho fatto anche stanotte, con 87 migranti che stanno sbarcando a Malta in queste ore».
Quindi l’avaria c’e’ stata o no?
Se non ci fosse stata questo si chiama omissione di soccorso, visto che il barcone era in acque territoriali italiane ed era dovere nostro intervenire.
Chi ha dato l’ordine di non intervenire e su che basi?
Che poi sia un clandestino dell’umanità  a rivendicare di aver violato i nostri doveri, ormai non fa più notizia. Per ora gode di impunità , come pensava anche Battisti in Brasile, ma sappiamo come è andata a finire.

(da agenzie)

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REDDITO CITTADINANZA, PARTONO I RICORSI DEI LEGALI DEI CITTADINI STRANIERI PER FAR DICHIARARE INCOSTITUZIONALE LA PARTE CHE LI DISCRIMINA

Marzo 6th, 2019 Riccardo Fucile

LA PROPAGANDA XENOFOBA SBATTERA’ IL MUSO CONTRO LE LEGGI VIGENTI CHE VIETANO NORME PENALIZZANTI VERSO GLI STRANIERI

Oggi sono partite le domande per richiedere il Reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle, e anche i ricorsi contro la misura pentastellata.
L’avvocato Alberto Guariso dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha infatti annunciato che in un paio di mesi saranno depositati i primi ricorsi.
L’obiettivo è sollevare l’eccezione di incostituzionalità  della legge sul Reddito di cittadinanza, che nella sua forma attuale penalizza gli stranieri che si trovano in Italia da lungo tempo.
Come si legge nel comunicato pubblicato da Asgi sul sito ufficiale dell’Associazione, “nel testo trasmesso dal Senato è contenuto l’emendamento Lodi, cioè quello che prevede l’obbligo per i cittadini di paesi extra Ue di produrre documentazione del paese di origine tradotta e legalizzata dall’autorità  consolare italiana nel predetto paese, che attesti la composizione del nucleo familiare e la situazione reddituale e patrimoniale nel paese di origine. Dopo l’introduzione del requisito dei 10 anni di residenza e della limitazione ai soli stranieri titolari di permesso di lungo periodo si tratta di una ulteriore misura volta a ridurre a livelli minimi l’accesso degli stranieri al reddito di cittadinanza”.
La richiesta di Asgi è che si intervenga immediatamente perchè l’emendamento Lodi sia soppresso “e si torni, su questo punto, alla versione originaria del decreto legge che non prevedeva oneri documentali differenziati per italiani e stranieri”.
L’Associazione inoltre “invita le organizzazioni sindacali e i Caf che ad esse fanno riferimento, qualora l’emendamento dovesse trovare conferma, a ricevere le domande degli stranieri e a trasmetterle all’Inps indipendentemente dalla presenza di documentazione aggiuntiva rispetto all’Isee, lasciando all’Inps l’onere di una scelta discriminatoria che vedrebbe inevitabilmente il moltiplicarsi delle azioni giudiziarie contro questa palese ingiustizia”.

(da agenzie)

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LA LAMPADA DELLA PACE: I FRATI DI ASSISI PREMIANO IL RE DI GIORDANIA PER L’IMPEGNO SU DIRITTI UMANI E ACCOGLIENZA

Marzo 6th, 2019 Riccardo Fucile

IL 29 MARZO LA CERIMONIA CON ANGELA MERKEL

Il 29 marzo re Abdullah II di Giordania sarà  ospite del Sacro Convento di Assisi.
Riceverà  in dono la Lampada della Pace di San Francesco che i frati hanno scelto di assegnargli per il suo impegno a favore dei diritti umani e dell’accoglienza dei rifugiati.
Lo ha annunciato padre Enzo Fortunato nel corso di un incontro nella sede della Stampa Estera a Roma.
“Il mondo è chiamato a scegliere tra paura e fiducia nell’altro. Noi optiamo per la fiducia”, ha affermato, commentando la decisione di attribuire il premio al re di Giordania. “Posso aggiungere che oltre alla fiducia scegliamo la pace”, ha sostenuto Fayiz Khouri, ambasciatore del regno di Giordania in Italia, presente alla conferenza stampa.
“Questo riconoscimento – ha continuato Khouri – è una testimonianza degli sforzi che la Giordania compie per promuovere pace e armonia tra le confessioni in tutto il mondo. E i valori che la Lampada della Pace promuove sono valori di cui il nostro mondo ha estremo bisogno. Gli sforzi del re per la pace, l’armonia e la solidarietà  sono stati riconosciuti a livello internazionale. Si tratta di sforzi sono vitali per contrastare le ideologie oscure”.
Sarà  il custode del convento, padre Maurizio Gambetti, a consegnare il riconoscimento al re che – ha spiegato Gambetti – “in Medio Oriente e in tutto il mondo ha distinto se stesso e il Regno Hascemita di Giordania attraverso la sua azione e il suo impegno tesi a promuovere i diritti umani, l’armonia tra fede diverse, la riforma del sistema educativo e la libertà  di culto, e allo stesso tempo ha dato ospitalità  e un rifugio sicuro a milioni di rifugiati”.
Alla cerimonia del 29 marzo sarà  presente Angela Merkel.

(da agenzie)

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TRE RAGIONI PER DIRE NO ALLA NUOVA LEGGE SULLA LEGITTIMA DIFESA

Marzo 6th, 2019 Riccardo Fucile

IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA’, LA GIUSTIZIA FAI DA TE, LA LEGGE ESISTENTE E’ GIA’ PERMISSIVA… CHI SPARA ALLE SPALLE NON E’ MAI UN EROE, PER NOI E’ UN VIGLIACCO

“Si considera che abbia agito per difesa legittima colui che compie un atto per respingere l’ingresso o l’intrusione mediante effrazione o contro la volontà  del proprietario o di chi ha la legittima disponibilità  dell’immobile, con violenza o minaccia di uso di armi da parte di una o più persone, con violazione del domicilio di cui all’articolo 614, primo e secondo comma, ovvero in ogni altro luogo ove sia esercitata un’attività  commerciale, professionale o imprenditoriale”.
È questo l’articolo uno della proposta di legge della Lega, a firma Molteni, in materia di legittima difesa
L’ampliamento della legittima difesa è uno dei cavalli di battaglia della Lega (e della destra italiana), oltre che uno dei punti “non negoziabili” che Salvini ha voluto inserire nel contratto di governo con il Movimento 5 Stelle.
Da tempo si discute della possibilità  di modificare l’articolo 52 del codice penale che parla della legittima difesa (o l’articolo 59, che determina le attenuanti del reato), tenuto conto delle problematiche connesse alla modifica normativa introdotta nel 2006.
Al momento perchè si configuri la legittima difesa “bisogna che ci sia la “necessità ” (dunque non si configura legittima difesa nel caso in cui, ad esempio, l’aggressore sia in fuga), l’attualità  del pericolo (che deve essere “presente o incombente”) e la “proporzionalità  all’offesa”.
Su quest’ultimo punto va precisato che la giurisprudenza ha sempre considerato che “la consistenza dell’interesse leso (la vita o l’incolumità  della persona) sia enormemente più rilevante, sul piano della gerarchia dei valori costituzionali, di quello difeso (il patrimonio), ed il danno inflitto (morte o lesione personale) abbia un’intensità  di gran lunga superiore a quella del danno minacciato (sottrazione della cosa)”.
La modifica introdotta nel 2006, criticata da molti giuristi, ha previsto appunto che “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità  di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.
Perchè non ha senso “ampliare” la legittima difesa?
In queste settimane, ci sono state molte critiche rispetto alle proposte della Lega, sintetizzabili con lo slogan “la difesa è sempre legittima”. Si è posto l’accento sulla possibilità  di trasformare l’Italia nel far west, sulla prevedibile proliferazione delle armi e sulla insussistenza di dati a supporto della retorica dell’emergenza sicurezza, da anni un refrain della destra.
Contestazioni legittime e suffragate dai dati, vale la pena di sottolineare.
Il punto è che ci sono altre ragioni, più immediate per così dire, che dovrebbero convincerci dell’inutilità  o della pericolosità  del progetto di riforma della Lega (e non solo).
Il principio di proporzionalità , è la prima ragione centrale.
Come spiegava Francesco Minisci, presidente dell’Associazione Nazionale dei Magistrati, si tratta di un concetto cardine, dal quale non si può prescindere: “Se io minaccio un’altra persona solo verbalmente, o se minaccio di sottrargli la borsa e quella persona reagisce e mi spara, è chiaro che non c’è principio di proporzionalità  ed è evidente come ogni intervento sotto questo profilo è inammissibile”.
La previsione di un automatismo che cancelli il principio di proporzionalità , dunque, rischia di determinare distorsioni, continua Minisci: “La valutazione del caso concreto, di ogni elemento, aspetto o circostanza, dovrebbe spettare sempre al giudice. Se viene meno il principio di proporzionalità , noi rischiamo di legittimare i reati più gravi, anche l’omicidio”.
In secondo luogo, c’è il fatto che la giustizia fai da te non può esistere in uno stato di diritto. È lo Stato che ha il monopolio della forza, è lo Stato che esercita la “violenza”, è solo lo Stato che ha il dovere di intervenire per tutelare i cittadini.
È una funzione che lo Stato non può delegare, neanche in casi eccezionali. Il punto, come nota il giurista Vincenzo Musacchio, è che “la legittima difesa è una causa di giustificazione che impedisce la punizione di un fatto che comunque costituisce sempre reato”.
Un fatto, la legittima difesa, che “in specifiche situazioni, tassativamente previste dalla legge, lo Stato evita di punire”, riconoscendo appunto delle condizioni di non punibilità , determinate dal contesto e dalla dinamica dei fatti.
Ma incentivare, direttamente o indirettamente, la giustizia fai da te e caricare in qualche modo di “responsabilità  o possibilità  di azione” la vittima di un reato ci fa scendere su un crinale molto pericoloso.
Soprattutto perchè costituirebbe un elemento di pericolo per i cittadini, considerando che l’utilizzo di armi da fuoco aumenta “sistematicamente” la probabilità  di un epilogo violento.
A maggior ragione se l’uso delle armi avviene all’interno delle mura domestiche. E, infine, perchè rende più immediato, più semplice e accettabile, il ricorso all’utilizzo delle armi, con tutto ciò che esso comporta.
La terza ragione per essere contrari all’ampliamento della legittima difesa è una specie di replica alla propaganda pre e post-elettorale della Lega.
Ed è molto semplice, per quanto paradossale: non serve una modifica, la legge in vigore è già  molto “permissiva”. E qui, Giuliano Pisapia, spiegava come, al netto delle discutibili modifiche del 2006, ci siano chiare garanzie per gli imputati.
Il Post ha ricostruito come è andata a finire nei casi di cronaca legati alla questione della legittima difesa, mostrando come “nei principali casi di cronaca del genere degli ultimi anni, la posizione giudiziaria di chi ha ucciso un ladro è stata spesso archiviata ancora prima del processo”.
Il caso del benzinaio Stacchio è stato archiviato prima di arrivare alla fase processuale. Quello del gioielliere Corazzo, che uccise un rapinatore, anche.
Addirittura sono state archiviate le accuse nei confronti del pensionato Francesco Sicignano, che uccise un ladro, il cui corpo fu ritrovato all’esterno del suo appartamento. Anche il tabaccaio Franco Birolo, che secondo i giudici di primo grado non era mai stato concretamente in pericolo di vita, è stato assolto in appello.
È in attesa di processo, invece, Mario Cattaneo, l’oste che uccise a colpi di fucile un ladro sorpreso nel proprio locale.

(da “Fanpage“)

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PERCHE’ IL REDDITO DI CITTADINANZA SARA’ SOLO UN SUSSIDIO E UN FALLIMENTO PER CREARE LAVORO? VE LO SPIEGA DI MAIO

Marzo 6th, 2019 Riccardo Fucile

“CI VORRANNO DUE ANNI PER RIFORMARE I CENTRI PER L’IMPIEGO” DISSE IL VICEPREMIER UN ANNO FA… E ANCORA LA RIFORMA NON E’ INIZIATA, QUINDI GLI UNICI A TROVARE LAVORO (PRECARIO) SARANNO I 6000 ADDETTI CHE VERRANNO ASSUNTI NEI CENTRI

«Prima del reddito di cittadinanza bisogna non riformare ma rifondare i centri per l’impiego. Il primo anno di governo verrà  dedicato a questo»: se volete un buon motivo per capire perchè il reddito di cittadinanza non avrà  la funzione di riportare persone espulse all’interno del mondo del lavoro basta riascoltare la puntata di Porta a Porta andata in onda alla vigilia delle elezioni in cui lo stesso Luigi Di Maio diceva che prima di erogare il reddito di cittadinanza si sarebbe dovuto riformare, anzi rifondare i centri per l’impiego.
Era il 2 marzo 2018 e la frase fece il giro del web perchè preconizzava l’arrivo del reddito di cittadinanza dopo almeno due anni di governo M5S.
In realtà  il bisministro e vicepremier non dice esattamente così ma fa capire che senza la riforma dei centri per l’impiego il reddito di cittadinanza non funzionerà .
E siccome la riforma dei centri per l’impiego non è partita nel 2018 ma sta faticosamente partendo ora con i Navigator per i quali va ancora trovato l’accordo con le Regioni, ecco che è tutto più chiaro.
Ecco quindi che si capisce perfettamente perchè Sergio Rizzo su Repubblica dica oggi che il reddito di cittadinanza è già  oggi un sussidio e basta:
Il presupposto per fare del reddito di cittadinanza un incentivo all’occupazione era la riforma profonda dei centri per l’impiego. Sono 552 e arrivano a 840 con le sedi distaccate, ma oggi servono più a garantire il lavoro agli 8.189 addetti che a trovarlo ai disoccupati. Il sistema andrebbe ricostruito dalle fondamenta, però l’unico segnale in questa direzione è uno stanziamento pubblico di 900 milioni in due anni: più che dimezzato rispetto ai piani iniziali. E il progetto? Boh… In compenso, vista l’evidente difficoltà  dell’impresa e il ritardo nell’affrontarla con la dovuta tempestività , ecco l’assunzione di qualche migliaio di navigator (traduzione italiana: navigatori).
Con quel nome dovrebbero pilotare i sussidiati verso il lavoro, ma di sicuro il primo risultato per l’occupazione sarà  quell’ondata di assunzioni con denaro pubblico. Un’ondata che ha già  fatto sorgere pure discreti appetiti in alcune società  di consulenza pronte a organizzare corsi di formazione per gli aspiranti navigatori.
A pagamento, ovviamente.
Un’ondata, peraltro, capace di riportare l’Anpal ai fasti del passato, per capirci quelli di Italia lavoro, come si chiamava un tempo l’attuale Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro affidata a Domenico Parisi.
E soprattutto in grado di suscitare una domanda decisamente inevitabile: con tutta la gente già  pagata dal pubblico per trovare impiego ai disoccupati, e visti i penosi risultati in gran parte inutilmente, che bisogno c’era di accollarsene altri seimila (tanti dicono che saranno)?
Non era più sensato mettere in grado di svolgere correttamente la loro funzione le persone già  impiegate, che continueranno così a essere superflue?
Ma il problema è che a maggio ci sono le elezioni. Meglio non presentarsi a mani vuote.

(da “NextQuotidiano”)

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AUTONOMIA, L’APPELLO DI 30 COSTITUZIONALISTI A MATTARELLA

Marzo 6th, 2019 Riccardo Fucile

“DIFENDERE IL RUOLO DEL PARLAMENTO”… “OCCORRE PASSARE ATTRAVERSO LEGGI DELLO STATO, NON BASTANO MERE INTESE TRA GOVERNO E REGIONI”

Costituzionalisti in allarme sull’autonomia regionale, uno dei temi di contrasto all’interno del governo gialloverde.
In un appello al Capo dello Stato e ai presidenti di Camera e Senato, trenta costituzionalisti si dicono “fortemente preoccupati per le modalità  di attuazione finora seguite nelle intese sul regionalismo differenziato e per il rischio di marginalizzazione del ruolo del Parlamento, luogo di tutela degli interessi nazionali”. E chiedono che sia garantito “il ruolo del Parlamento, anche rispetto alle esigenze sottese a uno sviluppo equilibrato e solidale del regionalismo italiano, a garanzia dell’unità  del Paese”.
Il documento, predisposto dal professor Andrea Patroni Griffi, docente dell’Università  della Campania ‘Luigi Vanvitelli’, è stato sottoscritto anche da tre presidenti emeriti della Corte costituzionale (Francesco Amirante, Francesco Paolo Casavola e Giuseppe Tesauro).
I costituzionalisti esprimono preoccupazione rispetto al fatto che i piani per garantire la cosiddetta “autonomia differenziata” alle Regioni del Nord possano, di fatto, mettere in un angolo il ruolo principe delle due Camere.
Secondo gli esperti, le ulteriori forme di autonomia concesse “non possono riguardare la mera volontà  espressa in un accordo tra Governo e Regione interessata”, poichè hanno rilevanti conseguenze “sul piano della forma di Stato e dell’assetto complessivo del regionalismo italiano”.
I costituzionalisti sono convinti che i parlamentari, “come rappresentanti della Nazione, devono essere infatti chiamati a intervenire, qualora lo riterranno, anche con emendamenti sostanziali che possano incidere sulle intese, in modo da ritrovare un nuovo accordo, prima della definitiva votazione”. Ricordano che proprio per questo anche nel 1972 nell’approvazione dei primi Statuti del 1972 “il Parlamento svolse un ruolo incisivo. La fisionomia delle regioni, infatti, riflette quella dell’intero Paese e non riguarda solo i singoli governi regionali”.
È per questo, spiegano, che l’approvazione parlamentare non può essere un mero passaggio formale. Non a caso l’articolo 116, terzo comma della Costituzione (introdotto con la riforma del 2001) stabilisce che a concedere le autonomie debba essere “una legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119”. E che questa legge, per avere validità , debba essere “approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”.
Questa disposizione, concludono i 30, “va letta coerentemente con i principi di unità  e indivisibilità  della Repubblica e con la funzione del Parlamento di tutelare gli interessi di tutti i cittadini e di tutte le Regioni”. A garanzia che la nuova autonomia negoziata “si inserisca armonicamente nell’ordinamento complessivo della Repubblica. Il ruolo del Parlamento è tutelare le istanze unitarie a fronte di richieste autonomistiche avanzate dalle Regioni” che potrebbero danneggiare l’unità  nazionale.

(da agenzie)

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