Ottobre 4th, 2019 Riccardo Fucile
LO SCOOP DI “AVVENIRE”, IL CAPO DEI TRAFFICANTI CHE PIGLIA IL PIZZO PER NON INTERCETTARLI CON LA “SUA” GUARDIA COSTIERA CHE L’ITALIA PAGA… RICERCATO A LIVELLO INTERNAZIONALE, ENTRA IN ITALIA SENZA ESSERE REGISTRATO CON UN LASCIAPASSARE ACCOMPAGNATO DA FUNZIONARI DEL VIMINALE
Il giornalista di Avvenire Nello Scavo ha scoperto grazie a una fonte anonima che uno dei
più violenti trafficanti di essere umani della Libia ha partecipato a un incontro riservato che si è svolto in Italia il 27 maggio del 2017 al Cara di Mineo, vicino a Catania. Abd al-Rahman al-Milad — noto col soprannome di Bija — è stato accusato di essere il capo di una cupola di stampo mafioso nel suo paese d’origine.
Un video del Times pubblicato a febbraio del 2017 lo ritrae mentre è intento a frustrare alcuni migranti soccorsi al largo delle coste libiche.
L’incontro
Scavo scrive che durante l’incontro, al quale hanno partecipato anche delegati nordafricani di alcune organizzazioni internazionali, l’Italia avrebbe negoziato con le autorità libiche il blocco dei migranti e dei profughi, e che Bija era stato presentato come “uno dei comandanti della Guardia costiera libica”.
Il giornalista specifica che di lui non c’è traccia nel registro degli ingressi, ma aveva ottenuto un lasciapassare per studiare il funzionamento del Cara — chiuso nel luglio scorso — ed era arrivato sul posto “accompagnato” dalle autorità italiane. Con lui c’erano altri cinque libici, di cui una donna.
Bija non ha aperto bocca, ma gli altri della presunta delegazione hanno fatto molte domande sul centro e hanno proposto di realizzare qualcosa di simile in Libia, a carico dell’Italia: così, hanno detto secondo l’inchiesta, si sarebbe potuto risparmiare denaro e problemi.
Non si sa molto altro dell’incontro: Avvenire ha ottenuto e pubblicato alcune foto ma ha reso irriconoscibili — per questioni di privacy — i volti degli altri funzionari presenti, mentre Scavo non ha fornito altre informazioni su Bija e i suoi spostamenti.
Alcune settimane dopo quell’incontro, la giornalista Francesca Mannocchi e Associated Press avevano però scritto che il governo italiano — allora era presieduto da Matteo Renzi — aveva effettivamente stretto un patto con le milizie che controllavano il traffico di esseri umani. L’esecutivo aveva smentito la notizia.
A pochi giorni di distanza era arrivato anche un report del Consiglio di sicurezza dell’Onu in cui si chiedeva il congelamento dei beni di Bija e l’imposizione di un provvedimento restrittivo nei suoi confronti che gli avrebbe impedito di lasciare la Libia. Nel testo, che Scavo riporta in parte, si leggeva: “Abd al-Rahman Milad e altri membri della Guardia costiera sono direttamente coinvolti nell’affondamento di imbarcazioni migranti utilizzando armi da fuoco”.
Le responsabilità del governo italiano
Scavo scrive che è impossibile che le autorità italiane non sapessero chi è Bija, in quanto personaggio molto conosciuto nel giro libico (inoltre nei mesi precedenti era salito alla ribalta della cronaca per i soprusi che aveva commesso, e in più c’era stato il già citato video del Times).
Nancy Porsia, una giornalista freelance esperta di Libia, aveva per esempio ricostruito la storia di Bija in un articolo per Trt World, scrivendo che i trafficanti libici erano costretti a corrispondergli una somma forzata, assimilabile al pizzo mafioso. Chi non lo faceva veniva punito. “[I trafficanti] vengono intercettati dalla sua ‘guardia costiera’ che ruba loro i motori e lascia le barche piene di migranti in mezzo al mare, oppure li riporta nel centro di detenzione Al Nasser di Zawiyah, sempre di proprietà della tribù di al Bija”.
Diversi giornali e associazioni internazionali sostengono da tempo che l’Italia abbia stretto accordi anche coi trafficanti libici per interrompere i flussi di migranti.
Il 30 agosto 2017 Associated Press ha scritto che l’Italia aveva stretto un accordo con due potenti milizie libiche coinvolte nel traffico di essere umani.
Circa un mese dopo in un articolo d’opinione pubblicato sul New York Times si leggeva: “…è difficile pensare che i fondi europei per limitare l’immigrazione non abbiano raggiunto questi gruppi”.
(da Whired)
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Ottobre 4th, 2019 Riccardo Fucile
SULLA BASE DEI RAPPORTI UFFICIALI NON SE NE SALVA NEANCHE UNO: VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI, CARCERE PER GIORNALISTI, OMOSESSUALI E OPPOSIZIONI, STUPRI, TORTURA, CONDANNE A MORTE, PROCESSI FARSA, ESECUZIONI, BRACCI DELLA MORTE
Nel nuovo decreto interministeriale sono stati inseriti 13 paesi considerati “sicuri” con cui attuare accordi di rimpatrio. Si tratta di Algeria, Marocco, Tunisia, Albania, Bosnia, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Senegal, Serbia e Ucraina. “Sui circa 7.000 arrivi di quest’anno oltre un terzo appartengono a uno di questi Paesi. Per molte di queste persone dobbiamo attendere due anni ora per oltre un terzo degli arrivi acceleriamo le procedure”, ha spiegato Di Maio.
Ma questi paesi che devono riaccogliere i migranti in fuga, sono davvero sicuri? Qual è la situazione dei diritti umani?
Molti di questi sono coinvolti in gravi violazioni dei diritti umani. In alcuni, come l’Algeria, l’omosessualità è punita con il carcere. Il rischio che vengano rimpatriati migranti che hanno subito degli abusi o che siano stati perseguitati è alto.
Vediamoli, uno per uno, con l’aiuto dei rapporti di Amnesty International
Algeria
Il governo algerino detiene arbitrariamente manifestanti pacifici, difensori dei diritti umani, attivisti e giornalisti. Il governo algerino blocca inoltre la registrazione di molte organizzazioni non governative algerine che operano nell’ambito dei diritti delle donne, minoranze etniche e i diritti umani. È ancora in vigore la legge che limita il diritto di costituire sindacati. I migranti sono incorsi spesso in espulsioni di massa. I tribunali hanno emesso condanne a morte, anche se non ci sono state esecuzioni dal 1993. Nei mesi scorsi, oltre 280 membri del movimento di minoranza religiosa ahmadiyya sono stati perseguiti penalmente in relazione al loro credo religioso. Le autorità non hanno intrapreso alcuna iniziativa per aprire indagini e contrastare l’impunità per le gravi violazioni dei diritti umani e i possibili crimini contro l’umanità , tra cui uccisioni illegali, sparizioni forzate, stupri e altre forme di tortura, che sia le forze di sicurezza sia i gruppi armati avevano compiuto durante il conflitto armato interno in Algeria nel corso degli anni Novanta, in cui, secondo le stime, erano state uccise o erano state vittime di sparizione forzata 200mila persone. L’omosessualità è punita dalla legge con la reclusione da due mesi a due anni, e al pagamento di una multa da 500 a 2 000 dinari algerini.
Marocco
La situazione dei diritti umani in Marocco non è delle più rosee. Giornalisti e manifestanti scesi in piazza per chiedere miglioramenti sul piano della giustizia sociale e dei diritti politici sono stati incarcerati, spesso al termine di processi iniqui. I migranti hanno spesso subito un uso eccessivo della forza da parte delle autorità . I tribunali hanno emesso nuove condanne a morte, ma non ci sono state esecuzioni. Sono state applicate spesso le norme del codice penale che puniscono il reato d’insulto e d’istigazione alla protesta o alla ribellione, con il carcere per giornalisti, blogger e attivisti che avevano criticato le autorità o denunciato violazioni dei diritti umani e casi di corruzione o che avevano dato voce alle proteste popolari. Le attività di alcune organizzazioni presenti in Marocco e nel Sahara Occidentale, percepite come critiche verso la linea politica del governo, sono state ostacolate. I rapporti sessuali consenzienti tra persone dello stesso sesso sono puniti in base all’art. 489 del codice penalee chi si “macchia” di tale crimine viene mandato in carcere. Le vittime di aggressioni di stampo omofobico hanno riferito di avere avuto paura di rivolgersi alla polizia per sporgere denuncia. Le forze di sicurezza hanno continuato ad avere un ruolo attivo nell’espulsione sommaria verso il Marocco di migranti e richiedenti asilo dalle enclave spagnole di Ceuta e Melilla e a ricorrere all’uso eccessivo o non necessario della forza contro di loro. I tribunali hanno incarcerato migranti per essere irregolarmente entrati, rimasti o usciti dal territorio marocchino, compresi alcuni che avevano inoltrato domanda per regolarizzare il loro status, e in alcune occasioni li hanno processati senza la presenza di un avvocato.
Tunisia
In Tunisia lo stato di emergenza viene usato come giustificazione per le restrizioni arbitrarie alla libertà di movimento. Si sono verificati, in un clima di totale impunità , nuovi casi di tortura e altri maltrattamenti ai danni di detenuti. La polizia ha effettuato arresti arbitrari e irruzioni in abitazioni private senza mandato. In molti casi sono state vietate o punite le manifestazioni pacifiche. Il ministero dell’Interno limita la libertà di movimento. Episodi di tortura e altri maltrattamenti di detenuti sono all’ordine del giorno. Le persone Lgbti, almeno 44 sono i casi noti, rischiano costantemente di essere arrestate ai sensi dell’art. 230 del codice penale, dal momento che i rapporti omosessuali consenzienti sono considerati un crimine. Gli omosessuali sono spesso sottoposti a violenza, sfruttamento e abusi sessuali anche da parte della polizia, che li sottopone a visite anali forzate, in violazione del divieto di tortura. I tribunali hanno emesso almeno 25 condanne a morte, al termine di procedimenti giudiziari inerenti alla sicurezza nazionale. Gli avvocati della difesa si sono appellati contro queste sentenze. Non sono però state effettuate esecuzioni dal 1991.
Albania
Donne e minori sono spesso vittime di tratta per prostituzione e lavoro forzati. Il percorso dell’Albania verso l’ingresso nell’Ue è stato ostacolato dagli scarsi progressi nella lotta alla corruzione e al crimine organizzato. Le misure per garantire l’indipendenza della magistratura sono state applicate solo in parte. I giornalisti, in particolare quelli investigativi, sono spesso vittime del crimine organizzato. A febbraio, due ong hanno presentato istanza alla Corte europea dei diritti umani per chiedere una modifica al codice della famiglia, che vieta i diritti di convivenza alle coppie di persone dello stesso sesso. Un sondaggio ha rilevato una diffusa discriminazione subita dalle persone Lgbti in ambito lavorativo, sia nel settore pubblico che privato. A maggio, un tribunale britannico ha stabilito che centinaia di persone lesbiche e gay, vittime di tratta e sopravvissute alla violenza domestica, potevano essere state erroneamente espulse verso l’Albania dal 2011, poichè le corti del Regno Unito avevano fatto affidamento su indicazioni non corrette. Circa 4.421 richiedenti asilo albanesi sono ritornati volontariamente nel paese da nazioni dell’Ue; 2.500 richiedenti asilo respinti sono stati rimpatriati dalla Germania. Sono aumentate le denunce di violenza domestica; alla data del 1° giugno erano stati emanati 420 ordini di protezione immediata.
Bosnia ed Erzegovina
Le minoranze subiscono spesso abusi e discriminazioni. Non mancano le minacce e le aggressioni contro i giornalisti e la libertà di stampa. L’esclusione sociale e la discriminazione sono rimaste molto diffuse, in particolare nei confronti di rom, persone Lgbti e persone con disabilità . Sono proseguiti gli sforzi per ridurre il numero di rom privi di documenti d’identità e per aumentare il numero dei bambini rom iscritti alle scuole primarie. Tuttavia, i rom hanno continuato a scontrarsi con ostacoli sistemici per accedere all’educazione, all’alloggio, ai servizi sanitari e all’occupazione. Le persone con disabilità , in particolare donne e minori, hanno continuato a subire una sistematica esclusione sociale, tra cui gravi limitazioni nell’accesso ai servizi sanitari e al sistema educativo tradizionale. Secondo la legge, le persone la cui disabilità non era conseguenza della guerra sono state trattate in maniera differente e hanno ricevuto minori indennità e sussidi sociali rispetto ai veterani e alle vittime civili di guerra. È proseguito il ricorso a minacce, pressioni politiche e aggressioni contro i giornalisti. Associazioni locali di giornalisti avevano documentato quasi 40 casi di pressione diretta, minacce verbali e aggressioni fisiche contro giornalisti.
Macedonia del Nord
Richiedenti asilo e migranti vengono spesso detenuti illegalmente. Il verdetto di un tribunale ha garantito il riconoscimento legale del genere alle persone transgender, ma il cammino per la normalizzazione è ancora lungo. La libertà di stampa è gravemente compromessa dall’interferenza del governo nella stampa e in altri organi d’informazione, anche attraverso il controllo degli spazi pubblicitari. Il giornalismo investigativo è poco sviluppato. Le ong vengono spesso ostacolate dal governo. Richiedenti asilo e migranti, inclusi minori non accompagnati, sono stati detenuti illegalmente nel centro di accoglienza per stranieri. Il Centro europeo per i diritti dei rom ha messo in luce i decessi in custodia di giovani rom per overdose di metadone, farmaco disponibile soltanto alle guardie carcerarie, e la morte di una donna rom, che aveva probabilmente subìto maltrattamenti
Montenegro
Il finanziamento delle ong è spesso minacciato e i difensori dei diritti umani sono stati sottoposti a campagne denigratorie da parte di organi d’informazione vicini al governo. Il governo ha proposto di modificare la legge sui raduni per vietare le manifestazioni di protesta davanti al parlamento. Le attività delle ong sono spesso ostacolate, anche attraverso i limiti al loro finanziamento. Circa 1.000 rifugiati rom ed egiziani, fuggiti in Montenegro dal Kossovo nel 1999, sono rimasti nel campo di Konik, fuori della capitale Podgorica, in attesa di essere ricollocati in alloggi adeguati costruiti con fondi dell’Ue. Circa 800 rom ed egiziani hanno continuato a essere a rischio di apolidia, poichè le loro richieste per ottenere uno status regolare sono rimaste pendenti.
Serbia
Le ong vengono spesso attaccate dal governo e dagli organi d’informazione filogovernativi, o sui social network. Giornalisti investigativi sono stati sottoposti a campagne diffamatorie da ministri e da organi d’informazione vicini al governo. La nomina della premier Ana Brnabić, dichiaratamente lesbica, alla carica di prima ministra e la sua presenza al Pride di Belgrado a settembre sono state accolte da più parti come un passo avanti. Tuttavia, le autorità non hanno protetto le persone e le organizzazioni Lgbti da discriminazione, minacce e aggressioni fisiche. Il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha sollecitato la Serbia ad applicare in modo efficace la legislazione contro i crimini d’odio e a introdurre una procedura per il riconoscimento legale del genere, compatibile con gli standard internazionali. Le famiglie rom di Belgrado hanno continuato a vivere in insediamenti informali. È stato loro negato l’accesso ai diritti economici e sociali, tra cui sanità , istruzione, acqua potabile e servizi igienico-sanitari e sono rimaste a rischio di sgombero forzato. I rom hanno continuato a subire maltrattamenti da parte della polizia. Rifugiati e migranti sono rimasti intrappolati nel paese; quelli che cercavano di entrare nell’Ue attraverso l’Ungheria e la Croazia sono stati più volte rimandati con la violenza in Serbia.
Kosovo
Sono state aperte indagini sui crimini d’odio, dopo che una portavoce dei diritti transgender, che aveva parlato al Pride, aveva ricevuto gravi minacce. L’Associazione dei giornalisti del Kosovo ha riferito di un aumento delle aggressioni, specialmente nei confronti dei giornalisti investigativi. Ad aprile è stata lanciata la strategia nazionale per la protezione dalla violenza domestica. A maggio, la legge sulla compensazione per le vittime di reati è stata estesa alle vittime di violenza domestica, tratta di esseri umani, stupro e abusi sessuali sui minori. Tuttavia, poche persone hanno ottenuto protezione adeguata da parte delle autorità .
Ucraina
Agenti di polizia e delle forze di sicurezza usano spesso la tortura e altri maltrattamenti. Le autorità ucraine hanno aumentato la pressione nei confronti delle voci critiche e delle ong indipendenti, inclusi giornalisti e attivisti anticorruzione. Sono in vigore leggi che limitano i diritti alla libertà d’espressione e alla libertà d’associazione. Le autorità de facto nei territori controllati dai separatisti hanno continuato ad arrestare e a imprigionare illegalmente persone critiche nei loro confronti. Nella Crimea occupata dai russi, chi critica le autorità subisce intimidazioni, vessazioni e azioni giudiziarie. Il numero di aggressioni nei confronti di persone Lgbti è aumentato in tutto il paese. Il malcontento sociale è in crescita. I crescenti problemi economici, la lentezza delle riforme e la corruzione dilagante hanno scatenato regolari proteste a Kiev che, in alcuni casi, sono sfociate nella violenza. Nell’Ucraina orientale, le forze separatiste e governative hanno continuato a combattere, in violazione dell’accordo del 2015 per il cessate il fuoco. La Russia, che occupa la Crimea, continua a negare l’accesso alle organizzazioni per i diritti umani. Membri delle forze di polizia e di sicurezza usano la tortura e altri maltrattamenti e le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno. In Crimea è proseguita la repressione dei diritti alla libertà d’espressione, associazione e riunione.
Ghana
In Ghana i processi e le condizioni dei carcerati sono al limite del deplorevole. È all’ordine del giorno l’incatenamento delle persone con disabilità psichica. Le persone Lgbti affrontano discriminazioni, violenze e vessazioni da parte della polizia. In Ghana, circa un milione di persone lavorano nell’estrazione dell’oro e spesso le comunità che abitano in prossimità dei siti minerari vivono sotto esposizione diretta al mercurio. La pratica dei matrimoni precoci non è stata del tutto eliminata. Decine di prigionieri del braccio della morte, compresi alcuni con disabilità psicointellettiva certificata, hanno dovuto affrontare condizioni carcerarie deplorevoli, caratterizzate da sovraffollamento e da mancanza di assistenza medica. Molti prigionieri del braccio della morte hanno riferito di non avere ricevuto un’adeguata assistenza legale durante i loro processi. L’accesso alla giustizia è rimasto limitato, soprattutto per le persone a basso reddito o appartenenti alle fasce emarginate della popolazione. L’incatenamento di persone con disabilità psichica continuava a essere una prassi abitualmente utilizzata, in particolare nei “campi di preghiera”, dislocati sul territorio nazionale. Tale pratica consisteva nel legare la persona con strumenti di contenzione, come catene o corde, confinandola all’interno di uno spazio chiuso a chiave, come una stanza, un capanno o una gabbia. Le relazioni sessuali consenzienti tra uomini sono rimaste reato. Le persone Lgbti continuano a essere vittime di episodi di ves sazione da parte della polizia, oltre che di discriminazione, violenza e ricatti all’interno della comunità
Senegal
I diritti alla libertà di riunione pacifica e d’espressione sono limitati. Le condizioni all’interno delle carceri sono rimaste dure. Minori sono stati costretti a mendicare per le strade. Non sono state intraprese iniziative per affrontare l’impunità per le violazioni dei diritti umani. Le autorità hanno vietato lo svolgimento di manifestazioni pacifiche e arrestato dimostranti, in particolare nel periodo che ha preceduto le elezioni di luglio. Giornalisti, artisti, utenti dei social network e altri che avevano espresso il loro dissenso sono stati arbitrariamente arrestati. Gli istituti di pena del paese sono rimasti caratterizzati da sovraffollamento e dure condizioni di detenzione. Almeno quattro persone sono morte in custodia, comprese due che si ritiene si siano tolte la vita impiccandosi. Il codice penale continuava a considerare reato le relazioni omosessuali tra adulti consenzienti. Le persone Lgbti hanno dovuto affrontare discriminazioni, in particolare nell’accesso ai servizi sanitari e alla giustizia. Il Comitato delle Nazioni Unite sulle sparizioni forzate ha pubblicato le sue osservazioni conclusive sul Senegal. Ha raccomandato che il codice penale e le procedure investigative venissero messe in linea con la Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata e che il mandato del comitato senegalese sui diritti umani venisse rafforzato secondo i Princìpi relativi allo status delle istituzioni nazionali sui diritti umani.
(da TPI)
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Ottobre 4th, 2019 Riccardo Fucile
ECCO QUANTO SPENDE L’ITALIA PER RIMANDARE I MIGRANTI NEI PAESI DI ORIGINE: 11,7 MILIONI
Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede hanno
presentato il Piano rimpatri sicuri, che ha l’obiettivo di accelerare le espulsioni dei migranti irregolari arrivati in Italia e che non hanno i requisiti per rimanervi.
Ma la difficoltà principale dei rimpatri resta il costo altissimo da sostenere.
L’Europa sta spendendo milioni di euro per i rimpatri forzati di migranti verso i loro paesi di origine, con costi fino ai 90.000 euro per singolo rimpatrio in un caso limit
Finora le spese italiane ammontano a 11.731.250 euro, dei quali la maggior parte, 9,7 milioni, sono stati destinati ai rimpatri forzati e la restante parte ai rimpatri volontari.
La distinzione tra rimpatri forzati e rimpatri volontari è necessaria non solo per il differente stato giuridico dei migranti, ma soprattutto per la differenza di trattamento economica dei tue tipi di procedimenti.
Secondo i dati Frontex, gestire una singola pratica di rimpatrio ha un costo medio di 6.800 euro che comprende il volo di linea e l’accompagnamento della persona nel paese d’origine.
L’utopia dei rimpatri
Rimandare in patria i migranti sbarcati sulle nostre coste non solo costa, ma richiederebbe quasi un secolo.
Se si stima che a oggi, in Italia, ci sono circa 500mila immigrati irregolari, un rimpatrio di massa arriverebbe a costare pertanto quasi 3 miliardi di euro. Ma la difficoltà più grande riguarda anche la possibilità di stringere accordi di riammissione con i Paesi del Nord Africa e di farli rispettare. Senza questi, un migrante rimpatriato non viene fatto rientrare nel proprio Paese di origine.
Per quanto riguarda inoltre la tempistica, numeri alla mano: se nel 2017 sono stati circa 6mila i migranti rimpatriati, considerando i 500mila “irregolari” sarebbero necessari 83 anni per rivederli tutti “a casa loro”.
(da Tpi)
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Ottobre 4th, 2019 Riccardo Fucile
IL MINISTRO DEGLI INTERNI ERA ASSENTE ALLA PRESENTAZIONE DEL DECRETO PATACCA: “IL PROBLEMA E’ COMPLESSO, NON SI RISOLVE IN POCHI MESI, PRIMA DOBBIAMO PARLARE CON MOLTI PAESI”
Un modo elegante per mettersi al riparo dalle fughe in avanti dei grillini che, governo gialloverde o giallorosso che sia, continuano a campare di propaganda.
“Le procedure saranno più brevi che in passato? Vedremo”. Lo ha detto il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, a proposito del decreto ministeriale sui migranti presentato oggi dai colleghi Luigi Di Maio e Alfonso Bonafede.
“Il problema immigrazione – ha aggiunto al termine del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza – è complesso, strutturale, servono varie azioni, nessuno ha la bacchetta magica dicendo che nel giro di un mese il problema si risolve. Lo dico da ex prefetto. Il decreto sicuramente potrà anche essere utile, ma prima dobbiamo molto parlare con gli altri Stati per i rimpatri.”
Ha poi aggiunto Luciana Lamorgese: “Il pre accordo sui migranti raggiunto nel corso del vertice a cinque tra Malta, Italia, Francia, Germania e Finlandia, e che sarà esaminato a Lussemburgo martedì 8 ottobre durante il Consiglio europeo degli Affari interni, “è un work in progress”.
“Quella a Lussemburgo sarà una presentazione dell’accordo – continua Lamorgese -. Noi lo presenteremo e poi ogni Stato dovrà verificarlo, non è prevista una firma il giorno dopo. E un work in progress. Raggiungeremo un risultato se si arriverà a un numero di Stati (aderenti, ndr) tale da garantire una gestione complessiva del fenomeno a livello europeo”.
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2019 Riccardo Fucile
E’ STATO A LUNGO CAPO DI GABINETTO AL VIMINALE
Il decreto sui rimpatri presentato oggi dai ministri Luigi Di Maio e Alfonso Bonafede “non
serve a nulla, e’ solo comunicazione ed apporta un nuovo restringimento dei diritti, in feroce continuita’ con il precedente ministro dell’Interno”
Cosi’ il direttore del Consiglio italiano per i rifugiati, Mario Morcone, gia’ capo del Dipartimento liberta’ civili ed immigrazione del ministero dell’Interno e capo di Gabinetto del ministro Marco Minniti.
“Senza nuovi accordi di riammissione, che sono sempre 4 (Tunisia, Marocco, Egitto e Nigeria) – spiega Morcone – il migrante per il quale viene dichiarata manifestamente infondata la domanda di asilo non potra’ comunque essere rimpatriato e restera’ in un limbo, considerato anche che dovrebbe essere trattenuto in uno dei Centri di permanenza per il rimpatrio che hanno solo poche centinaia di posti a disposizione”.
Dunque, aggiunge, “si tratta solo di propaganda e da ex funzionario del ministero dell’Interno, non sono affatto contento che il decreto sia passato con il concerto del ministro”.
E’ anche emerso che gli altri 9 paesi citati da Di Maio non ne sappiano nulla di accordi con l’Italia, per ora non esistono.
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2019 Riccardo Fucile
A SETTEMBRE AVEVA CAMBIATO IDEA SULLE DIVISE INDOSSATE ILLECITAMENTE DA SALVINI, ORA SI E’ ACCORTO DI UN’ALTRA ILLEGALITA’
Proseguono le epifanie del capo della polizia Franco Gabrielli.
A settembre ha cambiato idea sulle divise indossate da Matteo Salvini: dopo aver sostenuto in un’intervista al Corriere della Sera mentre il capitano era ancora in carica che si trattasse di “un gesto d’attenzione nei confronti delle forze dell’ordine”, ha successivamente scoperto l’inopportunità della cosa: “Ho sempre detto, ma signori miei un ministro dell’Interno che è l’unica autorità di pubblica sicurezza, vertice politico della Polizia di Stato ha bisogno di una t-shirt per riaffermare questa sua funzione? Perchè così facendo si rischia di immaginare che i cittadini siano una banda di idioti, che hanno bisogno di una t-shirt, di un vessillo per riaffermare una cosa di questo genere”, aggiungendo poi che “Lui veramente lo utilizzava come una modalità per farsi sentire come parte“.
Oggi è il turno delle multe alle organizzazioni non governative. “Non sono d’accordo sulle multe alle ong“, ha detto Gabrielli al Festival delle città in corso a Roma parlando dei provvedimenti inseriti nel decreto sicurezza.
“Ma è sbagliato — ha aggiunto — dire che i due decreti sicurezza non siano del tutto corretti. Alcune cose sono positive: ad esempio, chi manifesta deve farlo pacificamente e non giudicare le forze dell’ordine come dei punching ball”.
Un vero peccato che Gabrielli non abbia pensato di dichiarare la sua contrarietà alle multe prima e lo faccia soltanto adesso che Salvini non è più al potere.
Oppure è proprio perchè non è più Salvini al potere che Gabrielli scopre in suo dissenso?
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2019 Riccardo Fucile
IL VESCOVO BEDFORD-STROHM HA RICEVUTO LA CITTADINANZA ONORARIA
“Sovranisti e populisti invece di trovare soluzioni sui migranti fomentano la paura delle
persone”. E’ la denuncia del vescovo Heinrich Bedford-Strohm, capo della Chiesa evangelica tedesca, nel capoluogo siciliano per la consegna della cittadinanza onoraria dal Comune di Palermo
“Le persone oggi hanno paura, temono per la loro sicurezza davanti a questi continui movimenti delle popolazioni- ha detto – Ma non vuol dire che siano razzisti, o che non abbiano dei valori, hanno solo paura. E ci sono alcuni politici che invece di dissipare le paure dei cittadini, trovare soluzioni, e rassicurare le persone non fanno che fomentare le loro paure”
E dice che “il ruolo della Chiesa è molto importante”.
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2019 Riccardo Fucile
LA COMPAGNIA DI BANDIERA ENTRA DI NUOVO IN FASE DI STALLO… E’ CHIARO CHE SE A UNO REVOCHI LE CONCESSIONI PRIMA DI UNA SENTENZA DEL TRIBUNALE NON PUOI ASPETTARTI CHE BUTTI I SOLDI DALLA FINESTRA PER SALVARE ALITALIA
A stupire è lo stupore. Atlantia, la holding della famiglia Benetton, ha scritto una lettera al neo-ministro dello Sviluppo Economico (e del Lavoro) Stefano Patuanelli in cui ha messo in evidenza come l’ingresso nelle quote azionarie di Alitalia non possa che essere condizionato da una certezza: la conferma (o meno) delle concessioni autostradali ad Aspi (controllata dal gruppo).
Il Mise ha risposto dicendo di non esser disposta ad accettare ricatti, ma la trattativa (ora) potrebbe portare all’ennesimo rinvio della scadenza prevista per martedì 15 ottobre.
«Il permanere di una situazione di incertezza in merito ad Autostrade per l’Italia o ancor più l’avvio di un provvedimento di caducazione — si legge nel testo redatto e spedito dal gruppo Atlantia -, non ci consentirebbero, per senso di responsabilità riconducibile sia alle risorse finanziarie necessarie che alla tutela degli interessi dei nostri circa 40 mila azionisti italiani ed esteri, dei circa 31 mila dipendenti del gruppo e di tutti gli stakeholders, di impegnarsi in un’operazione onerosa di complessa gestione ed elevato rischio».
La caducazione a cui si fa riferimento nella lettera inviata al Mise non è altro che la revoca della concessioni autostradali che sono ancora nelle mani di Aspi.
Alitalia, dunque, entra nuovamente in una fase di stallo. Nel prosieguo della lettera al Mise, inoltre, Atlantia fa riferimento a un salvataggio della compagnia di bandiera e non a un rilancio.
In soldoni: si può effettuare un piano solo a breve termine per evitare il fallimento totale, ma senza l’impegno a irrorare le casse dell’azienda per anni garantendone il rilancio sul mercato.
Il ministro Stefano Patuanelli ha replicato a questa lettera dicendo di non voler sottostare a ricatti. Ora, però, il Mise è chiamato a trovare una soluzione per evitare l’ennesimo rinvio di una storia infinita.
La revoca delle concessioni autostradali, infatti, è una delle promesse fatte dal Movimento 5 Stelle (e digerita anche dal Partito Democratico) ai suoi elettori.
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2019 Riccardo Fucile
HA SFILATO L’ARMA A UN POLIZIOTTO E SPARATO… I DUE AGENTI AVEVANO 34 E 31 ANNI… IL CORDOGLIO UNANIME DELLE ISTITUZIONI
Due poliziotti sono morti in una sparatoria avvenuta in questura a Trieste poco prima delle
17. Un terzo collega è rimasto ferito di striscio a una mano.
Il killer e suo fratello, sospettati di una rapina avvenuta qualche ora prima, sono entrambi stati fermati dopo aver tentato la fuga. Uno dei due è ferito.
I poliziotti uccisi sono l’agente scelto Pierluigi Rotta, 34 anni di Pozzuoli, e l’agente Matteo Demenego, 31enne di Velletri.
I due fermati sono i dominicani, regolarmente residenti in Italia, Alejandro Augusto Stephan Meran, di 29 anni, affetto da disagio psichico, e Carlysle Stephan Meran, di 32. A sparare sarebbe stato il più giovane, come riferisce la questura.
I due fratelli erano stati accompagnati da personale delle volanti dopo “un’attività di ricerca del responsabile della rapina di uno scooter avvenuta nelle prime ore del mattino”.
A un certo punto, “uno dei due ha distolto l’attenzione degli agenti ed ha esploso a bruciapelo più colpi verso di loro”. Entrambi “hanno tentato di fuggire, ma sono stati fermati”. La zona tra via del Teatro Romano e via di Tor Bandena, dove si trova la questura, è stata a lungo isolata con un cordone di sicurezza.
Il titolare di un locale della zona ha riferito di aver sentito spari provenienti dall’interno della questura. Pochi istanti dopo l’uomo ha detto di aver visto un giovane uscire di corsa con in mano un’arma. Quest’ultimo avrebbe provato ad aprire un’auto della polizia parcheggiata lì davanti, ma inutilmente perchè la vettura era chiusa. Subito dopo sono giunti alcuni agenti che lo hanno bloccato a terra.
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha espresso solidarietà alla Polizia e vicinanza alla famiglia delle vittime per la “barbara uccisione” dei due agenti. Messaggi di cordoglio sono giunti anche dalla presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati, e dal presidente della Camera, Roberto Fico. Il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza, ha proclamato il lutto cittadino.
(da agenzie)
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