ALESSIA AMIGHINI (ISPI): “CON LA FIRMA DEL MEMORANDUM L’ITALIA ADERISCE AGLI OBIETTIVI DEL PARTITO COMUNISTA CINESE DI XI”
“NON SI PUO’ FIRMARE UN DOCUMENTO DEL GENERE COME SE SI TRATTASSE DI BUSINESS”
L’Italia primo vero tassello di un progetto geoeconomico così rilevante per il presidente Xi Jinping da essere stato inserito nella Costituzione del Partito Comunista Cinese.
Proprio tra la costituzione del PCC come modificata meno di due anni fa e il memorandum per aprire all’Italia la Via della Seta emergono somiglianze che rendono più che motivate le preoccupazioni espresse dagli alleati occidentali nei confronti dell’Italia.
Ed è per questo motivo che la Via della Seta “non può essere considerata una intesa puramente commerciale, ma ha invece un peso politico enorme”.
È di questa opinione la professoressa Alessia Amighini, condirettrice del dipartimento per l’Asia Centrale dell’Ispi, esperta di economia cinese e relazioni Ue-Asia.
Cosa emerge dalla lettura della bozza del memorandum d’intesa tra Italia e Cina per l’adesione alla Belt&Road Initiative?
Premessa: siamo ufficialmente nella fase di esecuzione dell’iniziativa, nota come Via della Seta, del mandato di Xi che prevede esplicitamente la realizzazione della Belt and Road Initiative (Bri). Abbiamo confrontato le espressioni tra il memorandum e la costituzione cinese, che poi è la costituzione del partito dal momento che non c’è differenza alcuna. A ottobre 2017 la costituzione del partito è stata modificata, com’è noto: in essa è stato inserito il pensiero di Xi, con il chiaro intento di unificare il pensiero intorno al suo. Come ultima aggiunta, però, viene previsto il perseguimento dell’iniziativa Belt and Road.
Quella che l’Italia si appresta a firmare.
Esatto. Nella costituzione del partito sono richiamati cinque deliverables: coordinamento delle politiche, infrastrutture e connettività , libero scambio, integrazione finanziaria e scambi culturali, e ambiente. E sono gli stessi inseriti nella bozza del memorandum. Sorprende quindi che il sottosegretario Geraci dica che si tratta di un accordo puramente commerciale. È un’adesione neanche troppo indiretta a un obiettivo dichiarato e inserito nella Costituzione del partito Comunista cinese. Quindi c’è un effetto politico, eccome se c’è.
Cos’altro si evince dall’analisi della bozza del memorandum?
Un altro punto, ad esempio, prevede che le due parti, ovvero Italia e Cina, nel perseguire i benefici condivisi della Bri avanzeranno in maniera attiva nelle relazioni politiche. Che poi porti con sè anche dei benefici economici appare ovvio altrimenti non se ne capirebbe il senso. Ma il memorandum non è solo questo, è un documento di intesa ad ampio spettro con Pechino che include infrastrutture, logistica, trasporti, reti, finanza e ambiente. Non è solo un accordo commerciale, ma anche scientifico, tecnologico e culturale. E anche politico, dal momento che non solo è messo nero su bianco ma anche perchè lo si può evincere da altri passaggi.
Ovvero?
Si evince, per esempio, dal fatto che le controversie sull’interpretazione del memorandum non sono soggette ad arbitrato internazionale, ma vengono affrontate in modo “amichevole” e saranno oggetto di “consultazioni dirette”. E qui c’è una differenza sostanziale tra il nostro documento e quello degli altri Paesi. Negli altri mediamente si parla di ‘consultazioni amichevoli’ per l’interpretazione del memorandum stesso, nel nostro si legge invece che in un “contesto” amichevole verranno affrontati eventuali divergenze attraverso consultazioni dirette. Che è diverso. Quindi attenzione massima a questi termini apparentemente innocui e ingenui, non sono sostituti o sinonimi. Il memorandum ha un valore legale, anche se non è un accordo. Ogni parola pesa, le differenze ci sono.
Un’eventuale firma da parte dell’Italia ha quindi un peso specifico rispetto ad altri Paesi?
Certo. Questo è un memorandum completo, non è relativo solo ad aspetti commerciali, ma c’è dentro tutto. E l’Italia ha una posizione leggermente diversa rispetto ad altri Paesi. E certamente come membro fondatore della Nato abbiamo un peso non solo storico, ma anche concreto. È questo che ha fatto inalberare gli Stati Uniti. Non si può firmare un memorandum del genere come se si trattasse di un documento di business. I motivi per stare in guardia, da parte di Washington, ci sono eccome. Noi siamo il primo tassello sulla mappa agli occhi di Pechino. E siamo molto diversi dagli altri tredici Paesi Ue che hanno firmato documenti analoghi.
Quali rischi corre l’Italia, nell’immediato?
Il rischio già concreto è un isolamento in Europa. E in questo caso ce lo siamo andati a cercare. In Europa, per dire, abbiamo votato contro lo schema per lo screening degli investimenti esteri nell’Unione, di cui siamo stati promotori. Questo è enormemente distruttivo nei confronti del progetto dell’Ue. Tecnicamente, siamo come una serpe in seno, come lo è stata la Grecia. I prossimi siamo noi. I risultati negativi sono già stati prodotti.
(da “Huffingtonpost“)
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