Marzo 12th, 2019 Riccardo Fucile
TRADUCE IN “GRAZIE MATTEO” UNA SCRITTA IN ARABO CHE INVITA A NON GETTARE IMMONDIZIA PER STRADA… L’IRONIA SUI SOCIAL
Il leader della Lega ha presidiato la riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica
della città alla presenza del prefetto Elisabetta Margiacchi, del questore Girolamo Fabiano e dei vertici dei carabinieri e della Guardia di finanza.
Ha generato particolare ironia, soprattutto in rete, una battuta di Matteo Salvini sul significato di una scritta in arabo letta dal ministro nel complesso delle Torri.
“Questi erano i palazzi dello spaccio, della prostituzione e del caos Guardate che roba”, è il commento del ministro, che ha visitato il quartiere accompagnato dalla stampa.
“Ora i grattacieli saranno rasi al suolo, lo faremo entro quest’anno, entro la primavera, questi spazi torneranno a nuova vita, a disposizione di persone normali”.
Ad un certo punto del tour, l’attenzione del ministro dell’Interno è catturata da una scritta in arabo sul muro di uno dei palazzi del quartiere.
“Credo che dica ‘benvenuto Matteo’ o ‘grazie ministro’”: questo il commento del leader della Lega, che interpreta a modo suo la scritta in arabo.
Il significato delle parole scritte sul muro è in realtà tutt’altro.
Il testo infatti è un motto che spesso si legge nelle città arabe e che dice che “la pulizia viene dalla fede, e la sporcizia viene dal diavolo”.
Si tratta quindi di un invito a non lasciare per strada l’immondizia, un concetto spiazzante per chi accusa gli stranieri di non essere sensibili al degrado delle città . Un comportamento civico, insomma che rappresenta l’opposto delle accuse dei predicatori di odio contro gli stranieri che non vogliono “integrarsi”.
Forse Salvini farebbe meglio a farsi accompagnare da un traduttore invece che da decine di agenti a sua protezione.
(da agenzie)
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Marzo 12th, 2019 Riccardo Fucile
“NON SI PUO’ FIRMARE UN DOCUMENTO DEL GENERE COME SE SI TRATTASSE DI BUSINESS”
L’Italia primo vero tassello di un progetto geoeconomico così rilevante per il presidente Xi Jinping da essere stato inserito nella Costituzione del Partito Comunista Cinese.
Proprio tra la costituzione del PCC come modificata meno di due anni fa e il memorandum per aprire all’Italia la Via della Seta emergono somiglianze che rendono più che motivate le preoccupazioni espresse dagli alleati occidentali nei confronti dell’Italia.
Ed è per questo motivo che la Via della Seta “non può essere considerata una intesa puramente commerciale, ma ha invece un peso politico enorme”.
È di questa opinione la professoressa Alessia Amighini, condirettrice del dipartimento per l’Asia Centrale dell’Ispi, esperta di economia cinese e relazioni Ue-Asia.
Cosa emerge dalla lettura della bozza del memorandum d’intesa tra Italia e Cina per l’adesione alla Belt&Road Initiative?
Premessa: siamo ufficialmente nella fase di esecuzione dell’iniziativa, nota come Via della Seta, del mandato di Xi che prevede esplicitamente la realizzazione della Belt and Road Initiative (Bri). Abbiamo confrontato le espressioni tra il memorandum e la costituzione cinese, che poi è la costituzione del partito dal momento che non c’è differenza alcuna. A ottobre 2017 la costituzione del partito è stata modificata, com’è noto: in essa è stato inserito il pensiero di Xi, con il chiaro intento di unificare il pensiero intorno al suo. Come ultima aggiunta, però, viene previsto il perseguimento dell’iniziativa Belt and Road.
Quella che l’Italia si appresta a firmare.
Esatto. Nella costituzione del partito sono richiamati cinque deliverables: coordinamento delle politiche, infrastrutture e connettività , libero scambio, integrazione finanziaria e scambi culturali, e ambiente. E sono gli stessi inseriti nella bozza del memorandum. Sorprende quindi che il sottosegretario Geraci dica che si tratta di un accordo puramente commerciale. È un’adesione neanche troppo indiretta a un obiettivo dichiarato e inserito nella Costituzione del partito Comunista cinese. Quindi c’è un effetto politico, eccome se c’è.
Cos’altro si evince dall’analisi della bozza del memorandum?
Un altro punto, ad esempio, prevede che le due parti, ovvero Italia e Cina, nel perseguire i benefici condivisi della Bri avanzeranno in maniera attiva nelle relazioni politiche. Che poi porti con sè anche dei benefici economici appare ovvio altrimenti non se ne capirebbe il senso. Ma il memorandum non è solo questo, è un documento di intesa ad ampio spettro con Pechino che include infrastrutture, logistica, trasporti, reti, finanza e ambiente. Non è solo un accordo commerciale, ma anche scientifico, tecnologico e culturale. E anche politico, dal momento che non solo è messo nero su bianco ma anche perchè lo si può evincere da altri passaggi.
Ovvero?
Si evince, per esempio, dal fatto che le controversie sull’interpretazione del memorandum non sono soggette ad arbitrato internazionale, ma vengono affrontate in modo “amichevole” e saranno oggetto di “consultazioni dirette”. E qui c’è una differenza sostanziale tra il nostro documento e quello degli altri Paesi. Negli altri mediamente si parla di ‘consultazioni amichevoli’ per l’interpretazione del memorandum stesso, nel nostro si legge invece che in un “contesto” amichevole verranno affrontati eventuali divergenze attraverso consultazioni dirette. Che è diverso. Quindi attenzione massima a questi termini apparentemente innocui e ingenui, non sono sostituti o sinonimi. Il memorandum ha un valore legale, anche se non è un accordo. Ogni parola pesa, le differenze ci sono.
Un’eventuale firma da parte dell’Italia ha quindi un peso specifico rispetto ad altri Paesi?
Certo. Questo è un memorandum completo, non è relativo solo ad aspetti commerciali, ma c’è dentro tutto. E l’Italia ha una posizione leggermente diversa rispetto ad altri Paesi. E certamente come membro fondatore della Nato abbiamo un peso non solo storico, ma anche concreto. È questo che ha fatto inalberare gli Stati Uniti. Non si può firmare un memorandum del genere come se si trattasse di un documento di business. I motivi per stare in guardia, da parte di Washington, ci sono eccome. Noi siamo il primo tassello sulla mappa agli occhi di Pechino. E siamo molto diversi dagli altri tredici Paesi Ue che hanno firmato documenti analoghi.
Quali rischi corre l’Italia, nell’immediato?
Il rischio già concreto è un isolamento in Europa. E in questo caso ce lo siamo andati a cercare. In Europa, per dire, abbiamo votato contro lo schema per lo screening degli investimenti esteri nell’Unione, di cui siamo stati promotori. Questo è enormemente distruttivo nei confronti del progetto dell’Ue. Tecnicamente, siamo come una serpe in seno, come lo è stata la Grecia. I prossimi siamo noi. I risultati negativi sono già stati prodotti.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 12th, 2019 Riccardo Fucile
IL SEGRETARIO DEL PD COSTRETTO A ISTITUIRE UNO STAFF AD HOC PER DIFENDERSI DAGLI ATTACCHI SULLA RETE… I SOLITI MAZZIERI IN AZIONE, MANOVALANZA RAZZISTI E MANDANTI STRANIERI BEN NOTI
Uno staff per monitorare gli attacchi sul web. E’ stato uno dei primi dossier che Nicola
Zingaretti ha dovuto affrontare, perchè da una settimana – da quando è stato eletto nei gazebo delle primarie segretario del Pd con il 66,5% di voti – gli attacchi social sono diventati una marea montante.
Un esempio? Il faccione di Zingaretti in primo piano, accanto il simbolo del Pd e la notizia della deposizione del governatore del Lazio su Mafia Capitale, Salvatore Buzzi e compagnia.
Vecchia è vecchia. E non occorre dirlo.
L’archiviazione è stata chiesta dal procuratore Pignatone un anno fa. Però vale la pena rilanciarla per screditare il neo segretario, come è stato fatto nelle scorse ore da siti sovranisti e influencer della destra filo leghista. La non notizia è stata sviluppata anche dal quotidiano il Giornale.
E’ appunto cartina di tornasole di un effetto a catena. Sono centinaia gli attacchi fake, il rimpallo di notizie false che riguardano tre filoni principali: i rapporti con Mafia capitale, il titolo di studio di Zingaretti, la gestione della Regione.
Tre aree su cui scatenarsi per creare un effetto onda sul web, in modo da raggiungere il maggior numero di persone e da rendere credibile la propaganda contro.
Ecco che siti come Imola Oggi, Sputnik News legato all’universo putiniano in Italia, Primato nazionale si prendono cura del leader del Pd facendo da grancassa alle trovate sovraniste e grilline sui social.
Lo staff social del segretario dem ha scoperto non solo troll, ma anche personalità come Alessandro Meluzzi, lo psichiatra e criminologo che fu forzista e ora è molto vicino alle posizioni di estrema destra, il quale ha rilanciato notizie non vere anti Zingaretti.
La stessa cosa fa Francesca Totolo, legata a CasaPound e ponte con la Lega di Salvini.
Poi c’è Mario Adinolfi, leader dei cattolici conservatori e del Popolo della Famiglia, che ha messo in rete, abboccando alla bufala del tiolo di studio di Zingaretti, un tweet: “ Nicola Zingaretti ha la terza media e se ne vergogna un po’…”.
A smascherarlo subito il sito Bufale.net , che fa sua la pratica di debunking, di smentire o mettere in dubbio notizie false e create ad arte.
Nello staff social di Zingaretti fanno notare che l’attacco sul titolo di studio del segretario è una opera di discredito come quella dei tea party americani, che sostenevano Obama non fosse nato negli Usa e di conseguenza la sua elezione non fosse legittima.
L’allarme che circola nella segretaria dem fotografa una galassia di siti, account, troll e relative interazioni, una vera e propria mappa organizzata.
(da agenzie)
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Marzo 12th, 2019 Riccardo Fucile
DEPOSITATA LA RICHIESTA PER UN ELECTION DAY… SALVINI E DI MAIO SAREBBERO COSTRETTI A SCHIERARSI, MA A LORO SERVE CONTINUARE A ILLUDERE I RISPETTIVI ELETTORATI
Sia che si tratti di un referendum sia che si parli di una consultazione popolare sulla Tav, di certo la richiesta depositata oggi dal presidente del Piemonte Sergio Chiamparino ha tutta l’aria di essere respinta.
Il motivo è politico. Nei giorni scorsi il premier Giuseppe Conte ha scongiurato la crisi di governo trovando un cavillo giuridico che ha permesso di avviare i bandi della Tav rinviando nello stesso tempo la decisione di sei mesi.
E a questo punto Lega e M5s non hanno alcuna intenzione di misurarsi con una consultazione popolare che li costringerebbe a prendere una posizione chiara in un momento in cui i due partiti di maggioranza vorrebbero parlarne il meno possibile rinviando il dossier a dopo le elezioni Europee.
E soprattutto, per quanto riguarda la Lega, a dopo il voto in Piemonte poichè il Carroccio, che punta alla conquista della regione, finirebbe sotto l’attacco di tutto il fronte ‘Sì Tav’ che accusa Matteo Salvini di voler bloccare l’opera per restare al governo con Luigi Di Maio.
Elezioni europee e voto regionale saranno a fine maggio, nei giorni in cui, inevitabilmente, Conte dovrà dialogare con l’Europa e con la Francia e trovare una sintesi tra le due opposte visioni di Lega e M5s.
La situazione è talmente complicata che, per adesso, il premier preferisce non nominare un commissario per la Tav.
Intanto il dossier è tutto in mano a lui che smentisce anche l’idea di una mini-Tav mentre il paese di Emmanuel Macron ribadisce “l’impegno ad attuare il trattato bilaterale”.
Tuttavia il giorno è arrivato. Nel day after dell’avvio dei bandi, Chiamparino mette alla prova il governo depositando al ministro dell’Interno la richiesta di accorpare la consultazione popolare sulla Torino-Lione alle elezioni Regionali ed Europee.
Un election day che, secondo il presidente del Piemonte, permetterebbe “di ottenere la necessaria garanzia di regolarità e nel contempo di conseguire un significativo risparmio di risorse”.
Se ieri il ‘no’ al referendum era arrivato dal viceministro alle Infrastrutture Edoardo Rixi, oggi arriva da tutto il governo e dai due partiti.
Anche il premier Giuseppe Conte ha escluso l’idea spiegando che un referendum non è previsto. In effetti per indire un referendum regionale è necessario modificare lo statuto regionale e per farlo occorrono almeno sei mesi.
Anche il vicepremier leghista replica a Chiamparino: “Il referendum? Magari… ma Chiamparino ignora che non si può perchè manca la legge della Regione”. I 5Stelle piemontesi alzano un muro: “La consultazione popolare è una farsa”.
In questo caso, come per i “bandi” diventati “avvisi”, il nodo della questione però è semantico.
Chiamparino, come ha avuto modo di chiarire, non parla di referendum, ma di consultazione popolare per indire la quale non serve modificare lo statuto regionale, ma semplicemente il via libera del Viminale.
Negli uffici del ministero dell’Interno si sta ragionando su questo caso che sarebbe il primo nella storia.
Sono state rilevate già parecchie difficoltà che porterebbero a respingere la richiesta. Per esempio, viene fatto notare, bisogna vedere in che modo va fatto e soprattutto se può avvenire contestualmente al voto delle elezioni Europee, se si possono o meno utilizzare i seggi statali pagati dallo Stato per svolgere una consultazione regionale.
Per ora quindi appare difficile che passi la proposta di Chiamparino che potrebbe rubare alla Lega, finita in questa ambiguità di governo, i voti dei favorevoli alla Tav.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 12th, 2019 Riccardo Fucile
WALTER VENTURI, IL DISEGNATORE DI TEX E DI ZAGOR, E IL MANCATO RISPETTO DEL DIRITTO DI AUTORE NEL POST DELLA LEGA DI SALVINI
I fumetti sono una cosa seria, ormai li ha sdoganati anche la cultura alta. Sono un’industria e
ci lavorano seri e preparati professionisti. Non ci si scherza insomma. Senza dimenticare che la proprietà intellettuale è sacrosanta e va sempre difesa.
È per questo motivo che il fumettista Walter Venturi, disegnatore di Zagor soprattutto (ma anche di Tex) per Sergio Bonelli Editore, ha denunciato con un post su Facebook l’utilizzo nn autorizzato del nome Capitan Italia per un post pubblicato dall’account ufficiale della Lega di Matteo Salvini.
Capitan Italia è infatti un personaggio creato dalla penna di Venturi, la cui prima e unica (finora) serie andò in edicola con i testi, tra gli altri, di Lorenzo Bartoli, Roberto Recchioni e Diego Cajelli.
Si trattava del suo esordio nel mondo dei fumetti, era il 1993 e Venturis si autoprodusse e depositò il marchio: «Per tutelarmi, ero giovane, sognavo di fare il fumettista e non volevo incappare in errori. Capitan Italia era la mia risposta trash ai supereroi americani e ai loro colori sfavillanti. Le mie erano macchiette grottesche che facevano il verso alla politica e alla società italiana degli anni ’90».
La carriera di Venturi è poi decollata fino a diventare una delle firme della Bonelli, ma Capitan Italia gli è rimasto nel cuore.
Facile perciò capire come il suo utilizzo in chiave leghista, e per di più in una commistione con Capitan America, non sia stato particolarmente apprezzato da Venturi, che ha perciò scritto: «E due. Già era successo anni fa con la Marvel Italia, che cercò di utilizzare il nome del mio personaggio, Capitan Italia, chiamandolo Capitano Italia (in realtà anche io venni successivamente a sapere che già Alfredo Castelli e Giorgio Cavazzano avevano realizzato una storia breve con questo nome!), ma comunque il nome del mio primo fumetto autoprodotto, lo registrai, pagando, all’Ufficio Brevetti di via C. Colombo a Roma, che mi rilasciò quella famosa ® erre cerchiata accanto al nome della testata, a conferma del mio copyright. Adesso, un lettore mi informa che sulla pagina Facebook della Lega è spuntata l’immagine che vedete. Dato che ho cercato sempre di non schierare il mio personaggio con un partito politico, volevo informare i creatori dell’immagine che c’è qualcosa che non va… Ma non vi viene il dubbio che forse usando la foto di “Capitan America” ritoccata e il nome “Capitan Italia” si stesse violando la legalità sulla proprietà intellettuale di personaggi pre-esistenti?».
«Mi chiedo se non siano proprio loro i primi a dover rispettare la legalità , visto che ne sono così strenui sostenitori – ha osservato il disegnatore contattato da La Stampa -. E poi immagino che nemmeno in Marvel siano così contenti di vedere l’immagine del loro personaggio, Capitan America, trasformato in Salvini. A logica anche questa potrebbe essere una violazione del copyright».
(da “La Stampa”)
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Marzo 12th, 2019 Riccardo Fucile
LALA KAMARA ERA NATA IN SENEGAL MA ERA CITTADINA ITALIANA, CRESCIUTA A BRESCIA … E SICURAMENTE PIU’ ITALIANA DI CERTI CLANDESTINI DELL’UMANITA’ CHE INFESTANO LE FOGNE DEL NOSTRO PAESE
Sono due i fermati per l’omicidio di Lala Kamara, 26 italiana residente a Manchester trovata morta nel suo appartamento.
A quanto si apprende la polizia britannica avrebbe fermato due sospettati, di 21 e 25 anni, con l’accusa di aver ucciso sabato scorso nel suo appartamento l’infermiera bresciana.
Come spiega il Giornale di Brescia Lala Kamara era nata in Senegal ma era cittadina italiana, cresciuta in provincia di Brescia dove è arrivata all’età di quattro anni.
Dal poco che si sa prima di trasferirsi in Regno Unito per lavoro, come tanti suoi coetanei, Lala Kemara ha abitato a Brescia, precisamente a Calcinato, nella frazione di Ponte San Marco.
Da tre anni abitava a Manchester e proprio ieri avrebbe dovuto iniziare un nuovo lavoro dopo aver superato il concorso per infermieri.
Ma Lala Kamara non è abbastanza italiana, non lo è perchè è “di origini senegalesi” e ha la pelle scura. Molti si sono arrabbiati perchè i quotidiani hanno dato la notizia con titoli come “ragazza italiana ucccisa a Manchester” o “ragazza bresciana assassinata in Inghilterra”.
Lala Kemara è quindi nata in Senegal e che successivamente ha ottenuto la cittadinanza italiana (come succede a molti cittadini di origine straniera) visto che ha vissuto la maggior parte della sua vita nel nostro Paese.
Eppure per qualcuno le cose non stanno così e subito nei commenti al post di ANSA si scatenano i razzisti che ci spiegano ad esempio che se un gatto nasce in una stalla non è che diventa un bue o un cavallo.
Uno dei classici argomenti usati dai patridioti per “smontare” la teoria (che nella pratica è regolata dalla legge italiana) secondo la quale nascere in Italia o chiedere la cittadinanza italiana non faccia di una persona un cittadino uguale a noi, con gli stessi diritti e gli stessi doveri.
Purtroppo per i piccoli seguaci del verbo segregazionista nella Costituzione non è data una definizione di “cittadino italiano” modello dal punto di vista genetico, fisico o dell’origine.
C’è scritto che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, il che significa indipendentemente dal fatto che abbiano la pelle scura, che vengano “dall’Africa” (che è un continente, non uno stato) o dalla Cina, che siano romani da sette generazioni o vivano in un campo Rom.
Il sangue, altro grande “criterio” chiamato in causa per discernere gli italiani al 100% da coloro che invece “sono solo imitazioni” non sa di essere italiano, senegalese o francese.
Se sui documenti di Lala Kamara era scritto che è una cittadina italiana allora a Manchester è stata uccisa una nostra connazionale. Cambia le cose?
In fondo è pur sempre una persona e lo sarebbe stata anche se fosse stata una cittadina britannica. Vero, ma è proprio questo che i patridioti non capiscono.
Loro preferiscono discriminare ovvero distinguere tra italiani veri, con pieno diritto di esserlo e italiani acquisiti che non saranno mai come noi perchè la loro famiglia non ha versato sangue per la Patria.
Eppure se da vent’anni i genitori di Lala sono nel nostro Paese di sicuro avranno versato parecchio sudore, lavorando a Brescia e contribuendo come tutti al progresso di questa Nazione.
C’è però chi è più furbo e invece di attaccarsi all’italianità della vittima preferisce puntare ad un altro bersaglio: se la ragazza è morta è colpa del multiculturalismo.
Ovvero di quella stessa cosa che i radical chic vorrebbero importare qui da noi, facendo arrivare persone come Lala e la sua famiglia che non portano altro che violenza o guai.
Ma anche qui è solo un pretesto. Il multiculturalismo in sè non è “cattivo” o foriero di violenze e conflitti. I conflitti nascono ad esempio quando ci sono persone che discriminano i cittadini di origine straniera, facendoli sentire non graditi, di serie B o se i governi invece che affrontare il problema delle tensioni sociali continuano a soffiare sul fuoco dell’intolleranza.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 12th, 2019 Riccardo Fucile
+ EUROPA HA COME RIFERIMENTO MACRON E I LIBERALI DI ALDE, IL PD I SOCIALISTI E DEMOCRATICI EUROPEI … ALLE EUROPEE LEU POTREBBE NON PRESENTARSI, INSERENDO UN CANDIDATO NELLE LISTE DEM… OBIETTIVO DI ZINGARETTI: SORPASSARE IL M5S
“Questa riunione non la stiamo facendo per noi, la facciamo solo per Calenda”. 
Mentre Nicola Zingaretti e Benedetto Della Vedova sono chiusi nella stanza del segretario di +Europa, tra i corridoi della piccola sede a due passi dal Pantheon i rispettivi collaboratori non nascondono come l’esito dell’incontro sia già scritto: marciare divisi alle europee per colpire uniti.
A maggio, certo, ma anche quando arriverà il momento delle elezioni politiche, che il leader dem vede vicino, da qui a un anno al massimo
Quando i due segretari escono per presentarsi in conferenza stampa si ha la conferma di quanto previsto.
Zingaretti lascia che sia Della Vedova a sottolineare la volontà di presentarsi con il proprio simbolo per “raccogliere gli elettori che si rivolgono alla famiglia dell’Alde e vogliono mantenere un profilo distinto da quello dei Socialisti e Democratici”.
Il vincitore delle primarie dem non vuole apparire come il sabotatore della lista unitaria promossa da Calenda, ma come un leader responsabile che si limita a prendere atto dell’impossibilità di procedere su quella strada.
“Non ci sarà la lista unica – spiega – ma due liste, entrambe aperte alla società , allargate alle forze migliori dell’associazionismo, della cultura”.
E +Europa, dal canto suo, aspira a presentarsi come “la casa dei macroniani italiani”, come spiega Piercamillo Falasca, braccio destro di Della Vedova, che ieri ha lavorato in questa direzione all’intesa con il movimento ‘Cittadini!’, un’associazione fondata dall’ex sottosegretario Sandro Gozi.
L’obiettivo è fare in modo che nel piccolo contenitore libdem possano affluire anche forze in uscita dall’area renziana del Pd, aiutandolo così a superare l’asticella del 4%. Ma, soprattutto, la speranza di +Europa è quella di avere come capolista Carlo Calenda.
Il Pd non sembra volersi mettere di traverso rispetto a questa possibilità . “Sta a lui decidere”, dicono dalle parti di Zingaretti, anche se l’ospitalità come capolista nel Pd è garantita.
L’ex Ministro dello Sviluppo, comunque, non appare intenzionato a mettere la faccia su quello che al momento appare poco più che un esperimento ambizioso, quello di un mix radical-liberale a trazione europeista, che tutti i sondaggi indicano stabilmente intorno al 3%, ben al di sotto della soglia fissata per le europee.
Così addossa le responsabilità del fallimento della lista unitaria tutta sulle spalle di Della Vedova e compagni: “+Europa ha definitivamente chiuso all’ipotesi di fare una lista unitaria – twitta poco dopo la fine dell’incontro tra i due segretari – anche dopo l’offerta del Pd di piena e paritetica visibilità dei loghi sotto un ombrello comune. Il fronte unitario delle forze europeiste non ci sarà . È un grave errore. Peccato”.
Calenda, quindi, si tiene le mani libere. Non è escluso che nei prossimi giorni possa incontrare Zingaretti, ma per il momento non scioglie la riserva.
La sua candidatura da capolista del Pd rimane sul tavolo, ma probabilmente l’ex Ministro vorrà prima verificare quanto i dem siano disponibili ad aprirsi anche ad altri nomi provenienti dai firmatari del manifesto Siamo Europei.
Il definitivo fallimento dell’ipotesi della lista unitaria mette nei guai anche i bersanian-dalemiani di Articolo 1-Mdp. Chiusi i canali con Sinistra italiana, che si presenterà in tandem con Rifondazione comunista, escluso il dialogo con il cartello promosso dai Verdi e dal movimento Italia in comune del sindaco di Parma Federico Pizzarotti, appare sempre più probabile che Roberto Speranza e compagni decidano di saltare un giro, pur di evitare una corsa solitaria che si concluderebbe con ogni probabilità con un esito disastroso.
Per dare un segnale al ‘nuovo’ Pd di Zingaretti, si fa strada l’ipotesi di concordare un candidato di area da inserire nelle liste dem e far convergere su questo i voti dei reduci della scissione di due anni fa.
Il nuovo segretario dem, d’altra parte, non ha alcuna intenzione di mostrarsi troppo sbilanciato sul fianco sinistro, anche perchè conta sulla propria capacità attrattiva da quella parte e confida quindi di poter assorbire la scissione, senza necessariamente farsi carico degli scissionisti, almeno dei volti più noti e ingombranti.
L’obiettivo del sorpasso sul M5S, d’altra parte, appare a portata di mano e Zingaretti non vuole sprecare nemmeno i singoli decimali pur di raggiungerlo.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 12th, 2019 Riccardo Fucile
NON AVENDO I NUMERI IN PARLAMENTO PER BLOCCARLA, SI VA VERSO UNA REVISIONE DEL PROGETTO… DUE INCOGNITE: LA LEGA VOTERA’ QUESTA SOLUZIONE? COME REAGIRA’ L’ELETTORATO DEL M5S DI FRONTE ALL’ENNESIMO CEDIMENTO?
Sulla Tav è stato trovato un compromesso: i bandi partono, ma non sono vincolanti e l’opera può essere ancora ridiscussa. Il governo ha preso tempo scongiurando la crisi, ma il redde rationem arriverà e Di Maio non vuole farsi trovare impreparato.
Il ministro del Lavoro, come riporta Repubblica, sta approntando una strategia per uscire vincitore, o almeno non del tutto perdente, dalla battaglia con Salvini sulla Torino-Lione.
Detto che il tunnel di base dev’essere fatto, i Cinque Stelle potrebbero strappare un accordo per la cosiddetta “mini-Tav”, con una sostanziale revisione dell’opera nel tratto italiano, senza andare a toccare quello francese.
Al momento questo sembra l’unico compromesso accettabile da entrambe le parti. Il blocco totale dell’opera non è una strada percorribile, e questo lo sa anche Di Maio.
Ma cosa succederebbe se la Lega dicesse no anche alla mini-Tav? Se si andasse alla conta in parlamento, come auspicato dal leghista Giancarlo Giorgetti, il Carroccio avrebbe gioco facile.
LeU a parte, tutti partiti di opposizione sono favorevoli all’opera. Il piano di Di Maio, spalleggiato da Conte, sarebbe quindi quello di mettere la fiducia sul progetto di mini-Tav.
Come riporta Repubblica, Conte avrebbe assicurato a Di Maio di essere pronto a seguire questa strada: “Sarebbe la Lega, allora, ad assumersi la responsabilità di votare con le opposizioni e far cadere il governo”, scrive Tommaso Ciriaco.
“Per far accettare questa nuova svolta, Di Maio è pronto nelle prossime settimane a drammatizzare nuovamente il dossier dell’Alta velocità , per poi sposare l’accordo di Conte sulla ‘mini Tav’ come l’ultima spiaggia dell’esecutivo. Non è però detto che l’operazione vada in porto”.
Insomma, il rinvio per il momento ha calmato le acque, ma la partita è destinata a riaprirsi presto, e Di Maio deve trovare una scappatoia per ridiscutere almeno in parte un’opera che non si può bloccare del tutto.
La base pentastellata accetterà questo ennesimo compromesso?
(da TPI)
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Marzo 12th, 2019 Riccardo Fucile
TRA TAV, CAFFE’ BELGA E BCE
L’eurodeputato del M5S Piernicola Pedicini è riuscito in pochi giorni a infilare una serie di
sciocchezze e commenti infelici a proposito della TAV, del caffè belga e della BCE. Questa sua performance gli ha garantito un discreto punteggio nella scala da 1 a Sibilia, dove il valore uno rappresenta la “normalità ” e Sibilia rappresenta la totale inadeguatezza al proprio ruolo (alcuni studiosi fanno riferimento alla scala Toninelli, ma noi preferiamo attenerci alle indicazioni del sistema metrico internazionale).
Cominciamo:
1. Giovedì 7 marzo, ospite su Rainews 24 alla trasmissione La Bussola, Pedicini parlando della Torino-Lione annovera tra i motivi per cui l’opera non dovrebbe essere fatta: il pericolo di infiltrazioni mafiose. Dopo la richiesta di precisazioni da parte del conduttore Pedicini afferma: “Non si può trascurare il rischio, il pericolo di questi temi, dell’infiltrazione mafiosa, visto che queste cose sono reali soprattutto per il tema TAV”. Quindi il rischio di infiltrazioni mafiose sarebbe maggiore per la TAV rispetto ad altre opere. Perchè? Non è molto chiaro ma deve essere per questo che il presidente Conte spinge per la realizzazione della Caltanissetta-Agrigento, perchè in quel caso il rischio di infiltrazioni mafiose è inesistente (chiedo scusa agli amici siciliani ma Pedicini me le tira fuori con le pinze certe battute).
2. In un post di ieri sulla sua pagina Facebook, quel simpaticone di Piernicola dimostra di essere vittima dell’ormai dilagante Sindrome di Salvini. Secondo la definizione dei manuali di medicina, si tratta di una sindrome per cui i politici sentono l’irrefrenabile bisogno di fotografarsi ogni volta che ingeriscono cibi o bevande, per fare vedere che sono persone semplici del popolo e non appartengono alla kasta.
Ma Pedicini fa di più, quel mattacchione ci infila anche il battutone nazionalista. Per prepararsi la battuta scrive che sta assaporando “un ottimo caffè belga” per poi farci sapere che un caffè come quello a Napoli sarebbe definito una “ciofeca”.
Immagino quanto saranno felici gli europarlamentari belgi, con i quali si deve confrontare al Parlamento Europeo, di sapere che Pedicini fa sulla sua pagina pubblica battute da quindicenne sfigato che va all’estero per la prima volta.
Ovviamente i suoi fan reagiscono con italica fierezza: “Lasciamo fare il caffè a chi lo sa fare” scrive uno, “Immagino che schifezza” scrive un altro, “A maggio solo caffè italiano” gli fa eco un terzo che evidentemente non ha chiaro in cosa consistano le elezioni europee. E ancora: “Loro sanno fare solo i cazzi propri”, “Il caffè belga proprio non si può sentire”, “Il caffè belga è tossico”, “Un’altra delle molteplici cose in cui siamo i migliori”.
Insomma, scampata la guerra con la Francia Pedicini sta cercando un casus belli con il Belgio. Battute a parte un europarlamentare dovrebbe avere cultura, professionalità , accortezza e intelligenza per capire che sarebbe meglio non indulgere in certi atteggiamenti triviali in pubblico.
3. Passiamo a Twitter, la giornata è sempre quella di ieri.
Dopo aver chiesto nei giorni scorsi a Mario Draghi di “azzerare il meccanismo dello spread”, l’economista che è in Pedicini alza di nuovo la voce. Lo spunto è fornito dalla BCE che ha da poco annunciato nuovi LTRO (Long Term Refinancing Operation), in parole semplici si tratta di prestiti di lungo periodo alle banche commerciali, prestiti che potrebbero anche contribuire a salvare le chiappe del nostro sistema bancario.
Lo avrà capito Pedicini? Macchè, il genio si lamenta del fatto che banche commerciali abbiano la possibilità di finanziarsi a tasso zero mentre lo stato italiano deve pagare il 3% al mercato.
Chiede quindi, con invidiabile lucidità , che siano cambiati i trattati europei per far sì che la BCE compri direttamente dallo stato italiano i titoli che emette. Pedicini nella sua monumentale ignoranza chiede alla BCE, il cui capitale è di tutti i paesi dell’euro zona, di fare quello che non fanno la banca centrale statunitense, quella della Gran Bretagna, quella giapponese e tutte le banche centrali dei paesi avanzati o mediamente avanzati (ed è anche per questo che sono economie avanzate).
In più chiede che questo sia fatto a tasso zero. Pare superfluo sottolineare che non esiste una possibilità su un miliardo che questa proposta venga presa sul serio.
D’altronde se l’idea avesse un minimo di praticabilità , non dovrebbe farla propria il governo invece di lasciare da solo un europarlamentare a sbraitare contro Draghi?
Ma la domanda più importante è: lo saprà Mario Draghi che esiste un certo Piernicola Pedicini che lo sta incalzando con le sue idee rivoluzionarie?
Al di là del tono bonariamente sarcastico dell’articolo Pedicini fa anche qualcosa di buono, per esempio dorme e quando dorme non scrive sui social.
(da “NextQuotidiano“)
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