GOVERNO IN ANALISI, LA FOLLIA DI UN CONCLAVE SULLA TAV A 72 ORE DAI BANDI
NE’ LEGA NE’ M5S REGGONO UNA SCONFITTA E PALAZZO CHIGI SDOGANA LA PAROLA “CRISI”
Solo in Italia può accadere che, a pochi giorni dalla presentazione dei bandi di una grande opera, il Governo si chiude in conclave praticamente per 72 ore.
Da stasera, anche alla presenza di “tecnici”, per poi comunicare la decisione finale entro venerdì.
Un “conclave” a palazzo Chigi, avvolto da una nube di incertezza e tensione, dopo mesi di allegra spensieratezza dichiaratoria sulla Tav, in cui è in discussione non solo il “come”, ma il “se” realizzare l’opera prevista e avviata secondo un trattato internazionale, a suo tempo votato dal Parlamento.
Solo in Italia, dove le parole hanno una certa leggerezza, finchè non cozzano con la testardaggine dei dati di realtà , si poteva derubricare l’argomento a una questione “tecnica”, affidata a una serie di analisi costi-benefici, tenute misteriose come il Terzo mistero di Fatima, tranne poi essere accantonate perchè “la decisione è politica”.
Come politico è il drammatico irrigidimento di Luigi Di Maio delle ultime ore, che sull’opera vive un’irrinunciabile linea del Piave identitaria.
L’ultima, dopo mesi di cedimenti e di erosione di consensi. Basta la giornata di oggi per capire chi comanda davvero.
L’approvazione della legittima difesa, misura simbolo del Far West leghista, con tanti assenti e mugugni da parte dell’alleato. Poi le mani sulla Rai, con una riforma che prevede una mega-direzione che si occupa di tutti gli approfondimenti, riducendo i direttori di rete a meri gestori del palinsesto.
È il prezzo pagato alla Lega, in cambio del consolidamento dell’ad Salini.
Voi capite che ammainare la bandiera della Tav, per Di Maio sarebbe una Caporetto. Si spiega così, l’irrigidimento delle ultime ore.
Parlando con qualche collega dell’opposizione, il capogruppo della Lega Riccardo Molinari spiegava: “Noi ce la stiamo mettendo tutta, per trovare una soluzione. Ma il punto è che Di Maio non la regge, non regge i suoi”.
Ecco, non regge. È un qualcosa che va oltre la volontà di tenere in piedi il governo, di mediare, di scavallare l’ostacolo.
Era illuminate fare un giro nei Palazzi oggi. E raccogliere gli umori tra i Cinque Stelle: “Luigi — dice un parlamentare del Nord — non si è reso conto che il malcontento è così ampio. Con un via libera all’opera e si dimettono decine di consiglieri del Nord in Piemonte e Lombardia”.
L’effetto sarebbe devastante anche in Senato, con Airola e altri tre o quattro senatori, pronti ad andarsene, portando con se la certezza di avere una maggioranza a Palazzo Madama, perchè a quel punto i numeri sarebbero ballerini. Francesco Silvestri, incrociando qualche collega, dice: “Siamo un bivio vero”.
Diciamo le cose come stanno. Nessuno vuole la crisi di governo, ma ci sono situazioni in cui le crisi sono il frutto non di una volontà di rottura, ma di una incapacità di gestione, perchè si crea una situazione in cui avanti non si riesce ad andare e indietro non si può tornare.
E chissà se è un caso che, negli ultimi giorni, la parola “crisi di governo” è stata “sdoganata”.
Quel che è evidente, è che questa incertezza sulla Tav ha già determinato un impatto negativo, perchè sono bloccati anche progetti relativi alle linee ferroviarie ad alta velocità , complementari al tratto Transalpino.
Proprio in questi giorni sarebbe dovuto uscire, l’analisi costi-benefici sulla Alta Velocità Brescia-Verona-Padova, otto miliardi, affidata sempre a professor Ponti.
È il proseguimento naturale della Tav, nell’ambito dello stesso corridoio mediterraneo, anche se evidentemente non riguarda gli attuali bandi perchè è un’opera italiana.
Però è altrettanto evidente che la paralisi sulla Tav blocca anche il suo “proseguimento”, importante per la Lombardia e Veneto.
Si spiega così lo sconcerto che associazioni imprenditoriali hanno espresso a Salvini, o la crescente insofferenza dei governatori del Nord. È una situazione limite per la Lega. Perchè è chiaro che, per dirla con Giorgetti, “così non la reggiamo noi”.
L’ultimo capitolo di questo tunnel della politica è un’idea che pure gira tra i Cinque Stelle, affidata a qualche spiffero, secondo cui si potrebbe dare il via libera ai bandi sulla Tav, ma sarebbe vincolato al dirottamento dei soldi su un’altra opera, il traforo del Frejus. A bandi invariati.
E senza mettere nulla per iscritto, dal carattere vincolante. Cioè, come in un gioco delle tre carte, i bandi sulla Tav partirebbero, e Salvini potrebbe sbandierarli in campagna elettorale, ma l’escamotage retorico consentirebbe a Di Maio di dire che, nei prossimi sei mesi, partirà una trattativa in Europa per destinarli a un’altra opera, visto che in teoria ci sono sei mesi per tornare indietro sulla Tav, anche se non c’entra nulla con il trattato in questione.
Insomma, un modo furbesco per scavallare le Europee, col premier che si impegna a “firmare” i bandi e a spiegare su quali elementi va avanti una istruttoria.
C’è poco da fare. Il punto è un sì o un no ai bandi. Se partono, ognuno può dire quel che vuole, ma la Tav si fa.
Le tre carte sarebbero un cedimento per Di Maio.
Davvero: solo in Italia.
(da “Huffingtonpost”)
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